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Autore: Black Calipso    19/12/2011    2 recensioni
Sangue, amore, gioia, disperazione.
Leggete, se lo desiderate, queste parole sputate nel vento, che formano i ghirigori di una storia macchiata di un colore rosso acceso.
Niente vampiri, niente demoni, nessuna magia, niente di definibile. Come la nebbia. Nera, per l'esattezza.
"Se hai una morsa che ti stringe il cuore tutte le volte che batte provocandoti dolore, alla fine smette di farlo. Smette di palpitare, semplicemente. Smetti di provare emozioni, felici o tristi che siano."
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Red Eyes.'
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{ Capitolo 2. "Charlotte" }

5 anni dopo.
- Hey tu! Come ti chiami? Sai sono nuova di qua, non ho amici! Sai, i miei genitori sono in Paradiso e io sono sola! Ma a me non interessa, io sono una bambina forte, ormai sono grande! Sai, io ho otto anni, tu? Ohhh hai i capelli chiarissimi! Come fa un bambino ad avere i capelli così chiari? Sono biondi, quasi bianchi! Sei per caso un vecchio nano? Ma no, non hai le rughe! Forse sei un elfo sei… Ohhhh -
Una bambina dai capelli rossi indicò il viso del ragazzino davanti a lei, meravigliata.
- Tu sei un angelo! - disse applaudendo con le piccole mani. - Gli angeli hanno gli occhi rossi, come i miei capelli! - disse con vocina dolce, sorridendo allegramente.
Si mise a gambe incrociate davanti al silenzioso bambino che nemmeno la guardava, preferendo fissare un punto fisso a destra, in basso.
- Ma tu non parli mai? - sussurrò la bambina, prendendogli una piccola manina bianca, con la sua.
Il bambino si ritrasse, lasciandole la mano.
La bambina la riprese, testarda.
Questa volta il bambino non si ritrasse. Il suo calore, i suoi capelli, il suo interrogatorio gentile e incuriosito non gli avevano dato fastidio.
Lei era diversa. Lei non era scappata. Lei aveva i capelli rossi e lo credeva un angelo, o un vecchio nano, o un elfo. Sempre meglio di un mostro.
Scostò lo sguardo dal suo abituale punto fisso e incontrò i suoi occhi.
Sprofondò nel suo azzurro, e lei nel suo rosso.
- Edward. - sussurrò il bambino, con voce roca di uno che non parla molto spesso.
- Charlotte. - rispose la bambina, con un dolce sorriso.
Amici.

8 Anni dopo.
- Edward, maledizione, fallo. -
Due ragazzi, sopra un letto piccolo e corto.
La ragazza guardava in cagnesco il ragazzo sotto di lei, disteso.
Il ragazzo ricambiava il suo sguardo senza espressione, in silenzio.
Chiunque sarebbe scappato di fronte a quei suoi occhi profondamente rossi e inespressivi. Ma lei no.
Lei, seduta sopra di lui, con le ginocchia ai lati del suo corpo, poggiava le mani sul suo petto, fissandolo.
I suoi mossi capelli rossi si sparpagliavano sulle sue spalle, disordinati.
Il suo corpo iniziava già ad assumere le forme di una donna, sotto la sua felpa enorme e i suoi jeans stretti.
Sbuffò, scocciata, stanca di aspettare una cosa che probabilmente sarebbe avvenuta quando meno se l’aspettava (come sempre), e non a comando, come lei desiderava.
- Charlotte, non posso sempre sottostare ai tuoi sciocchi desideri. -
Una voce. Profonda, calda. Non era una voce che si sentiva rimbombare tanto spesso in quel deprimente orfanotrofio. Uscì da quelle labbra sottili e morbide, da quel petto di un uomo adulto, da quel corpo tanto affascinante e pericoloso.
Tutte le volte che la piccola donna sentiva quella voce, il suo cuore palpitava e un sorriso spontaneo si disegnava sul suo visino tondo.
- Non sono sciocchi desideri.. - sussurrò, ancora persa in quel dolce suono.
- Si che lo sono. -
Il ragazzo si mise a sedere, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.
Senza tanti complimenti, la prese sotto le ascelle e se la tolse di dosso senza fatica.
La ragazza rimase interdetta, ma cercò di nasconderlo come meglio poteva.
- Muoviti Charlotte devi andare a conoscere i tuoi nuovi genitori, gli ennesimi. - disse Edward, alzandosi dal letto, provocando uno stridio di molle.
Ancora, quella voce, quel nome che solo pronunciato da lui aveva un valore.
- Ohh, Ed, quanto dureranno questi? – disse allegramente la ragazza, seguendo il ragazzo fuori dalla stanza, saltellando.
- Cerca almeno di farli durare un po’ più degli ultimi, tanto per non umiliarli. -
- Dici che 3 ore è stato un po’ poco eh? -
Edward annuì in silenzio, per oggi aveva parlato abbastanza.
Arrivarono nell’atrio, a passi lenti, scendendo 4 rampe di scale.
Charlotte non aveva mai confessato ad Edward il vero motivo per cui era così terribile con i genitori che volevano adottarla. Lei affermava semplicemente che non voleva lasciare l’orfanotrofio perché voleva tenere d’occhio il ragazzo, che senza di lei si sarebbe chiuso nel suo fottuto mondo e sarebbe stato fottutamente solo.
La verità è che lei si sarebbe sentita sola. Lei senza di lui non era nulla. Lui era il suo tutto. Senza, le sarebbe mancata l’aria.
Charlotte sorrise timidamente ad Edward, mentre entrava in presidenza, dove avrebbe incontrato i suoi nuovi genitori. Arrossì leggermente fissandolo fino a che la porta non si chiuse completamente.
Edward rimase immobile per alcuni secondi, poi si avviò di nuovo verso le scale, a passi veloci.
Chissà quanto sarebbero durata quella povera coppia speranzosa di adottare una bella bambina dai capelli rossi e il viso dolce. Chissà quanto sarebbe durata l’illusione che proprio quella piccola donna fosse un tenero angelo, pronto a riempire la loro esistenza di gioia.
Chissà quanto ci avrebbero messo a caricarla in macchina e riportarla all’orfanotrofio, esasperati.
“Chissà.. chissà se non lo facessero. Chissà se fossero quelli giusti per lei. Chissà se non la vedessi più. Chissà se.. decidesse di non tornare.
Forse avrei dovuto esaudire il suo sciocco desiderio. Regalarle, forse, il mio ultimo raro sorriso.”
   
 
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