Titolo: Plot
of my demise
Personaggi: Shoma,
Ringo, Himari.
Pairing: Shoma/Ringo.
Rating: Verde.
Genere: missing
moment, fluff.
Avvertimenti: One-shot.
Note: Scritta qualche settimana fa, poco dopo l'episodio con la rivelazione WAH! UNMEI NO HITO.
Disclaimer: Questa gentaglia non l'ho inventata io.
Plot
of my demise
L'incessante
ticchettio della pioggia fece tornare in sé Ringo,
rannicchiata sul morbido e
decisamente minuto divanetto rosso di casa Takakura. La prima cosa che
notò
furono i capelli di Himari sparsi accanto a lei, mentre la suddetta
ragazza
dormiva col capo appoggiato ad un cuscino lì vicino;
sembrava felice, gli occhi
chiusi e le labbra piegate in uno stanco sorriso.
C'era
una strana atmosfera di pace e serenità nella piccola
abitazione che da tempo
mancava di due importati membri. C'era un leggero silenzio,
accompagnato dal
respiro lieve di Himari e dal soffocato scrosciare della pioggia. C'era
un
dolce profumo che veniva dalla cucina ed un rassicurante calore che
sapeva
d'affetto. C'era una piccola pentola sui fornelli, la solita, quella
che Shoma
utilizzava per cucinare di tutto. C'era la giacca di Kanba in un lato
del
salotto, accanto a quella ben piegata di suo fratello.
Un
leggero rumore di passi catturò la sua attenzione, quando
vide Shoma spuntare
dalla cucina – mestolo forato in una mano ed una scodella
nell'altra.
“Sei
sveglia, Oginome?”
“Sì...?”,
sbadigliò, una mano davanti alla bocca mentre tendeva
l'altra verso l'alto,
stirandosi il braccio intorpidito e dolente. Aveva indosso una delle
grandi
felpe calde di Shoma – le maniche sembravano rubarle le mani
talmente erano
lunghe. La gonna della divisa scolastica si vedeva a malapena spuntare
dall'orlo della felpa.
“Mi
daresti una mano? Ho proprio bisogno di un'altra persona che mi aiuti e
Kanba –
che aveva promesso sarebbe stato a casa per le cinque – non
è ancora tornato.
Se mi fermo a fare una cosa, l'altra non cuoce e viceversa.”
Agitava la
scodella a mezz'aria, spiegando il tutto in tono pacato. Poi, senza che
Ringo
capisse come avesse collegato i due discorsi, Shoma iniziò a
fare il broncio,
borbottando fra sé e sé “Quell'idiota
è sempre in giro a farsi i suoi porci
comodi. A me tocca la casa e tutto il resto.”
“Shoma...”
“Eh?”
“Certo
che ti aiuto...”
C'era
una singola mela accanto al grembiule rosa che Ringo afferrò
decisa ed infilò
dal capo. C'era ancora quel dolce profumo, quasi timido mentre sfuggiva
rapidamente nell'aria. C'era una tenda con un nuovo ricamo e qualche
ghirigoro
che il giorno prima non aveva notato – davanti a loro,
abbelliva la finestrella
sopra il lavandino in modo piacevole e delicato.
Himari
aveva dei gusti strani ma gradevoli e casa Takakura sembrava sempre
più di un
altro mondo – uno piccolo e caldo, colorato ed accogliente.
Anche senza delle
figure adulte fra quelle quattro mura, Ringo riusciva a percepire un
senso e
quel calore che solamente una famiglia potevano dare. Erano entrambi
una cosa
che lei non aveva mai provato – troppo intenti a litigare ed
a distruggersi per
il dolore i suoi genitori per accorgersi che lei stesse crescendo in
fretta.
“Che
devo fare?”
“Tu
tieni d'occhio quel padellino lì. Continua a mescolare con
il cucchiaio di
legno o rimarranno grumi. Quando senti che si è
completamente sciolta e sembra
quasi acqua, abbassa la fiamma e continua ancora a mescolare per almeno
altri
cinque minuti.”
“Va
bene.”
Si
sentiva bene al suo fianco, braccio contro braccio mentre lavoravano
entrambi
sui fornelli accessi.
“Tua
mamma non si preoccuperà? Sei sempre qui da noi, anche fino
a tardi...”
“Oh,
no. Tanto ha quasi sempre il turno di notte, quindi non c'è
davvero alcun
problema. Anzi, credo si senta più sicura sapendo che sono
con te... ed Himari
e Kanba. Se anche rimanessi qui per la notte, forse non se ne
accorgerebbe
nemmeno.”
“E
dove dormiresti? La sola stanza che abbiamo è quella di
Himari, quindi l'unico
posto rimasto sarebbe nel salotto con me e Kanba, stesi sul
futon...”, il
sorriso sulle labbra di Shoma s'allargò, gli occhi fissi
sulla finestra che
dava sul loro piccolo giardino, mentre Ringo lo osservava un po'
sorpresa ed un
po' intimidita, curiosa di porgli una domanda di cui temeva la risposta.
L'acqua
bolliva nella pentola e la ventola sulla parete girava velocemente,
l'aria
fresca della sera che lavava via il fumo e rinfrescava le idee,
gettandosi su
di loro come un secchio d'acqua gelata.
“Se”,
deglutì, cercando di mandar via il groppo che le stringeva
la gola, “se un
giorno mi servisse un posto in cui poter dormire, mi faresti restare
qui? Per
la notte, intendo, con te...”
“Eh?”,
lo sguardo perplesso di Shoma non mancava mai d'irritarla un po'.
Qualche volta
sentiva ancora il bisogno di prenderlo a schiaffi per inculcargli un
po' di
buon senso e per spronarlo a reagire agli stimoli – certe
volte sembrava quasi
che per lui il resto del mondo fosse solo una cosa in
più, una della
quale poteva fare a meno e con la quale aveva paura a relazionarsi.
“Ti
ho chiesto se... se nel momento del bisogno mi ospiteresti, se mi
permetteresti
di dormire... con te.”
“Perché?
Mi sembri essere in così buoni rapporti con tua madre, non
capisco perché un
giorno dovresti venir qui a-”, il rossore sul volto
imbronciato della ragazza
catturò la sua attenzione e, in un istante così
breve, quasi come se gli fosse
corsa davanti agli occhi, il significato di quella domanda e
l'imbarazzo di
Ringo lo colpirono come un secchio d'acqua gelata in una fredda
mattinata di
Gennaio.
“E-eeeeeeeeh?”,
il suo fu più un urlo che una domanda, “C-che
razza di domanda è, Oginome?”
Completamente rosso in volto, come se gli mancasse il fiato e non
riuscisse
nemmeno a deglutire. Senza alcun motivo, per puro caso, Shoma
iniziò a sentire
un senso di colpa crescere in lui a pari passo con un imbarazzo sempre
maggiore.
“Sssh!”,
la ragazza si premette l'indice alle labbra, voltandosi indietro verso
la porta
che dava sul salotto, assicurandosi che Himari stesse ancora dormendo e
che non
l'avessero svegliata per sbaglio.
Le
labbra rosee di Oginome lo distrassero, rievocando immagini che aveva
deciso di
dimenticare – infondo l'aveva solo salvata,
perché se non l'avesse fatto
sarebbe potuta morire. Non contava, non contava
come bacio quello. L'aveva
deciso tempo addietro e non avrebbe rivalutato questa sua decisione.
Era stato
solo una cosa che era stato costretto a fare per farla respirare, non
era stato
un bacio il loro – anche se lei era ancora convinta che fosse
stato Tabuki ad
averla baciat... salvata.
“Shoma?”
“Eh...
s-sì, Oginome?”
“C-credo
si sia sciolta... posso abbassare la fiamma ora?”, indicava
il padellino, senza
guardarlo negli occhi – c'era ancora del rossore sulle gote
in parte nascoste
dal caschetto sempre così ben curato della ragazza. Sembrava
una sedicenne
qualunque ora, rispetto a quando l'aveva incontrata qualche settimana
prima – incontrata...
lui e Kanba la stavano pedinando e lei s'era infilata sotto la casa del
loro
professore, Tabuki.
“Fammi
vedere.”
Shoma
allungò una mano verso di lei, invitandola a cedergli il
cucchiaio cosicché
potesse controllare, ma Ringo non si mosse e continuò a
stringere il manico del
padellino con una mano ed il cucchiaio di legno con l'altra.
Numero
2, che per tutto il tempo aveva rotolato a terra vicino alle gambe dei
due
ragazzi, s'accasciò sul pavimento, il becco rivolto verso il
basso soffitto
quando Shoma decise d'afferrare la mano di Ringo e d'iniziare a
mescolare il
contenuto del padellino per controllare che tutto andasse bene. La
sentì irrigidirsi
sotto il suo tocco leggero e delicato e qualcosa che non seppe ben
definire gli
strinse la bocca dello stomaco in una morsa quasi dolorosa –
un dolore ben
sopportabile e quasi piacevole. C'era qualcosa di strano in quella
sensazione,
pensò, cercando di catalogarla e compararla con tutte quelle
che aveva provato
nella sua vita fino ad allora. C'era un po' di imbarazzo, un po'
d'agitazione,
ed entrambi venivano ingranditi ed espansi a dismisura da quel calore
che
sembrava quasi soffocarlo direttamente da dentro.
Mentre
mescolava, continuando a stringere la mano fredda di Ringo, si
avvicinò a lei,
fianco contro fianco. Era piacevole starle così vicino,
pensò, desiderando
improvvisamente più contatto. Voleva toccarla, anche solo
sfiorarla, e sentire
il dolce profumo dei suoi capelli ben curati. Non avrebbe mai pensato
che
stringerle la mano sarebbe stato così piacevole,
così appagante in un certo
senso e così negatorio in un altro –
perché desiderava di più, ma lui non era
di certo quel tipo di persona così intraprendente... lui non
era Kanba.
Si
chinò verso il padellino, fingendo di controllarne il
contenuto, e quando il
suo volto fu all'altezza di quello di Ringo, quando vide le sue labbra
tremare,
gli tornò alla mente quel giorno al parco Wadazuka. Aveva
deciso di dimenticare
tutto l'accaduto, seppellire quei ricordi da qualche parte ed
abbandonarli là
per poter riuscire a guardare ancora Oginome negli occhi senza dover
sentire
quel fastidioso calore alle gote.
“Sho,
che c'è per cena?”
Fu
la
lieve voce di Himari a farlo sobbalzare e rinsavire. Lasciò
di scatto la mano
di Ringo e si allontanò da lei, come fosse appena stato
colto a fare qualcosa
di male ed imperdonabile – Numero 2 si era nascosto sotto la
credenza,
inghiottendo quella che sembrava una vecchia spugna logora.
“Hi-Himari!
Ti sei svegliata?”
Ringo
si voltò verso di lei sorridendole – un sorriso
tirato, tinto d'imbarazzo ma di
tanta, tanta gioia.
“Sho...?”,
il capo piegato appena mentre sbadigliava, “E' successo
qualcosa?”
Si
stiracchiò le braccia, camminando con lentezza verso di loro
– i piedi che
quasi parevano strisciare sul pavimento
così ben pulito da Shoma stesso
il giorno prima.
“Eh?
N-non è successo nulla! Stavamo solo cucinando!”
Ringo
abbassò il capo, tornando a fissare il pentolino e la
propria mano – Shoma
aveva stretto quella mano fino a poco prima, Shoma le era stato
più vicino di
quanto non ricordasse fosse mai stato.
“G-già...”, fu un sussurro un suo.
“Mh...”
Lo
sguardo indagatore di Himari preoccupò Shoma; lui non era
bravo a mentire, lui
non era Kanba.
“...
Che c'è, Himari?”
“Niente.”
La
ragazzina sorrise, portando le mani dietro la schiena, sorridendo loro
e poi
voltandosi per tornare in salotto. Numero 3 la seguì a
ruota, muovendo piccoli
passi accanto a lei. Vedendole allontanare, Shoma tirò un
respiro di sollievo –
anche se non si seppe spiegare il perché di tale reazione;
Himari era la sua
preziosa sorellina, quindi perché era così felice
che se ne fosse appena
andata?
“Shoma...
qui sta diventando tutto duro.”
Il
cucchiaio di legno che Ringo reggeva ancora in mano grattò
il fondo del
padellino ed Himari s'accasciò sul divanetto rosso, attenta
a non far troppo
rumore per poter sentire i rumori provenienti dalla cucina.
“A-ah!
Acqua, mettici dell'acqua!”
Numero
2 sbirciò nel salotto, la spugna logora incastrata nel becco
che lo soffocava.
Numero 3 corse verso di lui, aiutandolo a togliersi quell'oggetto dalla
bocca.
“Non
funziona! Sta diventando duro! Che devo fare... che devo fare
Shoma!?”
La
spugna
scivolò lentamente nella gola di Numero 2 e, con sguardo
basso, Numero 3 tornò
sul divano – il gomitolo di lana fra le piccole ali che,
esperte, lavoravano a
maglia.
“A-Aspetta,
faccio io!”
Numero
2 si allontanò, un cuscino ben ricamato ora incastrato nel
becco ingordo ed
Himari smise di sorridere.