Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    01/01/2012    1 recensioni
Cinque ragazzi e una tigre, finalmente in periodo di pace... ma quante prove ancora da superare, la convivenza, la reciproca tolleranza... ma anche un grande, totalizzante amore. Il tutto sullo sfondo degli esami scolastici che, in Giappone, sono previsti per entrare all'Università.^^
Giunta seconda al Friendship Contest indetto su Efp nell'estate del 2011. Vincitrice del premio speciale Fanfiction
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti, White Blaze
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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"L’amicizia quella vera la senti quando inizi a preoccuparti dell’altro, quando riesci a percepire i battiti del suo cuore, a sentirne la stanchezza, la gioia. Per questa amicizia saresti pronto a stendere un tappeto rosso sul suo cammino per non farla inciampare nelle difficoltà della vita."

[Gaetano Cioppa].

 

 

 

- CAPITOLO 1-

 

Byakuen

 

C'è odore di neve nell'aria: è greve e intenso, inconfondibile quando giunge a solleticarti naso e baffi. Si stende, appena respiri ti entra dentro, vibrando come vibrisse a un rumore inconsueto.

Il nuovo anno è appena iniziato o così, almeno, mi hanno detto: per me l'inverno continua senza preoccuparsi di cambi d'anno. Amo la neve, così come l'inverno, ma attendo la primavera per tornare a stendermi sotto il sole e ad osservare gli uccellini assieme al cucciolo.

L'inverno è lungo e, ultimamente, molto noioso. Negli ultimi giorni i libri sono diventati padroni incontrastati di menti e corpi dei cinque cuccioli: non passa momento del giorno o della notte che le loro zampette non li portino nelle loro stanze in silenzio, con uno di quei volumi enormi e fastidiosi tra le mani. Seri e silenziosi, sembra che debbano affrontare una sfida dai risvolti improbabili. Ma …

 

***

 

"Ma è solo scuola!".

"Touma, per te è solo scuola. Per i ragazzi è un momento delicato".

"Non dovrebbero comportarsi come se potesse crollargli il mondo addosso se non dovessero passare ...".

Un sospiro, una testa si scosse sconfortata. Shin si sentiva stanco ed avvilito, quasi sconfitto da quell'atteggiamento noncurante che non riusciva mai a scalfire e comprendere e che, a fatica, riusciva a sopportare.

"Non fare quella faccia da 'non riesco a capirti e non so cosa fare' Shin. È già abbastanza sconfortante non riuscire ad entrare nel loro mondo...".

Occhi cobalto si immersero in un paio verdi, ora sbigottiti.

"E non guardarmi come se mi fosse appena spuntata un'orca sulla testa. Non sono un totale bastardo... faccio solo fatica a capirli...".

Shin abbassò il capo, un po' contrito, rialzandolo immediatamente quando la mano di Touma si infilò tra le sue ciocche, accarezzandole.

"Guarda che mi sono dato da solo del bastardo. Sto solo cercando ..." gli occhi di Tenku si spostarono dubbiosi sulla finestra: il cielo era coperto di nubi come, evidentemente, il suo cuore. "Abbi pazienza Shin. Pazienta e vedrai che ci riuscirò, prima o poi".

Quindi, mani in tasca, risalì le scale a passi lenti e pensierosi, cercando di far girare quegli ingranaggi straordinari che affollavano la sua mente. A volte il ragazzo desiderava che girassero più velocemente, non solo nel modo migliore... e ora non sapeva proprio dire in che direzione stava andando.

In cuor suo ci sperava.

Certo, non sarebbe stato il suo primo fallimento: tanti fallimenti portavano, comunque, a una vittoria – alla lunga. La vita era fatta di tentativi. O, almeno, così diceva suo padre – che sull'argomento pareva saperne molto.

Così, privo di scrupoli e paure, la sua mano bussò alla porta della camera sua e di Seiji.

"Avanti!".

Quell'esclamazione era uscita secca e scocciata: Touma sapeva bene a cosa rischiava di andare incontro. Ma con Seiji niente doveva essere dato come scontato, anche se il tono avrebbe potuto dare adito ad una sola reazione. La peggiore.

Appena messo piede nella stanza, Touma fece scorrere lo sguardo attorno a sé, inglobando ogni informazione, ogni singolo indizio utile a saggiare il terreno nel modo più conveniente. Ma era il 'modo', esattamente quello, ad essere il problema.

"Cosa vuoi, Touma? Sto studiando" fu il benvenuto di Korin, il cui volto nemmeno distolse l'attenzione dal libro che aveva davanti.

"Lo vedo che stai studiando. Sono giorni che non fate altro".

"A differenza di qualcuno, noi dobbiamo farlo".

"Non ho mai detto il contrario".

Tenku sospirò, stanco: non passava giorno senza che le sue parole venissero fraintese. Come se lui alludesse sempre ad altro, come se l'ironia si nascondesse in ogni singola sillaba da lui pronunciata.

Korin sospirò, con sempre meno pazienza: erano giorni neri, giorni duri, e il fallimento non rientrava nel suo vocabolario. Matematica o meno, Touma o meno.

"Touma, dì quel che vuoi. Ora!".

Generalmente gli ordini funzionavano con lui: Seiji era l'unico, effettivamente, ad avere il controllo delle sue azioni.

"So che la matematica è il tuo punto debole. Forse ti serve una mano".

Quando il ciuffo di Seiji si mosse, assieme al viso d'angelo che aveva infine staccato gli occhi dal dannato testo, Touma si sentì vittorioso.

Peccato avesse confuso le reazioni.

"L'unica cosa che mi serve ora è la tranquillità".

Le iridi violette brillarono, per un momento, pericolose: Touma parve afferrare il concetto con una certa celerità ed uscì dalla camera.

Quando il 'click' della serratura risuonò nel corridoio immerso nel silenzio, Tenku non riuscì a non trattenere un lungo sospiro, a mezza via tra l'esasperato e l'annoiato. Seiji era nella peggiore delle forme possibili, era come una corda tesa in procinto di spezzarsi e tramortire con il suo rinculo tutti coloro che si trovavano sulla sua strada.

"Shu sarà più malleabile. In fondo, lo è sempre ... beh...".

Gli occhi cobalto si alzarono, non esattamente convinti dell'affermazione. Poco male, pensò mentre bussava alla stanza successiva.

"Avanti".

Risposta secca ma controllata, tipica dello Shu degli ultimi giorni: il lavoro di Shin stava dando i suoi succosi frutti.

Touma spalancò la porta con un sorriso sulle labbra, sperando così di mettere di buon umore anche l'occupante della stanza, ora seduto sul letto, spalle al compagno: sul tappeto arancio ai piedi del letto, svariati libri schierati con dubbioso ordine. Gli occhi attenti di Tenku si focalizzarono su uno di quelli che capeggiavano spalancati con un foglietto rosso, recante la scritta pericolo-da fare: lesse giapponese antico in copertina, gongolando già compiaciuto, incapace di trattenere la propria carica di entusiasmo.

"Dai Shu, lascia fare a me per letteratura giapponese!". Il ragazzo poteva benissimo prendere le sembianze di un cagnolino con palla in bocca, appena riportata al padrone: scodinzolante, soddisfatto, in attesa solo di una coccola. "Io mi diverto e tu hai meno da fare".

Le ultime parole famose. O la goccia che fa traboccare il vaso.

Il senso della questione era, comunque, lo stesso.

Apriti o cielo!

Touma si ritrovò fuori dalla stanza del ragazzo con una gomma tra i capelli e la porta alle spalle da cui risuonò il chiaro 'thud' di un libro scagliato contro il legno. Cosa fosse andato esattamente storto, ancora, Tenku non riusciva a comprenderlo.

"Chiedere è lecito, rispondere cortesia" borbottò tra sé e con aria un po' impettita il ragazzo. "Quasi quasi non chiedo più ...".

Ed ecco la terza porta. L'ultima e, forse, la più semplice.

Ryo non l'avrebbe mai cacciato in malo modo come i suoi compagni così carini avevano fatto.

Ryo, in fondo, aveva il suo compagno di schermaglie in Shu: Touma riusciva ancora ad ammansire il tigrotto o, al massimo, ad evitare strategicamente gli sfoghi tipicamente leonini di Rekka. Tutto stava nel cogliere l'odore dell'aria che tirava.

Fu così che, con sua somma gioia, trovò uno spiraglio nella porta che conduceva alla camera e si acquattò quindi a spiare: Ryo, seduto a terra, era letteralmente assediato da pile di libri pericolosamente pendenti. Una mano intenta a scribacchiare, l'altra tra i capelli – che, più del solito, somigliavano a una strana zavorra nera – stava mormorando tra sé formule di matematica e, nel frattempo, sfogliava una grammatica di inglese.

Non era un segreto il fatto che avesse qualche mancanza in, più o meno, tutte le materie.

Per Touma si prospettava un'intrigante sfida ai limiti della missione umanitaria.

"Ryo!" esclamò il ragazzo caracollando con troppa energia nella stanza, mentre Rekka aveva appena evitato un pericoloso effetto domino con le pile di testi attorno a sé. "Lascia fare a me! Non avrai più pile di cui occuparti!".

"Touma...".

"Ti posso assistere in tutto!".

"... Touma...".

"Sarò il tuo insegnante privato".

"TOUMA!".

L'esclamazione di Rekka bloccò l'ondata di idee che lo stavano travolgendo, mentre la bocca di Tenku andava chiudendosi, come al rallentatore.

"Touma... grazie, ma... devo fare da solo".

Sembrava sospirare tra una parola e l'altra. A dirla tutta, sembrava stesse proprio controllando la propria pazienza.

"Ma in due è meglio...".

"Touma, tu mi confondi a volte...".

"Sarò il più chiaro possibile!".

"Touma...".

Il tono perentorio di Ryo mise fine allo sproloquio di Tenku che, con l'ennesimo sospiro, si richiuse la porta alle spalle.

***

 

"Mi hanno cacciato tutti...".

"Chissà perché".

"Shin-chan, io ho solo offerto il mio aiuto".

"A tuo modo".

"Certo che era a mio modo! Come lo offro il mio aiuto, altrimenti?".

"Dovresti controllarti di più...".

"Ma io mi controllo!".

"Non abbastanza...".

Seduto a braccia conserte al tavolo della cucina, Tenku guardò di sbieco Suiko che, con fare tranquillo, si dava da fare da diversi giorni nella cucina di casa, ormai suo incontrastato regno. Sembrava perennemente a suo agio, tranquillo come un uccellino nel caldo del proprio nido, i suoi movimenti che lasciavano tracce invisibili nell'aria che sfioravano, creando come una reazione chimica: la cucina era il luogo forse più famigliare, più accogliente, più... casa.

Effettivamente, e Tenku non se ne era reso ancora conto, era il luogo della casa dove i suoi nervi si distendevano con più facilità, dove si sentiva abbracciato da qualcosa.

Ed era, di conseguenza, anche il luogo che più lo irritava.

Assurdo?

Non trattandosi di Hashiba Touma.

Troppi anni passati a vivere da solo. Troppa libertà o, più semplicemente, troppa solitudine. E alla solitudine è facile anche abituarsi... più che altro, è facile adattarsi ai propri ritmi, ai propri desideri. E dimenticare che, al mondo, non siamo tutti uguali. E non siamo soli.

Dopo mesi trascorsi, non senza difficoltà, a stretto contatto con quattro coetanei, una tigre, una ragazza e un bambino, Touma pareva aver fatto il callo a certe situazioni. Poi però, il ritorno alla realtà di tutti i giorni e tante, troppe cose di cui preoccuparsi e infine...

Ora vivevano assieme. In maniera definitiva.

A volte quella frase suonava agli occhi dell'arciere come una minaccia, più che come la promessa di un nuovo futuro. E, cosa strana, non l'avevano obbligato. In tacito accordo loro cinque avevano deciso quella soluzione, come se non potesse essere altrimenti: non riuscivano più a vedersi lontani gli uni dagli altri, non potevano.

Cosa c'era che non andava, allora?

"Touma, a cosa pensi?".

La voce cullante di Shin lo riscosse dai suoi perenni rimugini su tutto e tutti, perché la sua mente non si fermava mai. Nel bene e nel male, come in quel momento.

"Prima ti ho detto che ci riuscirò... ma non so...". Un sospiro e le braccia di Touma si allungarono sul tavolo, così come la testa, scivolata sulla tovaglia. "Io credevo che volessero il mio aiuto... ma mi sono sbagliato".

"Tu dici?" le mani esperte di Shin affondarono nell'impasto dolce di fronte a lui, lavorandolo con decisione e impegno. "Tu sbagli spesso il modo, Touma. Sei troppo diretto".

"Non mi piace girare attorno alle cose. Sono un arciere in fondo... sono addestrato a fare centro, non ad annusare il bersaglio".

La frase destò un sorriso divertito in Suiko che sospirò, paziente.

"Anche a costo di farti cacciare dalle loro stanze? Touma, devi andarci coi piedi di piombo ora... devi pensare che è il loro futuro e da questo esame, sì, per loro dipende molto. Essere assieme, qui, significa comunque portare sulle nostre spalle delle responsabilità che esulano dal nostro ruolo di samurai. E poi si tratta di sogni..." il capo di Shin si chinò un momento a rimirare le piccole forme tondeggianti dei futuri biscotti, prima di infornarle nel forno già caldo. "Devono proteggere anche i loro di sogni. Così come io proteggo il mio".

Il sorriso del ragazzo dell'acqua si distese davanti agli occhi cocciutamente confusi del ragazzo del cielo: quando si aveva a che fare con Touma, si aveva l'impressione, a volte, di dover prendere per mano un bambino e spiegargli ogni cosa passo per passo, con cura e pazienza.

Con Touma era più difficile solo perché era un bambino troppo cresciuto e testardo ... più si cresceva più si peggiorava in certi atteggiamenti, a meno di non addomesticarli.

"Proteggere i vostri sogni?" chiese dubbioso l'altro ragazzo. Sogni, parlare di sogni... sembrava così assurdo, così strano. Lui aveva sempre avuto desideri, impegni, obiettivi. Ma... sogni?

Se doveva parlare di sogni, allora ce n'era uno. E quello, per quanto semplice, gli sembrava palesemente vergognoso. Tanto da non volerlo confidare a nessuno di loro.

In fondo, era stupido.

Però era per quel sogno che quel pomeriggio aveva tentato l'impossibile impresa di infilarsi tra loro e quegli ostacoli. Era perché il suo sogno – stupido e infantile – si sarebbe potuto avverare solo nel momento in cui gli avessero detto di sì.

Il sì non era giunto, quindi il suo sogno, quel giorno, non si era potuto avverare.

Era snervante averlo tra le mani e non poterlo portare fino in fondo come doveva essere.

Era snervante e lo rendeva anche triste. Ma soprattutto era arrabbiato.

"Touma, qual è il tuo sogno?".

Come una ventata di aria gelida e calda assieme, giunse la voce di Shin a scuoterlo dalle sue silenziose riflessioni: Touma alzò gli occhi verso quelli del ragazzo, sostenendo per un attimo lo sguardo. Ma non durò molto: tanto lo sapeva che Shin gli leggeva dentro piuttosto bene.

"Non importa..." si scoprì a sussurrare, mentre sentiva lo sguardo schiacciante di Shin su di sé. Quando faceva così era insopportabilmente acuto.

"Touma...".

"Tanto non importa...".

Sulla nuca giunse una mano poco gentile a schiaffeggiarlo, un gemito di dolore sfuggì a Tenku e poi fu la voce pericolosamente bassa di Suiko a farsi sentire.

"Dovresti smetterla di comportarti come se noi fossimo degli sconosciuti!".

"Ma non lo siete!" inveì in risposta l'altro.

"E allora piantala di comportarti come se lo fossimo. Invece di metterci al corrente di sciocchezze, dovresti aprirti un po' di più..." il tono severo si era fatto sempre più morbido, perché l'atteggiamento di Tenku aveva troppo il netto sapore di tenero. Da schiaffi, ma comunque tenero.

"Da che pulpito...".

Eccolo il 'da schiaffi'.

"Comunque lo faccio più di te".

Un sospiro, l'ennesimo – Shin ne aveva perso il conto da un po' – di Touma e lo sguardo che si spostava verso il giardino innevato, mentre la luce diurna pian piano svaniva.

"Però è stupido...".

"Quello lascialo giudicare a me".

"Ma è veramente infantile...".

"Lo dici tu...".

"E' davvero...".

"Touma!"

La voce ferma e seria, gli occhi verdi che lo trafiggevano da parte a parte.

Tenku sapeva di essere in trappola, sapeva di essere messo all'angolo. Ed ebbe paura. Ma non era più tipo da scappare, anche se non sapeva cosa avrebbe dato per essere in qualsiasi altro posto. Tranne lì. D'istinto si nascose il volto tra le braccia e lo bofonchiò fuori.

"Vi voglio solo felici, ecco quanto".

"Touma..." un sussurro dal compagno e il ragazzo si ritrovò subito a schernirsi, come se ne avesse il bisogno fisico.

"Lo so... te l'ho detto. È stupido. E poi tanto... se non riesco ad aiutare almeno loro tre in quello che mi riesce meglio, allora che ci faccio?".

Il qui finale, che tutt'altro valore dava alla frase, lo tenne per sé, ma rimase a fluttuare sulle loro teste per un po': per Touma non aveva senso, davvero, vivere senza far felici i suoi amici.

Era davvero stupido pensare che vedere felici gli altri l'avrebbe reso felice allo stesso modo?

Non era mai stato uno dalle grandi richieste, dalle grandi aspettative... quello che riceveva lo accoglieva a braccia aperte, ma non aveva mai cercato nulla, non vi era mai stato un motivo per farlo.

Ora era tutta un'altra storia. Ora aveva qualcuno per cui muovere la mente, le mani e la bocca nella maniera migliore... il cuore c'era tutto, quello non mancava mai. Ma non era abituato e, troppo spesso, dava le direttive sbagliate al resto del corpo. Così aveva fallito tre volte quella sera e il suo sogno si era afflosciato su se stesso, per l'ennesima volta.

Era snervante, ma anche tremendamente avvilente.

"Touma..."

Di nuovo, nel suo silenzioso discorrere con se stesso, era giunta la voce di Shin a far breccia in quel fosco garbuglio che erano i suoi peggiori pensieri. E, dopo la voce, la sua mano sul braccio e il tenero abbraccio nel quale fu trascinato dall'amico.

"Sei proprio uno sciocco...".

"Ecco, lo sapevo...".

"No che non lo sai, Touma!" le braccia si artigliarono per un attimo alla schiena dell'arciere. Il volto di Suiko si sollevò verso il compagno, un'espressione sdegnata che poi si sciolse in qualcosa di tremendamente da Shin. "Dovresti davvero parlare... sei uno sciocco se non lo fai. Dovresti chiarire le tue intenzioni, perché...".

"Cambierebbe qualcosa, dici?".

"Che domanda... non sei solo tu a dover mirare con precisione, sai?" un sospiro e gli occhi verdi si puntarono in quelli cobalto. "Devi dare anche tu la possibilità agli altri di poter fare centro. Se non ti apri con noi, finiamo sempre per scaraventare le nostre frecce troppo lontano dal bersaglio. E questo non possiamo permettercelo".

"Ma non era necessario saperlo..." il volto di Touma sembrò colorarsi di rosso, mentre gli occhi vagavano disperati sui dintorni della cucina. "Non è che... beh, cambi le cose".

"Certo che le cambia, 250 QI dei miei stivali... per tutti noi tutto assume un altro significato".

"Quindi, i miei raid...".

"No, Touma... ti prego" le mani di Shin salirono sulle spalle dell'amico. "Cambia strategia".

"Ossia?".

"Non essere diretto... passa per strade secondarie. Te lo devo dire io?".

"Shin, quando fai così, sembri me...".

Questo guadagnò a Touma un altro scappellotto sulla nuca.

"Allora usa la testa formidabile che ti ritrovi. Ma non direttamente coi ragazzi. Devi essere subdolo quando sono così".

"Subdolo? Io non posso essere subdolo!".

Sulle labbra di Shin si disegnò un ghignetto divertito.

"Tutto è possibile, Touma... di necessità fai virtù".

"E sarebbe?".

"Per il momento..." e, accompagnandolo con movimento leggero ma deciso, lo portò al di fuori della cucina, "lascia il mio campo libero, Touma. E spremi quelle meningi, che la soluzione ce l'hai già davanti al naso".

E, detto questo, Touma si ritrovò una porta chiusa in faccia. Ancora una volta.

Ma, stavolta, le ragioni erano diverse.

Si voltò verso il soggiorno, incontrando la figura addormentata di Byakuen, serenamente appallottolato su se stesso, il corpo che si alzava e si abbassava ritmicamente, con profondi respiri. Tenku gli si avvicinò silenzioso, acquattandosi vicino e mettendosi ad osservarlo con aria intenta: il grande felino si comportava esattamente come un gattino, a suo agio ovunque, come se fosse proprietario di ogni cosa, come se quella casa fosse la sua tana protetta e protettrice.

"Ne, Byakuen..." una mano andò a stuzzicare le orecchie e gli occhi del felino si aprirono quasi subito, disturbati da quel tocco così volutamente dispettoso. "Cosa faresti tu? Là dentro non vogliono nessuno... però sono in alto mare...".

La tigre sbadigliò profondamente, scuotendo il capo, mentre i grandi occhi marroni raggiungevano, con lo sguardo, quelli del ragazzo: perdere la bussola in una casa così piccola, sembrava buffo, ma non era così difficile. Non vedere con chiarezza quando le soluzioni erano a portata di zampa era la più classica delle classiche situazioni.

Mosse il grande muso verso il ragazzo, sbadigliò un poco, si strusciò contro di lui e si alzò in piedi, stiracchiando le grosse zampe con eleganza. Poi si sedette, voltò il muso verso il ragazzo – che, in silenzio, lo stava osservando – e prese a salire le scale con calcolata flemma. Touma lo guardò, mentre entrava nella stanza sua e di Seiji, sospirò confuso e si lasciò andare a terra, accanto al kotatsu ancora spento: gettò braccia e viso sulla sua superficie, mordendosi distrattamente le labbra.

Ora che aveva esternato le sue paure, che si erano trasformate in parole reali, tangibili... fluttuanti nell'aria, sopra la sua testa, tutto attorno... come se fossero in grado di mostrarsi agli altri... si sentì tremendamente infantile e stupido.

Perché le aveva pronunciate e perché le aveva tenute nascoste a tutti. Perché si vergognava e perché la sua bocca si era arresa all'insistenza di Shin. Perché faceva ancora un'accidente di fatica a dire ciò che sentiva veramente... e perché, beh...

In fondo, temeva che non riuscire a far nulla per i suoi amici l'avrebbe reso un po' un peso... in una casa tutti davano una mano, tutti a modo loro. E lui era capace in quello. Non c'era molto altro che era in grado di fare... era una frana in tutto – e anche un gran pigro, se per quello, ma era un'altra questione – e ciò in cui riusciva meglio, beh... non gli riusciva.

Si sentiva inutile. E kami-sama solo sapeva quanto detestasse quel senso di inutilità.

Lui doveva fare qualcosa. Lo voleva testardamente fare, ad ogni costo. Ma non gli era permesso. Le libertà di un tempo erano incatenate dalle volontà altrui, come spesso si era ritrovato a scoprire vivendo con i ragazzi. Ma poteva essere un bene, quando qualcosa, qua e là, riusciva a fare. Così, proprio...

"Sono loro d'intralcio e inutile per l'uso pratico... che accidenti faccio?"si ritrovò a mormorare, prima di sobbalzare al contatto di una sua mano con qualcosa di freddo e umido.

"Byakuen?!".

Gli occhi cobalto si spalancarono confusi sul muso del felino che, con aria tranquilla e compassata, teneva in bocca qualcosa di familiare: Touma allungò una mano, afferrò la tracolla e si ritrovò la pesante borsa di scuola che aveva abbandonato in camera solo un paio di settimane prima, quando le lezioni si erano interrotte proprio per quei maledettissimi esami. Era ancora l'anno scorso, tecnicamente. Comunque, da allora, non aveva più rimesso mano a quei testi. A dirla tutta, l'esame che doveva affrontare non era particolarmente impegnativo, non per la facoltà che aveva scelto.

Touma tornò a guardare il felino che, con l'aria di chi la sa lunga, lo osservava intento.

"Vuoi che mi metta a studiare anche io? Lettere non è così difficile, sai?".

Il felino parve alzare gli occhi al cielo, poi lo sbuffo fu ben più chiaro.

"Faccio perdere la pazienza anche a te, vero?".

A quel punto, il naso di Byakuen si mosse ancora sulla sua mano, stavolta strofinandovisi sopra e leccandogliela teneramente.

Senza una parola, l'altra mano corse alla borsa, aprendola e afferrando la prima cosa che incontrò – la mente si era persa nei propri pensieri, mentre gli occhi si perdevano ad osservare i movimenti rilassati della tigre che, come se nulla fosse, era tornata ad acciambellarsi accanto a lui con la stessa flemma e la stessa tranquillità con cui era andata a recuperare la borsa di scuola.

Con un sospiro, Touma tornò a degnare la carta stampata della sua attenzione, un grosso tomo di matematica fra le mani.

"Chissà cos'è che sfugge a Seiji... non avrei mai detto che la matematica fosse il suo peggior incubo... in fondo..." sfogliò il volume con noia compassata, mentre i capitoli dell'ultimo anno scorrevano tra le pagine. "...la trigonometria, una volta afferrato il concetto delle ellissi, è piuttosto semplice e...".

Il 'click', stavolta immaginario, penetrò la sua mente come un raggio di luce nella nebbia di ciò che non poteva essere altro che stupidità: Touma si passò una mano tra i capelli, sospirando esasperato dalla propria mancanza di sesto senso. O forse era solo buon senso.

Riafferrò la borsa e ne vuotò l'intero contenuto sul tavolo, attirando la curiosità del felino che alzò a livello del kotatsu il naso e gli occhi: penne, gomme, cartucce e un paio di libri... fogli, foglietti... riviste scientifiche e anche un manga. La sua borsa, in fondo, rispecchiava anche la sua mente.

"Accidenti... ho solo matematica e biologia qui..."

Si alzò in maniera affrettata e corse verso le scale che salì in fretta e furia, rischiando di scivolare bellamente sugli scalini perfettamente lisci. Lo studio in fondo al corridoio era stata la richiesta spassionata che aveva fatto, rinunciando al soffitto stellato in camera e ad altre amenità che non stava a contare, ora: la stanza – orientata a ovest, l'unica finestra che faceva penetrare nel tardo pomeriggio la luce del tramonto – era rivestita in maniera totale da una libreria in betulla che si alzava fino all'alto soffitto e che ospitava volumi di dimensioni e contenuti disparati. Touma l'aveva organizzata per tutti, mescolando i volumi di ognuno con i volumi di tutti gli altri, affermando che, oramai, certe divisioni non avevano più senso.

Touma spalancò la porta, richiudendosela alle spalle e accogliendo nello sguardo la totalità della collezione: sull'estrema sinistra della libreria, negli ultimi due scaffali, stavano i loro testi scolastici o, almeno, quello che rimaneva dalla razziata fatta dai tre 'disperati scolari': in pratica c'erano solo i suoi testi e quelli universitari di Shin, che spiccavano per il volume che le pagine presentavano. Il ragazzo si chinò a prendere un formulario di matematica e fisica e lo sfogliò distrattamente, scartandolo subito. Fece lo stesso con un volume di storia contemporanea e ripose anche quello al suo posto, un'espressione crucciata sul viso.

"Non c'è molto tempo... e non posso certo perdermi a riguardarmi tutta questa roba...e poi ho bisogno di linee guida...".

Giunse al centro della stanza, dove regnava una grande scrivania su cui poggiava un computer, e si lasciò cadere su una delle sedie presenti, gli occhi puntati all'esterno della finestra, una mano tra i capelli e l'altra a tormentarsi il mento.

Organizzare tre sedute di studio non era impresa facile neanche per lui, pur avendo conoscenze riguardanti gli esami da affrontare, le richieste e, ovviamente, i programmi svolti. Tuttavia... Seiji aveva carenze nella trigonometria anche del secondo anno, per non parlare degli integrali su cui spesso gli esami della facoltà da lui scelta vertevano. Doveva sistemare anche quell'argomento e doveva essere il più chiaro possibile... Seiji era testardo, ma spesso quello su cui si intestardiva finiva per non entrargli più in testa – matematica e fisica, per esempio. Fortuna che nella prova almeno la fisica era esclusa.

Il sistema scolastico, a volte, era strano: Seiji aveva scelto Storia del Giappone e, da che mondo è mondo, la trigonometria non rientrava in tali studi. Toccava quindi a Touma risolvere quell'intoppo.

"Almeno passerà senza inciampi e se anche non dovesse..." la sua voce si spense, mentre pensava alla reazione che il samurai della Luce avrebbe potuto avere a un fallimento simile.

Seiji era stato chiaro a proposito... non era stato semplice strappare alla propria famiglia il permesso di scendere a Tokyo e viverci e studiarci a tempo indeterminato.

Loro vogliono il massimo e io darò loro il massimo. Non che pretenda meno da me stesso...

Parole testuali sue, dette con quella serietà che tanto lo differenziava dallo stesso Touma: a volte pensava che fossero su due pianeti differenti date le volte che finivano un po' per cozzare. Una vita vissuta con rettitudine e l'altra con fin troppo laissez-faire. Agli antipodi, eppure... beh, perché mai avrebbero deciso di dividere, ancora una volta la stanza?

In fondo, sapeva che gli ordini di Seiji riguardo il suo stile di vita un po' bohemien e le sveglie assurde erano rigide e assurdamente perentorie. E sapeva che i suoi rimproveri sull'ordine e sulla serietà erano, in fondo, dettati da preoccupazione...

Però, d'altro canto, sapeva anche che Seiji senza di lui si sarebbe sentito un po' perso: chi altrimenti poteva duettare con lui in certi scontri dialettici? Chi riusciva a sopportare la sua saccenza e la malcelata ironia con tutta quella flemma? E poi chi era che aveva coniato il suo nomignolo 'piccolo panda'? E quando lo usava... beh... c'era qualcosa di inesplicabilmente caldo e piacevole che lo avvolgeva.

Non poteva farne a meno. Ecco quanto. Era dipendenza? Senso di possesso, desiderio, bisogno?

Forse era tutto... tutto assieme, tutto un po'...

Forse era semplicemente un legame, il legame.

Sentì una strana ondata di panico attraversarlo e il suo sguardo andò ai libri di scuola e, sotto gli occhi instancabili, giunse il grande tomo di letteratura giapponese e il pensiero volò a Shu.

Scimmietta Shu.

Il sorridente e vivace Shu, la forza della natura quasi incontenibile che viveva da due settimane tra quattro pareti di un'infernale stanza. E che si era trasformato nell'ombra di se stesso. Povero Shin, la sua scimmietta sequestrata dalla scuola... per avere in cambio un gorilla scorbutico che faticava a staccare gli occhi dalla carta, tanta era la preoccupazione per l'esame: altra assurdità del sistema scolastico... letteratura giapponese per la facoltà di informatica. Come se non fosse bastata quella fatta a scuola.

E, per quanto eccezionalmente dotato nel campo dell'informatica, Shu non brillava altrettanto bene nelle materie umanistiche – al contrario suo e di Seiji. La letteratura dell'ultimo anno, Mishima e Oe in primis, erano le sue bestie nere... su Mishima non poteva biasimarlo, Touma si dilettava di più con Soseki o Hearn, ma Oe, per quanto drammatico era, dal punto di vista moderno, molto intrigante e introspettivo – senza però cadere nel patetismo di certi scritti di Mishima.

Touma si ritrovò a sospirare: con Shu poteva ritrovarsi il lavoro apparentemente più semplice ma effettivamente complicato. Kongo lo accusava spesso di essere un confusionario dell'ultim'ora, che quando si ritrovava a spiegare qualcosa avrebbe desiderato materializzare tra le mani un dizionario Touma-giapponese: la verità era che la confusione della sua mente era data solo ed esclusivamente dalla piccola tendenza a esplicare con diversi (troppi) livelli di lettura e, soprattutto, con riferimenti interdisciplinari non richiesti (e dispersivi).

Così se cominciava a parlare di Soseki, non si sa come, dopo cinque minuti era dall'altra parte del mondo con Shakespeare, oppure nella guerra sino-giapponese o, ancora peggio, in teorie di fisica di Einstein.

Mente dai mille cassetti. Così a Touma piaceva chiamare la propria estremità razionale.

Il casino era il termine che più piaceva a Shu. Forse non poteva biasimarlo. Anche Shin gli ribadiva il concetto e Ryo finiva per sghignazzare ogni volta che perdeva il filo del discorso e si ritrovava con collegamenti fuori da ogni logica.

Se un giorno diventerò capo della mia famiglia, voglio assolutamente dimostrare loro che posso disegnarmi un destino completamente nuovo. Voglio che tutto ciò possa renderli fieri di me... voglio che le mie spalle possano diventare abbastanza forti da poter sorreggere ogni prova che verrà posta sulla mia strada.

Quando si parlava di sogni, forse Shu era il più sfacciato nel parlarne... non aveva problemi, paure... non aveva alcun freno, alcuna vergogna. I suoi sogni erano sulla sua bocca e poi veleggiavano sul capo di tutti in maniera definitiva... lui era i suoi sogni, perché com'era lui aperto e raggiante, così i suoi sogni brillavano di luce intensa che illuminava ogni cosa.

Era, così, anche il suo contrario... finché si trattava di cose leggere, entrambi le esternavano, anche se in maniera diversa: lui con mordace ironia, Shu con un'ingenuità carica di ottimismo.

Ma le cose importanti erano ben altro.

Shu conosceva così bene se stesso e i propri sentimenti e non provava mai paura di fronte ad essi. Touma, al contrario, pur conoscendosi, usava ancora dei meccanismi di autodifesa che non avevano decisamente molto senso, dopo tutto quello che loro cinque avevano provato. Come Nasty un giorno aveva detto, il loro era un legame che andava oltre il sangue... era qualcosa che li legava a livello di cuore, quindi...

Mentire alle persone con le quali condividevi il cuore, beh... non era un controsenso?

Per questo a volte cozzavano... più che altro perché Shu non concepiva la sua chiusura. Non con loro. E non concepiva molto quando la paura gli faceva fare le cose peggiori, con i suoi amici poi.

Quando fai così non sei affatto carino.

Questo gli diceva, ogni volta. E quella frase lo scombussolava sempre. Perché lo faceva arrabbiare, perché lo trattava come un bambino (anche se si era appena comportato come un bambino). Perché era strano sentirsi dire un 'non sei carino' quando si sarebbe aspettato una sfuriata o altro.

Shu se ne usciva sempre con quella.

Come se, normalmente (ossia quando non faceva l'arrogantello, bastardo o viziato) Shu lo vedesse come 'carino'.

Ma lui non si considerava 'carino'. Neanche quando non faceva lo spocchioso o l'arrogante. O, semplicemente, l'asociale bisbetico.

Scosse la testa un'altra volta, sospirando irritato. Andava sempre a parare in un luogo del suo cuore che lo punzecchiava fin nel profondo.

"Ryo, c'è Ryo che... è un po'... un problema...".

E la sua mente si spostò sul più urgente casino... il programma di, praticamente, tutto.

Una mole simile di lavoro, sull'ansioso Ryo, era la peggiore delle situazioni possibili: mancava quasi totalmente di organizzazione – ripassare matematica con giapponese o biologia assieme a tecnica era come mischiare l'acqua con l'olio: finiva per risultare un putiferio e una matassa di concetti privi di capo e coda. Avrebbe rischiato di mischiare le risposte anche sul test, con quell'assurdo metodo di studio: privo di una mente a cassetti, il suo cervello era come una grossa scrivania su cui erano gettati i volumi alla rinfusa, senza ordine logico. Peccato che, quando i concetti servivano, si dovesse andare a cercare la risposta in quel putiferio: come trovare un ago in un pagliaio.

Chiarezza, doveva essere chiaro con lui. Pochi concetti, ma fondamentali e distinti gli uni dagli altri. Non che aver compreso cosa fare gli indicasse la strada per farlo, però...

Ryo aveva detto a tutti loro che non si sarebbero dovuti preoccupare, che se la sarebbe cavata da solo: in fondo, la facoltà di zoologia se l'era scelta lui, la decisione di venire a vivere assieme era stata tutta sua e, sempre solo – anche se con Byakuen al suo fianco – aveva compiuto il trasferimento di ogni suo avere alla nuova casa. Senza chiedere aiuto a nessuno.

Ryo era così... era indipendente, più di tutti loro messi assieme ma, a volte, agiva senza chiedere a nessuno, tanto era abituato ad essere da solo. Da quel punto di vista, Touma gli somigliava: certo, i pranzi e le cene erano consumati assieme attorno al tavolo, ora, e l'egoismo era un po' sparito dai suoi modi di fare. Però era dura perdere certe abitudini, ricordarsi di non essere l'unico in casa e anche chiedere consigli, aiuti, opinioni.

Ryo gli somigliava ma si distingueva per un tratto apparentemente assurdo: Touma dimostrava molto spesso un carattere capriccioso che, bene o male, lo metteva in un rapporto di scambi coi ragazzi – beccandosi anche epiteti poco carini o strigliate non richieste. Però Touma, dalla sua, aveva imparato a chiedere.

Il mio solo pensiero siete voi. I miei desideri sono importanti fino a un certo punto... se voi state bene io sono tranquillo. Al centro del mio mondo ci siete voi, in tutto e per tutto.

Era un pensiero positivo, di grande sacrificio. Ma era anche terribilmente stupido. Loro erano il suo centro... e lui? Certo che lui era al centro dei loro pensieri... tutti erano al centro dei pensieri di tutti... ma questo non andava a discapito di se stessi.

Ryo dava tutto, faceva tutto, s'impegnava tutto. Ma non chiedeva mai.

Capiva Seiji che era testardo. Comprendeva Shu che era volitivo. Ma non comprendeva la fissazione di Ryo: era colui che aveva bisogno più di aiuto ed era quello che nascondeva il proprio bisogno dietro la sua totale e pura istintiva forza di sopravvivenza. Come se vivessero in una giungla.

Lui, il leader ansioso e appassionato, avrebbe dovuto fare da capobranco... ma, in realtà, era un cucciolo come loro che essi riconoscevano come compagno, prima di tutto, come guida poi. E come compagno ti volevi preoccupare del suo stato, fisico e mentale: metterlo al centro era naturale... ancora più naturale carpirne i suoi bisogni. Ma, a volte, i bisogni non erano così chiari. A volte dovevi scavare e, a volte, la mente altrui non era così pronta ad essere esplorata.

"Baka Ryo... zuccone...".

Touma fece scivolare rumorosamente la sedia sul pavimento, si alzò in piedi e andò a frugare in uno dei cinque cassetti che sottostavano la finestra della camera: lo richiuse poco dopo, un blocco di appunti, una penna e diversi evidenziatori in mano. Tornò a sedersi, tirando un lungo sospiro, poggiò il blocco davanti a sé, fece scattare il meccanismo della penna e la picchiettò contro le labbra, rimestando i pensieri e i concetti che ronzavano ora freneticamente in quella testolina che, secondo lui, aveva il solo merito di lavorare un po' più velocemente delle altre.

Scrisse 'Seiji' sul primo foglio, ne prese un altro, scrivendo 'Shu' e sul terzo fu il nome di Ryo a comparire: dopo di che, la mano cominciò a muoversi da sola, completamente sotto il controllo della mente che, come al suo solito, l'aveva isolato totalmente dal mondo esterno.

Probabilmente era più difficile pensare a ciò che serviva, che a ciò che mente e istinto dettavano direttamente al suo cuore: li conosceva così bene, nei punti di forza e nelle debolezze, nei lati di carattere più piacevoli e in quelli meno, in tutte quelle piccole cose che smuovevano la sua mente a pensare intensamente a uno di loro quattro, soprattutto in quei giorni.

Quel corrugare le sopracciglia e mordersi il labbro che mettevano così apertamente allo scoperto Seiji.

Gli epiteti poco carini che uscivano dalla bocca di Shu quando rimaneva da solo e il modo in cui la mano sorreggeva il suo viso quando nient'altro sembrava poterne sopportare il greve peso della stanchezza.

I passi nervosi e irregolari di Ryo che calpestavano con insofferenza ogni centimetro quadrato della sua camera, mentre il capo si arruffava e la pazienza sembrava prendere il volo per altri nidi.

E la quiete apparentemente impassibile di Shin che, più di tutti loro cercava, con il suo collante fatto di tenerezze e continui e calmi pensieri, di mantenere quella casa come nido d'amore e di calore, il luogo perfetto per una vita fatta di sacrifici scolastici insomma. Biscotti, carezze, pazienza. Tanta pazienza.

La penna scorreva veloce, a volte alternata a un evidenziatore, mentre il biancore dei fogli si riempiva di formule, di schemi, di chiarezza e risoluzione. Non era difficile se si sapeva come fare... una volta afferrato il metodo, la strada diveniva dritta e in discesa, le preoccupazioni alle spalle di tutto e tutti.

Tutto stava nell'indicare la giusta via per farlo.

La mano scrittrice si fermò a mezz'aria, mentre gli occhi del ragazzo vagarono verso l'esterno: il vento sembrava essersi alzato oltre la finestra, mentre la neve fluttuava in piccoli mulinelli ricadendo scomposta a terra.

"Indicare..." mormorò tra sé, mentre uno strano sorriso gli sorgeva sulle labbra, quasi indeciso.

Chi altri se non lui poteva indicare la giusta e retta via per l'esame (quasi) perfetto? La sua penna poteva diventare potente quanto il suo arco, forse ancora più precisa: la consapevolezza che sarebbe giunto dove voleva, gli fece esternare un ennesimo sospiro. Stavolta di soddisfazione.

Sentiva chiaramente di essere sulla strada giusta, che non vi sarebbero stati tentennamenti o dubbi sul da farsi, che non avrebbe dovuto ripensare a strategie o a modi particolari per arrivare 'fisicamente' a loro. Avrebbe lasciato che fossero quei semplici fogli a farlo, come diceva il detto: carta canta. O una cosa simile. Se non era bravo a parole, poteva esserlo almeno nella parola scritta... detto o fatto che fosse.

Si immerse talmente tanto in quel lavoro che, quando Shin entrò nella stanza, un'oretta più tardi, poco mancò che saltasse per lo spavento sulla propria sedia: velocemente, con un gesto furtivo, nascose i fogli all'interno della manica del maglione, ripiegati su se stessi come documenti della massima segretezza.

  
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