Noi… siamo mostri.
Non potevamo immaginarlo
prima d’ora, ne eravamo incoscienti.
E’ una trasformazione lenta,
costante ed inesorabile.
Irreversibile come l’età,
come il tempo e come il destino.
Quando abbiamo scelto le
nostre strade, non prevedevamo nulla.
Davanti a noi c’era solo il
futuro prossimo.
Solo quello.
**+++**
La mia era una
famiglia di ex borghesi. Amavano definirsi nobili, ma per me non erano mai
stati altro che sporchi borghesi.
Fu mio nonno a
comprarsi il titolo, e suo figlio ci si affezionò abbastanza in fretta.
Lo ammetto, non
ho mai amato la mia famiglia. Fu per questo che un giorno, all’alba dei miei
sedici anni, me ne andai a far la guerra. Non ci furono né lacrime né addii,
nemmeno un biglietto scritto da parte mia, ne una lettera che mi cercasse.
Sapevo bene che mio padre mi odiava, e che desiderava la mia dipartita con
tutte le sue forze, non importa se per questo o per l’altro universo.
Realizzai il suo
desiderio.
Fu per questo
che scelsi di andare a fare il soldato, lontano da Fastoon, lontano da casa,
lontano da tutto ciò che avevo conosciuto finora. Abbandonai tutto.
All’epoca le
leggi che impedivano ai minorenni e agli inabilitati di arruolarsi erano
fresche di emissione, ma la situazione diplomatica e militare in cui Fastoon si
trovava era talmente spinosa che non di rado si facevano strappi alla regola.
Fu proprio così che entrai, limitandomi a dire che provenivo dalle strade di
Undertown e che da poco avevo compiuto la maggiore età.
Andai,
combattei, sopravvissi. Lo feci per la mia patria? No. Lo feci per fuggire.
Fuggire da mio padre e fuggire dalla morte. Era quello l’unico motivo, ma
all’epoca l’avevo dimenticato. A volte, quando scegli una strada, non ricordi
cosa ti ha spinto ad intraprenderla.
Sentivo solo che
andava bene, e che poteva continuare ad essere così.
Fu questo il
confuso sentimento con cui tornai a Fastoon, diversi anni dopo: pur essendo il
mio pianeta natale, e pur essendo cambiato tanto nel corso degli anni, non mi
suscitò alcuna nostalgia, nessun interesse, nemmeno l’ombra della curiosità.
L’unico sentimento
che ricordo era un oscuro, pesante disgusto, misto a un senso di vuoto. È
difficile da spiegare, ma fu quello che provai. Semplicemente non volevo restare
lì. Non volevo passare coì vicino alla mia vecchia casa, e pensare a cosa
succede dietro quelle mura. Non volevo vedere mio padre.
All’epoca avevo
27 anni, e sembrava che la mia avventura da soldato servitore della patria,
forte e impavido, finisse lì, e che Fastoon, mio punto di partenza, fosse anche
la mia destinazione finale.
Solo pochi anni più tardi realizzai quanto fatali fossero stati questi
miei pensieri, quanto viscerale sarebbe
diventato questo mio disgusto, e soprattutto in cosa esso si sarebbe
trasformato.
Restai
nell’esercito, sotto il comando di un lombax che già all’epoca stava
guadagnando una fama alquanto ambigua: Alister Azimuth.
Era un individuo
tanto capace quanto assetato di potere, e a provarlo vi era il fatto che,
nonostante la giovane età, aveva già raggiunto un alto grado nella gerarchia
militare. Il suo destino pareva segnato.
Era un fiore
raro nel suo genere: aveva il carattere del leader, era forte, autoritario, a
volte quasi paterno, capace di spingere i suoi uomini alle imprese più folli
con successo, capace di farli tornare vivi dalle battaglie più cruente, capace
di infondergli una fede ed una speranza incrollabili.
Non lo amavo.
Non ero abituato
ai suoi modi, avendo iniziato la mia leva sotto il comando di idioti capaci
solo di ubriacarsi e andare a puttane, privi di ogni capacità di organizzazione
e di comando. Avevo imparato ad adattarmi e ad apprendere in fretta, ad agire
di testa mia, a sopravvivere quando tutto diceva che stavo per morire.
Sotto il comando
di Azimuth c’era troppa pace.
Dopo tutti i
fronti che avevo visto, tutte la battaglie a cui avevo partecipato, Fastoon
sembrava un paradiso felice.
L’economia era
forte, l’esercito imbattibile, il popolo fiducioso.
E il nemico
storico, l’Impero cragmita, solo una minaccia lontana, un’ombra vaga.
Era una chimera priva di artigli, o almeno così tutti
credevano.
Ma io li ho visti troppe volte per illudermi di essere al
sicuro.
Dal fronte
intanto arrivavano notizie sempre più preoccupanti. Il 13 dicembre del 1781
l’Esercito lombax, compresa la tanto osannata Guardia Pretoriana, venne
costretto ad una precipitosa ritirata dal pianeta Xirgon.
Il protettorato di Fastoon non cadde in mano all’Impero, ma i combattimenti continuarono
incessanti per terra, aria e spazio, e gli aggressori continuarono a guadagnare
terreno. In seguito all’ultima, disastrosa sconfitta tutto sembrava perduto.
E poco prima
della resa, gli imperiali si ritirarono dal pianeta, distruggendo ciò che ancora
era rimasto in piedi.
7 marzo 1782.
Era il turno di Veldin, altro pianeta apertamente
schierato dalla parte dei lombax, a subire le conseguenze delle alleanze
strette, e le intenzioni dell’Impero mi parvero molto più chiare. Volevano
indebolire l’intero sistema su cui si basava il loro nemico, agire sul fattore
psicologico. Nulla di così difficile.
Le conseguenze
furono ovvie: assediati da ogni parte, privi dei necessari aiuti, Veldin preferì rompere i patti e sottomettersi agli
invasori piuttosto che rischiare la distruzione nella speranza di ricevere
manforte da alleati così lontani.
L’opinione
pubblica vacillò. Annaspava nell’incertezza, gridava vendetta, tremava
impaurita, strillava ai quattro venti quanto codardi erano stati quelli di Veldin ad
arrendersi così presto, cercava colpevoli, e ne trovò, a suo dire, parecchi.
L’isteria collettiva creatasi sfociò in una serie di processi che, nel giro di
soli quattro mesi, si risolse in ben diciassette condanne a morte: la rabbia di
un popolo può molto. La sua stupidità ancora di più.
Tre anni
passarono, e dopo due aggressioni così eclatanti nei confronti di Fastoon,
l’Impero non ritentò più nessuna azione che emuli le precedenti. Non ce n’era
bisogno.
L’urto con cui i
lombax erano stati colpiti era stato più che
sufficiente, la campana di vetro che li proteggeva si era rotta, e il paradiso
felice in cui credevano di vivere era
ormai indifeso.
Gli sguardi che
ora si alzavano non erano più fieri e sicuri, ma timorosi, impauriti.
Hanno visto,
sopra di sé.
Hanno visto un
gigante, silenzioso e indistruttibile, che alzava il suo martello.
Hanno visto, ma
erano ancora ben lontani dalla comprensione.
Dovranno
abbassare lo sguardo per capire.
Il loro paradiso felice era stato posato su un gigantesco
incudine.
E loro
attendevano, deboli ed inermi, attendevano senza comprendere.
Io, come parte
di tutto mi limitavo a seguire gli eventi, ad osservare. Come me molti sapevano
che quei due attacchi non erano altro che terrorismo, pure e semplici
dimostrazioni di forza atte a destabilizzare la fiducia di un popolo nei
confronti del loro governo. Come me, molti immaginavano cosa altro stava per
succedere. Ma eravamo tutti terrorizzati al pensiero di quanto questo qualcosa era vicino.
Nel 1784 conobbi
una donna. Neryssa Sheyfer,
una delle poche menti femminili alle quali all’epoca è stato riconosciuto un
minimo di credibilità, era una giovane promessa della filosofia naturale da
poco entrata nel Centro di Ricerca Avanzata Lombax, e
già all’epoca non era ben guardata dai suoi colleghi.
I puritani del
suo stesso campo dicevano che era un mostro, e che i suoi progetti non erano altro che aberrazioni.
Forse avevano
ragione.
Mi invitò, sotto
la promessa di mantenere il silenzio più assoluto riguardo a ciò che avrei
potuto vedere, a partecipare ad una serie di esperimenti di cui ben pochi erano
a conoscenza:
il progetto Paradox.
Non tardai a comprendere la portata di ciò
di cui ero venuto a conoscenza, qualcosa che poteva valere milioni di vite, ed
avevo giurato di sacrificare tutto il sacrificabile pur di mantenere segreta la
sua esistenza: vita, libertà, qualunque cosa. Ma alla fine l’unica cosa che
potei dare era solo il mio silenzio.
Il progetto
stesso diventò parte integrante della mia vita. Era uno spettro strano e
onnipresente, che si insinuava in ogni angolo, simile ad un veleno lento ad
uccidere.
Solo diversi
anni dopo capii a cosa si riferivano gli oppositori di miss Sheyfer
quando parlavano di aberrazioni.
Fu una di quelle scelte che mi segnarono per sempre e che
dettero una nuova direzione al mio cammino, dando inizio ad una nuova
trasformazione.
Che cosa stavo diventando?
Un nuovo essere?
Un arma?
Un mostro?...
Forse era ancora troppo presto per scoprirlo, avevo ancora
troppe strade davanti, troppe possibilità per poter solo provare ad immaginare
cosa mi serbava il futuro. Per ora andavo dritto, e sceglievo con gli occhi
bendati.
Ma sulla strada contorta che avevo scelto di percorrere
doveva ancora presentarsi un altro mostro. Un ultimo ostacolo, e un'altra
mutazione.
1786.
Il martello del
gigante finalmente aveva colpito l’incudine, e il piccolo paradiso veniva
schiacciato dalla sua spaventosa potenza.
La conquista di Fastoon non fu per l’Impero
altro che un colpo basso ben piazzato. Ma per i lombax
quell’attacco, quel colpo di martello era l’ignominia più grande, il tradimento
più completo.
Un trauma incancellabile.
Ma ora la voce
del popolo lombax era il grido dello sconfitto. Il
lamento del debole, dello stupido, di chi merita solo la schiavitù.
Questo piccolo
paradiso era terra da sfruttare.
Il 2 luglio 1786
il grido dei perdenti divenne il silenzio degli schiavi.
E fu quella stessa data che io, mostro e schiavo, giurai di
distruggere i miei padroni.
[Dalle memorie di Geoffrey William Darkwood, 12 ottobre 1808, Fastoon. ]
Note:
One shot
scritta in assenza di computer, è una specie di ‘missing
moment’ di Endless Empire. Credo che ne pubblicherò
altre.
E una piccola fic senza pretese, spero che vi
sia piaciuta almeno un po’ ^^