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Autore: Ziggie    21/12/2011    1 recensioni
It's never too late to mend, perchè non è mai troppo tardi per redimersi. Un'avventura per i fratelli Blues lunga una vita, ma al loro fianco non vi era solo la Banda, ma anche Ziggie. Recensite se vi va :) Buona lettura.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ehy Compari Blues!!!!! Ecco a voi il settimo capitolo, non credo ne posterò altri prima di Natale, anche perchè sono un pò in crisi scrittoria, perciò godetevelo. Buona lettura e Buone Feste :) 

                                   7. Meeting the band


Traslocai, ma non ci fu bisogno di mobili: molti, il proprietario precedente, li aveva lasciati; alcuni, me li concesse la Pinguina, prendendoli dal solaio dell’orfanotrofio. Non era  granché, ma era un tetto: era qualcosa di mio.

Quella settimana mi toccarono i doppi turni. Matau, uno dei miei colleghi, era partito per il college ed io e Kensy ci alternavamo a coprire anche il suo turno, finché Lucas, il proprietario, non avesse trovato un rimpiazzo.

Sabato sera arrivò di volata ed io, alle otto, ero ancora dietro al bancone del bar a pulire bicchieri. Pregai perché quella mezzora passasse in fretta, ma le lancette scorrevano lente. Sospirai, decidendo di affrettare il mio lavoro, così facendo, magari, il tempo sarebbe passato più in fretta; non cambiò poi molto, ma alle otto e mezza  correvo fuori dal locale diretta in auto. Avrei preferito volentieri farmi una doccia, cambiarmi, ma non avevo il tempo, sicuramente avevo già perso qualche canzone, non potevo perdermi il resto: in qualche modo avevo garantito la mia presenza! Sfrecciai per le strade di Chicago, ma la mia corsa finì dopo un semaforo passato con il giallo: una volante mi fece accostare, ci mancava solo questa!

- Scusi,che cosa ho fatto? – chiesi cordialmente. Ok, andavo sparata, ma il semaforo non era rosso!

- E’ passata al semaforo con il rosso -.

Mi accigliai – la luce era gialla, signore – gli feci notare, ma, forse, meno discutevo e meglio era.

- Favorisca patente e libretto – come richiesto glieli consegnai – Tutto regolare a parte la sua spasmodica velocità, che non le evita una bella multa – convenne il poliziotto, dopo un controllo.

- Si, si, ne prendo atto agente, ma possiamo accelerare i tempi? Avrei un appuntamento – dissi con fare piuttosto sbrigativo, mostrando al poliziotto un sorriso a trentasei denti.

- Stavo dandole il via libera, signorina. La multa le verrà recapitata a casa -. Fortunatamente non era di quelli insistenti! Non mi importava della multa, l’avrei pagata in qualche modo, mi premeva arrivare al concerto e, una volta girato l’angolo e certa che i piedipiatti avessero proseguito diritto, schiacciai a tavoletta l’acceleratore fino in centro città, parcheggiando al volo e mettendo in testa il cappello nero, che avevo portato per l’occasione.

Corsi fino al locale, entrandovi, mentre un numero indefinibile di sguardi si puntava su di me, mentre la musica e la voce di Jake spaziavano nell’aria.

- Ehm… Salve – dissi a bassa voce, portandomi verso il bancone per cercare di vedere meglio il palco, non che mi volessi far scorgere dalla Band, ma volevo vedere meglio Elwood.

Attaccarono con Jailhouse rock, una canzone solitamente ballata da tutti i membri della Band, mentre Elwood saltellava in giro con l’armonica e Jack con l’asta del microfono, ma questa volta potei notare, il più piccolo dei fratellini, più flaccido: che diavolo gli prendeva?
Mi sedetti sul bancone e misi mano alla mia armonica, che avevo in tasca, come diceva Curtis: mai uscire senza! La ragione mi diceva di non agire, di lasciar perdere e godermi lo spettacolo, ma il cuore diceva tutt’altro, invitandomi a smorzare l’animo di quel’uomo, che mi mancava tanto.

Così, quando toccava a lui attaccare con l’armonica, suonai io al posto suo, sentendomi tutti gli occhi addosso – Allora, signor Elwood Blues, cos è tutta questa mosceria? – lo incalzai volutamente e il sorriso, che gli si dipinse sul volto, lo fece brillare di luce propria, quasi a dargli carica. Così la serata si mosse con un nuovo ritmo e, nonostante il mio madornale ritardo, ne fui compiaciuta.

A concerto finito ero combattuta se andarmene o rimanere, ma optai per la prima opzione: era tardi, l’indomani attaccavo presto a lavorare e, un senso di malinconia mi aveva assalito, nel rivederli tutti. Ero tra gli ultimi in fila per uscire, quando sentii qualcuno picchiettarmi le dita su una spala, ma non feci in tempo a voltarmi, che mi ritrovai stretta in un abbraccio mancato da troppo tempo.

- Non vorrai andartene senza salutare, mi auguro -.

Sorrisi appena, ricambiando la stretta, mentre mi sentivo sciogliere da quelle braccia – non mi sembra di aver mancato al saluto, dato che è quello che ti ha spronato – lo punzecchiai, staccandomi dall’abbraccio, mentre lui sorrise.

- Avevi detto che non avresti suonato -.

- Errore! Avevo detto che non sarei alita sul palco – puntualizzai – non potevo non suonare, quella canzone aveva bisogno dell’armonica -.

In un attimo fummo accerchiati dagli altri componenti della Banda; a breve sarebbero scoccate le 1001 domande a cui avrei dovuto dare una risposta abbastanza pertinente.

- Ziggie! – mi salutò Jake, venendo verso di me a braccia aperte, sovrastando il fratello.

- Ciao Jake. Ragazzi -. Salutai con un sorriso tranquillo – perdonate la mia entrata ad effetto da dietro le quinte – ci tenni a precisare, non volevo che a qualcuno potesse aver dato fastidio.

- Tranquilla baby, era più che lecita – mi fece l’occhiolino Jake, alzando appena gli occhiali, apostrofandomi apposta così, credo, dato che Elwood, gli lanciò un’occhiataccia, nonostante gli occhiali scuri. – Ma toglici una curiosità, come mai questa scelta di cambiare vita? Non eravamo più  il massimo per te? – mi chiese portandomi un braccio attorno al collo.

- Per me sarete sempre il massimo, ragazzi – spiegai – avevo bisogno però di cambiare aria, di saggiare la consistenza di una vita lontana dalla fama e poi, nonostante il mio addio, siete ancora sulla cresta dell’onda, non avete di che lamentarvi -. Dopotutto non avevo mentito, avevo detto la verità semplicemente non tirando in mezzo Elwood, che ora se ne stava con le braccia incrociate, contrariato dal braccio di Jake attorno al mio collo.

- Siamo i Blues Brothers, Zig. Con noi arde la fiamma del Rhytm’n’Blues -.

Ridacchia, era sempre il solito modesto.

- Come mai questa tua scelta di andartene senza salutare? – mi chiese Blue Lou.

- Perché se mi fossi fermata un istante di più, ora farei ancora parte della Banda. E’ stata una decisione repentina guidata da birra, cuore e ragione, perché a volte è meglio non guardare indietro -.

- La Banda è come una famiglia, però, te ne sei dimenticata? – constatò Faboulus.

- La famiglia non si dimentica – precisai – perché è qui, che alloggia – mi battei una mano sul cuore, fiera. Non avendone mai avuta una, ero ben consapevole della profondità di quella parola: l’orfanotrofio e la Banda mi avevano dato tutto, erano gli affetti più grandi che avevo. Credo che con quelle parole gli solleticai gli animi, dato che venni abbracciata da ognuno di loro, tranne che da Elwood, lui si limitò a guardarmi da dietro lo specchio dei suoi occhiali scuri, forse grato per il fatto che non lo avevo tirato in causa, forse frustrato perché, in qualche modo, me ne ero andata per causa sua, ma avremmo avuto modo di parlarne, lo sapevo.

- Ti fai una birra con noi, Zig? – mi chiese Jake, sorridendo.

- Per stavolta passo, Jake. Si è fatto piuttosto tardi e domani devo lavorare – se volevo svegliarmi, avevo bisogno di qualche ora di sonno.

- Di Domenica?! – si accigliò lui.

- I bar non si fermano, sai? – feci scherzosa – Piuttosto, venitemi a trovare qualche volta. Abbiamo anche un apposito spazio dove suonare – era una buona idea, dopotutto – Stiamo a due isolati dal negozio di Ray, a Calumet City -.

- Ci faremo un pensierino, allora – concesse.

Sorrisi e alzai una mano in segno di saluto – alla prossima ragazzi e buonanotte -.

Dopo i saluti, uscii dal locale più leggera, come se un peso mi avesse abbandonato, almeno buona parte di esso. Mi incamminai verso l’auto con le mani in tasca, ripensando alla bella serata e, purtroppo, anche alla multa presa, ma ne era valsa la pena.

- Ehy, Zig… Ziggie, aspettami! – mi chiamò Elwood, raggiungendomi di corsa.

- El, che ci fai qui? –

- Ti accompagno alla macchina, no? – fece ovvio – E’ tardi e, a quest’ora, non bazzicano persone raccomandabili -.

- Siamo a Chicago, Elwood. Ad ogni ora non bazzicano persone raccomandabili – era cosa nota, dopotutto – Apprezzo che mi vuoi accompagnare, ma non voglio farti perdere la festa con i ragazzi -.

- E, cosa dovrei festeggiare, sentiamo? –

- La buona riuscita della serata?! – feci alzando un sopracciglio, perché quella domanda?

- E perdere altre occasioni con te? No, grazie – mi fermai ad osservarlo, grata per quelle parole, che mi solleticarono la schiena e mi dipinsero di rosso le guance.

- E, che occasione staresti recuperando, ora? –

- Quella di riscaldare gli animi e il corpo di una persona speciale – si tolse la giacca e me la posò sulle spalle, io ero in giro con la sola camicia e, solo allora, mi resi conto dell’aria pungente e fredda della notte.

- G…grazie – balbettai, impacciata, come quella sera prima della partita dei Cubs.
Camminammo in silenzio fino alla mia auto, ma, quando feci per ridargli la giacca, mi fermò e scosse il capo – me la ridarai quando ci rivedremo -.

- Ma è la tua giacca, El! Ti serve, è il tuo abito da scena! –

- Se ti concedo di tenerla è perché posso farne a meno per un po’, no? –

Riflettei su quelle parole ed annuii, non aveva tutti i torti.

- Buonanotte allora, signor Blues – gli augurai dandogli un bacio sulla guancia, forse un po’ troppo vicino alla bocca, tanto che lui sorrise e lo corresse in un fugace bacio sulle labbra.

- Ci vediamo al bar e, mi raccomando, vai piano -. 
  
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