Per citare/riprendere/tradurre questa storia in parte o in toto dovete avere il mio esplicito permesso.
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De
Ignoto Silmarillion
ovvero
Ciò
che Tolkien Non Ci Ha Mai Rivelato.
1. Ainulindalë
Il Casino degli
Ainur
Esisteva Eru,
l’Unico, che in Arda è chiamato
Ilúvatar; ed egli era prima che ogni altra cosa esistesse.
Come chiunque al suo posto, Ilúvatar si sentì
molto fiero del ruolo di divinità onnipotente e prese ad
andare in giro per il Vuoto Atemporale, declamando a gran voce la
propria grandezza.
‹‹Emh emh. Io sono Eru,
l’Unico!››.
Ma non ricevette risposta. Riprovò.
‹‹Sono Ilúvatar, Colui che
è Padre di tutti!››.
Ancora una volta nessuno gli rispose. Ilúvatar si
incupì, ma prese fiato e portatosi le mani attorno alla
bocca a mò di megafono, tuonò:
‹‹Sono il Signore
dell’Universo per tutti i Tempi a
venire!››.
Silenzio.
Ilúvatar si sentì d’improvviso molto
solo e molto triste. Che gusto c’era ad essere il Signore
incontrastato dell’Universo se non ci si poteva figheggiare
con nessuno? Non era affatto giusto.
L’allora giovane ed inesperto dio cominciò a
camminare in circolo, rimuginando intensamente sulla questione.
Insomma, lui era l’Onnipotente! Il fatto che non avesse alcun
seguace, adepto o sottoposto che ammirasse incondizionatamente il suo
splendore era quantomeno frustrante. E ancor più frustrante
era che non gli venisse in mente nulla per risolvere
l’inconveniente! Doveva assolutamente fare qualcosa,
poffarbacco…
Fare qualcosa! Ilúvatar si
fermò di colpo e batté il pugno sulla sua enorme
mano destra. Ma certo! Sono dio da
mezz’ora e non ho ancora creato nulla. Che stupido: speriamo
che quello che in sette giorni ha creato l’Universo non lo
venga a sapere, mi sfotterebbe a vita.
Tutto contento per la genialata, Ilúvatar
trotterellò indietro sfregandosi le mani, impaziente di
recuperare il tempo perduto. Si chinò, afferrò il
Kit del Dio Alle Prime Armi che gli avevano
consegnato Ancora Prima, si mise a gambe incrociate per terra e si
alzò le maniche; una volta che ebbe tutto pronto –
das, plastilina, colori, pennelli, colla vinilica e forbici dalla punta
arrotondata – poté finalmente dare inizio alla
Creazione.
***
Fu così che Ilúvatar creò gli
Ainur, Coloro che sono santi, progenie del proprio pensiero, ed essi
erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata.
Nervosamente, il giovane dio li mise in schiera, raddrizzò
le loro spalle e li spolverò un poco. Dopodichè
indietreggiò, ammirando soddisfatto il proprio lavoro.
Gli Ainur erano la rappresentazione del sottoposto ideale che ogni dio
vorrebbe: bellissimi, splendenti, soavi, con i capelli setosi e le
unghia perfettamente curate; erano stati creati con il preciso intento
di lodare e ammirare il loro fattore oltre i limiti del possibile,
sapevano cantare, ballare, recitare, guidare, fare le pulizie,
programmare il videoregistratore e preparare il caffé.
Un moto d’orgoglio si agitò nel mastodontico petto
di Ilúvatar: le sue creature! Impaziente, li mise alla prova.
‹‹Emh emh...››
esordì, la voce carica di aspettative,
‹‹io sono Eru
Ilúvatar!››.
Gli Ainur rimasero un attimo in silenzio. Subito dopo alcuni di essi
sgranarono gli occhi e si portarono le mani alla bocca in
un’espressione di completa adorazione; altri si guardavano
fra di loro bisbigliando increduli come in cerca di una conferma,
incapaci di credere a quanto sentito; qualcuno addirittura
scoppiò in lacrime, sopraffatto dall’emozione; la
maggior parte di essi comunque si era immediatamente gettata ai divini
piedi di Ilúvatar, in un coro di gridolini isterici che
neancheun mix fra Johnny Depp, Orlando Bloom e Raoul Bova sarebbe in
grado di scatenare.
A questa vista Ilúvatar fu colto dalla gioia, già
gongolante al pensiero delle adulazioni in cui avrebbe sguazzato.
Incapace di resistere, fece un’altra prova.
‹‹Sono Colui che è il Padre di
tutti!››.
‹‹Oooh!››.
‹‹Waaaaah!!!››.
‹‹Oh , wooow!››.
‹‹Sono il Signore
dell’Universo!››.
‹‹E’ vero, è
vero!››.
‹‹Sì, mio Signore,
dell’Universo intero!››
‹‹Oh, sì, mio Sire, lo dica di nuovo,
la prego!››.
E sarebbe andata avanti così ancora per molto - gli Ainur
sembravano essere tanto belli quanto ruffiani e non accennavano
né a interrompere né a diminuire le lusinghe - se
Ilúvatar, alzato un attimo lo sguardo dalle sue creature,
non si fosse avveduto di un’anomalia. Uno degli Ainur non
stava svolgendo il suo "lavoro": non sembrava né in preda
all’adorazione più folle né sconvolto
dalla gioia; stava seduto di spalle, lontano dal gruppetto, tutto preso
dall’ultimo numero della Settimana Enigmistica.
Ilúvatar ne fu turbato.
‹‹Melkor›› lo
chiamò ‹‹che stai
facendo?››.
‹‹I cruciverba.›› rispose
l’Ainu. ‹‹Perché, non si
vede?›› aggiunse, sventolando il giornaletto
verso l’interlocutore.
‹‹Sì, lo vedo. Tuttavia me ne
dispiaccio. Perché non vieni qua a salutare il tuo Creatore
come i tuoi fratelli?›› lo incitò
Ilúvatar sfoggiando un sorriso paterno.
‹‹Ma non ci penso nemmeno, guarda. Ho una
dignità, io, e anche un cervello. Piuttosto, senti un
po’…›› chiese Melkor
tornando alle sue occupazioni
‹‹…quattro orizzontale: "Il
J.R.R. autore del Silmarillion". Sai mica chi
è?››.
‹‹Boh? No, mai sentito››
rispose candidamente Ilúvatar.
‹‹Comunque ci sono rimasto male, Melkor. La tua
indifferenza mi ferisce e la tua ingratitudine mi offende: non ti parlo
più!››, concluse, tornando a volgere
il suo amore e la sua attenzione alle dolcissime e adoranti creature
attorno a lui.
***
Trascorsero lieti giorni. Gli Ainur pendevano dalle labbra di
Ilúvatar, che dal canto suo non sembrava desiderare altro
nella vita. Il Vuoto Atemporale sembrava un enorme frappé al
cioccolato con sopra la panna e le roselline di zucchero, dal momento
che gli Ainur, ad un cenno di Ilúvatar, gli riversavano
addosso fiumi delle più stucchevoli e fantasiose lodi (dove arriva la
ruffianeria… Che schifo. N.d.A).
Disgustato da tutto ciò, Melkor trovò saggio
continuare a dedicarsi alle parole crociate, ai sudoku, agli origami,
ai castelli di carta, alle freccette, ai francobolli, al ricamo, ai
manuali di cucina orientale e a tutto ciò che potesse in
qualche modo distrarlo da quel nauseante e continuo spettacolo.
Ilúvatar però si dispiaceva molto degli
atteggiamenti dell’Ainu ribelle. Non sopportava di vederlo
così solo, triste e cupo: ci doveva essere di sicuro
qualcosa che poteva fare per aiutarlo! Scosse la testa e si
voltò verso gli Ainur.
‹‹Creature mie, io mi allontano un
attimo…›› cominciò, ma non
fece in tempo a finire la frase che gli Ainur precipitarono nello
sconforto.
‹‹No! E nooo! E ci lasci
soli?›› pigolò la piccola Varda in
tono lamentoso.
‹‹Ma solo per poco, piccina
mia…›› tentò il dio.
‹‹Dove vai, padre?››
intervenne Manwë saltando su. ‹‹Eh? Dove
vai? E quando torni? E…Padre! Non avrai
forse intenzione di andare da Melkor!?›› aggiunse
guardando Ilúvatar con tanto d’occhi.
‹‹Sì, Manwë, vado da tuo
fratello Melkor. Nonvedi com’è sempre triste e
isolato? O ti fa forse piacere che lui stia sempre da solo in camera
sua mentre tu ti rallegri del mio amore?››
indagò Ilúvatar, sospettoso.
Manwë, che per la verità odiava profondamente
Quello Sfigato -come fra sé e sé chiamava
Melkor-, stava già per rispondere: "Sì, ci godo
come un riccio!"; fortunatamente Mandos fu veloce a tappargli
quell’infame boccaccia e rispose al suo posto:
‹‹Ma no, padre: Manwë dice sempre che
gli piacerebbe tanto che Melkor giocasse con noi. Vero,
Manwë?››.
L’antica ruffianeria risorse immediatamente in Manwë
che confermò docilmente.
‹‹Ne ero sicuro›› disse
Ilúvatar sorridendo bonario. Ah, com’era bello
l’amore fraterno!
Prese in braccio il piccolo Manwë (che tanto piccolo non era,
ma in confronto a Ilúvatar… N.d.A.),
gli scompigliò i capelli e si rivolse al resto degli Ainur.
‹‹Ora papà va un attimo via, va
bene?››. Gli Ainur annuirono amorevolmente.
‹‹Voi nel frattempo state buoni e giocate. Mi
raccomando, non mi fate preoccupare!›› aggiunse,
con una nota di apprensione. Dopo aver messo giù
Manwë, il buon Ilúvatar si avviò verso
la cameretta di Melkor.
***
Dev’essere triste per qualche motivo,
pensava Ilúvatar mentre camminava, forse
è geloso perché sto sempre con gli altri Ainur e
mai con lui. Magari è sempre così triste e
scontroso perché gli manca l’affetto paterno.
Sì, dev’essere sicuramente così. Ma non
sia mai che una delle mie creature debba sentirsi poco amata!
Cuore di padre!
Ilúvatar si fermò davanti alla porta della
stanzetta, rimanendo per un attimo ad osservare i vari adesivi che
recitavano avvertimenti come ‹‹Vietato
l’accesso ai non addetti ai lavori››
e ‹‹Pericolo di morte!››.
C’era anche un grossa foto adesiva di Ilúvatar con
la scritta: ‹‹Io non posso entrare››.
Il dio sospirò, quindi si risolse a bussare.
‹‹Melkor?››
chiamò, esitante.
L’unica voce che gli rispose fu quella del cantante dei Blind
Guardian: il giovane Ainu stava ascoltando Nightfall in Middle-Earth a
tutto volume (Mi
rendo conto che i gusti musicali di Melkor siano prevedibili, ma...
N.d.A.).
Ilúvatar sbuffò. ‹‹Melkor?
Sono io, apri!›› disse, bussando per la seconda
volta.
La musica si interruppe. Ilúvatar sperò che le
sue divine orecchie lo avessero ingannato, perché gli era
parso di aver sentito qualcosa che assomigliava terribilmente a:
‹‹Oh, no, di nuovo lui… Che
sacrosante palle!››…
‹‹Melkor! Avanti, dai!››.
Un tintinnare di catene metalliche accompagnò i passi di
Melkor, che aprì la porta con la migliore delle sue facce
schifate.
‹‹Beh?›› chiese, scostante,
rimuovendo inesistenti granelli di polvere dal cappotto di pelle nera.
‹‹Che vuoi?››.
Ilúvatar sospirò: stava cominciando a scoprire le
gioie di avere un figlio adolescente.
***
‹‹E noi che facciamo?››
sbuffò Manwë incrociando le braccia, contrariato.
‹‹Papà è da Quello
Sfigato!››.
‹‹Facciamo i gavettoni!››
propose speranzoso Ulmo, futuro Signore delle Acque.
‹‹No! Giochiamo con i
Lego!›› ribatté Aulë, che col
tempo sarebbe divenuto il Maestro degli artigiani.
‹‹Io voglio giocare ai
cavalieri!›› si intromise Oromë, ignaro
di avere davanti un’intera vita di cavalcate.
‹‹Facciamo i Quattro Cavalieri
dell’Apocalisse? Io faccio la Morte !››
saltò su Mandos, che come sentiva la parola "morte"si
sentiva stranamente a suo agio.
‹‹Ma noi siamo quattordici, non
quattro…›› obiettò
timidamente Lórien.
‹‹E allora gli altri dieci fanno gli Stallieri
dell'Apocalisse!››.
***
‹‹Melkor,
figliolo…›› cominciò
Ilúvatar, intimidito.
‹‹No, no…
aspetta…›› Melkor aveva la faccia di
uno che ha appena ingoiato un limone intero
‹‹…se mi chiami un’altra
volta "figliolo" è la volta buona che mi
suicido e libero questo Universo dal
male…››
Ilúvatar impiegò un attimo ad interpretare la
frase. Dopo essere giunto alla conclusione che quello non era
decisamente un complimento si sentì mancare: in fondo lui
aveva ascoltato soltanto complimenti in vita sua! Si riscosse e decise
di tentare con un altro approccio.
‹‹Melkor… ho bisogno di
parlarti!›› disse speranzoso.
L’Ainu lo fissò per due secondi.
‹‹Capisco…››.
‹‹Oh, pace…››.
‹‹…però io non ho bisogno
di ascoltarti!››.
Ilúvatar gemette. Insomma, gli altri quattordici gli erano
venuti così carini! Cosa aveva sbagliato con lui?
Tentò con la forza.
‹‹Melkor! Non parlare così a tuo
padre!››.
‹‹Ecco, ora mi suicido
veramente…››.
‹‹Melkor!››.
***
‹‹Facciamo a braccio di
ferro?›› suggerì il forzutissimo
Tulkas, ma tutti rifiutarono con decisione.
‹‹Giochiamo che io ero la Regina delle Stelle e
Manwë era il mio sposo!›› disse Varda in
tono sognante. Subito Manwë si tirò indietro
rabbrividendo: non avrebbe passato con quell’insopportabile
piccola dea nemmeno un giorno della sua millenaria esistenza!
‹‹Io voglio cantare!
Cantiamo?›› cinguettò Yavanna.
‹‹No!›› la metà
maschile degli Ainur non ne aveva la minima intenzione.
‹‹Ma a me piace cantare… e anche a
Varda…›› pigolò la dea
raggiungendo l’amica del cuore.
‹‹Manwë, mio sposo! Convincili
tu!›› disse questa, rivolta allo "sposo".
‹‹Taci, oca!›› rispose
Manwë.
Il labbro inferiore di Varda cominciò a tremare. Yavanna
fulminò Manwë con lo sguardo e fece un passo verso
di lui. Manwë deglutì.
***
‹‹Cos'hai da urlare!››
sbottò Melkor. ‹‹Sono giovane, IO - ci
sento!››.
‹‹Sì! Sei giovane, e
stronzo!›› gli gridò contro
Ilúvatar, che a quel punto aveva già perso il
lume della ragione.
‹‹Cosa hai detto, vecchio?››
sibilò Melkor.
***
‹‹Come hai chiamato Varda,
verme?›› inquisì Yavanna minacciosa.
Manwë fece immediatamente appello a tutta la sua ruffianeria.
‹‹Io… "cara"! L'ho
chiamata "cara"!›› rispose prontamente il piccolo
Signore dei Venti.
‹‹Ah, bene…››
rispose Yavanna ‹‹…perché
altrimenti Varda piangerebbe, e noi non vogliamo
che Varda pianga, vero? Anche perché
altrimenti piangerebbe anche Nienna…››
‹‹NO!››intervennero
in coro Mandos e Lórien con gli occhi di fuori: conoscevano
bene l’entità e la durata dei pianti di loro
sorella Nienna. La piccola, sentendosi chiamata in causa,
cominciò a preparare le ghiandole lacrimali: non si sa
mai…
‹‹No, Yavanna!››
esclamò orripilato Manwë a quella vista.
‹‹D’accordo, facciamo quello che
decidete tu e Varda! Basta che Nienna non si metta a
piangere››.
‹‹Bene! Allora canteremo!››
concluse vittoriosa Yavanna.
Nel tempo sarebbe diventata, oltre alla dea della fertilità,
anche il simbolo della supremazia femminile sull’uomo.
***
‹‹Stronzo: ti ho chiamato stronzo! Lo
sei!›› sputacchiò Ilúvatar
fuori di sé.
‹‹Ma taci, specie di impedito, almeno fai
più figura…›› disse
disgustato Melkor. ‹‹Va', torna dai tuoi
lecchini, di sicuro loro non ti fanno venire il sangue
acido!››. Gli sbatté la porta in
faccia e accese di nuovo lo stereo. Ilúvatar era sgomento:
cosa aveva detto dei suoi Ainur?!
‹‹Melkor!››
chiamò, bussando forte.
‹‹Melkor!››
***
‹‹La la laaaa…››
‹‹La laaa…›› ♪
‹‹Lalallàààà
la là!›› ♫
‹‹Lalà
laaaalà!›› (*)
(*) Antichi canti che
in lingua Valarin vogliono dire: "Stiamo creando tutto quanto
l'Universo semplicemente cantando". N.d.A
***
‹‹Apri subito, giovane Ainu dalla faccia
perennemente corrucciata!››
‹‹ Niiiiiightfaaaaaaaall
– Quietly it crept in and changed us aaaaaaaaall
♪ ♫››
***
‹‹Firulì,
firulà…››
‹‹Trallallero
trallallàààà…››
♫
‹‹La… la laaa… la
LAAA!›› ♪
***
‹‹Melkor! Apri subito o sfondo la
porta!››
‹‹…Valinor's
empty, now allied the Elves and Meeen - they shall be damneeeeed! ♪ ♫››
***
‹‹Etrallallalleru lalleru lalleru lalleru
lallààà!›› ♪
‹‹Loondon Bridge is falling down, falling down,
falling dooown…››
‹‹…my fair
Lady!›› ♫
Nel mezzo di questo scontro, che scosse le aule
d’Ilúvatar e che diffuse un tremito nei silenzi
ancora immoti, Ilúvatar bussò una terza volta e
il suo volto era terribile a vedersi. Poi egli alzò entrambe
le mani e, con un unico colpo contro la porta di Melkor, più
profondo dell’Abisso, più alto del Firmamento,
penetrante come la luce dell’occhio
d’Ilúvatar, il Casino cessò.
***
Gli Ainur accorsero e alla vista della porta sfondata furono colti da
terrore. Tutti tranne Manwë, che già gongolava
all’idea delle legnate che Melkor avrebbe preso.
Poi Ilúvatar parlò e disse:
‹‹Ecco, bravo, bravo l’adolescente
problematico! Lo vedi cosa mi hai fatto fare? Io ora non te la faccio
la porta nuova, resti così, non me ne frega niente! E non
fare quella faccia che mi spaventi i piccoli!››
aggiunse, facendo da scudo alle sue creaturine. Melkor era rimasto
immobile, quasi ammirato del fatto che "il vecchio" fosse stato in
grado di buttare giù la porta. Notevole. La voce di
Manwë lo riscosse da queste riflessioni.
‹‹Ora lo picchi, padre?››
disse il futuro Signore dei Venti tirando l’orlo della veste
di Ilúvatar. ‹‹Ora picchi
Melkor?››. Gli brillavano gli occhi e gli tremava
la voce dell’emozione.
Ilúvatar dovette ammettere a se stesso di aver considerato
per un paio di secondi l’intenzione di massacrare Melkor fino
a farlo diventare viola; tuttavia nella sua infinità
bontà fraintese la malizia della domanda di Manwë,
scambiandola per apprensione fraterna.
‹‹No, piccolo mio››.
Manwë scattò su ma trattenne un grido di protesta.
‹‹Non picchio tuo fratello e nemmeno lo punisco,
stai tranquillo. Tuttavia, Melkor, è bene che tu veda come
non sia possibile eseguire alcuna azione che non abbia la propria
ultima origine in me e come nessuno abbia il potere di alterare la
Volontà a mio dispetto››.
Allora gli Ainur ebbero paura e non compresero ancora le parole che
venivano dette loro. Ilúvatar rimuginò
soddisfatto sulla sua perla di saggezza: in realtà aveva
detto una cazzata, ma tanto nessuno l’avrebbe smentito.
Melkor si voltò lentamente verso il dio:
‹‹Sarà, ma secondo me hai detto una
cazzata…›› disse.
Gli Ainur sgranarono gli occhi, turbati; in Manwë rinacque la
speranza di vedere un po’ di sana violenza su suo fratello e
Ilúvatar si disse: Beh, tre volte buono
è uguale a cretino!.
‹‹Bambini, andate in camera
vostra›› ordinò loro guardando fisso
Melkor.
‹‹Ma, padre…››.
‹‹Bambini, andate
in camera vostra!››.
Gli Ainur eseguirono, nonostante le lamentele di Manwë.
Allora Ilúvatar afferrò Melkor, gli
abbassò i pantaloni, se lo mise sulle ginocchia e, ignorando
proteste e calci, quel giorno diede al futuro Signore Oscuro le
più sonore sculacciate della sua immortale esistenza.
***
‹‹Tutto a posto, piccoli
miei?›› domandò placidamente
Ilúvatar facendo capolino nella stanza delle pesti. In volto
gli brillava un’inedita scintilla di sadismo appagato.
‹‹Padre! L’hai picchiato,
padre?›› chiese subito Manwë saltandogli
in braccio con la sua faccetta più innocente. Il dio
sospirò.
‹‹Sì,
Manwë…›› l’Ainu
sorrise, incoraggiante, sperando nei dettagli,
‹‹…ma se l’è
meritato. Ora ha imparato la lezione e non sarà
più necessario››.
‹‹Oh›› borbottò
il piccolo, deluso, ‹‹Sì,
capisco…››.
‹‹Ma non pensiamoci più! Su, piccoli,
ditemi: che avete fatto mentre io ero via?››.
‹‹Abbiamo cantato!››
enunciò Yavanna tutta contenta.
‹‹Sì! Abbiamo cantato tante
canzoni!›› disse Varda andandosi a sedere sulle
ginocchia del "papà".
‹‹E di cosa parlavano queste
canzoni?›› chiese Ilúvatar. Sorrise.
Era di nuovo felice! Era circondato dalle sue creaturine e niente,
niente avrebbe disturbato questo momento di pace.
‹‹Parlavano di tante cose››
rispose Varda con voce sognante. ‹‹Del cielo,
delle stelle…››
‹‹…della luce, della
natura…››
‹‹…delle acque e degli
oceani…››
‹‹…dei venti, delle
montagne…››
‹‹…dei
sogni…››
‹‹…e della mooooorte!›› concluse
Mandos tutto contento. Un brivido percorse la sala.
‹‹Erano tanto belle quelle
canzoni›› mormorò Nienna, triste. Va
bene, lo so che Nienna èsempre triste, ma questa volta lo
era particolarmente.
‹‹Perché ti addolori,
piccolina?›› le chiese Ilúvatar
sorridendo forzatamente. Ecco, se lo sentiva! Era un momento perfetto e
i Fratelli Morte & Malinconia dovevano sempre arrivare a
guastare tutto!
‹‹So-sono triste perché le co-cose
delle canzoni n-non esistono; è tutto nella nostra
fantasia!›› si lamentò la piccola.
‹‹Le ste-stelle esistono solo nei pensieri di
Varda. Non sono vere. Io vo-voglio vedere le
stelle!›› singhiozzò Nienna,
cominciando a tirare su col naso.
Gli Ainur si guardarono l’un l’altro, inquieti.
Mandos si tappava già le orecchie con le mani,
Manwë buttò lo sguardo al cielo, Varda
strizzò gli occhi preparandosi all’onda
d’urto, mentre Yavanna accarezzava con scarsa convinzione i
capelli di Nienna: la piccola, lieta di constatare il terrore che era
riuscita a diffondere con un singhiozzo e due lacrime, aprì
la bocca con tutte le intenzioni di piangere le sue lacrime fino ad
esaurimento scorte.
Fiutando la catastrofe imminente, Ilúvatar si
affrettò a rimediare.
‹‹No, no!›› disse,
sorridendo rassegnato. ‹‹La mia Nienna non deve
piangere! Non deve!››,
tuttavia c’era ben poca tenerezza in quelle parole: il dio
sembrava piuttosto in preda al panico. ‹‹Sai cosa
fa ora il papà?››.
Nienna si arrestò un attimo prima dell’esplosione,
guardando interrogativa il "papà" con due occhi grandi come
uova di struzzo. Mandos, speranzoso, ebbe addirittura
l’ardire di stapparsi le orecchie.
‹‹Ora il papà crea le stelle! Va bene
se il papà crea le stelle?›› propose
Ilúvatar, chiudendo gli occhi al pensiero
dell’immane fatica che lo aspettava. Nienna sembrò
pensarci su per un attimo, trattenendo i lacrimoni in posizione
strategica: pronti a straripare al minimo ripensamento!
‹‹Sì››,
mormorò infine. ‹‹Per le stelle va
bene. M-ma per t-tutto il resto?›› si
affrettò ad aggiungere, tornando in assetto
d’attacco. ‹‹E’ br-brutto il
cielo senza le nuvole!››.
‹‹E va bene…››
concesse il buon dio ‹‹…allora
papà fa le stelle e le nuvole in
cielo!››.
‹‹Ma non è
giusto!›› Ulmo scelse il momento meno adatto
della sua vita per lamentarsi. ‹‹Fai le stelle a
Varda e il cielo e le nuvole a Manwë. Perché a me
non fai gli Oceani? Vuoi più bene a loro
due!››.
‹‹E’ vero!››
concordò Aulë. ‹‹Se fai
l’Oceano a Ulmo io voglio le
montagne!››.
‹‹E io la terra!››.
‹‹E io i giardini!››.
‹‹E io le aule degli
Spiriti!››.
‹‹E io
McDonald’s!››.
‹‹E io il Disney Store!››.
A quel punto Ilúvatar vacillò. Passino una
manciatina di stelle e due nuvole giusto per fare contenta la piccola,
ma montagne, terre e oceani erano un altro paio di maniche! Per non
parlare del fast-food... No, non poteva accontentarli tutti - sarebbe
stata una fatica immane anche per lui, e poi non poteva di certo
viziarli! Gli Ainur lo guardavano con tanto d’occhi,
stampandosi in faccia tutta la tenerezza di cui erano capaci.
Ilúvatar scosse la testa e aprì la bocca,
intenzionato a fare ai piccini un discorso su quello che un
papà può regalare ai propri figlioli e quello che
non può, ma una voce lo interruppe.
‹‹Oh… Cosa sono queste preferenze?
Guarda che io voglio l’Inferno, eh!››.
Melkor, più morto che vivo dopo le divine sculacciate ma
sempre strafottente, metallaro e con la sua faccia eternamente
corrucciata, si era intromesso nella discussione.
‹‹Melkor…››
Ilúvatar chiuse gli occhi
‹‹L’Inferno lo scatenerò sul
tuo sedere se non ti levi di qua. Mi spaventi i piccoli; guardati: sei
allegro come la Morte!››.
‹‹Morte? Dove?›› Mandos si
guardò attorno speranzoso, ma mai quanto Manwë che
non stava più nella pelle dalla voglia di assistere ad un
potenziale bis di legnate.
‹‹Mandos, zitto – Melkor, non parlare
di queste cose davanti ai bambini. E tu sta giù,
Manwë: non gli faccio niente,
tranquillo!››. Manwë gemette impotente
di fronte a tanta ottusità.
Ilúvatar, del resto, aveva già i suoi problemi:
le crisi di pianto di Nienna, i capricci degli altri Ainur, i gusti
macabri di Mandos e ora pure le pretese di quella piaga di Melkor!
C’era un limite anche a quello che l’Onnipotente
poteva sopportare e i suoi nervi erano già tesi come le
corde di un violino reduce da dodici ore di concerto ininterrotto:
sarebbe bastata un’altra, un’altra sola goccia e il
vaso sarebbe drammaticamente traboccato…
Manco a dirlo, la "goccia" assunse le fattezze di un singhiozzo di
troppo di Nienna, che non fece in tempo a dire "Porco Melkor!" e si
ritrovò, assieme a tutti gli altri Ainur, scaraventata su
Arda, il mondo appena creato.
‹‹Eh, quando ci vuole ci
vuole!››. Uno schermo nero apparve davanti agli
Ainur e su di esso il volto di Ilúvatar li guardava torvo.
‹‹Ma… Padre! Perché ci
punisci così? Perché ci privi dello splendore
della tua vista?›› si lamentò
Manwë, di ritorno all’antica ruffianeria.
‹‹Taci, lecchino!›› disse
rabbiosamente il dio. Manwë calò il capo, umiliato.
‹‹Ora tu e tutti i tuoi fratelli abiterete in
Arda. Vi chiamerete Valar…››
‹‹…Valar? Perché
Valar?›› domandò timidamente Varda.
‹‹Perché Ainur non mi piace
più, sembra un nome da Pokémon; e poi Valar viene
meglio da pronunciare›› spiegò
rapidamente Ilúvatar. ‹‹Ora vi
impegnerete per realizzare con le vostre mani le cose che avete
immaginato e cantato›› proseguì senza
pietà.
‹‹Ma come!›› si
sbalordì Aulë. Lui aveva pensato a montagne alte
tremila metri e pesanti innumerevoli tonnellate, ma mica si era mai
sognato di farle con le sue mani! E che diamine!
‹‹E’ così, e
taci!›› ripeté Ilúvatar
godendosi per la prima volta appieno il suo potere.
‹‹Melkor!››
tuonò in direzione della "pecora nera".
‹‹Tu invece ti impegnerai a distruggere tutte le
cose create dai Valar! Mi raccomando, olio di gomito e mano pesante,
eh!››.
‹‹No! Ma perché! Lui si diverte
così!›› obiettò
Manwë. ‹‹E’ un premio, non una
punizione!››. Melkor non disse nulla, avendo
già fiutato il bidone.
‹‹Sì, ma che
c’entra…›› spiegò
Ilúvatar ‹‹…è
perché poi voi lo terrete prigioniero per tre ere: ve lo
rivelo in anteprima››.
‹‹Ecco, e ti
pareva…›› Melkor scosse la testa e si
allontanò con le mani in tasca.
‹‹Ah, un’altra
cosa.›› aggiunse Ilúvatar richiamando
l’attenzione dei Valar. ‹‹Fra un
migliaio di anni o due, non so… quando mi tornerà
la voglia di lavorare, comunque…›› i
Valar si guardarono scettici ‹‹…ho
intenzione di mandare su Arda delle mie nuove
creaturine››.
‹‹Ma no! Ma basta!››.
‹‹Ancora?››.
‹‹E che è?››.
‹‹Ma che bisogno
c’è?››.
‹‹Beh, avete ragione››
ponderò l’Onnipotente, ‹‹in
realtà non c’è alcun bisogno, ma
è così… tanto per il gusto di farvi
provare com’è bello essere circondati da piccoli
Elfi orgogliosi e viziati come voi…››
concluse ghignando al pensiero del malsano seme della follia dilagante
che aveva intenzione di impiantare in gran parte dei suoi Elfi. I
Valar, non sapendo più cosa aspettarsi da colui che nel giro
di dieci minuti era passato dalla modalità "papà
buono" a quella "ira divina" fino al "vecchio buontempone", scossero la
testa e si allontanarono lentamente, facendo una rapida stima delle
loro disgrazie.
‹‹Ah. Manwë!››
ilSignore dei Venti si voltò, sperando in un improvviso
cambio di idee. ‹‹Ho deciso che sposerai Varda.
Contento, sì?››. Il dio a quel punto
non poté più trattenersi e scoppiò a
sghignazzare senza ritegno. Manwë impallidì,
rantolò e non proferì verbo; raggiunse i suoi
fratelli ed essi scorsero da lontano Melkor che si dava già
alla pazza gioia, distruggendo quelle quattro pietre che
c’erano ai tempi in Arda.
Ebbe così inizio la prima battaglia dei Valar
contro Melkor per il dominio di Arda; e di quei tumulti gli Elfi
conoscono ben poco […] . E tuttavia le fatiche dei Valar non
furono tutte invano; e sebbene il loro volere e il loro progetto non
ebbero compimento in alcun luogo e in alcuna opera […],
nondimeno la Terra venne lentamente modellata e resa stabile. E
così alla fine la dimora dei Figli
d’Ilúvatar venne edificata nelle
Profondità del Tempo e al centro delle stelle innumerevoli.
Note:
Sì, lo capisco che il Professore sarà
lì a rivoltarsi nella tomba, ma che posso farci? Stavo
rileggendo il Silmarillion e le idee sono venute tutte da
sé...
Nel caso in cui qualche anima pia abbia voglia di puntarmi il dito
addosso accusandomi di blasfemia ed eresia, che si calmi:
Ilúvatar non esiste.
Nei prossimi capitoli ci sarà un po' più di
movimento, spero... =P