27.
Di certo, il rientro di Aken
e Antalion al villaggio suscitò scalpore.
E anche un po’ di ansia.
Il successo per quella
caccia proficua passò presto in secondo piano, tra le genti del villaggio,
quando i presenti si resero conto delle condizioni di salute del principe.
Dopo aver passato più di due
ore a cavallo per raggiungere il villaggio, il dolore alla gamba di Aken era
decuplicato e, a quel punto, persino scendere di sella avrebbe potuto essere un
problema.
Fu ben accetto, quindi,
l’arrivo di Kalon e Raltan, i figli di Seletta che, avvisati da alcune donne-lupo
della situazione, accorsero subito in aiuto del loro vecchio amico.
Non appena lo videro
appollaiato sulla sella del potente stallone, il viso sorridente ma segnato dal
dolore - che sembrava voler nascondere a tutti i costi - , i due giovani
sorrisero benevolmente.
Ridendo sommessamente, Kalon
esordì dicendo: “Beh, tutto mi sarei aspettato tranne che di rivederti qui,
principe!”
“Che mi venga un colpo!”
esclamò Aken, scoppiando in una grassa risata di cuore. “Vuoi due giganti non
potete essere Kalon e Raltan!”
“Eccome se li siamo!” rise a
sua volta Raltan, allungando una mano per stringere con calore quella dell’uomo.
“Non avrei mai pensato di rincontrarti, principe.”
“Solo Aken, ragazzi” scosse
il capo lui, continuando a sorridere ai due giovani che sembravano eguagliarlo
in altezza, almeno a un primo esame.
Indicandosi comicamente,
domandò loro: “Siete venuti per tirarmi giù di peso?”
“A quanto pare, hai bisogno
di questo” dissero quasi in coro i gemelli, posando le robuste mani sui
fianchi.
Antalion, nel frattempo, era
sceso da cavallo e aveva osservato incuriosito il loro scambio di battute.
“Davvero, li hai conosciuti
quando erano piccoli?”
Annuendo, il padre allungò
le mani in direzione di Raltan, che lo afferrò saldamente sotto i gomiti.
Kalon, nel frattempo, passò
sul lato opposto della cavalcatura per aiutarlo a scavalcare la sella con la
gamba malandata.
“Quanto tua madre e io
eravamo di ritorno dal nostro tragico viaggio in direzione di Anok Fort, incontrammo
Seletta e questi due bricconi. Ci fermammo da loro per una notte, prima di
ripartire per Rajana. Ahia! Vacci piano, Kalon! La gamba la rivorrei intera!”
“E’ di un’altra gamba che ti
devi preoccupare, e quella non mi sembra abbia subito danni!” rise per contro il
giovane, facendo esplodere in una risata collettiva le poche donne ancora
presenti a capannello attorno a loro.
“Dèi, per favore! Usa un
linguaggio più consono!” rise suo malgrado il principe, riuscendo in qualche
modo a scavalcare la sella prima di crollare quasi di peso contro Raltan. “Ahia…
scusa, ragazzo.”
“Nessun problema, Aken”
scosse il capo il giovane, avvolgendogli la vita con un braccio, prima di
sussurrare: “Oh, oh. Arriva la consorte.”
Impallidendo leggermente non
appena vide giungere Eikhe di corsa, lo sguardo accigliato e le sopracciglia
arricciate come solo lei sapeva fare, Aken si esibì in un sorriso stentato, mormorando:
“Ehm, …ciao.”
La donna lanciò solo un
breve, fuggevole sguardo all’orso morto e al figlio, prima di puntare i pugni
sui fianchi, fissare malamente Aken e ringhiare: “Ti lascio uscire mezza
giornata con nostro figlio, e tu riesci a tornare con le ossa rotte?”
“Non è detto che siano
rotte” sottolineò l’uomo, pur non volendo sperimentare davanti a tutti la
solidità della sua gamba dolorante.
Kalon e Raltan fecero di
tutto per non ridere, mentre le donne si allontanavano più tranquille, sapendo
che Eikhe era al corrente di ogni cosa.
Avrebbe pensato lei al suo
uomo, a quel punto.
Mordendosi titubante un
labbro, Antalion si intromise con voce leggermente tesa e preoccupata. “Mamma,
senti,… non è colpa di papà.”
Sobbalzando nel sentirlo
parlare a quel modo, Eikhe gli sorrise per un momento – lieta per quel
cambiamento apparentemente sentito e voluto
– prima di tornare seria e chiedere: “E come dovrebbe essere, caro?”
“Vedi, l’orso mi ha colto di
sorpresa e…”
Bloccandosi per un istante
in preda all’imbarazzo, il ragazzo si passò una mano tra i capelli, prima di
aggiungere: “…insomma, papà lo ha attaccato per difendermi. Solo che, come
avrai potuto notare, è un tantino più grosso di noi e…”
Cominciando a comprendere
dove volesse andare a parare il discorso balbettante del figlio, Eikhe si
avvicinò lesta a lui e poggiò delicatamente le mani sulle guance di Antalion.
Abbozzando un sorriso, il
figlio esalò: “E’ successo.”
“Oh, tesoro mio” sussurrò la
madre, avvolgendolo in un abbraccio consolatorio.
“Finché papà stava
combattendo non è successo nulla, perché sapevo che non era in relativo
pericolo ma, quando l’orso l’ha gettato a terra, io… ho visto tutto rosso e…”
ansò Antalion, stringendosi alla madre prima di sussurrare tra i suoi capelli:
“… non volevo che lo uccidesse, mamma. Non volevo perdere mio padre.”
“Lo, so, tesoro, lo so.
Succede a tutti coloro che hanno il Marchio di Hevos. Solo, speravo di essere
presente per assisterti, quando fosse avvenuto” gli spiegò gentilmente lei,
baciandolo sulle guance prima di sorridergli orgogliosa.
Volgendo lo sguardo a
scrutare il padre, ancora sorretto dall’amico Raltan, Antalion ritrovò il
sorriso replicando: “Papà è stato bravo. Sapeva cosa mi stava succedendo, e mi
è stato vicino.”
“Vorrà dire che lo scuserò,
se si è rotto la gamba” commentò a quel punto Eikhe, sorridendogli fiera.
Con aria complice, Kalon si
piegò nella sua direzione per sussurrare: “Ti sei salvato il tuo posto nel
letto, amico.”
“E tu devi darti una
regolata nel parlare. Ma sei sempre così a senso unico, tu?” esalò Aken,
ridacchiando nell’osservare l’aria comica stampata sul volto del giovane al suo
fianco.
Sospirando nello scuotere il
capo con aria falsamente afflitta, Raltan chiosò: “Di certo, in questo
villaggio non mancheranno mai figli.”
“Che intendi dire?” chiese
vagamente sconvolto l’uomo, fissando a occhi sgranati Kalon che, nel frattempo,
stava ridacchiando divertito.
Eikhe gli si avvicinò con un
sorrisino sulle labbra e, baciato Aken sulle labbra, asserì: “Il nostro caro Kalon ha già tre figli, qui nel
villaggio, e da tre madri diverse. Si è reso più che disponibile per tutte
coloro che non volevano un compagno fisso, ma solo un pargolo da crescere,
esattamente come prevede la vecchia legge delle donne-lupo.”
“Oh. Santo. Cielo” sillabò
Aken, molto più che sorpreso.
“Andiamo, amico… non ti
sembra ingiusto che il mio indubbio fascino sia esclusività di una sola donna,
quando posso accontentarne tante, avendo pure la certezza che non sono neppure
gelose le une delle altre?” gli fece notare Kalon, strizzandogli l’occhio. “Inoltre,
adoro i miei figli, e mi prodigo allo spasimo per loro. Sono un papà
eccezionale.”
“E un montato pieno di sé,
ma questo lasciamolo da parte” aggiunse con ironia Raltan, sorridendo divertito
al fratello.
“Tu, invece, Rally, sei
anche troppo modesto. Ci sono un sacco di ragazze che farebbero carte false,
per te, e tu non ci senti neppure, da quell’orecchio” brontolò bonariamente
Kalon, sussurrando poi cospiratorio con Aken. “Il ragazzo si vuole mantenere
puro per una sola donna, pare.”
“Non fa male” asserì l’uomo,
scrollando le spalle.
“Già, ma…”
Interrompendo sul nascere la
discussione, Eikhe dichiarò perentoria: “Continuerete questa interessante
conversazione dentro casa. Io, nel frattempo, andrò a cercare Vesthe perché gli
controlli la ferita.”
“Come? Vesthe?” esalò Aken,
sobbalzando per la sorpresa. “Vesthe è qui?”
“Sì” assentì la compagna,
prima di ricordare un particolare e sorridere. “Mi portò i tuoi ringraziamenti
per ciò che avevo fatto per il regno, se può farti piacere saperlo.”
“Ehm… sì. Certo che ne sono
felice” assentì lui, accennando un sorrisino.
Accigliandosi appena, Eikhe
domandò: “C’è altro che devo sapere, riguardo alla vostra conoscenza durante la
guerra?”
“Diciamo che è stata la mia
ombra durante tutto il periodo e…” tentennò Aken, lappandosi nervosamente le
labbra, non sapendo esattamente cosa dire.
“E…” lo incitò Eikhe con un
gesto voluttuoso della mano.
“Beh, ecco, possiamo dire
che, finalmente, potrà vedermi una buona porzione di pelle, come voleva lei”
sospirò l’uomo, facendo sorridere la compagna. “Portatemi dentro, prima di ammettere
altre cose imbarazzanti.”
Facendo tanto d’occhi, Eikhe
scoppiò a ridere subito dopo, incamminandosi divertita lungo la via e
sussurrando tra sé: “Questa voglio proprio saperla.”
“Sei nei guai, amico” chiosò
Kalon, sogghignando.
Aken preferì non dire nulla.
E sperò che anche Vesthe fosse di quell’avviso.
***
Quando mai le donne stanno
zitte? Non in quell’universo, di sicuro.
Vesthe non solo raccontò a
Eikhe della loro amicizia, nata e cresciuta durante la guerra – tristemente
interrotta una volta terminato il conflitto – ma anche della sua interessante quanto imbarazzante richiesta.
Eikhe non parve esserne
particolarmente colpita, o quanto meno, non le parve offesa, quando rientrò a casa assieme alla donna che, a
quanto pareva, era anche il medico del villaggio.
Osservandola con attenzione,
mentre Vesthe gli controllava scrupolosamente il ginocchio gonfio e il fianco
ammaccato e ormai violaceo, Aken le sfiorò una mano con la propria, sussurrando:
“Tutto bene?”
“Ma certo, perché?” gli
chiese lei, scrutando a momenti alterni il viso di Aken e quello concentrato di
Vesthe.
Antalion e i figli di
Seletta stavano attendendo in salotto di avere notizie mentre, fuori dalla
casa, un piccolo capannello di gente si era riunito spontaneamente per sapere
delle condizioni del compagno di Eikhe.
Indicando con un cenno del
capo la donna che lo stava visitando, Aken sussurrò: “Sì, insomma, per quello
che ti ha detto.”
La compagna si limitò a
sorridere benevola.
“Non mi turba affatto, Aken,
anzi, mi lusinga che un’altra donna ti abbia guardato con interesse. E mi
lusinga ancora di più il fatto che tu abbia rifiutato la sua richiesta.
Significa che mi sei stato fedele sempre, anche di fronte a un invito del tutto
privo di controindicazioni.”
Voltandosi un momento per
sorridere al suo paziente, Vesthe disse divertita: “Era così imbarazzato,
quando gliel’ho chiesto! E si vedeva lontano un miglio che, nella sua testa,
c’era solo una donna a cui avrebbe concesso volentieri quel favore.”
“Hai sempre dimostrato buon
gusto, Vesthe” ridacchiò Eikhe, carezzando gentilmente la chioma corvina del
compagno.
“Farò sempre un po’ fatica a
capirvi ma, se non sei offesa, va bene” si rassegnò a quel punto Aken,
sorridendole più tranquillo.
Un attimo dopo, lanciò
un’imprecazione degna di uno scaricatore di porto, subito seguita dalla
risatina di Vesthe e lo sguardo preoccupato della compagna che, turbata, esalò:
“Che succede?”
“Qui, abbiamo una contusione
al ginocchio, mio caro principe” sentenziò il medico, piegandosi sulla borsa
dei medicinali per estrarne un sacchetto di pelle nera. “Dovrai tenere la gamba
sollevata per almeno due settimane, e fare degli impacchi di ghiaccio alternandoli
a spugnature con foglie di elegor
imbevute nell’olio. Il fianco è a posto, dovrai solo massaggiarlo con un
composto antidolorifico. E la caviglia è solo un po’ gonfia, ma non c’è niente
di rotto. Spunterà sicuramente un livido anche lì, ma non c’è da preoccuparsi.”
“Ottimo” brontolò Aken,
guardando la propria gamba nuda, e ricoperta da lieve peluria nera, con il
desiderio pressante di prenderla a sprangate.
Non che avrebbe risolto
molto, ma si sentiva vagamente idiota, in quel momento.
Comprensiva, Eikhe gli
disse: “Non devi arrabbiarti, Aken. Poteva capitare a chiunque. Inoltre, per
difendere tuo figlio, non ti saresti anche tagliato un braccio?”
“Ovvio!” esclamò l’uomo,
prima di aprirsi in un sorriso tronfio e aggiungere: “Hai sentito, il ragazzo?”
“Sì, ho sentito. E’ molto
orgoglioso del suo papà” rise la compagna, chinandosi a baciarlo su una guancia.
“Vado a dire ai ragazzi che possono entrare. Io, intanto, mi prenderò un caffè
con la nostra dottoressa e mi farò raccontare tutte le tue prodezze di guerra.”
“Sii brava, Vesthe, mi
raccomando!” la pregò gentilmente Aken, vedendola sghignazzare.
“Ovviamente, principe”
promise lei, ammiccando divertita.
L’uomo non si sentì per
nulla confortato da quella promessa.
Un attimo dopo l’uscita
delle due donne, entrarono di corsa il figlio e i ragazzi di Seletta e, della
parola data da Vesthe, Aken non si preoccupò più.
Dopotutto, se Eikhe non si
era arrabbiata per la proposta di Vesthe, non si sarebbe neppure infuriata per
il suo modo, a volte un po’ troppo avventuriero,
di combattere.
***
Quasi mezzo villaggio si presentò
alle porte della casa di Eikhe per sapere di Aken, e augurargli una pronta
guarigione.
Fu solo verso sera che
l’abitazione tornò finalmente quieta e tranquilla, e il principe poté dedicarsi
a una cosa che gli stava decisamente a cuore.
Sorridendo soddisfatto nel
saggiare sulle mani la spada del figlio, poggiò il piatto della lama su un dito
e la guardò bilanciarsi perfettamente.
L’artigiano che l’aveva
forgiata aveva dato il massimo, con quell’arma.
Pomolo e lama erano perfette
mentre l’elsa, ricavata da un unico blocco di osso sapientemente lavorato, era
stata intagliata per l’uso esclusivo della mano del figlio.
Sulla guardia di acciaio
temprato, invece, era stato inciso in negativo il suo nome con caratteri
eleganti e rotondeggianti.
Passando con attenzione un
dito sul piatto della lama a doppio filo, ne saggiò la superficie perfettamente
liscia e lavorata con sapiente cura.
Sfiorò con un mezzo sorriso
la rotondeggiante ambra incastonata proprio accanto alla guardia della spada,
simbolo sicuramente dei Marchiati da Hevos.
“E’ un oggetto davvero
prezioso. Te l’ha presa la mamma?” chiese a quel punto Aken, restituendola al
figlio perché la riponesse nel fodero di cuoio.
“Il nonno. La comprò da un
armaiolo di Marhna per il mio quattordicesimo compleanno” gli spiegò
succintamente Antalion.
“Sei anche capace di usarla come merita?” lo
irrise bonariamente il padre, strizzandogli l’occhio.
“Spero di sì!” ridacchiò il
figlio. “Istrea e mamma mi hanno insegnato tutto ciò che sanno ma, visto che tu
sei qui e sei bravo a tirar di spada, potresti darmi qualche ripetizione,
quando starai meglio.”
“Lo farò volentieri. Mi fa
piacere sapere che si siano presi cura del tuo addestramento. Non mi sarebbe
piaciuta l’idea di saperti in giro con un ferro del genere, ma senza alcuna
conoscenza base della scherma.”
“Mamma mi avrebbe legato al
letto, piuttosto” ghignò Antalion, figurandosi la scena. “E’ sempre stata
protettiva, specie nei primi anni.”
“Posso immaginarlo” annuì
Aken, meditabondo. “Ricordo Seletta molto bene, e anche lei era molto
protettiva coi suoi ragazzi. Dopotutto, ha dovuto crescerli da sola, e lontano
da tutti.”
Sbirciandolo curioso in
volto, Antalion gli chiese: “Kal e Rally mi hanno detto che li portasti in giro
sulle spalle e giocasti con loro, quando erano piccoli. E’ vero?”
“Sì. Mi piacquero subito, e
mi parve naturale stare con loro mentre la mamma e Seletta chiacchieravano tra
loro. Penso ne avessero entrambe bisogno, come i ragazzi avevano bisogno di passare
qualche tempo con una figura maschile. Se avessimo potuto, saremmo rimasti
maggiormente da loro, ma purtroppo la nostra missione era troppo urgente” gli
spiegò il padre, notando un accenno di gelosia negli occhi del figlio, subito
mitigata da un sorriso.
“Ti ricordano con affetto,
quindi penso che il piacere di conoscerli sia stato reciproco.”
“Mi sarebbe piaciuto fare lo
stesso con te, credimi” sussurrò Aken, allungando una mano per stringergliela.
Antalion restituì la
stretta, sorridendo sghembo. “Devo metterti l’impacco sul ginocchio.”
“Che schifo!” sbottò il
padre, lanciando un’occhiata disgustata alla brocca di legno che conteneva
l’unguento.
“Pensa a me che lo devo spalmare!” sottolineò il
figlio, sogghignando nell’infilare due dita nel contenitore ripieno di
poltiglia nerastra. “Bleah!”
***
Sospirando deliziato, quando la mano di Eikhe risalì
lentamente lungo tutto il suo torace fino a fermarsi, quasi esitante, nei
pressi di un capezzolo, Aken volse il capo sul cuscino e le sorrise malizioso.
“Non sai dove andare, ora?”
“Oh, lo so dove andare, ma non vorrei che ti venisse
voglia di qualcosa che, al momento, non puoi avere” precisò lei, sorridendo
sorniona.
“E perché mai non dovrei averlo? Puoi cavalcarmi
finché vuoi, donna, e io non avrò nulla da ridire” ribatté lui, sollevando
malignamente le sopracciglia mentre un lento sogghigno si dipingeva sul suo
viso.
“Ehm,… Aken, anche volendo, dovresti far forza sulle
gambe e, se non erro, una è piuttosto ammaccata” gli fece notare lei,
giocherellando con i peli del suo petto.
“Tu non mi dai credito, ragazza mia. Pensi che una
semplice gamba ferita possa bloccarmi?” sospirò l’uomo, scuotendo con falsa
mestizia la testa.
A quel punto Eikhe si sollevò su un gomito per
scrutarlo per bene in viso e, notando il suo sguardo più che divertito, storse
la bocca in un ghigno diabolico.
“Vuoi che ti metta alla prova, vero?”
Senza dire nulla, l’uomo la afferrò alla vita,
caricandosela sopra il corpo come se non pesasse nulla.
Sorridendo al suo indirizzo, sentenziò: “Ti sfido a
sfiancarmi, Eikhe.”
“Aken, non hai bisogno di dimostrarmi niente, sai?”
sorrise divertita lei. “So che non hai novant’anni, credimi. Anzi, sono sicura
che mi hai mentito, anni fa, dicendomi di avere venticinque anni. Ora non ne
dimostri affatto quarantuno, ma trenta, giuro. Non uno di più.”
“Non siamo longevi solo nell’età, nella mia famiglia,
sai, piccola?” ridacchiò lui, muovendosi a fatica per districarsi con i lacci
dei pantaloni.
Eikhe rise, divertita dai suoi goffi tentativi di
liberarsi dei calzoni e, messasi in ginocchio per dargli una mano, sgranò
leggermente gli occhi nel vederlo già pronto per lei.
“Beh, mio buon principe, di certo non perdi tempo”
commentò a quel punto, sfiorandolo con una mano.
Sospirando, Aken chiuse gli occhi e sussurrò:
“Cavalcami, mia bella lupa, e rendimi felice.”
“Se domani sarai tutto acciaccato, non dare la colpa a
me. Dopo un simile spettacolo, non mi terrai lontano dal tuo corpo neppure se
tu lo volessi” precisò la compagna, sistemandosi sopra di lui fino ad averlo
dentro di sé.
Con un unico, simultaneo sospiro, chiusero gli occhi
per il piacere e a quel punto Aken, sussurrò roco: “Non ti riterrò
personalmente responsabile della mia salute, domattina.”
“Tienilo bene a mente” ansò lei, iniziando a muoversi.
***
Non fu
esattamente una brillante idea, dare libero sfogo ai suoi desideri.
Quando Eikhe
glielo fece notare, il mattino seguente, sentendolo lamentarsi come un uomo in
punto di morte, Aken non poté prendersela con la sua focosa compagna di letto,
visto quanto promesso solo la notte precedente.
Il fisico, già
provato dal combattimento contro l’orso, non resse bene alla loro notte d’amore
piuttosto movimentata.
Al risveglio, quando
si ritrovò con più dolori che muscoli e ossa disponibili ad accoglierli, Aken
dovette ammettere che, forse, avevano un po’ esagerato.
Naturalmente,
Antalion cercò di non ridere di fronte alla faccia pesta del padre e a quella
rosso fuoco di sua madre.
Per nessun
motivo, nessuno dei due volle scendere in particolari con lui, circa il
peggioramento delle condizioni di salute del padre.
Non che i rumori
della notte precedente lasciassero adito a dubbi.
Erano arrivati
fino all’altro capo della casa, dove si trovava la sua stanza, facendolo
sogghignare contro il cuscino prima di addormentarsi.
In un certo qual
modo, l’idea di sapere i genitori ancora così affiatati, dopo i molti anni di
separazione, gli faceva piacere.
Anche se non lo
rendeva felice vedere il padre così malconcio da non volersi alzare da letto,
se non per espletare i suoi bisogni fisiologici.
L’essere a
conoscenza dei motivi che l’avevano ridotto così, comunque, non poteva che
farlo sorridere.
Di certo, non ne
avrebbe fatto parola con nessuno dei due – non gli erano parsi vogliosi di
parlarne.
Limitandosi,
perciò, a prendersi cura del padre senza aprire bocca in merito, Antalion portò
la colazione ad Aken subito dopo le abluzioni mattutine.
“Quando starai
bene, verrai con me a conoscere i nonni, lo zio e la famiglia di Sendala? Di
solito, durante l’inverno faccio loro visita almeno una volta, assieme a mamma,
e sarebbe carino se venissi anche tu.”
“Sicuro che non
vorranno ammazzarmi, visto che non sono mai stato con voi in questi anni?” sottolineò
Aken, sogghignando all’indirizzo del figlio.
“Mamma ha sempre
detto loro, come a me, che non potevi stare con noi per gravi motivi quindi,
vedendoti e sapendo chi sei, capiranno immediatamente” lo tranquillizzò Antalion,
facendo nel frattempo spallucce come se il problema non esistesse affatto.
“Oppure, mi
ammazzeranno pensando che, in quanto principe, io mi sia semplicemente
approfittato di Eikhe” ipotizzò per contro Aken, sorseggiando un po’ di caffè
bollente.
“Approfittare
della mamma?” lo irrise il figlio, davvero scettico in proposito.
Il padre ci
rimuginò sopra un istante, prima di ridacchiare e convenire con il figlio.
Sì, sarebbe
stato impossibile avere la meglio su Eikhe in quel particolare frangente, a
meno che lei stessa non volesse la stessa cosa.
Una figlia
sacra, a meno di un agguato in grande stile, tale da bloccarla su ogni fronte,
non avrebbe mai potuto essere presa con la forza.
E lui, di certo,
non aveva usato la forza, per farla sua. O lei per farlo suo.
Con una
scrollatina di spalle, Aken acconsentì alla proposta del figlio.
“Quando starò
meglio, e se il tempo lo permetterà, andremo a trovare i nonni e gli zii, va
bene?”
“Grazie” sorrise
lieto Antalion prima di ridacchiare e aggiungere: “Ammesso che tu sopravviva, è
ovvio.”
Sollevando un
sopracciglio con evidente sarcasmo, il padre borbottò: “Non credo siano
affaracci tuoi, figliolo.”
“Se rimango
orfano, sì” ridacchiò lui, schivando di un soffio uno scappellotto giocoso di
Aken. “La parte più divertente, però, sarebbe spiegare i motivi della tua morte!”
“Dovrei pulirti
la bocca col sapone! Tua madre l’ha mai fatto? Dubito” brontolò il padre, ridacchiando
suo malgrado di fronte all’evidente divertimento del figlio. “Ammettilo, che ti
piace avere una famiglia al gran completo.”
Tornando serio, il
ragazzo annuì ed esclamò: “Certo che mi piace! Ma, soprattutto, adoro vedere la
mamma sempre sorridente. E questo è tutto merito tuo.”
Abbozzando un
sorriso, Aken replicò: “Non ti sei accorto che ci somigliamo come due gocce
d’acqua, Antalion? Pensi che fosse facile, per lei, averti accanto ogni momento
della giornata?”
Mordendosi un
labbro con fare pensoso, il ragazzo assentì torvo.
“Le ricordavo te
ogni secondo, eh?”
“Esatto. E visto
che, con mio sommo piacere, tua madre mi ama tanto quanto la amo io, pensi sia
stato facile guardarti tutti i giorni e sapere che non avremmo mai potuto
rincontrarci?”
“No” ammise
Antalion.
“Inoltre,
amandoti come ti ama, per lei era ancora più difficile. Mescolava rimpianto e amore,
ogni qual volta posava lo sguardo su di te” disse sommessamente Aken,
carezzando una guancia del figlio con il dolore negli occhi.
Quanta
sofferenza aveva dovuto patire in silenzio, in quegli anni! Era un autentico
miracolo che Eikhe non avesse finito con l’odiarlo.
“Ma ora che sei
cui, è tutto più facile” asserì speranzoso il ragazzo. “Almeno, fin quando ti
permetteranno di rimanere.”
“Te l’ho detto;
anche se venissero a cercarmi, troveremo il modo di rimanere insieme. Non sono
più disposto ad accettare compromessi, quando si tratta di voi” gli rammentò il
padre, con un tono che non ammetteva repliche. “Ho sacrificato abbastanza della
mia vita, per la corona e per Hevos.”
“Già” ammiccò
Antalion, volgendosi a mezzo nel sentire bussare alla porta della stanza. “Sì?”
“Sono Seletta.
Posso entrare?”
Aprendosi in un
sorriso, Aken la invitò ad entrare e il figlio, immaginando volessero parlare
da soli di vecchi ricordi, li lasciò alle loro chiacchiere portando via gli
unguenti e le fasciature da pulire.
In cucina,
intenta a sistemare un cesto di biscotti sicuramente portato da Seletta,
Antalion si rivolse alla madre.
“Papà è a posto.
C’è altro che posso fare?”
“Fai già anche
troppo” scrollò le spalle Eikhe, sorridendogli. “Perché non vai fuori a
divertirti con i tuoi amici? Tanto, qui in casa è tutto in ordine e papà, di
sicuro, non scapperà da letto molto presto.”
Indeciso sul da
farsi, il ragazzo tornò con lo sguardo al corridoio, che conduceva alle stanze
da letto, restio ad abbandonare casa.
Raggiuntolo con
un sorrisino comprensivo stampato in viso, la madre gli diede una pacca sulla
spalla e disse: “Non se ne andrà, davvero. Non aver paura di lasciarlo per
qualche ora.”
“Ho il terrore
di svegliarmi da un bel sogno, e di non trovarlo più qui” ammise Antalion,
ridacchiando imbarazzato.
“Ci sarà ancora,
quando tornerai, promesso” annuì con convinzione lei, dandogli un buffetto
sulla guancia prima di sospingerlo verso la porta.
Il figlio allora
le sorrise grato e corse via, sbattendo la porta dietro le spalle dopo aver
infilato un pesante giaccone di pelo di bufalo.
Poteva capire
benissimo le paure del figlio, perché erano anche le sue.
Non si illudeva
davvero che la corona lo avrebbe lasciato al suo destino, senza nemmeno provare
a ricondurlo a Rajana, ma sapeva che, almeno per quell’inverno, non avrebbero
corso rischio alcuno.
In primavera,
sarebbe stata tutta un’altra storia.
Istrea,
comunque, le aveva detto che le tribù più a sud, allertate, avevano dato la
loro disponibilità per avvertire Hyo-den, qualora vi fosse stato pericolo.
Questo avrebbe
concesso loro il tempo necessario per approntare un piano di fuga o, quanto
meno, per evitare di essere trovati al villaggio, in modo tale da non mettere a
rischio l’incolumità delle persone presenti.
Certo, non le
piaceva affatto l’idea di scappare come una ladra nella notte, ma non era più
disposta a farsi strappare dalle mani l’amore della sua vita.
Con le unghie e
con i denti, avrebbe lottato per tenersi Aken, anche a costo di sfoderare veramente gli artigli.
Non le piaceva
richiamare la freoha ma, per Aken,
l’avrebbe fatto mille e mille volte.
Lo aveva fatto
un tempo, nel loro viaggio verso Rajana. Lo avrebbe fatto ancora, per scappare
da essa, stavolta.
********************
Ancora un po’ di focolare domestico, per la famiglia di Aken. Ma non dubitate, Arkan non si è dato per vinto. L’inverno, però, è ancora lungo, e lui dovrà pazientare, cosa che però non gli viene molto bene…ihihih