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Autore: Hoshi no Destiny    07/01/2012    0 recensioni
Cosa può succedere se l’inquietante personaggio che popola i vostri incubi vi fa precipitare in un regno che sembra uscito da un romanzo fantasy?
Questo è quello che accade in un’afosa giornata estiva a tre normali studenti delle superiori che, così, si ritrovano costretti a combattere; solo se riusciranno a vincere la guerra potranno tornare a casa.
Arrivati all’entrata, la ragazza afferrò la maniglia e fece per aprirla, ma quella non si mosse di un millimetro. Stupita, la abbassò nuovamente e la tirò a sé con più forza, qualcosa all’interno della serratura scattò e, infine, la porta si aprì emettendo un agghiacciante scricchiolio. La stanza fu sferzata da una gelida folata di vento che costrinse i ragazzi ad arretrare e ripararsi con le braccia. Così come era iniziato, il vento smise di soffiare. Inuyasha si affacciò all’uscio e ciò che vide lo lasciò senza fiato: il giardino della casa, il piazzale che portava al tempio, la scalinata, tutto era sparito per lasciare il posto ad una landa desolata interamente ricoperta di neve.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Inuyasha, Kagome, Koga, Sesshoumaru
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Yuki ka no okuko Autore: Hoshi no Destiny
Titolo: Yuki-ka no ōkoku
Fandom: Inuyasha
Pillola/e di ispirazioni scelta/e: n°8 e n°18
Personaggi e Pairig: Inuyasha, Kagome, Sesshomaru, Koga, Ayame, Bankotsu, Totosai.
Genere: Fantasy, avventura, generale.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: AU, one-shot, what if?
Note ed eventuali dell'autore: Avvisiamo che il titolo è stato tradotto con l’aiuto del sempreverde google traduttore, se ci sono strafalcioni, prendetevela con lui ù-ù. Dovrebbe voler dire “Il regno sotto la neve” e, leggendo capirete il motivo della mia scelta.
Avverto anche che qui, Tokijin in comune con la spada canonica, avrà solo il nome (dato che non mi ricordavo minimamente che poteri avesse) mentre Tessaiga sarà un filino più fedele all’originale.
Ho passato le ultime due settimane a scriverla, è spaventosamente lunga per i miei standard e spero piacevole da leggere.
Introduzione: Cosa può succedere se l’inquietante personaggio che popola i vostri incubi vi fa precipitare in un regno che sembra uscito da un romanzo fantasy?
Questo è quello che accade in un’afosa giornata estiva a tre normali studenti delle superiori che, così, si ritrovano costretti a combattere; solo se riusciranno a vincere la guerra potranno tornare a casa.

§

Yuki-ka no ōkoku


Quell’anno l’estate era davvero torrida, l’unico modo per sfuggire al caldo sembrava rifugiarsi nei locali dotati di aria condizionata o all’ombra dei grandi alberi che costeggiavano la maggior parte delle strade della città. Koga e Inuyasha erano seduti su una panchina per riposarsi dopo aver trascorso l’intero pomeriggio al campo di atletica; di lì a una settimana, infatti, si sarebbe svolta la prima gara di atletica in cui i due ragazzi sarebbero stati nella stessa squadra e, per questo, erano costretti a passare gran parte della loro giornata ad allenarsi sotto un sole cocente.

Inuyasha scostò i capelli che gli ricadevano sul petto e li raccolse in una coda bassa, fermata dall’elastico che portava sempre con sé; alzò il viso per guardare le poche nuvole che si muovevano pigramente nel cielo estivo di quel giorno, presto il suo amico si unì a lui e si mise a fischiettare.

- Certo che è davvero terribile correre con questo caldo! – esclamò Inuyasha.

L’altro si fermò e si voltò verso di lui.

– Hai proprio ragione - disse – speriamo solo che il giorno della gara sia un po’ più fresco!

Il primo annuì, si alzò in piedi e, fatto qualche passo, si girò verso l’altro.

– Hey, lupastro! Che ne dici se andiamo a bere qualcosa al solito bar?

Quello rimase seduto e scosse la testa. – Scusa botolo, ma non ho voglia di correre ancora! – rise.

Il ragazzo tornò sui suoi passi e gli si avvicinò. In effetti, Koga sembrava essere molto più stanco del solito e lui non poté certo perdere l’occasione di schernirlo.

- Non mi dirai mica che sei già esausto, sei davvero una mezzacalzetta!

- Stai attento a quello che dici, cagnolino! Questa notte ho dormito pochissimo… - ribatté e, intanto, si passo una mano fra le ciocche di capelli che gli ricadevano sul viso.

Inuyasha si lasciò cadere sulla panchina e incrociò le braccia sul petto. – E perché?

Koga sospirò, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e iniziò a parlare: - Guai a te se ti metti a ridere… ormai sono quasi tre notti che faccio sempre lo stesso sogno; non è spaventoso, solo molto strano e,

arrivati a questo punto, la cosa inizia a diventare un po’ inquietante. È per questo che stanotte non sono più riuscito a prendere sonno.

Sul viso di Inuyasha si allargo un sorriso beffardo, subito si coprì la bocca con una mano per nascondere una risatina.

– Hai mangiato pesante, lupastro? – chiese, non riuscendo più a trattenersi.

L’altro gli diede una gomitata alla bocca dello stomaco. – Possibile che tu debba sempre fare queste battute idiote? – urlò.

- Siete proprio dei bambini! Non fate altro che litigare, quando vi deciderete a crescere un po’? – disse una voce femminile alle loro spalle. Immediatamente i due si voltarono e, riconosciuta la ragazza in piedi a pochi passi dalla panchina, corsero a salutarla.

- Ehilà, Kagome! Che ci fai da queste parti? – disse Koga allegro.

Quella ricambiò il saluto con un sorriso ed un cenno della mano.

– Ho dovuto fare delle commissioni per mia madre… - rispose –voi, invece, avete già finito gli allenamenti? Pensavo che durassero di più!

Inuyasha alzò le spalle. – È vero ma oggi Miroku ci ha lasciato andare via prima.

L’altro ragazzo superò il primo e, avvicinatosi a lei, le cinse le spalle con un braccio e le prese le mani con l’altro.

– Che ne dici di lasciare qui questo botolo e andare a fare un giretto assieme a me? – disse con tono suadente.

- Oggi non posso, Koga, sarà per un altro giorno… - rispose imbarazzata, fece un sorriso tirato e cercò di liberarsi dalla stretta del ragazzo, senza ottenere risultati se non quello di far arrabbiare Inuyasha. Prontamente questi afferrò l’amico per la collottola e lo costrinse ad allontanarsi da lei.

- A quanto pare, Kagome è occupata. – disse, prima che l’altro potesse ribattere. – forse è meglio se la accompagniamo a casa.

La ragazza si mise fra i due per evitare che cominciassero ad azzuffarsi, appoggiò una mano sulla spalla di Inuyasha e si incamminò, seguita dai suoi amici, lungo una stradina assolata che si snodava lungo la città fino ad arrivare ad un piccolo tempio scintoista, dove viveva assieme alla sua famiglia.

In pochi minuti arrivarono ai piedi della scalinata che portava fino alla casa, nascosta alla vista da alcuni alberi. Sul vialetto che portava ad essa c’era un uomo anziano intento ad annaffiare i fiori di un’aiuola, appena questi si accorse dei ragazzi, alzò un braccio per salutarli e andò verso di loro.

- Hai fatto presto, Kagome. Oh, Inuyasha e Koga! Che piacere vedervi, come state? – disse, dando loro delle affettuose pacche sulle spalle.

I due risero leggermente imbarazzati, quel vecchietto li trattava come se fossero parte della famiglia, non che la cosa gli dispiacesse, ma era un tipo un po’ strambo e coglieva ogni occasione per raccontare agli ospiti leggende legate al tempio a cui era molto difficile credere.

Kagome sorrise e si avvicinò a suo nonno. – Li ho incontrati poco fa e si sono offerti di accompagnarmi a casa. – disse.

- Che bravi ragazzi! Perché non vi fermate per un tè?

Inuyasha tese le mani in avanti. – Non vorrei disturbare… - mormorò; in realtà non voleva essere costretto ad ascoltare di nuovo le storielle del vecchio o a giocare con il fratellino della ragazza.

- Io resto volentieri, invece! – esclamò Koga, dopo aver sentito le parole dell’amico. Quello gli lanciò un’occhiataccia, quasi come cercasse di incenerirlo.

- Rimango anch’io allora. – sibilò, poi, quando fu certo che nessun’altro a parte Koga potesse sentirlo, aggiunse: - non pensare che ti lasci solo con Kagome, dannato lupastro.

Quello si limitò a fare una smorfia e, assieme all’altro, seguì dentro casa la ragazza e suo nonno.

I tre si accomodarono nel salotto e, poco dopo, il vecchietto portò loro del tè; la nipote lo aiutò a servirlo. Pensierosa, prese in mano la propria tazza.

- Non ci sono Sota e la mamma? - gli chiese.

Quello scosse la testa.

– Sono usciti poco fa. Ora vi lascio soli, devo finire di annaffiare i fiori. Fate i bravi ragazzi, mi raccomando! – spiegò mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Inuyasha tirò un sospiro di sollievo. Era meglio così, altrimenti sarebbe stato costretto ad assecondare il ragazzino nei suoi giochi e lasciare Koga solo con Kagome, la sola idea bastava a farlo innervosire. Lui e quel ragazzo non si potevano definire amici nonostante passassero molto tempo assieme, visto che erano nella stessa classe ed avevano gli allenamenti alla stessa ora, però non andavano molto d’accordo e non facevano che litigare e punzecchiarsi a vicenda; come se non bastasse, Koga si era innamorato di Kagome, amica di Inuyasha sin dai tempi della prima media. Non era la sua ragazza, ma le fastidiose ed inopportune attenzioni del rivale nei suoi confronti lo mandavano in bestia.

Il diretto interessato, senza sapere di essere l’oggetto dei suoi pensieri, gli passò più volte una mano davanti alla faccia, sghignazzando rumorosamente.

- Meno male che ero io quello addormentato! – rise, dopo avergli dato una sonora pacca sulla spalla.

L’altro sbatté sul ripiano del tavolo la tazza di tè e si voltò alzando un pugno, pronto a picchiarlo ma Kagome, allungatasi su di esso per arrivare ai due, strinse la propria mano attorno al polso del ragazzo e lo bloccò.

- Inuyasha, non è il caso… - mormorò e quello, liberatosi dalla sua presa, incrociò le braccia sul petto.

- Tsé, almeno io non perdo il sonno perché faccio sogni assurdi!

Il secondo ragazzo sputò ciò che stava bevendo per la sorpresa.

- Koga… di cosa sta parlando?

- Nulla di importante, non dargli retta!

Inuyasha scoppiò a ridere. – Che ti prende, lupastro? Ti vergogni forse?

Quello si alzò in ginocchio e, ignorando l’amica che gli intimava di smetterla, gli tirò un pugno in testa; l’altro scattò in piedi e non esitò a restituirglielo. Kagome li spinse entrambi per allontanarli il più possibile.

- Basta! – sbraitò.

I ragazzi si guardarono di sottecchi e si rimisero mestamente a sedere, dandosi le spalle a vicenda. Kagome sospirò, li conosceva da molto tempo ormai, ma ancora non riusciva a capacitarsi di quanto fossero infantili.

- Avanti Koga – disse l’altro ragazzo – perché non ci racconti cos’è che non ti fa dormire la notte?

- Prima spiegami perché dovrei dirlo ad un idiota come te. – sibilò quello.

- Oh, per favore! Anche io sarei molto curiosa di saperlo. – cinguettò la ragazza. A quelle parole, dette dalla sua amata, Koga si sciolse e, con un’abilità degna di un gentiluomo, le prese le mani.

- Ma certamente, tesoro! Perché non l’hai detto subito?

Un brivido le corse lungo la schiena, ma si limitò a fare un sorriso tirato ed una risatina, mentre Inuyasha cercava di trattenersi dal dargli un pugno su un occhio. Il terzo, intanto, aveva bevuto un altro sorso di tè e si preparava a raccontare.

- Ormai sono tre notti che faccio lo stesso sogno: sono in una landa desolata coperta di neve, mi giro e noto che alle mie spalle c’è un precipizio e, quando mi avvicino all’orlo, mi accorgo che dall’altra parte c’è un uomo in piedi su uno sperone di roccia alto un paio di metri; indossa un vestito molto strano: una specie di kimono parzialmente coperto da un’armatura dorata e un mantello di pelliccia; tiene stretto in una mano un lungo bastone di ferro e conficcata nel terreno dietro di lui c’è una gigantesca alabarda.

Inuyasha fischiò. – Credo che tu abbia letto troppi fantasy ultimamente…

- Lascialo finire! – lo sgridò Kagome, presa dal racconto dell’amico.

- Grazie mille, tesoro! Dov’ero arrivato? Ah sì. Quel tizio ride come un matto e, a un certo punto, si mette a urlare “sono il re del mondo”, “ora nessuno mi potrà più sconfiggere” ed altre frasi simili, poi batte con violenza la punta del bastone sulle rocce e la terra inizia a tremare sempre di più, fino

a quando il terreno sotto ai miei piedi si sbriciola e cado nel baratro. A quel punto mi sono svegliato e non sono più riuscito a riaddormentarmi.

Rimasero in silenzio per qualche istante, poi Inuyasha si passò una mano fra i capelli e sospirò. – Secondo me, sei diventato pazzo. – disse serio, prima di scoppiare in una fragorosa risata; Kagome sbuffò rassegnata mentre tratteneva Koga che tentava di saltargli addosso.

- Mi ricordo che, quand’ero bambina, il nonno diceva che i sogni hanno sempre un significato… per te qual è quello del tuo?

Il ragazzo si bloccò di colpo a guardare l’amica con la bocca semiaperta. L’idea che quell’incubo potesse voler dire qualcosa non lo aveva mai sfiorato neanche lontanamente e la domanda della ragazza lo aveva spiazzato. Richiuse le labbra e si rimise a sedere al suo posto, appoggiò un gomito sul tavolo e il viso sul palmo della mano. La mora gli versò dell’altro tè e si strinse nelle spalle.

- Per me ha solo mangiato pesante. – ridacchiò Inuyasha.

Koga era pronto rispondergli a tono, ma l’amica si intromise prima che potesse proferir parola. – Ma allora perché ha fatto lo stesso sogno per tre volte?

- Mh… forse hai ragione, ma per me è inutile pensarci. – sospirò il ragazzo.

- Per una volta devo darti ragione, botolo. In fondo è solo un sogno!

La ragazza annuì senza dire nulla. Inuyasha diede un’occhiata all’orologio attaccato alla parete di fronte a lui e aggrottò la fronte, erano quasi le sette di sera, molto più tardi di quanto pensasse.

- Ora devo andare, a casa mi staranno già aspettando. – disse, intanto si alzò e fece qualche passo verso la porta, anche l’altro si mise in piedi e si avvicinò a lui.

– È meglio che vada anche io.

Con un cenno della mano salutò l’amica, che presto li seguì fino all’ingresso.

– Vi accompagno fino alla strada. – affermò.

- Sta tranquilla, non serve che ti disturbi ancora!

- Ma no, nessun disturbo! – sorrise. – Nonno, vado ad accompagnare Inuyasha e Koga.

Arrivati all’entrata, la ragazza afferrò la maniglia e fece per aprirla, ma quella non si mosse di un millimetro. Stupita, la abbassò nuovamente e la tirò a sé con più forza, qualcosa all’interno della serratura scattò e, infine, la porta si aprì emettendo un agghiacciante scricchiolio. La stanza fu sferzata da una gelida folata di vento che costrinse i ragazzi ad arretrare e ripararsi con le braccia. Così come era iniziato, il vento smise di soffiare. Inuyasha si affacciò all’uscio e ciò che vide lo lasciò senza fiato: il giardino della casa, il piazzale che portava al tempio, la scalinata, tutto era sparito per lasciare il posto ad una landa desolata interamente ricoperta di neve.

Anche gli altri due guardarono all’esterno e rimasero esterrefatti; Koga fece qualche passo in mezzo a quel curioso paesaggio e poco dopo, quando fu ad una decina di metri dall’abitazione, si chinò e affondò una mano nel candido manto che ricopriva il terreno. Fece un cenno con l’altro braccio ai suoi amici perché lo raggiungessero.

In breve, l’altro ragazzo fu in piedi accanto a lui, tamburellò un piede a terra, con le braccia incrociate sul petto; mentre l’ultima avanzava titubante, cercando di proteggersi dal freddo pungente.

- Che diavolo di posto è questo? – chiese Inuyasha.

- Non ne ho idea. Voi, piuttosto, state bene?

I due annuirono, Kagome si voltò verso il punto da cui erano partiti e non poté trattenere un urlo di terrore: la casa era sparita, intorno a loro non c’era più nulla, solo qualche roccia grigiastra che ogni tanto sbucava dal manto nevoso. Gli altri due, appena se ne accorsero, sgranarono gli occhi.

- Com’è possibile? – disse Koga.

Fece qualche passo in avanti, quando all’orizzonte vide una lingua di terra che si sporgeva su di un precipizio; come in trance, il ragazzo corse fino ad esso. I suoi amici si scambiarono un’occhiata preoccupata e lo seguirono.

La ragazza cercò di trattenerlo, afferrandolo per l’orlo della maglia, ma lui sembrò non accorgersene, così come non udì le parole dell’amico che gli chiedeva cosa avesse intenzione di fare. Non riusciva a sentirli, il suo sguardo era distante, perso nei suoi pensieri. Socchiuse gli occhi

e si portò una mano alla fronte per schernirsi dai raggi di un sole che splendeva pallido di fronte a loro; guardava fisso il nulla di fronte a sé, aspettandosi che succedesse qualcosa da un momento all’altro. Kagome prese il braccio di Inuyasha, iniziava ad essere molto preoccupata, non sapeva cosa stesse accadendo né come potesse fare per tornare a casa ed ora ci si metteva pure Koga iniziando a comportarsi in maniera così strana.

- È tutto come nel mio sogno… - mormorò in quel momento. Gli altri due lo guardarono straniti, l’amico gli appoggiò una mano sulla spalla e quello si voltò verso di lui.

– Com’è possibile? –

– Non ne ho idea. Non riesco a crederci!

All’improvviso, il vento gelido che aveva accompagnato il loro arrivo in quel luogo desolato, riprese a soffiare ancora più violento di prima. Udirono una voce provenire dall’altra parte del burrone, senza riuscire a capire cosa stesse dicendo, ma poco a poco riuscirono a vedere a chi appartenesse: un uomo piuttosto giovane con i capelli legati in una lunga treccia nera, nella mano destra reggeva un bastone che riluceva alla luce del sole e, dietro di lui, c’era un’alabarda conficcata nel terreno. Proprio come nel sogno.

- Non può essere… - mormorò Kagome; Koga lo guardava con uno sguardo vacuo, incerto se mettersi a ridere o cosa, mentre Inuyasha, spiazzato, tentava disperatamente di convincersi che non stesse accadendo realmente.

- È finalmente giunto il momento, miei prodi! Ora nessuno potrà più fermarci! – urlava l’uomo misterioso in preda a risa isteriche. – Il mondo è nelle mie mani!

Mentre pronunciava quell’ultima frase, sbatté il bastone sullo sperone di roccia su cui si trovava e subito la terra iniziò a tremare. Da un fremito appena percepibile, il movimento del terreno divenne sempre più violento, tanto che presto i tre ragazzi non riuscirono più a stare in piedi; l’orlo del precipizio iniziò a sbriciolarsi e Kagome scivolò giù nel burrone, i due ragazzi si sporsero per aiutarla e anche loro caddero nel vuoto.

Continuarono a precipitare, per un tempo che pareva interminabile, nel buio più assoluto dove l’unica fonte di luce era quella del sole oltre l’orlo del burrone, ridottasi ad un minuscolo spiraglio irraggiungibile.

L’impatto col terreno fu molto meno doloroso di quanto si aspettassero e certamente più strano: arrivati ad un paio di metri dal suolo, infatti, rallentarono di colpo per posarsi delicatamente su di un prato.

Inuyasha alzò il busto, appoggiandosi sui gomiti, e diede un’occhiata in giro nella speranza di capire dove fossero finiti, ma non riuscì a vedere nulla oltre ad una piccola luce che scambiò per quella del sole, peccato fosse blu. Appena si accorse di quel dettaglio, spalancò gli occhi per la sorpresa e ne vide accendersene altre una dopo l’altra, fino a quando formarono un globo luminoso che aleggiava diversi metri sopra le loro teste. Il ragazzo continuò ad osservarlo per qualche istante poi, approfittando della luce che emetteva, riuscì a capire che erano caduti in una specie di caverna sotterranea a forma di cupola, sopra di loro non c’era altro che il globo luminoso ed una parete di roccia ricurva, sotto un prato e poi nulla. Si alzò in piedi e fece qualche passo verso le pareti della grotta che, alla base, erano immerse nell’oscurità. Avanzava con le mani protese in avanti per percepire eventuali ostacoli, quando si ritrovò a tastare qualcosa che sembrava essere vivo e gli sbuffò in faccia emettendo un sonoro muggito.

– Una mucca? – si stupì il ragazzo.

Da sopra di essa, comparvero un paio delle luci blu che poco prima aleggiavano sul soffitto della grotta, si muovevano in uno spazio circoscritto e andavano continuamente a sbattere fra loro; solo quando furono quasi sopra al suo viso, si accorse che erano rinchiuse in una specie di lanterna e vide anche una mano ossuta che le reggeva, il ragazzo la seguì con lo sguardo cercandone il possessore. All’improvviso il volto scarno di un vecchietto sbucò dalle tenebre.

– Uno straniero? – chiese.

Il ragazzo lanciò un urlo ed indietreggiò frettolosamente, inciampando sui suoi piedi e finendo disteso sulla schiena.

– Stai bene, botolo? – urlò Koga, appena arrivato assieme a Kagome.

Quello indicò ansimando di fronte a sé; la mucca avanzò fino a rivelare totalmente il suo cavaliere: era un vecchietto scheletrico con gli occhi fuori dalle orbite e pochi capelli bianchi legati in un codino, indossava un kimono a righe piuttosto malconcio e teneva stretto in una mano un lungo martello.

– Oh, altri stranieri. – disse tranquillo.

– Chi diavolo sei? – ringhiò Koga.

– Era da tanto che non ne incontravo… - continuò il vecchio, senza badarlo.

Kagome fece un urletto di stupore.

– Inuyasha, Koga… - indicò i due ragazzi, incapace di proseguire. Quelli si squadrarono perplessi e sgranarono gli occhi.

– Cos’è successo ai tuoi capelli? – disse Koga indicando l’amico che ne afferrò una ciocca e se la portò davanti al viso, erano bianchi, i suoi capelli neri erano diventati bianchi.

– Non è possibile… - disse ansimando per la sorpresa, stava forse impazzendo? Guardò l’amico, schiuse le labbra e scoppiò in una fragorosa risata, gli si avvicinò e afferrò per poi strattonare una lunga e folta coda che gli usciva dai pantaloni; quello gemette per il dolore ma, appena realizzò cosa aveva fatto l’altro, sgranò gli occhi.

– Hai visto, lupastro? – rise, evidenziando l’ultima parola. – Ti dona proprio!

L’altro ringhiò infuriato e, con uno scatto, afferrò due orecchie canine che erano spuntate sulla testa dell’amico.

– Come sei carino, cucciolotto!

Il ragazzo si liberò dalla sua presa e si mise le mani fra i capelli. – Si può sapere cosa diavolo sta succedendo?

– Siete proprio strani voi tre. – disse il vecchietto scendendo dalla mucca.

- Mi perdoni, signore… - disse Kagome che, nel frattempo, si era avvicinata al vecchio – lei sa dove ci troviamo?

Quello girò la testa verso di lei. – Certo che lo so, fanciulla. Siete nel regno degli Shikon.

- E come abbiamo fatto ad arrivarci? – si intromise Koga.

- Cosa volete che ne sappia io!

Inuyasha strinse i pugni, sembrava che quel tizio li stesse prendendo in giro. Lui sapeva qualcosa, se lo sentiva, ma allora per quale motivo non diceva nulla? Tutta quella assurda situazione lo stava mandando in bestia, si sentiva impotente, incapace di fare qualcosa per tornare alla normalità.

- Avete intenzione di restare in questo buco per sempre? Forza, seguitemi. – il vecchio rimontò sulla sua bizzarra cavalcatura e invitò i ragazzi a seguirlo con un cenno della mano, i tre si incamminarono rimanendogli il più vicino possibile.

- Dove stiamo andando, vecchiaccio? – chiese Koga.

- Che modi sono questi? Ragazzaccio insolente! – lo ammonì.

- Come diavolo dovrei chiamarti allora?

- Ha ragione, lei non ci ha detto il suo nome, signore. – disse cortesemente Kagome.

L’anziano si voltò verso di loro e li fissò per un po’. – Totosai. – disse. – Il mio nome è Totosai, sono un fabbro.

- Piacere di conoscerla, signor Totosai! – sorrise la ragazza. – Io mi chiamo Kagome, mentre loro sono Inuyasha e Koga.

Il resto del viaggio proseguì in silenzio, interrotto sporadicamente dagli sbuffi dei due ragazzi.

Era incredibile come il paesaggio cambiasse velocemente: non dovevano essere ancora usciti dalla grotta, ma il prato aveva lasciato spazio ad un fitto labirinto di piante dai colori vivaci e dalle forme più disparate, sembrava di essere finiti in una foresta tropicale, anche se non c’era anima viva oltre a loro e l’unica cosa che potesse risultare familiare ai ragazzi erano quelle misteriose luci blu che svolazzavano un po’ ovunque, come delle lucciole. Poco a poco, anche la foresta iniziò a diradarsi, per lasciare spazio ad una prateria con dell’erba altissima e pochi arbusti che circondavano il sentiero su cui procedeva il gruppetto.

Camminavano da quasi un’ora e, ormai, tutti avevano perso l’entusiasmo ma, finalmente, di fronte a loro iniziò a vedersi l’uscita della grotta; appena se ne accorsero, i due ragazzi cominciarono a correre a per di fiato verso di essa. Anche Kagome si unì a loro, ma presto non riuscì più a stare al passo con loro e, seppur a malincuore, rallentò per proseguire assieme al vecchio fabbro.

– Perché tanta fretta? – bofonchiò. – Non hanno idea di cosa ci sia dall’altra parte.

La ragazza lo guardò perplessa. – Cosa intendete?

– Tra poco lo vedrai.

I due, intanto, erano scomparsi alla vista degli altri ed erano quasi riusciti ad uscire. Koga diede un’occhiata di sfida all’amico.

– Scommetto che non ce la fai a prendermi! – urlò mentre, con uno scatto, lo superava. L’altro rise. – Certo che ti prendo! – rispose e prese ad inseguirlo.

Correndo a perdifiato e ridendo come matti, uscirono dalla grotta, così si ritrovarono in una radura circondata da alberi con un tronco argenteo e foglie di un azzurro brillante. Ancora senza fiato, li guardarono meravigliati; Inuyasha andò a sedersi ai piedi di uno di essi, al contrario, Koga si affacciò alla caverna per controllare dove fossero la ragazza e il vecchio, che erano quasi arrivati e non ci volle molto perché il gruppetto fosse di nuovo riunito.

– Io inizio ad avere fame. – borbottò il primo ragazzo, ancora seduto sotto all’albero. L’altro alzò gli occhi al cielo, di un bel giallo dorato, e si grattò il mento.

– Anche io, ad essere sinceri. – disse.

La ragazza appoggiò il mento sul palmo della mano. – Dove possiamo trovare qualcosa da mangiare, signor Totosai? – chiese.

Mentre l’uomo stava per rispondere, il lieve rumore di un ramoscello spezzato risuonò nell’aria, appena percepibile all’orecchio umano, ma i due ragazzi lo sentirono benissimo e scattarono in piedi, pronti a difendersi da un eventuale nemico.

– Cos’è stato? C’è qualcuno? – chiese preoccupata Kagome.

Il fabbro socchiuse gli occhi e annusò l’aria, poi li riaprì e scese dalla mucca.

– Non credevo foste già arrivato, signore! – esclamò prima di avanzare verso gli alberi; ritornò da i ragazzi assieme ad un giovane uomo alto dal portamento fiero, aveva i capelli bianchi come la neve e indossava un elegante kimono azzurro con dei ricami floreali, un’armatura d’argento finemente decorata e portava con sé una grossa spada in un fodero verde muschio. Rivolse ai ragazzi uno sguardo altezzoso e si avvicinò a loro senza mai toglierli gli occhi di dosso, come se li stesse studiando.

– Sono loro, Totosai? – chiese. Il vecchio annuì e diede una pacca sulla spalla ad Inuyasha.

– Li ho trovati nella Grotta delle Libellule, proprio come avevate detto.

L’uomo si limito ad un cenno del capo per poi voltarsi e dar loro le spalle.

– Seguitemi. – ordinò con fare imperioso.

– Aspetta un momento! – urlò Koga, scattò in avanti e gli afferrò una spalla per costringerlo a girarsi verso di lui. Quello strinse la propria mano sul polso del ragazzo e con uno strattone lo buttò a terra.

– Non osare rivolgerti a me con quel tono. – sibilò.

Mise un piede sulla sua schiena, il ragazzo ne approfittò per afferrargli la caviglia e cercare di buttarlo a terra, ma non ottenne alcun risultato. Totosai corse a separarli ed aiutò il ragazzo a rialzarsi.

– Lasciami stare! – strillò quello, scrollandosi di dosso il braccio del vecchio. – Chi diavolo è questo tizio? Come si permette di darci ordini in questo modo?

– Forse è il caso di fare delle presentazioni, non trovate? – disse Kagome che era rimasta in silenzio fino a quel momento. Gli altri ragazzi si guardarono smarriti, aveva ragione: quell’uomo sembrava essere collegato al motivo per cui si erano ritrovati in quel luogo e sapere chi fosse avrebbe potuto aiutarli molto.

– Avete ragione. – disse il fabbro. – Quest’uomo è Sesshomaru, il gran visir del nostro regno, nonché consigliere dell’imperatrice.

– È stata lei ad ordinare di condurvi qui, per questo ora vi devo portare fino al palazzo reale. – aggiunse lui.

I ragazzi si guardarono perplessi, perché mai la regina di un misterioso territorio di cui nessuno di loro aveva mai sentito parlare li aveva chiamati, facendoli accogliere addirittura da una delle massime autorità?

I due uomini iniziarono ad addentrarsi nella foresta, seguiti a ruota dai tre ragazzi, che non osarono più proferir parola per tutto il viaggio.

Attraversarono il bosco, per finire in un deserto di sabbia del colore del cielo, delimitato da un gigantesco muro di pietre bianche traslucide sul quale si apriva un gigantesco cancello bronzeo; accanto ad esso c’erano due guardie che, appena videro Sesshomaru, fecero un profondo inchino e corsero ad aprire i battenti. Il gruppo entrò così in una grandiosa città piena di vita. Ovunque guardassero, vedevano persone correre di qua e di là, bancarelle, carri pieni di merci e bambini che giocavano. Le case erano alte dipinte con colori chiari e avevano i tetti spioventi, al pian terreno di molte di esse c’erano negozi e botteghe di artigiani. La ragazza si guardava intorno meravigliata dalla vitalità di quel luogo che sorgeva in mezzo ad un deserto, i suoi due amici, invece, erano concentrati a seguire le loro guide.

Il fabbro e il gran consigliere si fermarono di colpo e si voltarono a guardare i ragazzi, che si erano quasi scontrati con loro, si spostarono leggermente di lato per permetter loro di vedere ciò che c’era alle loro spalle: un gigantesco palazzo posto su di un’altura, era composto da una torre centrale, circondata da altre più piccole e le mura di cinta. I tre sgranarono gli occhi di fronte a tale spettacolo, nessuno di loro aveva mai visto nulla di simile.

– È questo il palazzo reale? – chiese Koga.

L’uomo gli diede un’occhiataccia. – Ovviamente. – disse e si incamminò lungo il viale che portava al castello.

Quando arrivarono di fronte al portone, le guardie si affrettarono ad aprirlo e lasciarli passare; un paio di loro li scortarono lungo il cortile e le varie sale che percorsero, fino a quando giunsero di fronte ad un imponente portone di legno scuro, decorato con ghirigori in ferro battuto, accanto al quale c’erano altri due soldati. Uno della scorta che li aveva accompagnati si avvicinò a loro e sussurrò qualcosa; immediatamente quelli aprirono il portone ed entrarono all’interno della sala a cui conduceva. Inuyasha fece un passo in avanti per seguirli, ma il fabbro lo fermò prendendolo per un braccio.

– Non ancora. – mormorò.

– Il grande Sesshomaru ha fatto ritorno! – urlò uno dei soldati all’interno.

– Fatelo entrare allora! Che diavolo state aspettando? – ordinò una voce femminile.

– Andiamo. – disse l’uomo, che aveva già fatto qualche passo all’interno della sala e gli altri lo seguirono sempre più stupiti.

Sulla parete opposta a quella dove si apriva il portone, si trovava un soppalco in pietra sul quale era posto un trono dello stesso materiale; su di esso era seduta una ragazzina che sembrava avere l’età di Kagome, aveva i capelli rossi legati in due codini e indossava un kimono color glicine, decorato da ricami argentati, sopra al quale portava un mantello di pelliccia bianca. I due uomini, arrivati di fronte al trono, fecero un profondo inchino; i ragazzi li guardarono straniti, una guardia fece loro un cenno con la mano per fargli notare che loro non erano esenti da quella manifestazione di rispetto e, accortisene, i tre si affrettarono ad imitare le loro guide.

La ragazza con i capelli rossi alzò il collo per superare con lo sguardo gli uomini di fronte a sé e squadrò i tre. – Sono loro? – chiese.

Sesshomaru annuì, fece qualche passo indietro e spinse il gruppetto verso il trono.

– Certamente, vostra altezza. – disse. – il fabbro Totosai li ha trovati nella Grotta delle Libellule, come avevamo previsto.

Si girò verso di loro e fece un ampio cenno con la mano ad indicare la ragazza. – Questa è l’Imperatrice Ayame, sovrana del regno degli Shikon.

Kagome si portò una mano alla bocca, pensierosa, era molto sorpresa che un regno abbastanza grande da comprendere al suo interno distese innevate e deserti fosse governato da una ragazzina all’apparenza addirittura più giovane di lei. Inuyasha sbuffò, assicurandosi di non farsi sentire da nessuno, e Koga incrociò le mani dietro alla testa.

– Bene… - disse il ragazzo. – è stata lei a farci venire qui?

– Certamente. – rispose quella.

– Si può sapere per quale dannatissimo motivo? – urlò lanciandosi in avanti.

Le guardie lo fermarono prendendolo per le braccia e lo costrinsero ad indietreggiare, l’imperatrice si alzò in piedi e fece un passo in avanti, con le mani puntate sui fianchi.

– Come osi parlarmi con quel tono?! – strillò infuriata.

– E tu come osi trascinarci qui senza darci neanche una spiegazione?

La ragazza divenne rossa in viso, con un salto scese dal soppalco e si avvicinò al ragazzo fino a sfiorargli il naso con il proprio.

– Si da’ il caso che io sia la regina di questo posto, quindi posso fare tutto quello che voglio per il bene del mio regno, senza dover spiegare niente a nessuno!

– Per il bene del tuo regno? – intervenne Inuyasha. – Si può sapere cosa diavolo c’entriamo noi?

L’imperatrice si voltò di scatto e gli rivolse un’occhiata di fuoco, immediatamente riprese il suo atteggiamento fiero ed altezzoso ed iniziò a camminare in tondo per la stanza, di fronte a tutti loro.

– Suppongo di dovervi delle spiegazioni. – mormorò, poi alzò la voce, in modo da farsi sentire chiaramente da tutti i presenti. – Dovete sapere che il mio dominio sul regno degli Shikon è minacciato da un condottiero senza scrupoli, a capo di un potentissimo esercito. Non credevamo di avere molte speranze di batterlo, almeno fino a quando sono venuta a conoscenza di una leggenda che preannunciava l’arrivo di tre guerrieri di un altro mondo.

Il gruppetto si scambiò un’occhiata, nessuno di loro riusciva a credere a quella storia ma, d’altra parte, come potevano tre studenti delle superiori sconfiggere un intero esercito?

– Per questo ho ordinato a Sesshomaru di venire a prendervi e condurvi fino a qui. Ora il fabbro Totosai vi accompagnerà nella sua fucina, dove potrete trovare delle armi ed incomincerete subito ad allenarvi, non c’è tempo da perdere!

Le guardie li circondarono e, ignorando le loro proteste, li portarono fuori dalla sala del trono, la cui porta si richiuse con un rumore sordo.

Inuyasha calciò l’aria e infilò le mani in tasca. – Combattere per lei? Neanche per sogno!

L’amico sbuffò e gli diede una pacca sulla spalla. Kagome raggiunse i due ed incrociò le braccia sul petto.

– Deve averci scambiato per qualcun altro! Noi non siamo dei guerrieri, ma come possiamo dirglielo?

– Non si è sbagliata. – si intromise il fabbro che aveva già iniziato a camminare.

Koga lo guardò torvo. – Come fai ad esserne sicuro?

Il vecchio alzò le spalle e girò la testa verso di loro. – La grotta in cui vi ho trovato ha una sola entrata e io stesso vi ho visto cadere dall’alto, come lo spieghereste se non foste voi gli eroi della leggenda?

Quelle parole li spiazzarono. Ormai era chiaro che non avevano vie di scampo, dovevano combattere in quel luogo assurdo per quella ragazzina viziata, usando chissà quali poteri nascosti. Sempre che ne avessero.

La fucina di Totosai si trovava all’interno di una caverna nella collina sopra la quale avevano costruito il palazzo reale; era chiusa da un pesante cancello di ferro e l’arredamento era ridotto al minimo indispensabile, mentre c’era una parete sulla quale erano appese svariate armi, come asce, spade, frecce, mazze ferrate e punte di lance. Kagome si guardò intorno meravigliata, l’unica altra volta in cui aveva visto qualcosa del genere era stato in un museo di storia medievale. Gli altri due gironzolavano per la stanza, curiosando qua e là.

– Scegliete pure ciò che preferite. – disse il fabbro.

– Ma se io non so neanche a cosa servono più di metà di queste cose! – borbottò Koga, mentre si stava infilando le mani in tasca.

Il vecchiò sbuffò e tirò su le maniche del kimono che indossava. – Lo sapevo! Devo fare sempre tutto io! – esclamò e intanto le fermò con un nastro abbandonato su di una mensola. Prese delle armi dalla parete e uscì dalla fucina per andare in uno spiazzo erboso accanto ad essa, quindi ne prese un paio e le lanciò ai ragazzi, che lo avevano seguito fino a lì. Inuyasha prese al volo una spada, Koga una mazza ferrata che lo aveva quasi colpito in testa, poi il vecchio si avvicinò alla ragazza e le porse una balestra.

– Vediamo come ve la cavate con questi. – disse.

Indicò delle attrezzature malconce addossate al recinto che circondava lo spiazzo, si avvicinò ad una specie di spaventapasseri con addosso un’armatura di cuoio e lo mise in piedi, lo stesso fece con un bersaglio piuttosto malconcio.

– Avete une vaga idea di come si usino quelle armi, vero? – chiese, anche se temeva di sapere quale fosse la risposta.

I ragazzi guardarono spaesati prima le armi e poi il vecchio fabbro, Kagome continuava a rigirarsi fra le mani la balestra e Koga aveva lasciato cadere a terra la mazza, al contrario, Inuyasha teneva con sicurezza la spada, di fattura molto simile ad una katana.

– Io ho fatto parte del club di kendo quando andavo alle medie, quindi so come si maneggia una spada. – disse.

Il vecchio annuì. – Bene. – poi guardò gli altri due. – E voi invece?

Quelli si guardarono e alla ragazza scappò una risatina isterica.

– Io non ho mai visto un oggetto simile. – disse il primo.

– Mentre io non ho la più pallida idea di come si usi una balestra.

L’altro ragazzo rise di gusto, almeno in quello, era certo che l’amico non potesse competere con lui. Il vecchio si massaggiò le tempie. – Sarà una lunga giornata, oggi.

Sesshomaru era rimasto nella sala del trono assieme all’imperatrice, stravaccata su di esso con il viso appoggiato sul dorso di una mano. Sbadigliò sonoramente e spostò i capelli all’indietro con un movimento del capo, diede un’occhiata al suo consigliere che era in piedi accanto a lei e non aveva battuto ciglio da quando i ragazzi se ne erano andati.

– Mh, Sesshomaru… come si chiamano quei ragazzi?

L’uomo sbatté le palpebre e girò il viso verso di lei. – Non gliel’ho chiesto. Mi sono limitato ad eseguire i vostri ordini.

La fanciulla sbuffò e appoggiò entrambi i gomiti sul bracciolo del trono, mettendo le mani a coppa attorno al proprio mento.

– Che peccato. Sembrano interessanti, specialmente il ragazzo con i capelli neri, anzi, solo lui a dire il vero, la ragazza non mi piace per niente.

Il consigliere la guardò torvo, senza che lei se ne accorgesse, e le si avvicinò.

– Desiderate che lo vada a chiamare, vostra altezza?

Lei lo guardò pensierosa, portandosi una mano sul mento, si alzò di scatto e batté le mani.

– Hai avuto un’ottima idea! – trillò allegra. – Fallo venire subito qui! E, già che ci sei, controlla come vanno gli allenamenti!

– Come desiderate.

Fece un profondo inchino e uscì dalla stanza.

Nel frattempo, Totosai aveva insegnato ai ragazzi come maneggiare le loro armi e, in quel momento, si stavano allenando: Kagome scoccando frecce al bersaglio, Koga e Inuyasha colpivano a turno il fantoccio.

Il gran visir raggiunse la fucina a grandi falcate ed entrò nel recinto in cui si stavano allenando; appena lo videro, i ragazzi si fermarono e il fabbro, che era seduto in un angolo accanto alla parete della sua bottega, si girò a guardarlo.

– È successo qualcosa? – chiese la ragazza.

– Nulla di che preoccuparsi. La regina desidera sapere i vostri nomi.

Inuyasha lascò cadere al suolo la spada e fece un sorriso di scherno. – Meglio tardi che mai! Io mi chiamo Inuyasha. – disse.

– Io sono Kagome. – aggiunse la ragazza, stupita da quell’improvviso interesse.

– E io Koga. Ora, se non ti spiace, torniamo ad allenarci. A quanto pare, abbiamo una guerra da vincere. – concluse, recuperando la sua mazza e tornando al fantoccio.

– Aspettate. – tuonò l’uomo. – Non sono qui solo per eseguire gli ordini di quella ragazzina, stavolta.

Quelle parole risvegliarono l’interesse del gruppo, il ragazzo tornò sui suoi passi e tutti lo guardarono, in attesa di ulteriori spiegazioni.

– Voi siete degli stranieri, non potete essere a conoscenza di tutta la storia. Dovete sapere che Ayame è succeduta a suo nonno tre anni fa e, da allora, tutti noi siamo stati in balia dei suoi capricci, senza poter far nulla per evitarlo. Due settimane fa, un comandante venuto da una terra lontana, assieme al suo esercito di mercenari, ha iniziato a minacciare i nostri confini e ha lanciato una sfida alla regina in persona, giurando che sarebbe riuscito a spodestarla in meno di un mese. Poi siamo venuti a conoscenza della leggenda di cui vi abbiamo già parlato.

Inuyasha incrociò le braccia al petto. – Chissà perché, me lo aspettavo che quella mocciosa fosse un tiranno. Comunque, noi cosa c’entriamo con tutta questa storia?

Il consigliere chiuse gli occhi. – È semplice. L’imperatrice ha piena fiducia in voi, dovrete perdere la battaglia.

I tre lo guardarono con gli occhi sgranati, chi avrebbe mai immaginato che quello che sembrava il più fedele seguace della regina, fosse in realtà il capo dei congiurati?

Kagome fece un passo in avanti.

– Siete impazzito?! – affermò. – Ayame sarà anche un tiranno, ma non è forse peggio lasciare il regno in mano ad un pazzo venuto da chissà dove?

L’uomo la guardò torvo. – Non sono così stupido, ragazzina. Non ho intenzione di lasciare il trono a Bankotsu. – disse e fece per andarsene.

– E allora che vuoi fare? – gli chiese mentre correva a trattenerlo.

– Lo saprete a tempo debito. – concluse gelido. Si allontanò bruscamente dalla giovane e fece un passo verso Koga.

– L’imperatrice vuole vederti.

Un brivido corse lungo la schiena del ragazzo, era inquietante come il suo tono nei confronti della ragazzina passasse dallo sdegno con cui ne parlava illustrando la sua congiura, ad un rispetto ossequioso quando svolgeva la sua funzione di consigliere.

– Ti vuoi muovere? – lo ammonì mentre lui si era già incamminato verso l’uscita. Il ragazzo lasciò cadere a terra la mazza ferrata e gli corse dietro.

In una decina di minuti, raggiunsero il castello. Si fermarono in un corridoio poco distante alla sala del trono, in cui non c’era nessuno oltre a loro; Sesshomaru si voltò verso il ragazzo e si guardò intorno circospetto.

– Ho bisogno del tuo aiuto.

Il ragazzo era stupito da quell’affermazione, spalancò gli occhi e si appoggiò al muro. – Cosa vuoi dire? – gli chiese.

– L’imperatrice sembra provare un certo interesse per te, per questo devi aiutarmi ad attuare il mio piano. Probabilmente tu sarai l’unica persona a cui darà ascolto.

Quello sbatté le palpebre, stava dicendo sul serio?

– Stai scherzando? Mi ha appena conosciuto, credi davvero che si fidi di me?

L’uomo lo guardò altero. – Certamente.

Koga sospirò. – Come vuoi. – disse. – Ma se non funziona, non prendertela con me.

Il consigliere incrociò le braccia sul petto e si appoggiò al muro opposto a quello dove si trovava il ragazzo, alzò gli occhi e lo inchiodò alla parete con il suo sguardo gelido.

– Devi convincerla a convocare Bankotsu qui a palazzo e risolvere la cosa negoziando.

L’altro lo guardò storto, si infilò le mani in tasca e andò a bussare alla porta della sala del trono. Una guardia aprì appena uno dei battenti, si voltò indietro ad annunciare alla regina il suo arrivo e lo invitò ad entrare. Koga avanzò fino al soppalco, diede un’occhiata ai soldati accanto al portone e fece un leggero inchino; l’imperatrice si alzò in piedi e scese fino a raggiungere il ragazzo, alzò le braccia e le strinse attorno al suo collo.

– Sono felice che tu sia qui. – cinguettò.

Lui si irrigidì, ma cercò di mascherare il suo imbarazzo, si liberò dalla sua presa e strinse una mano della fanciulla fra le proprie.

– Vostra altezza… - cominciò incerto. – perché mi avete convocato?

Lei sorrise. – Ci tenevo tanto a vederti.

Iniziò a sudare freddo, la dispotica sovrana invaghita di lui mancava all’elenco delle assurdità che gli erano capitate da quando erano arrivati lì. La ragazza gli accarezzò il viso e si avvicinò ulteriormente a lui, passandogli una mano fra i capelli. Koga appoggiò le mani sui suoi fianchi, cercando di trattenerla; lei alzò il viso, fino a sfiorargli il mento con le labbra. In quel momento, le porte della sala si spalancarono ed entrò un soldato trafelato che corse ai piedi dell’imperatrice e si gettò a terra. Preoccupata, si staccò dal ragazzo e si avvicinò al militare.

– È successo qualcosa?

– Vostra altezza è arrivato un messaggio al campo sul confine. Lo ha spedito il generale Bankotsu, dice che ha intenzione di attaccare la capitale entro una settimana se non gli cederete spontaneamente il trono!

La ragazza indietreggiò e lanciò un gemito di sorpresa. – Come osa? – urlò infuriata.

Fece qualche passo verso il trono e sbatté i piedi a terra. – Attaccateli immediatamente! Così impareranno a sfidare il regno degli Shikon! – strillò mentre si sedeva.

Koga capì che era quello il momento migliore per agire e si avvicinò a lei.

– Vostra altezza. – disse, schiarendosi la voce. – Non credete di stare esagerando?

Lei lo guardò torva, si sporse verso di lui e appoggiò il mento sul palmo della mano. – Cosa intendi?

– Penso che sia più prudente trovare un compromesso, questo tizio sembra essere piuttosto forte.

L’imperatrice si massaggiò il mento con un dito e alzò lo sguardo verso il soffitto della stanza.

– Forse hai ragione. – si girò verso il soldato. – Mandategli un messaggio: lo aspetto qui nel mio palazzo fra tre giorni per negoziare.

Quello annuì, si alzò in piedi e corse fuori. La regina mise le mani sui fianchi e lo guardò andarsene, poi si voltò di nuovo verso il ragazzo e gli prese la mano. Lui arrossì e finse un colpo di tosse per liberarsi dalla sua presa.

– Ora è meglio che vada, non abbiamo ancora finito l’allenamento.

Seppur a malincuore, lo lasciò andare, mormorando un mesto “hai ragione” e, quando il ragazzo raggiunse il portone, lo salutò con un cenno della mano.

Appena uscito, Koga trovò Sesshomaru appoggiato ad una parete, con le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto; quando si accorse della sua presenza, lo invitò a seguirlo mentre si incamminava lungo i corridoi.

– Allora? – gli chiese atono.

L’altro infilò le mani in tasca e alzò le spalle. – È arrivato un messaggero con un ultimatum di Bankotsu e l’ho convinta a fare come hai detto tu. Arriverà tra tre giorni. – fece una pausa e si fermò a guardarlo. – Che hai intenzione di fare quando sarà qui?

– Lo saprai a tempo debito, per ora pensa ad allenarti.

Lo accompagnò fino alla fucina, dove li aspettavano gli altri due ragazzi ed il fabbro. Kagome corse loro incontro sorridente.

– Come mai l’imperatrice voleva vederti? – gli chiese.

L’amico alzò le spalle. – Lunga storia. – sbuffò.

- Sesshomaru deve dirvi qualcosa, credo. – aggiunse guardandolo di sottecchi.

Il consigliere avanzò verso l’edificio e, una volta dentro alla fucina, racconto quanto era successo.

Il fabbro rimase seduto con le braccia conserte per tutto il tempo, aveva l’aria di essere già a conoscenza di quella storia; i due ragazzi spostarono lo sguardo dal consigliere all’amico e Inuyasha si lasciò scappare una risata.

– Hai avuto una bella idea, Sesshomaru. – disse. – ma cosa farai quando quel tizio sarà qui?

L’uomo alzò il mento e lo squadrò con aria di superiorità. – Non sarà certo un avversario temibile, per me.

Prima che potessero ribattere, si alzò in piedi e si avviò verso la porta della fucina. Si voltò un’ultima volta verso i quattro.

- Adesso devo tornare al palazzo, prima che l’imperatrice si insospettisca.

Il fabbro lo salutò con un cenno del capo mentre la sua figura nobile ed altera scompariva fra le persone che affollavano la via.

Era ancora a metà strada quando vide arrivare un cavaliere a gran velocità, riconobbe dai suoi vestiti che era uno dei soldati del confine e, mettendosi in mezzo alla sua traiettoria, lo obbligò a fermarsi.

– È successo qualcosa? – gli chiese, non era possibile che portasse la risposta di Bankotsu, il messaggero inviato da Ayame non doveva essere arrivato neanche a metà strada. Il militare scese dal cavallo ansimando e si gettò ai piedi del consigliere.

– Una cosa terribile, sommo Sesshomaru! – gridò quello, fece una breve pausa per riprendere fiato e poi ricominciò: - Le spie del campo sul confine hanno scoperto che il generale Bankotsu è riuscito ad impossessarsi dello scettro del Kumogashira!

Il gran visir inorridì, fece un passo indietro e, ripreso il suo atteggiamento inespressivo, fulminò il soldato con lo sguardo.

– Non puoi dire sul serio! È impossibile che l’abbia ritrovato, quell’oggetto è andato perduto secoli orsono.

Quello si alzò in piedi, tenendo il capo chinato. – In qualche modo c’è riuscito! L’ho vista io stesso. – disse e rimontò a cavallo. – Perdonatemi, gran consigliere, ma devo correre ad avvisare l’imperatrice.

Sesshomaru annuì e guardò il militare andarsene. Quella era la notizia peggiore che potesse ricevere: lo scettro del Kumogashira era un antichissimo manufatto dotato di poteri straordinari, tanto che si diceva potesse scatenare un terremoto solamente sbattendolo al suolo. Pensava che fosse andato distrutto nella guerra che ha portato al trono la dinastia di Ayame, come aveva fatto ad impossessarsene? Tornò sui suoi passi, diretto alla fucina. A quanto pareva, avrebbe dovuto spiegare a quei ragazzi molte più cose di quante ne avesse intenzione.

Bussò con forza al cancello di ferro, Totosai andò con calma ad aprirlo e lo guardò perplesso, intuendo che fosse successo qualcosa di grave. Fece accomodare l’uomo all’interno e andò a chiamare i tre ragazzi, quando tutti furono riuniti, raccontò quanto era accaduto.

Kagome sembrava essere la più preoccupata del gruppo, continuava a dimenarsi sulla sedia e ad attorcigliare l’orlo della gonna attorno alle sue dita.

– Davvero quell’arma è così potente?

L’uomo annuì. – Usata alla sua massima potenza, sarebbe in grado di distruggere anche tutto il regno.

La ragazza rabbrividì dopo quella affermazione. Koga sembrava pensieroso, aveva il viso appoggiato sul palmo di una mano e lo sguardo perso nel vuoto, si girò verso Sesshomaru e tamburellò le dita sul ripiano a cui era appoggiato. – Questo scettro, per caso, ha l’aspetto di un bastone che sembra fatto d’argento?

L’altro sgranò gli occhi. – Esattamente. Come fai a saperlo?

Il ragazzo si scostò i capelli dalla fronte e si appoggiò alla parete alle sue spalle. – Proprio come nel mio sogno. A quanto pare, è Bankotsu l’uomo che dice di essere il padrone del mondo, ed è stato lui anche a farci precipitare nella grotta in cui Totosai ci ha ritrovati.

Inuyasha batté un pugno sul palmo della mano. – Come ho fatto a non pensarci prima! Adesso che farai, gran visir Sesshomaru?

– Continueremo col nostro piano. Non dovrete perdere la battaglia, ma mi darete una mano a sconfiggerlo, se mai sarà necessario.

Si alzò in piedi e fece per uscire, ma Koga lo bloccò.

– Aspetta un momento! – esclamò. – Significa che io devo continuare a fare il filo ad Ayame per convincerla a fare tutto quello che vuoi tu?

L’altro si limitò ad annuire, Inuyasha ridacchiò sotto i baffi.

– Non mi pare una cosa troppo corretta… - disse Kagome grattandosi il mento e l’amico annuì vigorosamente.

– E che problema c’è? – disse l’altro ragazzo. – Non lo sai che a volte bisogna essere bastardi?

Il primo si lasciò cadere a terra e si massaggiò le tempie, non aveva scelta.

Il consigliere se ne andò e fece ritorno ai suoi appartamenti, nella parte settentrionale del palazzo. La situazione stava diventando più seria di quanto pensasse, all’inizio credeva che sarebbe riuscito a sconfiggere sia Bankotsu che Ayame senza problemi ma, ora che quell’uomo aveva in suo possesso lo scettro del Kumogashira, non ne era più tanto sicuro. L’unico modo che gli rimaneva per raggiungere il suo obbiettivo era affidarsi a quei ragazzi e la sfera degli Shikon, un gioiello dal potere pari a quello dello scettro, custodito nella cripta del castello; prenderlo, per uno nella sua posizione, non sarebbe stato poi così difficoltoso.

Aprì la porta della sua camera e si diresse verso il terrazzo, dove si sedette su di una poltrona di vimini posta accanto alla porta. Si grattò il mento e appoggiò il viso sul palmo di una mano. La sfera era stata senz’altro la causa della trasformazione, se così la si poteva definire, dei due ragazzi. Si erano accorti subito dei cambiamenti fisici, ma non avevano idea dei poteri che avevano ottenuto. Sospirò, erano così stupidi, si chiedeva se potesse davvero fare affidamento su di loro.

Una guardia bussò alla porta della stanza, ancora aperta, e si affacciò al suo interno. Una smorfia infastidita si formò sul viso di Sesshomaru.

– Cosa vuoi? – disse senza voltarsi o dare segno di prestare attenzione.

L’uomo fece qualche passo verso di lui e un piccolo inchino. – L’imperatrice desidera vedervi.

Il consigliere si massaggiò le tempie, si alzò ed uscì dalla stanza senza dire nulla.

Le ante del portone della sala del trono si spalancarono al suo arrivo. Camminò fino ai piedi del soppalco e fece un profondo inchino; sollevò il mento per guardare la sovrana, mentre continuava a pensare alla sfera degli Shikon.

– Cosa desiderate, vostra altezza?

La ragazza si voltò di scatto e lo fissò per qualche istante. – Hai sentito cos’ha detto quel messaggero, vero?

L’altro si limitò ad annuire, senza toglierle gli occhi di dosso, quella sbuffò e scostò i capelli dalla sua spalla.

– Secondo te, accetterà comunque di trattare?

– Certamente. – doveva accettare. Altrimenti il suo piano sarebbe fallito. – Non vi dovete preoccupare. – aggiunse mentre si alzava in piedi e iniziava ad avviarsi verso l’uscita.

Ayame lo seguì con lo sguardo fino a quando scomparve nei corridoi del palazzo. Sospirò, non era più tanto sicura di aver fatto la cosa giusta, ma pensare di affrontarlo sul campo di battaglia, ora che possedeva una delle armi magiche più potenti mai create, era un’assurdità.

I tre giorni passarono in fretta, durante i quali i ragazzi continuarono ad allenarsi assiduamente sotto l’occhio vigile di Totosai; anche il vecchio fabbro era a conoscenza che la sfera degli Shikon poteva aver dato loro dei poteri sovrannaturali e cercava di comprendere quali fossero.

Sesshomaru era nei suoi appartamenti, sul terrazzo che si affacciava sul centro della città; teneva le mani appoggiate sul corrimano e osservava l’orizzonte di fronte a sé. Il generale Bankotsu sarebbe arrivato in poche ore, era quello il momento giusto per agire: uscì dai suoi appartamenti e si diresse verso la cripta in cui era custodita la sfera. Nel corridoio che portava ad essa, trovò l’imperatrice; la vista di ciò che teneva in mano gli fece ghiacciare il sangue nelle vene, aveva preso lei la sfera degli Shikon.

Fece un profondo inchino e, sperando di trattenerla il più possibile, iniziò a parlare: - Vostra altezza, cosa ci fate qui? È quasi il momento dell’incontro col generale.

La ragazza sbuffò. – Ho preso la sfera degli Shikon, ho intenzione di tenerla con me durante l’incontro.

– Se permettete, non trovo che sia una cosa molto saggia.

– Nessuno ha chiesto il tuo parere. – sibilò lei e lo superò per dirigersi nelle sue stanze.

Il consigliere strinse i pugni, quella dannata ragazzina non faceva altro che mettergli i bastoni fra le ruote. Non le avrebbe permesso di rovinare il suo piano; colpì il muro con un pugno e corse fuori dal palazzo, verso la fucina di Totosai. Appena vi arrivò, vide i ragazzi allenarsi nel giardino sul fianco dell’edificio, entrò ed afferrò per un braccio Koga.

Quello imprecò per la sorpresa e fulminò con lo sguardo l’uomo. – Che diavolo vuoi? – gli disse incrociando le braccia sul petto.

– Ho bisogno del tuo aiuto.

Stringendo la propria mano sul suo braccio, lo trascinò verso il castello, senza lasciargli il tempo di replicare. Lungo la strada gli spiegò quanto era accaduto e lo obbligò a convincere Ayame a non tenere con sé la sfera. Una volta dentro il palazzo, Koga fu costretto ad andare fino alla sala del trono, mentre Sesshomaru, per non destare sospetti, fece ritorno ai suoi appartamenti.

Il ragazzo bussò alla porta e una guardia lo fece entrare; appena lo vide, gli occhi dell’imperatrice si illuminarono. Con un cenno fece uscire i soldati all’interno della stanza e, scesa dal trono, andò ad accogliere il giovane.

– Koga! Come mai sei qui? – gli chiese sorridente.

– Sapevo che oggi ci sarà l’incontro con Bankotsu, così ho pensato di venire a trovarti… - rispose imbarazzato.

La fanciulla gli prese le mani. – È stato molto gentile da parte tua!

Lui sorrise e le baciò il dorso di una mano, quando vide lo sguardo sognante di Ayame, maledì Sesshomaru, era colpa sua se era costretto ad ingannarla con parole dolci ed altre attenzioni fittizie, se pensava che in quel momento poteva essere con la sua Kagome! Invece era lì, costretto a rimediare a ciò che il gran visir non era riuscito a combinare e, per di più, doveva ammettere che gli dispiaceva prendersi gioco in quel modo di lei. Scosse la testa, arrivati a quel punto, non c’era più tempo per i sentimentalismi e poi, come aveva detto Inuyasha, nella vita bisogna essere bastardi, a volte.

L’imperatrice gli gettò le braccia al collo e si alzò in punta dei piedi; il ragazzo si guardò intorno, esplorando con lo sguardo la stanza, fino a notare una sfera traslucida di colore rosa, appoggiata su di un cuscino di velluto accanto al trono. Sciolse l’abbraccio e vi si avvicinò.

– Che cos’è? – chiese mentre la sfiorava con l’indice.

– La sfera degli Shikon. – rispose lei avvicinandosi. – È un oggetto magico potente almeno quanto quello di Bankotsu, pensavo di tenerlo con me durante l’incontro.

Lui la guardò di sottecchi, era arrivato il momento di tirare fuori tutta la sua abilità di persuasione.

Si sgranchì le braccia e si passò una mano fra i capelli. – Non credo sia una buona idea.

La fanciulla aggrottò le sopracciglia. – Perché?

Koga allargò le braccia per dare più enfasi al suo discorso. – Perché Bankotsu potrebbe provare a rubarla e, se entrasse in possesso anche della sfera, come faremo a sconfiggerlo? Si impadronirebbe di tutto il regno e nessuno lo potrà più fermare!

L’altra si grattò il mento, doveva ammettere che aveva ragione e non poteva correre un rischio simile. Si appoggiò una mano sulla fronte e si lasciò cadere sul trono abbattuta.

– Come ho fatto a non pensarci prima? Sono davvero una stupida!

Il ragazzo rise sotto i baffi, la missione stava riuscendo alla grande, ormai mancava solo il “colpo di grazia”. Si sedette sul bracciolo del trono e si sporse verso la ragazza, piegata in avanti con la testa fra le mani.

– E adesso che faccio? Non posso certo lasciarla nella cripta mentre gli scagnozzi del mio peggior nemico sono nel castello!

Koga finse un colpo di tosse per attirare la sua attenzione e nascondere un sorriso. – Perché non la affidi al tuo consigliere, Sesshomaru?

Lei alzò il viso e guardò il ragazzo, scattò in piedi e lo abbracciò. – Hai avuto un’ottima idea! – disse euforica e corse fuori dalla sala del trono, con la sfera in mano, per consegnargliela.

Il giovane attese qualche istante, poi sollevò un braccio al cielo in segno di vittoria e corse alla fucina.

Nello spiazzo in cui erano soliti allenarsi, c’erano Inuyasha e il fabbro, questo teneva in mano una spada avvolta in un panno fino all’elsa, l’unica parte scoperta di essa. Il ragazzo la prese e se la rigirò fra le mani, la liberò dalla stoffa che la copriva e la guardò qualche istante: era una katana e sembrava anche essere molto antica. Alzò gli occhi verso Totosai che era di fronte a lui con le braccia incrociate.

– Bhè, grazie. – disse abbozzando un inchino.

– Tessaiga, quella spada, ti sarà molto utile. – disse il vecchio con aria solenne. – Trattala con riguardo, è molto antica.

Il ragazzo annuì e la sguainò, appena vide la lama tutto il suo entusiasmo svanì, infatti, era totalmente rovinata e c’erano anche molte chiazze di ruggine. Si voltò e fece per tirare un pugno al fabbro, che si spostò appena in tempo.

– Mi stai prendendo in giro? – urlò. – Come posso combattere con una spada del genere?

L’altro lo colpì alla nuca. – Razza di ingrato! Tessaiga è una spada speciale, potrai usarla solo grazie ai tuoi poteri.

Inuyasha si massaggiò la testa dolorante e rimise la spada nel fodero. – Di quali poteri stai parlando, vecchio?

– Di quelli che hai ottenuto venendo nel nostro regno, te ne ho già parlato.

Koga arrivò in quel momento, saltò la staccionata e diede una pacca sulla spalla all’amico. Si guardò in torno e, non vedendo Kagome, salutò il fabbro con un cenno della mano per poi entrare nella fucina. All’interno c’era la ragazza, intenta a sistemare le frecce per la sua balestra; il giovane andò a sedersi accanto a lei con un sorriso sornione stampato sulla faccia. Alzò le braccia per stiracchiarsi e si dondolò all’indietro sulla sedia.

– Ormai manca poco… - mormorò.

La ragazza annuì senza staccare gli occhi dalla sua arma e sospirò lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi; quella storia la preoccupava molto ma non voleva dirlo ai suoi amici, dopotutto, si erano allenati così tanto, avevano pianificato tutto nei minimi dettagli e loro erano ormai sicuri di vincere. Le sembrava di essere l’unica a non sottovalutare i poteri di Bankotsu e dello scettro del Kumogashira, quello che aveva fatto nella landa coperta di neve si era impresso nella sua mente e faceva svanire la certezza che sarebbero riusciti a tornare a casa sani e salvi.

Guardò l’amico e sospirò, di nuovo.

– Come fai ad essere così tranquillo?

– Lo sono perché ho appena convinto Ayame a lasciare la sfera a Sesshomaru. – disse alzando il viso, poi notò lo sguardo preoccupato della ragazza e le mise un braccio sulle spalle. – Andrà tutto bene, vedrai.

Quelle parole non la convinsero minimamente, ma si sforzò comunque di sorridere.

Inuyasha entrò nella stanza, reggeva Tessaiga in una mano e, dopo essersi seduto dalla parte opposta a quella in cui si trovava l’amico, la lasciò cadere ai suoi piedi. Alzò gli occhi verso il soffitto, se così lo si poteva chiamare, della caverna e sbuffò sonoramente, mentre incrociava le braccia sul petto. Guardò i suoi amici, Kagome era ancora impegnata a sistemare le sue frecce e Koga stava seduto con le braccia dietro alla nuca, tutti e tre non aspettavano che il momento in cui il fabbro sarebbe entrato ad annunciar loro l’arrivo del generale nemico. Quasi come fossero in grado di leggersi nel pensiero, i ragazzi si scambiarono un’occhiata trepidante di attesa e Kagome sospirò preoccupata.

Anche Sesshomaru si stava preparando, l’imperatrice gli aveva consegnato la sfera degli Shikon un’ora prima e lui se la stava rigirando fra le mani, osservando le sfumature che assumeva a

seconda di come veniva colpita dalla luce; aveva già preparato tutto, non gli restava che aspettare. Bussarono alla porta della sua stanza, l’uomo piegò la testa da un lato e sospirò.

– Che c’è ora? – chiese imperioso.

Una guardia fece un passo all’interno e si inchinò.

– Sommo Sesshomaru, il generale è arrivato.

Il consigliere gli fece cenno di uscire, sistemò la sfera nel nascondiglio che aveva preparato poco prima e andò fuori dai suoi appartamenti per incamminarsi nei corridoi del castello.

Entrò in una sala al terzo piano, nella torre orientale; le pareti erano in muratura, coperte da numerosi arazzi e, al centro della stanza, si trovava un tavolo in legno scuro, sui lati più lunghi di esso c’erano due imponenti sedie coperte da alcuni cuscini di velluto rosso. L’uomo vide arrivare il fabbro Totosai assieme ai ragazzi e si fermò davanti alla porta ad aspettarli, quando furono abbastanza vicini, fece un lieve cenno con il capo.

– È il momento. – sussurrò mentre un soldato apriva i battenti e li invitava ad entrare con un inchino.

I due ragazzi annuirono e lo seguirono; il vecchio rimase all’esterno, incrociò le braccia sul petto e si appoggiò al muro. Il gruppetto andò a sedersi accanto alla parete dietro alla sedia che occupava l’imperatrice, che sembrava essere la più agitata di tutti, non riusciva a stare ferma per più di un minuto: tamburellava le dita sul ripiano del tavolo, si lisciava i capelli, guardava a destra e sinistra. L’arrivo del suo consigliere e i tre ragazzi la tranquillizzò molto, tirò un sospiro di sollievo e si lasciò sprofondare sull’imbottitura della sedia.

Pochi istanti dopo, una guardia spalancò la porta della sala, fece un profondo inchino e si mise sull’attenti.

– Il generale Bankotsu è arrivato! – annunciò solenne.

Il mercenario entrò, seguito da un paio di suoi seguaci e si sedette sulla sedia posta di fronte a quella che occupava la sovrana del regno. Accavallò le gambe e appoggiò il mento sul palmo di una mano; diede un’occhiata ai presenti, quando il suo sguardo incontrò quello di Ayame, un sorriso impertinente si fece largo sul suo volto.

La ragazza sistemò una ciocca di capelli che le ricadeva sulla fronte e prese un rotolo di pergamena appoggiato su di un angolo del tavolo, lo srotolò rivelandone una mappa del regno degli Shikon e la mostrò al suo nemico con un ampio gesto del braccio. Quello si fermò a guardarla e socchiuse gli occhi.

– Il tuo regno. È davvero splendido, non ho mai visto un territorio così vasto. – disse.

La ragazza annuì.

– Sì. Puoi essere sicuro che non te lo cederò mai, per nulla al mondo! – ribatté lei.

L’uomo rise di gusto, poi ritornò ad essere serio, si sporse sul ripiano del tavolo e tracciò i confini del territorio con il dito indice.

– Sbaglio, o è proprio per questo che siamo qui?

– Precisamente. – disse senza lasciar trasparire alcuna emozione. – i territori ad Ovest sono ricchi di coltivazioni e ci sono anche alcuni importanti centri di scambio di mercanzie…

Bankotsu allungò un braccio e la zittì poggiandole un dito sulle labbra. Scosse la testa e rise ancora più rumorosamente di prima.

– Ayame, a me non interessano i territori ad Ovest. – affermò, improvvisamente serio. – Sai bene ciò che voglio: il potere. Il tuo potere e la sfera degli Shikon.

Si alzò e sbatté le mani sul ripiano del tavolo, stava urlando; l’imperatrice scattò in piedi, sulla difensiva.

– Non lo avrai mai! – esclamò la ragazza.

Il generale si lasciò cadere sulla sedia, rideva, si passò una mano fra i capelli e guardò la regina di fronte a lui, aveva il viso rosso di rabbia, stringeva i pugni e ansimava leggermente.

– E chi me lo impedirà? Tu?

Ayame sguainò la katana che teneva con sé e gliela puntò al collo, cercava di sembrare minacciosa, ma le sue mani tremavano. L’uomo afferrò la punta e la spostò dalla sua gola, diede uno strattone e

la disarmò; si alzò in piedi e afferrò la sua alabarda, appoggiata allo schienale della sedia, diede un colpo di taglio in direzione dell’imperatrice; quella fece un salto indietro e i tre ragazzi avanzarono pronti a difenderla.

Anche i seguaci di Bankotsu sguainarono le loro katane e si prepararono ad attaccare, Kagome ne colpì uno alla spalla e quello indietreggiò, l’altro attaccò Koga che lo fermò con la catena della mazza ferrata e lo sbatté a terra; l’uomo si rialzò e saltò sul tavolo, agitò la spada sopra la propria testa e la abbassò, riuscendo a ferire il ragazzo ad un braccio. Questi non si scoraggiò e gli diede un pugno nello stomaco e lo gettò a terra con una mazzata sul fianco.

Inuyasha saltò sul tavolo e parò l’ennesimo colpo dell’alabarda di Bankotsu usando Tessaiga. Sferzò l’aria con la spada e riuscì a ferire l’uomo alla guancia, il ragazzo strinse la presa sull’elsa, non aveva speranza di batterlo utilizzando una katana ridotta in quel modo. In quel momento, il nemico lo ferì ad un braccio, il sangue scese fino alla sua mano e il giovane sentì crescere dentro di sé la rabbia, non poteva sopportare l’idea di non essere in grado di difendere i suoi amici.

Tessaiga si illuminò ed iniziò a cambiare aspetto: la lama si allungò e divenne molto più grossa, quando la luce scomparve entrambi i combattenti sgranarono gli occhi per la sorpresa. Il ragazzo sorrise, era quello che aspettava.

Con tutta la forza che possedeva, colpì il suo avversario; questi si protesse con la propria alabarda, ma l’impeto dell’avversario lo costrinse ad indietreggiare. Schivò il secondo colpo e ne approfittò per attaccarlo, Inuyasha percosse la sua arma con la propria spada e riuscì a sbatterlo contro il muro, Tessaiga si era rivelata essere immensamente potente, ma non bastava ancora a sconfiggere Bankotsu. In quel momento, il ragazzo si ricordò delle parole del fabbro, doveva avere qualche altro potere nascosto, non gli restava che capire quale il prima possibile.

Si voltò a guardare come se la cavavano i suoi amici e vide Koga impegnato in un combattimento corpo a corpo con uno degli scagnozzi di Bankotsu, mentre Kagome riusciva a tenere a distanza l’altro con le sue frecce, lei non voleva essere costretta a uccidere nessuno. Il ragazzo colpì con ancora più forza il suo nemico, li avrebbe protetti ad ogni costo, non avrebbe mai permesso che succedesse qualcosa ai suoi amici, era pronto anche a sacrificare la sua vita per loro. Un ringhio sommesso uscì dalle sue labbra e una strana energia si sprigionò dal suo corpo, strinse la presa sull’elsa di Tessaiga e sferrò l’attacco più potente che fosse in grado di lanciare. Una raffica di vento si sprigionò dalla lama e colpì con violenza Bankotsu e tutto ciò che incontrò sul suo cammino, fino a lasciare profondi segni sul muro.

Quando il polverone sollevato dal colpo si diradò, di fronte ai ragazzi si presentò uno spettacolo che non avrebbero mai creduto di vedere: il generale era a terra, coperto di sangue e di tagli in tutto il corpo. Sesshomaru gli si avvicinò e si chinò a terra, lo osservò più da vicino, poi si alzò in piedi e si voltò verso gli altri.

– È morto. – disse.

Tutti sgranarono gli occhi, gli scagnozzi del generale corsero all’esterno ad avvisare il resto dell’esercito, l’imperatrice si avvicinò a Inuyasha e gli prese una mano.

– Devo ringraziarti. Senza di te non saremmo mai riusciti a sconfiggerlo.

Il ragazzo abbassò la testa, tenendo lo sguardo fisso sulla punta dei suoi piedi. Alzò il viso di scatto e infilò le mani in tasca.

– Non ce n’è bisogno, siete stati voi a dirmi che siamo stati portati fin qui per questo. – disse con un tono fintamente spavaldo.

Ayame sorrise e uscì dalla stanza, gli altri ragazzi la seguirono, mentre Sesshomaru gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

– Sei stato bravo, Inuyasha. – sussurrò e andò verso la porta.

Il ragazzo strinse i pugni, sapeva fin dall’inizio a cosa stava andando in contro, ma non aveva mai neanche lontanamente immaginato che sarebbe riuscito ad uccidere un altro essere umano senza quasi rendersene conto. Si sedette a terra e appoggiò la testa sui palmi delle mani; qualche minuto dopo si decise ad alzarsi e a raggiungere gli altri nella sala del trono. Appena entrò Koga gli diede una pacca sulla spalla e si avvicinò al suo orecchio.

– Ormai è quasi finita. – sussurrò.

L’altro sorrise, aveva ragione; il loro compito era finito, adesso era il turno di Sesshomaru.

I due ragazzi andarono a sedersi su degli sgabelli posizionati accanto ad una parete adiacente a quella su cui si trovava il trono. Ayame vi era già comodamente seduta, aveva il viso appoggiato su una mano, il gomito su di un bracciolo e le gambe sull’altro. Il consigliere le si avvicinò e, arrivato al suo cospetto, si inginocchiò di fronte a lei.

– Abbiamo fatto un ottimo lavoro, o meglio, Inuyasha l’ha fatto. – sorrise quella. – Non avevo intenzione di ucciderlo all’inizio, ma così ci siamo assicurati che non sarà più un pericolo.

L’uomo annuì e la fanciulla rise compiaciuta. Si alzò in piedi e scese dal soppalco, fece una giravolta di fronte ai ragazzi e si avvicinò ad una teca coperta da una tela scarlatta a cui nessuno di loro aveva mai prestato attenzione prima di quel momento; sollevò la stoffa e la lasciò cadere a terra. Al di sotto di essa, c’era una corona d’oro, ornata da innumerevoli rubini e un diamante, più grande di tutte le altre pietre, incastonato proprio al centro.

La ragazza sorrise eccitata, sollevò il diadema e fece per metterselo in testa, ma il gran visir le afferrò un braccio e la costrinse a rimetterlo sulla teca. Lei lo guardò con gli occhi spalancati e tentò di liberarsi della sua stretta.

– Cosa diavolo stai facendo? – sibilò.

L’uomo la spinse lontano dalla corona e sfoderò la katana che portava appresso. Fece qualche passo verso Ayame e gliela puntò alla gola, la regina fece per prendere la propria spada ma, non trovandola, si ricordò che Bankotsu l’aveva disarmata durante la battaglia e non l’aveva più recuperata. Indietreggiò in preda al terrore fino ad andare addosso al muro.

– Non sei in grado di governare il nostro regno, non lo sei mai stata! – ruggì Sesshomaru.

A quelle parole, la fanciulla iniziò a tremare, senza poter togliergli gli occhi di dosso. Non riusciva a credere che il più fidato dei suoi sudditi, il suo consigliere, l’avesse tradita. Sentì le gambe cedere e si lasciò cadere a terra, con la testa stretta fra le mani. Si rialzò di scatto e gli puntò un dito contro.

– Come osi dire questo? – urlò.

L’uomo si allontanò da lei e ripose la spada. – Chi meglio di me può sapere quanto vali?

Si morse un labbro, aveva perfettamente ragione. Incrociò le braccia sul petto e fece un passo in avanti.

– Sono comunque l’unica in possesso del potere necessario per essere l’imperatrice. Cosa vuoi fare?

– Sfidarti a duello. Domani vedremo chi di noi è degno di essere il sovrano del Regno degli Shikon.

Si voltò e uscì dalla stanza. Ayame strinse i pugni e corse verso le sue stanze.

Richiuse la porta dietro di sé e si gettò sul letto, affondando il viso fra i cuscini. Non si sarebbe mai aspettata di dover affrontare Sesshomaru in combattimento, era il guerriero più forte di tutto il regno, non sarebbe mai riuscita a sconfiggerlo. Si tirò a sedere e strofinò gli occhi con la mano. Avrebbe vinto, costi quel che costi, era sempre stata lei l’unica legittima sovrana del regno e non gli avrebbe ceduto il trono per nulla al mondo!

Il giorno seguente, nel centro della piazza adiacente al palazzo, venne allestita un’arena improvvisata, nella quale si sarebbe svolto il duello.

I due sfidanti erano già pronti a combattere, Ayame scese al suo interno. Gli occhi della ragazza scrutarono la folla pieni di determinazione, alla cintura aveva appesa la sua katana e, nella mano destra, stringeva lo scettro del Kumogashira; lo aveva preso dopo la morte di Bankotsu, ritenendo che le spettasse di diritto dopo averlo sconfitto, anche se non personalmente; in ogni caso, le sarebbe stato molto utile in quel duello. Sesshomaru entrò dalla parte opposta del campo, mantenendo come sempre il suo aspetto fiero, l’unica arma che portava con sé era Tokijin, la sua katana.

I due si posizionarono uno di fronte all’altro, pronti a combattere. Un uomo anziano era in piedi al centro dell’arena, dai vestiti che indossava si poteva intuire che fosse un alto funzionario di palazzo. Fece un ampio gesto con il braccio, per indicare i due sfidanti e fece un inchino verso ognuno di

loro, poi si allontanò verso le gradinate in legno su cui sedevano gli spettatori e, presa una spada appoggiata ad esse, la alzò verso il sole e la conficcò a terra.

– Che il duello abbia inizio! – urlò solenne.

Ayame sfoderò la sua katana e corse verso il suo avversario. Sferrò un colpo verso di lui, ma quello lo schivò con un balzo indietro, la ragazza si girò e lo colpì nuovamente, riuscendo a ferirgli un braccio. L’uomo si toccò la ferita per bloccare il sangue che ne usciva, sguainò la sua spada e fendette l’aria di fronte alla regina, dalla lama si sprigionò una potente onda d’urto che la scaraventò al suolo. Quella si rialzò, sostenendosi con la katana; l’impatto col terreno era stato talmente forte che quasi non riusciva a camminare. Alzò lo scettro che teneva ancora stretto in mano e tracciò un semicerchio nell’aria, lo puntò verso il suo avversario e lo mosse orizzontalmente; una mezza luna luminosa uscì da esso e colpì l’uomo che andò a sbattere contro il muro. Sesshomaru tornò nell’arena dolorante e afferrò l’elsa della propria spada con entrambe le mani, la base della lama si illuminò e un sigillo che la copriva si incendiò, rivelando la sfera degli Shikon, incastonata nella spada. La ragazza lasciò cadere la Katana ed indietreggiò.

– La sfera… come hai potuto? – sussurrò.

Ayame strinse la presa sullo scettro e lo sollevò, come una mazza, corse verso di lui e lo colpì con quanta forza aveva in corpo, l’uomo, costretto ad inginocchiarsi, parò l’offesa con Tokijin. L’arma della regina e la sfera incastrata nella katana iniziarono ad illuminarsi, man mano che l’impeto dei due combattenti cresceva, fino ad emettere una luce bianca quasi accecante. Il consigliere riuscì a rialzarsi e, con uno sforzo sovrumano, fece volar via dalle mani della fanciulla lo scettro.

L’impatto fra i due oggetti magici creò un’onda d’urto che investì tutti i presenti e scagliò Ayame dalla parte opposta dell’arena.

La folla si alzò in piedi festante, acclamando il nuovo imperatore. Sesshomaru rimise nel fodero la spada, diede un’occhiata alle gradinate dell’arena e uscì in silenzio.

Quasi un’ora dopo, Ayame entrò in quella che era stata la sua sala del trono, dove vide il suo vecchio consigliere fermo di fronte alla corona, intento ad osservarla; gli si avvicinò e si schiarì la voce per attirare la sua attenzione. L’uomo si voltò verso di lei e la squadrò con i suoi occhi freddi come il ghiaccio.

– Suppongo di doverti delle scuse. – mormorò la ragazza. – Ho sempre creduto che il posto che occupavo mi spettasse di diritto e nessuno potesse togliermelo, così ho finito per non preoccuparmi del mio regno ma solo dei miei desideri.

L’uomo andò verso una finestra e appoggiò una mano su di essa, guardando il paesaggio al di fuori del castello.

– Dopotutto sei solo una ragazzina. – rispose.

Quella sospirò e si strinse nelle spalle.

– È per questo che lo hai fatto? Io mi fidavo di te.

– Devo pensare al bene del regno, non al tuo. – ribatté gelido.

Si incamminò verso l’uscita della sala, lasciando sola la ragazza; dopo un istante, questa corse da Sesshomaru e lo afferrò per una spalla, costringendolo a fermarsi.

– Prima o poi riuscirò a sconfiggerti e a riprendere il titolo di imperatrice! – esclamò più decisa che mai.

L’uomo sorrise senza farsi vedere dalla ragazza. Era certo che non sarebbe mai riuscita a batterlo ma, grazie a questo pensiero, forse un giorno sarebbe diventata abbastanza forte da essergli utile.

Con un cenno del capo, la invitò a seguirlo e, insieme, uscirono dal palazzo. In pochi minuti arrivarono alla fucina di Totosai; Ayame si fermò di colpo e guardò perplessa il suo accompagnatore.

– Perché siamo qui?

Sesshomaru non rispose ed entrò nell’edificio, la ragazza era preoccupata da quell’atteggiamento ancora più misterioso del solito, ma lo seguì. All’interno della stanza in cui il fabbro lavorava,

c’erano lo stesso Totosai e i tre ragazzi, seduti accanto al tavolo. Appena li videro entrare i tre si alzarono in piedi e si avvicinarono all’uomo. Il vecchio rimase seduto e incrociò le braccia sul petto.

– Siete proprio sicuro di non voler aspettare, Sesshomaru? – chiese quello.

Il nuovo sovrano annuì. – Non c’è più alcun motivo per cui debbano rimanere qui.

La fanciulla si avvicinò a Koga e gli sfiorò il braccio, quel contatto fece sobbalzare il ragazzo che si voltò a guardarla, lei abbassò lo sguardo e gli prese una mano.

– Cosa sta succedendo? – chiese.

Lui abbassò la testa e si passò una mano fra i capelli. Gli altri uscirono nel giardino e i due rimasero soli. Si girò verso la porta e infilò le mani in tasca.

– Torniamo a casa, Ayame. – disse con un filo di voce.

La ragazza spalancò gli occhi. Se ne andavano già? Aveva appena perso tutto ciò che aveva, non voleva che se ne andasse anche lui. Fece un passo in avanti e lo abbracciò, affondando il viso sulla sua schiena. Il ragazzo strinse i pugni e alzò il viso verso il soffitto; sospirò e si staccò delicatamente da lei.

– Ti prometto che ci rivedremo ancora. – disse e poi uscì dalla stanza.

Rimase ferma e si strinse nelle spalle, cercando di nascondere le lacrime. Koga arrivò nel giardino e guardò i suoi amici, entrambi erano in piedi di fronte a Sesshomaru. Affrettò il passo e li raggiunse, mentre l’uomo stringeva in una mano lo scettro del Kumogashira e nell’altra la sfera degli Shikon. Li avvicinò fino ad appoggiare il gioiello sulla sommità del bastone; i due oggetti si illuminarono, proprio come durante il combattimento e, quando la luce svanì, tutti videro che si erano fusi insieme. L’uomo sollevo lo scettro appena formatosi e lo scagliò a terra. Il suolo iniziò a tremare e si aprì una fenditura sotto ai piedi dei ragazzi che caddero nel vuoto, proprio come quando erano arrivati nel regno degli Shikon.

Durante la caduta, i tre persero i sensi; Inuyasha fu il primo a riaprire gli occhi. Si passò una mano fra i capelli che gli coprivano parzialmente la visuale, si tirò a sedere e si guardò attorno. Sgranò gli occhi incredulo, erano di nuovo nel soggiorno della casa di Kagome; gli altri due si alzarono e rimasero ugualmente stupiti di essere tornati lì, dove tutto era iniziato.

Tutta quella storia era accaduta realmente, o era stato un semplice sogno? Per quanto assurdi fossero gli avvenimenti accaduti in quei giorni, i loro ricordi erano ancora bene impressi nelle loro menti e sembravano essere più reali che mai.


§



Commento di Roro
Per certi versi, la trama della tua storia mi ha ricordato Rayearth, un famoso manga delle CLAMP: in quello i Guerrieri Leggendari erano tre ragazzine, però, mentre qui… beh, ci sono due idioti e una povera studentessa attira calamità.
Parlando in primis dello stile, non è male – tuttavia un appunto sono costretta a muovertelo, perché ciò ha reso il brano talvolta assai pesante da digerire.
Ci sono periodi troppo, troppo, troppo lunghi. Procedono in modo fangoso e poco fluido, inceppandosi e non invogliando il lettore a continuare, il che è un vero peccato, visto la trama.
Ciò dipende molto dal fatto che tendi a fare abuso di virgole, pure quando potresti tranquillamente ometterle; mi riferisco a cose come: «Quello si limitò a fare una smorfia e, assieme all’altro, seguì […] o «I tre si accomodarono nel salotto e, poco dopo, il vecchietto […]». Tecnicamente è a scelta dell’autore, se inserire o meno virgole di questo tipo, ma a lungo andare tendono a risultare non solo pesanti, quando pure dannose per la scorrevolezza del brano.
Si finisce col procedere a singhiozzo, facendo pause continuamente, anche più volte nella stessa frase – ti consiglierei quindi di rileggere più volte ad alta voce, costatando personalmente la necessità o meno delle virgole, e magari di andare più spesso a capo.
Ci sono poi punti in cui non vi era bisogno di una virgola, quanto piuttosto di altra punteggiatura. Come in «[…] sibilò, poi, quando […]», dove dopo «sibilò» sarebbe stato più corretto un punto e virgola, o «[…] lasciare Koga solo con Kagome, la sola idea […]», in cui avresti fatto meglio a sostituire la virgola con un due punti o un punto e virgola.
C’è poi qualche virgola del complemento di vocazione dimenticata, come ad esempio in: «Scusa botolo […]» – non penso ci sia bisogno di dirlo, ma andava inserita una virgola tra «Scusa» e «botolo».
O anche casi come: «[…] alzando un pugno, pronto a picchiarlo ma Kagome […]», dove avresti dovuto metterne una subito dopo «picchiarlo».
Sostanzialmente, quindi, c’è più di qualche problema con la punteggiatura – alcuni banali, altri tranquillamente eliminabili con un’attenta rilettura.
Quanto ai trattini che usi per introdurre i dialoghi: dovresti fare maggiore attenzione. È infatti scorretto mischiare trattini brevi e trattini lunghi – se il dialogo lo introduci coi brevi così deve essere per tutto il brano, se usi i lunghi poi non puoi mischiarci i brevi. Inoltre dovresti lasciare sempre uno spazio tra i trattini e le parole che li seguono/precedono.
Talvolta, pur di non ripetere il nome dei personaggi finisci con l’utilizzare espressioni quali «l’amico» o «il rivale», che tendono a confondere il lettore, specie perché tranquillamente riferibili sia a Koga che a InuYasha.
Di quando in quando un nome proprio in più è meglio di una parola ambigua, non trovi? Anche perché non sempre si appesantisce il brano, con ripetizioni di questo tipo.
Ti faccio poi notare, da un punto di vista strettamente grammaticale, che «da’» è l’imperativo del verbo dare, e quindi il suo utilizzo in: «Si da’ il caso» è davvero sbagliato. Si tratta di un errore alquanto grave, che non so se imputare a distrazione o altro – in ogni caso, la forma corretta sarebbe stata quella accentata, ovvero «dà».
Allo stesso modo, hai dimenticato l’apostrofo all’imperativo «Sta’» in «Sta tranquilla […]».
A volte per distrazione hai dimenticato l’accento – mi riferisco a «racconto» in luogo di «raccontò» e «allargo» per «allargò».
C’è poi qualche piccola ripetizione, come «atletica/atletica» o «lungo/lungo», ma nulla di preoccupante.
Passando alla trama, devo ammettere che è interessante: bella l’idea dei tre guerrieri rapiti dal loro mondo, benché non sia troppo originale, e interessante pure questa regina dispotica e un po’ egoista.
Tuttavia la figura di Ayame non riesce totalmente a convincermi: è una ragazzina infantile, questo sì, e forse pure capricciosa, ma tiene alla sua gente con tutta se stessa, e non riesco a immaginarla come una sovrana biasimabile.
Allo stesso modo, neppure Sesshomaru mi è piaciuto troppo: comprendo il contesto diverso e il ruolo particolare, ma talvolta mi è parso un OC; è troppo diverso, troppo legato al popolo. Posso accettare il colpo di stato – in fin dei conti Sesshomaru è superbo e ambizioso, non potrebbe mai lavorare per una ragazzina senza sentirsi svilito nell’orgoglio –, ma da qui a fare tutto – o comunque ad affermare di aver fatto tutto – per la salvezza degli abitanti del regno di Shikon… non so, onestamente non ce lo vedo.
Buoni invece Kagome e InuYasha; anche Koga non è male, ma dubito sarebbe stato capace di illudere una ragazza solo per tornaconto personale.
Quanto a Totosai è perfetto, splendidamente perfetto, specie durante la sua prima apparizione.
La trama come già detto è interessante, tuttavia mi è parsa quasi frettolosa, pur vantando ventuno pagine di narrazione: lo scorrere dei fatti è troppo rapido, gli allenamenti sono riassunti in poche righe per lasciare spazio a descrizioni dell’ambiente non sempre necessarie.
Talvolta avresti potuto anche aggiungere qualche discorso diretto, quantomeno per farci conoscere meglio i personaggi; InuYasha, Kagome e Koga hanno modo di interagire davvero solo prima dell’arrivo del regno di Shikon.
Sarebbe stato piacevole, se non proprio utile, mostrare al lettore la loro paura, il disagio. Il terrore per essere arrivati in un nuovo mondo, la frustrazione per non sapere come tornare, il fastidio, così come l’eccitazione per questa strana avventura, la felicità per essere tornati a casa.
La storia si interrompe bruscamente, così che a fine lettura non resta niente se non confusione – con qualche parola in più avresti di certo ottenuto una chiusura migliore.
Quanto all’utilizzo delle frasi nulla da eccepire: sono state ben inserite, con cura e intelligenza.
Un piccolo appunto: essendo la «Sfera» un oggetto particolare, nella tua storia, e non una comune palla di vetro, penso sarebbe preferibile utilizzare la maiuscola.
E, dimenticavo: stando a quel che so le parole giapponesi sono prive di plurale, quindi «katana» dovrebbe essere lasciata così.

Valutazione:
Grammatica e stile: 6,5/10
Trama: 8,5/10
Attinenza alla pillola scelta: 10/10
Caratterizzazione: 7,5/10
Parere personale: 2,25/3

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The writer's rant (mesi e mesi dopo la stesura)
Well, well, well. Questa è la storiella(?) con cui ho partecipato al contest Pillole d'ispirazione.
Fa pietà, lo so. Ma spero ugualmente vi sia piaciuta<3


  
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