Quando io trovo
in questo mio silenzio
una parola
Scavata è nella mia vita
Come un abisso.
(G. Ungaretti)
A volte scrive con un pennarello arancione e a volte evidenzia
col
giallo; sottolinea per se stessa, come sui libri di scuola. Se
l’è sempre
cavata bene nei componimenti, ma la roba che c’è
qui dentro la fa arrossire
dalla vergogna… non l’ha mai letta nessuno, per
fortuna, o almeno lo spera!
Da qualche anno c’è sempre un Moleskine nella sua
vita.
Questo però le è durato più degli
altri: da quando si è trasferita a Seattle
ha scritto di meno, era troppo impegnata a vivere. Ma ha sempre
continuato a
fermare la vita sulla carta in qualche modo, e lo fa tuttora.
Un vecchio amico, ecco cos’è. Si può
essere scortesi con un vecchio
amico? Certo che no.
Così si siede sul letto fregandosene degli scatoloni aperti,
di quelli
già chiusi ma ancora da etichettare, degli ultimi vestiti
ammucchiati su una
sedia senza pietà, dei libri più amati -tutti
consumati- che si rifiutano di farsi
rinchiudere; quasi ride pensando a sua madre e alla crisi isterica che
probabilmente le prenderà quando si accorgerà
che, in mezzo a quel supremo
casino, lei invece di darsi da fare si è persa nei ricordi.
È già da un po’ che, quando siede a
ricordare, invece di piangere
sorride.
Poi magari piange pure, ma è sempre una cosa…
dolce. Se sua madre
entrasse proprio ora la vedrebbe così, con quella specie di
grosso libro in mano e gli occhi lucidi; dopo essersi
arrabbiata
perché cazzeggia invece che impacchettare le sue cose, le
chiederebbe perfino
se sta bene. Ma non sarebbe davvero preoccupata. Non più.
Leah sposta l’elastico con cautela per
non prendersi una frustata sulle
dita, e i ricordi sembrano saltare fuori da soli, come chiamati da un
incantesimo del suo mago preferito.
Ed ecco scivolare fuori per primo un rettangolo di carta sgualcita,
bianco con scritte nere e rosse e i bordi verdi: è il
biglietto del Greyhound
che l’ha portata a Seattle con lo zaino in spalla. Questa
invece, tra le stesse
due pagine, è la fotocopia del tesserino da studente che
è andata a farsi fare
subito appena arrivata, giusto il tempo di posare lo zaino in camera.
La
fotocopia in verità se l’è fatta per
via della
foto tessera: si piaceva un sacco
nonostante la faccia incazzosa. Aveva i capelli cortissimi, non li ha
mai più
avuti così corti. E anche se non lo avrebbe mai ammesso con
nessuno, il giorno
del suo arrivo a Seattle era gasata come una cocacola.
Qualche pagina dopo, tra il resoconto del primo giorno di lezioni e
l’elenco delle cose da vedere assolutamente in
città, è appiccicata la sua
prima foto con Lynn. Un autoscatto per immortalare il giorno in cui la
sua
compagna di stanza -nonché compagna di corso
nonché Prima Amica nella Sua Nuova
Vita- l’ha convinta al grande passo: dipingersi le unghie.
Anzi, farsele
dipingere, perché Leah ancora non è capace di
darsi lo smalto a destra usando
la mano sinistra. Anche Lynn, come Emily un secolo fa, si è
offerta subito di
farlo al suo posto pur di non sentire le sue parolacce. Beh, in quella
fotografia si vede il risultato: ci sono loro due che ridono e mostrano
le mani
con le unghie rosse… rosso
vacca, direbbe qualche
bestione di sua
conoscenza.
Lo smalto è stato solo
l’inizio della sua nuova vita e dell’amicizia
con Lynn. La sua amica bionda, dolce come la panna montata,
è l’unica alla
quale Leah è riuscita a parlare di quei due, e dopo
averla
ascoltata l’ha
accarezzata su una guancia, con dita che le erano parse lievi e fresche
sulla sua
pelle bollente. Lynn non ha riso stupefatta alla confessione che dopo
Sam non
c’era stato nessuno, che in verità non
c’era mai stato nessuno; non ha trovato
folle che qualcosa dentro Leah si fosse impuntato e non volesse nessun
altro se
non poteva avere Sam. Leah gliene è stata grata, prima
ancora di volerle bene perché
lei era Lynn, semplicemente.
È stata ancora Lynn che anni dopo, quando se ne è
andata per sposarsi, ha
lasciato a Leah la gatta Nessie, il contratto d’affitto e un
posto pieno di bei
ricordi in cui tornare la sera, dopo le sue estenuanti giornate di
insegnante
giovane in una scuola piena di teste calde. Che le ricordano tanto
certi suoi vecchi
amici con cui condivide un piccolo
problema peloso* e che,
poverini, non
capiscono come faccia la professoressa Clearwater a sentire da distanze
incredibili
i commenti sul suo culo. E a batterli a braccio di ferro.
Con le stesse belle mani dalle unghie laccate di
rosso -ormai diventate
un’abitudine- Leah volta le pagine all’indietro,
sapendo che corre il rischio
di perdere tempo o che il tempo perda lei, restituendole il dolore. Non
ricorda
più se la pagina della rottura con Sam stia in questo
Moleskine o in quello
prima. Poi le viene in mente, è così facile: la
pagina vuota, quella che non ha
mai scritto perché non trovava le parole, non era su un
Moleskine nero ma
sull’ultimo dei suoi diari di ragazzina, quelli con la
chiavetta e il lucchetto
inutile che si apre solo a guardarlo. Sulla pagina del giorno in cui
Sam l’ha
lasciata non c’è scritto proprio niente. Non
c’è nemmeno incollato niente. Ci
sono delle macchie d’acqua che hanno arricciato la carta,
nient’altro.
La verità è che vorrebbe qualcosa da incollare su
quelle pagine vuote, come
una bandierina a segnare il punto da dove è cominciato
tutto. Che cosa ci può
fare se non l’ha capito subito? Le Giornate Memorabili mica
sono già segnate in
rosso sul calendario quando lo compri, come le domeniche e i festivi.
Mica
arrivano col cartello in mano, “Salve, sappi che oggi ti
cambierà la vita”.
Come diavolo avrebbe potuto immaginare?
Non c’era nient’altro che
avrebbe potuto appiccicare sulla pagina di
quel giorno. Così ha trascritto a mano le parole della mail
di Quil Ateara III,
non erano molte e per fortuna se le ricordava bene: “Dai,
torna. Non fare la
stronza come al solito. Seppelliamo il vecchio e ci beviamo una birra
tutti
insieme.”
Ah, ecco, subito sotto ci sono una data e dei buoni propositi.
“Obiettivi: stare in casa, coccolare mamma, non litigare con
Charlie, non
litigare e basta. Ripartire indenne.”
E dopo?
Più avanti, in un punto a caso, tra due
facciate c’è un fiore essiccato,
di quelli che sembrano fatti di piccole campane con la testa
all’ingiù; le
corolle ora ingiallite erano bianche sotto la luna.
Quella notte gli strani fiori profumavano da darle alla testa, e da
allora
ogni notte profumata per Leah è piena di quei fiori di luna.
Non si lasciano
dare un nome, sono come una terra mai visitata prima; quella notte la
sua
foresta era sorprendente
e inattesa, straordinariamente
inebriante, inesplorata come la giungla di un paese molto lontano.
Leah si scuote, un brivido ritorna: è uno stupore che non
s’è mai sopito
per ciò che è accaduto quella notte.
Non ha nemmeno una foto di come l’ha
visto la prima volta, sotto
l’albero davanti a casa di Billy, ma poco importa
perché le basta chiudere gli
occhi e la fotografia compare nitidamente. Non aveva il famoso cartello
in
mano, con una scritta tipo “Buongiorno, sto per sconvolgerti
la vita”, ma
qualcosa deve avere fatto in modo che lei salvasse l’immagine
sul disco fisso e
non la perdesse più, come Lynn che non perde nulla
perché stampa le sue foto al
più presto dopo averle scattate, e sono lì
pronte, lucide, brillanti, quasi gli
stessi colori della vita vera.
L’ha visto la prima volta? Ma non è vero! Lo
conosce troppo bene, si
sputano in faccia fin da quando erano nanerottoli infangati sulla
spiaggia di
La Push. Hanno imparato a camminare attaccandosi alle stesse gonne e
lei non ha
mai avuto le fette di salame sugli occhi, riguardo a lui. Mai neanche
un
nanosecondo di sentimentalismo, casomai una solenne voglia di prenderlo
a
schiaffoni quando si perdeva nelle sue fantasticherie su
quell’ameba di Bella
Swan. Che poi, sua ragazza? L’ha baciata
due volte in tutto e pure
con l’inganno! Leah non ne è infatuata come quel
cretino di suo fratello, sa
perfettamente di cosa è capace, lui, quando fa del suo
peggio. E lo ha perfino già
visto nudo. Insomma, non capisce come diavolo le sia venuto in mente di
pensare
che lo vedeva per la prima volta. Men che meno per un bel pezzo
è riuscita a
capire perché ci stava così male, a non
ricordarsi esattamente la piega delle
sue labbra distese in un sorrisetto del cazzo, e se aveva le mani in
tasca
oppure le braccia conserte, subito prima di muoversi e andarle incontro.
Sente un fischio, si volta e lo vede lì. Replay: sente quel
fischio da
camionista, si sente nuda, poi si ricorda che è in grado di
rompere una
mascella maschile con un pugno e allora indossa la Faccia Da Dura e si
volta.
È quasi sicura che lui si sia messo in posa apposta.
Certo, non ha né una foto del Marine Figo Di Ritorno In
Licenza Con La
Sacca Militare E Il Fisico In Mostra, né
un’istantanea di se stessa con la
mascella cadente. Deve ricostruire a memoria. Realizza che
c’è qualcosa che non
torna, fa Salva con Nome sul disco fisso e il file non è lo
stesso, non si
sovrappone, non c’è nessuna domanda di sicurezza.
Quello che ricorda coincide
ma non esattamente, quello che vede le scalda lo stomaco. Rinomina il
file.
Crea una cartella nuova. Jacob Black, coglione innamorato, scarto della
Tonna,
sta davanti ai suoi occhi di ritorno dal Chissà Dove che lo
ha inghiottito,
esattamente come Seattle ha inghiottito lei.
Eppure non è lui. Non l’ha mai guardata
così. Le viene il dubbio di
averle sempre avute, le fette di salame sugli occhi.
Forse è meglio che non ci sia una foto, perché la
sua faccia
immortalata mentre lo riconosceva, ne è certa, lo farebbe
davvero ridere.
Leah torna per un istante nel presente, si
appoggia al davanzale e
guarda fuori dalla finestra; la pioggia cominciata timida ora
è più decisa, il suo
ticchettio è ipnotico e suadente. Non avesse tanto da fare,
si sdraierebbe sul
letto e chiuderebbe gli occhi per ricordare meglio, tra le montagne di
scatoloni. Non vale più la pena che sfogli il Moleskine alla
ricerca di
qualcosa, perché sa che dopo non ha
più scritto veramente nulla se
non poche, scarne parole isolate di cui ora nemmeno lei sa decifrare il
significato.
Nei componimenti se l’è sempre cavata bene, ma i
miracoli con le parole
non li sa fare; del dopo ha solo colori, impronte
sulla pelle,
impressioni tattili, odori, gusti in bocca e sulla lingua. Ha il chiaro
ricordo
di una seconda pelle ipersensibile che la avvolge, e niente
è più distinguibile
solo con la mente: vede il tavolo a cui sono rimasti solo loro quattro,
poi sente
i racconti delle loro vite a metà e il rumore delle risate
mescolate alla
musica. Poi ci sono le luci rosse dello scooter di Embry e Quil che se
ne
vanno.
Poi lui che scherza sul loro destino di avanzi delle vite degli altri,
la ferita, lui che capisce e sorride. Lui che la se-duce, la chiama a
sé come
non avrebbe pensato mai, con l’innocenza del lupo, come solo
loro due avrebbero
potuto capire. Poi è foresta e odori e luna incredibile e
bianca, è ridere e
dimenticare, è tornare a casa.
Poi è lui. Sconosciuto.
Poi è la sua prima volta.
Poi è la follia di parole che non si devono dire.
Le scale scricchiolano, Sue sta salendo a vedere se sta bene. Leah vorrebbe ancora un solo attimo per sé, non ci metterà molto: quello che è successo dopo è presto detto e lei ha assolutamente bisogno di quell’attimo, le serve per riuscire a ricordare.
L’ha accompagnato col cuore stretto a prendere il treno, ma
quando le
nuvole di polvere si sono posate lui era ancora lì, non era
partito.
Nei giorni venuti dopo hanno scandalizzato tutti: Sue, Charlie, i
vecchi, gli amici, Sam che l’ha fermata per dirle che cazzo
fai, non ne hai
avuto abbastanza di lupi, se trova il suo imprinting te la prendi di
nuovo in
quel posto. Ha negato, hanno negato, a tutti, a se stessi.
E infine si sono arresi.
Lei ha pensato “Sam ha ragione” ed è
tornata a Seattle, nell’unico posto
un po’ suo ma senza lupi e leggende, senza storia e senza
madre né padre, senza
Seth, senza niente. Senza Jacob Black.
È rimasta in trance per mesi, divisa in due da sogni
borderline. Nei
sogni i palazzi diventano alberi, le pareti foresta, le luci rosse
sull’Highway
diventano tramonti e gli odori, i pochi che sono buoni, diventano lui.
È
ovunque e lei si distrae, si perde, Lynn le chiede a cosa sta pensando
e lei
non sa rispondere, perché effettivamente non lo sa
né lo vuole sapere.
Una sera lui ha suonato alla sua porta.
La faccenda dell’imprinting non
l’hanno mica mai risolta. Lei un giorno
ha posto il problema, lui ha buttato lì una soluzione che
invece di
tranquillizzarla l’ha fatta incazzare il doppio:
“Con tutte le ragazze che ho
conosciuto, se avessi dovuto imprintarmi sarebbe già
successo, no? Probabilmente
sono un lupo difettoso.”
Gli ha tirato una gomitata nello stomaco. Lui l’ha baciata e
ha
proseguito con le cazzate. “E poi, quella cosa lì
è
sempre un
rischio. E se muoio? E se mi lasci tu? E se mi cade un meteorite in
testa? E se
lo spirito di tuo padre viene a reclamarmi perché viviamo
nel peccato?”.
Leah non ha saputo rispondere, così lui ne ha approfittato e
l’ha
sposata.
Quella cosa
lì un nome ce l’aveva.
Sua madre sta salendo le scale. Leah sta
per ricacciare dentro i ricordi,
tirare l’elastico e chiudere il suo Moleskine; solo in quel
momento nota che ci
sono davvero molte pagine ancora bianche, in fondo. Allora non lo
ributta nello
scatolone, lo mette nella borsa: bisogna che si rimetta a scrivere
seriamente.
Non vuole rischiare di perdersi niente di quello che sta per accadere.
La voce di Sue Clearwater è dolce: per stavolta non si
è arrabbiata,
anche se un’altra giornata è andata quasi persa e
ci vorrà un po’ più del
previsto per il trasloco. Apre la porta spingendola con una spalla, ha
le mani
occupate da un vassoio con una tazza di tè e una fetta di
torta.
-Basta, hai fatto fin troppo per oggi. Mettiti sul letto. Un
cuscino
sotto le gambe, ecco, così.
Leah obbedisce e si trascina sul letto; goffa come una balena
spiaggiata, si accomoda tra i pupazzi e i cuscini. Succede sempre
più spesso,
negli ultimi tempi, che sua madre si metta a coccolarla;
d’altronde è
comprensibile, non se lo aspettava proprio. Né Sue
né Jacob né nessun altro se
lo sarebbero mai immaginato. Meno che meno lei stessa, anzi
è quasi svenuta la
mattina che l’ha scoperto.
Tra poche settimane conoscerà suo figlio. Ricomincerà a scrivere, questo è sicuro, e scatterà anche un sacco di fotografie. Niente più pagine vuote, né giorni scuri nella memoria.
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Il banner della storia è stato realizzato da Kagome_86 per la mia pagina fan, che ha creato e gestisce egregiamente. Manu, grazie *_*
Beh, questo era un momento tutto per Leah. Ma se volete sapere com'è cominciata la faccenda, magari anche dalla voce di lui,
potreste dare un'occhiata alla breve storia (cinque capitoli) che ha originato la serie: Almost Heaven, qui.
Grazie di cuore a chi leggerà e lascerà due parole; felice Solstizio d'Inverno!