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Autore: Mary P_Stark    12/01/2012    1 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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27.

 

 

 

 

 

Di certo, il rientro di Aken e Antalion al villaggio suscitò scalpore.

E anche un po’ di ansia.

Il successo per quella caccia proficua passò presto in secondo piano, tra le genti del villaggio, quando i presenti si resero conto delle condizioni di salute del principe.

Dopo aver passato più di due ore a cavallo per raggiungere il villaggio, il dolore alla gamba di Aken era decuplicato e, a quel punto, persino scendere di sella avrebbe potuto essere un problema.

Fu ben accetto, quindi, l’arrivo di Kalon e Raltan, i figli di Seletta che, avvisati da alcune donne-lupo della situazione, accorsero subito in aiuto del loro vecchio amico.

Non appena lo videro appollaiato sulla sella del potente stallone, il viso sorridente ma segnato dal dolore - che sembrava voler nascondere a tutti i costi - , i due giovani sorrisero benevolmente.

Ridendo sommessamente, Kalon esordì dicendo: “Beh, tutto mi sarei aspettato tranne che di rivederti qui, principe!”

“Che mi venga un colpo!” esclamò Aken, scoppiando in una grassa risata di cuore. “Vuoi due giganti non potete essere Kalon e Raltan!”

“Eccome se li siamo!” rise a sua volta Raltan, allungando una mano per stringere con calore quella dell’uomo. “Non avrei mai pensato di rincontrarti, principe.”

“Solo Aken, ragazzi” scosse il capo lui, continuando a sorridere ai due giovani che sembravano eguagliarlo in altezza, almeno a un primo esame.

Indicandosi comicamente, domandò loro: “Siete venuti per tirarmi giù di peso?”

“A quanto pare, hai bisogno di questo” dissero quasi in coro i gemelli, posando le robuste mani sui fianchi.

Antalion, nel frattempo, era sceso da cavallo e aveva osservato incuriosito il loro scambio di battute.

“Davvero, li hai conosciuti quando erano piccoli?”

Annuendo, il padre allungò le mani in direzione di Raltan, che lo afferrò saldamente sotto i gomiti. 

Kalon, nel frattempo, passò sul lato opposto della cavalcatura per aiutarlo a scavalcare la sella con la gamba malandata.

“Quanto tua madre e io eravamo di ritorno dal nostro tragico viaggio in direzione di Anok Fort, incontrammo Seletta e questi due bricconi. Ci fermammo da loro per una notte, prima di ripartire per Rajana. Ahia! Vacci piano, Kalon! La gamba la rivorrei intera!”

“E’ di un’altra gamba che ti devi preoccupare, e quella non mi sembra abbia subito danni!” rise per contro il giovane, facendo esplodere in una risata collettiva le poche donne ancora presenti a capannello attorno a loro.

“Dèi, per favore! Usa un linguaggio più consono!” rise suo malgrado il principe, riuscendo in qualche modo a scavalcare la sella prima di crollare quasi di peso contro Raltan. “Ahia… scusa, ragazzo.”

“Nessun problema, Aken” scosse il capo il giovane, avvolgendogli la vita con un braccio, prima di sussurrare: “Oh, oh. Arriva la consorte.”

Impallidendo leggermente non appena vide giungere Eikhe di corsa, lo sguardo accigliato e le sopracciglia arricciate come solo lei sapeva fare, Aken si esibì in un sorriso stentato, mormorando: “Ehm, …ciao.”

La donna lanciò solo un breve, fuggevole sguardo all’orso morto e al figlio, prima di puntare i pugni sui fianchi, fissare malamente Aken e ringhiare: “Ti lascio uscire mezza giornata con nostro figlio, e tu riesci a tornare con le ossa rotte?”

“Non è detto che siano rotte” sottolineò l’uomo, pur non volendo sperimentare davanti a tutti la solidità della sua gamba dolorante.

Kalon e Raltan fecero di tutto per non ridere, mentre le donne si allontanavano più tranquille, sapendo che Eikhe era al corrente di ogni cosa.

Avrebbe pensato lei al suo uomo, a quel punto.

Mordendosi titubante un labbro, Antalion si intromise con voce leggermente tesa e preoccupata. “Mamma, senti,… non è colpa di papà.”

Sobbalzando nel sentirlo parlare a quel modo, Eikhe gli sorrise per un momento – lieta per quel cambiamento apparentemente sentito e voluto – prima di tornare seria e chiedere: “E come dovrebbe essere, caro?”

“Vedi, l’orso mi ha colto di sorpresa e…”

Bloccandosi per un istante in preda all’imbarazzo, il ragazzo si passò una mano tra i capelli, prima di aggiungere: “…insomma, papà lo ha attaccato per difendermi. Solo che, come avrai potuto notare, è un tantino più grosso di noi e…”

Cominciando a comprendere dove volesse andare a parare il discorso balbettante del figlio, Eikhe si avvicinò lesta a lui e poggiò delicatamente le mani sulle guance di Antalion.

Abbozzando un sorriso, il figlio esalò: “E’ successo.”

“Oh, tesoro mio” sussurrò la madre, avvolgendolo in un abbraccio consolatorio.

“Finché papà stava combattendo non è successo nulla, perché sapevo che non era in relativo pericolo ma, quando l’orso l’ha gettato a terra, io… ho visto tutto rosso e…” ansò Antalion, stringendosi alla madre prima di sussurrare tra i suoi capelli: “… non volevo che lo uccidesse, mamma. Non volevo perdere mio padre.”

“Lo, so, tesoro, lo so. Succede a tutti coloro che hanno il Marchio di Hevos. Solo, speravo di essere presente per assisterti, quando fosse avvenuto” gli spiegò gentilmente lei, baciandolo sulle guance prima di sorridergli orgogliosa.

Volgendo lo sguardo a scrutare il padre, ancora sorretto dall’amico Raltan, Antalion ritrovò il sorriso replicando: “Papà è stato bravo. Sapeva cosa mi stava succedendo, e mi è stato vicino.”

“Vorrà dire che lo scuserò, se si è rotto la gamba” commentò a quel punto Eikhe, sorridendogli fiera.

Con aria complice, Kalon si piegò nella sua direzione per sussurrare: “Ti sei salvato il tuo posto nel letto, amico.”

“E tu devi darti una regolata nel parlare. Ma sei sempre così a senso unico, tu?” esalò Aken, ridacchiando nell’osservare l’aria comica stampata sul volto del giovane al suo fianco.

Sospirando nello scuotere il capo con aria falsamente afflitta, Raltan chiosò: “Di certo, in questo villaggio non mancheranno mai figli.”

“Che intendi dire?” chiese vagamente sconvolto l’uomo, fissando a occhi sgranati Kalon che, nel frattempo, stava ridacchiando divertito.

Eikhe gli si avvicinò con un sorrisino sulle labbra e, baciato Aken sulle labbra, asserì: “Il  nostro caro Kalon ha già tre figli, qui nel villaggio, e da tre madri diverse. Si è reso più che disponibile per tutte coloro che non volevano un compagno fisso, ma solo un pargolo da crescere, esattamente come prevede la vecchia legge delle donne-lupo.”

“Oh. Santo. Cielo” sillabò Aken, molto più che sorpreso.

“Andiamo, amico… non ti sembra ingiusto che il mio indubbio fascino sia esclusività di una sola donna, quando posso accontentarne tante, avendo pure la certezza che non sono neppure gelose le une delle altre?” gli fece notare Kalon, strizzandogli l’occhio. “Inoltre, adoro i miei figli, e mi prodigo allo spasimo per loro. Sono un papà eccezionale.”

“E un montato pieno di sé, ma questo lasciamolo da parte” aggiunse con ironia Raltan, sorridendo divertito al fratello.

“Tu, invece, Rally, sei anche troppo modesto. Ci sono un sacco di ragazze che farebbero carte false, per te, e tu non ci senti neppure, da quell’orecchio” brontolò bonariamente Kalon, sussurrando poi cospiratorio con Aken. “Il ragazzo si vuole mantenere puro per una sola donna, pare.”

“Non fa male” asserì l’uomo, scrollando le spalle.

“Già, ma…”

Interrompendo sul nascere la discussione, Eikhe dichiarò perentoria: “Continuerete questa interessante conversazione dentro casa. Io, nel frattempo, andrò a cercare Vesthe perché gli controlli la ferita.”

“Come? Vesthe?” esalò Aken, sobbalzando per la sorpresa. “Vesthe è qui?”

“Sì” assentì la compagna, prima di ricordare un particolare e sorridere. “Mi portò i tuoi ringraziamenti per ciò che avevo fatto per il regno, se può farti piacere saperlo.”

“Ehm… sì. Certo che ne sono felice” assentì lui, accennando un sorrisino.

Accigliandosi appena, Eikhe domandò: “C’è altro che devo sapere, riguardo alla vostra conoscenza durante la guerra?”

“Diciamo che è stata la mia ombra durante tutto il periodo e…” tentennò Aken, lappandosi nervosamente le labbra, non sapendo esattamente cosa dire.

“E…” lo incitò Eikhe con un gesto voluttuoso della mano.

“Beh, ecco, possiamo dire che, finalmente, potrà vedermi una buona porzione di pelle, come voleva lei” sospirò l’uomo, facendo sorridere la compagna. “Portatemi dentro, prima di ammettere altre cose imbarazzanti.”

Facendo tanto d’occhi, Eikhe scoppiò a ridere subito dopo, incamminandosi divertita lungo la via e sussurrando tra sé: “Questa voglio proprio saperla.”

“Sei nei guai, amico” chiosò Kalon, sogghignando.

Aken preferì non dire nulla. E sperò che anche Vesthe fosse di quell’avviso.

***

Quando mai le donne stanno zitte? Non in quell’universo, di sicuro.

Vesthe non solo raccontò a Eikhe della loro amicizia, nata e cresciuta durante la guerra – tristemente interrotta una volta terminato il conflitto – ma anche della sua interessante quanto imbarazzante richiesta.

Eikhe non parve esserne particolarmente colpita, o quanto meno, non le parve offesa, quando  rientrò a casa assieme alla donna che, a quanto pareva, era anche il medico del villaggio.

Osservandola con attenzione, mentre Vesthe gli controllava scrupolosamente il ginocchio gonfio e il fianco ammaccato e ormai violaceo, Aken le sfiorò una mano con la propria, sussurrando: “Tutto bene?”

“Ma certo, perché?” gli chiese lei, scrutando a momenti alterni il viso di Aken e quello concentrato di Vesthe.

Antalion e i figli di Seletta stavano attendendo in salotto di avere notizie mentre, fuori dalla casa, un piccolo capannello di gente si era riunito spontaneamente per sapere delle condizioni del compagno di Eikhe.

Indicando con un cenno del capo la donna che lo stava visitando, Aken sussurrò: “Sì, insomma, per quello che ti ha detto.”

La compagna si limitò a sorridere benevola.

“Non mi turba affatto, Aken, anzi, mi lusinga che un’altra donna ti abbia guardato con interesse. E mi lusinga ancora di più il fatto che tu abbia rifiutato la sua richiesta. Significa che mi sei stato fedele sempre, anche di fronte a un invito del tutto privo di controindicazioni.”

Voltandosi un momento per sorridere al suo paziente, Vesthe disse divertita: “Era così imbarazzato, quando gliel’ho chiesto! E si vedeva lontano un miglio che, nella sua testa, c’era solo una donna a cui avrebbe concesso volentieri quel favore.”

“Hai sempre dimostrato buon gusto, Vesthe” ridacchiò Eikhe, carezzando gentilmente la chioma corvina del compagno.

“Farò sempre un po’ fatica a capirvi ma, se non sei offesa, va bene” si rassegnò a quel punto Aken, sorridendole più tranquillo.

Un attimo dopo, lanciò un’imprecazione degna di uno scaricatore di porto, subito seguita dalla risatina di Vesthe e lo sguardo preoccupato della compagna che, turbata, esalò: “Che succede?”

“Qui, abbiamo una contusione al ginocchio, mio caro principe” sentenziò il medico, piegandosi sulla borsa dei medicinali per estrarne un sacchetto di pelle nera. “Dovrai tenere la gamba sollevata per almeno due settimane, e fare degli impacchi di ghiaccio alternandoli a spugnature con foglie di elegor imbevute nell’olio. Il fianco è a posto, dovrai solo massaggiarlo con un composto antidolorifico. E la caviglia è solo un po’ gonfia, ma non c’è niente di rotto. Spunterà sicuramente un livido anche lì, ma non c’è da preoccuparsi.”

“Ottimo” brontolò Aken, guardando la propria gamba nuda, e ricoperta da lieve peluria nera, con il desiderio pressante di prenderla a sprangate.

Non che avrebbe risolto molto, ma si sentiva vagamente idiota, in quel momento.

Comprensiva, Eikhe gli disse: “Non devi arrabbiarti, Aken. Poteva capitare a chiunque. Inoltre, per difendere tuo figlio, non ti saresti anche tagliato un braccio?”

“Ovvio!” esclamò l’uomo, prima di aprirsi in un sorriso tronfio e aggiungere: “Hai sentito, il ragazzo?”

“Sì, ho sentito. E’ molto orgoglioso del suo papà” rise la compagna, chinandosi a baciarlo su una guancia. “Vado a dire ai ragazzi che possono entrare. Io, intanto, mi prenderò un caffè con la nostra dottoressa e mi farò raccontare tutte le tue prodezze di guerra.”

“Sii brava, Vesthe, mi raccomando!” la pregò gentilmente Aken, vedendola sghignazzare.

“Ovviamente, principe” promise lei, ammiccando divertita.

L’uomo non si sentì per nulla confortato da quella promessa.

Un attimo dopo l’uscita delle due donne, entrarono di corsa il figlio e i ragazzi di Seletta e, della parola data da Vesthe, Aken non si preoccupò più.

Dopotutto, se Eikhe non si era arrabbiata per la proposta di Vesthe, non si sarebbe neppure infuriata per il suo modo, a volte un po’ troppo avventuriero, di combattere.

***

Quasi mezzo villaggio si presentò alle porte della casa di Eikhe per sapere di Aken, e augurargli una pronta guarigione.

Fu solo verso sera che l’abitazione tornò finalmente quieta e tranquilla, e il principe poté dedicarsi a una cosa che gli stava decisamente a cuore.

Sorridendo soddisfatto nel saggiare sulle mani la spada del figlio, poggiò il piatto della lama su un dito e la guardò bilanciarsi perfettamente.

L’artigiano che l’aveva forgiata aveva dato il massimo, con quell’arma.

Pomolo e lama erano perfette mentre l’elsa, ricavata da un unico blocco di osso sapientemente lavorato, era stata intagliata per l’uso esclusivo della mano del figlio.

Sulla guardia di acciaio temprato, invece, era stato inciso in negativo il suo nome con caratteri eleganti e rotondeggianti.

Passando con attenzione un dito sul piatto della lama a doppio filo, ne saggiò la superficie perfettamente liscia e lavorata con sapiente cura.

Sfiorò con un mezzo sorriso la rotondeggiante ambra incastonata proprio accanto alla guardia della spada, simbolo sicuramente dei Marchiati da Hevos.

“E’ un oggetto davvero prezioso. Te l’ha presa la mamma?” chiese a quel punto Aken, restituendola al figlio perché la riponesse nel fodero di cuoio.

“Il nonno. La comprò da un armaiolo di Marhna per il mio quattordicesimo compleanno” gli spiegò succintamente Antalion.

 “Sei anche capace di usarla come merita?” lo irrise bonariamente il padre, strizzandogli l’occhio.

“Spero di sì!” ridacchiò il figlio. “Istrea e mamma mi hanno insegnato tutto ciò che sanno ma, visto che tu sei qui e sei bravo a tirar di spada, potresti darmi qualche ripetizione, quando starai meglio.”

“Lo farò volentieri. Mi fa piacere sapere che si siano presi cura del tuo addestramento. Non mi sarebbe piaciuta l’idea di saperti in giro con un ferro del genere, ma senza alcuna conoscenza base della scherma.”

“Mamma mi avrebbe legato al letto, piuttosto” ghignò Antalion, figurandosi la scena. “E’ sempre stata protettiva, specie nei primi anni.”

“Posso immaginarlo” annuì Aken, meditabondo. “Ricordo Seletta molto bene, e anche lei era molto protettiva coi suoi ragazzi. Dopotutto, ha dovuto crescerli da sola, e lontano da tutti.”

Sbirciandolo curioso in volto, Antalion gli chiese: “Kal e Rally mi hanno detto che li portasti in giro sulle spalle e giocasti con loro, quando erano piccoli. E’ vero?”

“Sì. Mi piacquero subito, e mi parve naturale stare con loro mentre la mamma e Seletta chiacchieravano tra loro. Penso ne avessero entrambe bisogno, come i ragazzi avevano bisogno di passare qualche tempo con una figura maschile. Se avessimo potuto, saremmo rimasti maggiormente da loro, ma purtroppo la nostra missione era troppo urgente” gli spiegò il padre, notando un accenno di gelosia negli occhi del figlio, subito mitigata da un sorriso.

“Ti ricordano con affetto, quindi penso che il piacere di conoscerli sia stato reciproco.”

“Mi sarebbe piaciuto fare lo stesso con te, credimi” sussurrò Aken, allungando una mano per stringergliela.

Antalion restituì la stretta, sorridendo sghembo. “Devo metterti l’impacco sul ginocchio.”

“Che schifo!” sbottò il padre, lanciando un’occhiata disgustata alla brocca di legno che conteneva l’unguento.

“Pensa a me che lo devo spalmare!” sottolineò il figlio, sogghignando nell’infilare due dita nel contenitore ripieno di poltiglia nerastra. “Bleah!”

***

Sospirando deliziato, quando la mano di Eikhe risalì lentamente lungo tutto il suo torace fino a fermarsi, quasi esitante, nei pressi di un capezzolo, Aken volse il capo sul cuscino e le sorrise malizioso.

“Non sai dove andare, ora?”

“Oh, lo so dove andare, ma non vorrei che ti venisse voglia di qualcosa che, al momento, non puoi avere” precisò lei, sorridendo sorniona.

“E perché mai non dovrei averlo? Puoi cavalcarmi finché vuoi, donna, e io non avrò nulla da ridire” ribatté lui, sollevando malignamente le sopracciglia mentre un lento sogghigno si dipingeva sul suo viso.

“Ehm,… Aken, anche volendo, dovresti far forza sulle gambe e, se non erro, una è piuttosto ammaccata” gli fece notare lei, giocherellando con i peli del suo petto.

“Tu non mi dai credito, ragazza mia. Pensi che una semplice gamba ferita possa bloccarmi?” sospirò l’uomo, scuotendo con falsa mestizia la testa.

A quel punto Eikhe si sollevò su un gomito per scrutarlo per bene in viso e, notando il suo sguardo più che divertito, storse la bocca in un ghigno diabolico.

“Vuoi che ti metta alla prova, vero?”

Senza dire nulla, l’uomo la afferrò alla vita, caricandosela sopra il corpo come se non pesasse nulla.

Sorridendo al suo indirizzo, sentenziò: “Ti sfido a sfiancarmi, Eikhe.”

“Aken, non hai bisogno di dimostrarmi niente, sai?” sorrise divertita lei. “So che non hai novant’anni, credimi. Anzi, sono sicura che mi hai mentito, anni fa, dicendomi di avere venticinque anni. Ora non ne dimostri affatto quarantuno, ma trenta, giuro. Non uno di più.”

“Non siamo longevi solo nell’età, nella mia famiglia, sai, piccola?” ridacchiò lui, muovendosi a fatica per districarsi con i lacci dei pantaloni.

Eikhe rise, divertita dai suoi goffi tentativi di liberarsi dei calzoni e, messasi in ginocchio per dargli una mano, sgranò leggermente gli occhi nel vederlo già pronto per lei.

“Beh, mio buon principe, di certo non perdi tempo” commentò a quel punto, sfiorandolo con una mano.

Sospirando, Aken chiuse gli occhi e sussurrò: “Cavalcami, mia bella lupa, e rendimi felice.”

“Se domani sarai tutto acciaccato, non dare la colpa a me. Dopo un simile spettacolo, non mi terrai lontano dal tuo corpo neppure se tu lo volessi” precisò la compagna, sistemandosi sopra di lui fino ad averlo dentro di sé.

Con un unico, simultaneo sospiro, chiusero gli occhi per il piacere e a quel punto Aken, sussurrò roco: “Non ti riterrò personalmente responsabile della mia salute, domattina.”

“Tienilo bene a mente” ansò lei, iniziando a muoversi.

***

Non fu esattamente una brillante idea, dare libero sfogo ai suoi desideri.

Quando Eikhe glielo fece notare, il mattino seguente, sentendolo lamentarsi come un uomo in punto di morte, Aken non poté prendersela con la sua focosa compagna di letto, visto quanto promesso solo la notte precedente.

Il fisico, già provato dal combattimento contro l’orso, non resse bene alla loro notte d’amore piuttosto movimentata.

Al risveglio, quando si ritrovò con più dolori che muscoli e ossa disponibili ad accoglierli, Aken dovette ammettere che, forse, avevano un po’ esagerato.

Naturalmente, Antalion cercò di non ridere di fronte alla faccia pesta del padre e a quella rosso fuoco di sua madre.

Per nessun motivo, nessuno dei due volle scendere in particolari con lui, circa il peggioramento delle condizioni di salute del padre.

Non che i rumori della notte precedente lasciassero adito a dubbi.

Erano arrivati fino all’altro capo della casa, dove si trovava la sua stanza, facendolo sogghignare contro il cuscino prima di addormentarsi.

In un certo qual modo, l’idea di sapere i genitori ancora così affiatati, dopo i molti anni di separazione, gli faceva piacere.

Anche se non lo rendeva felice vedere il padre così malconcio da non volersi alzare da letto, se non per espletare i suoi bisogni fisiologici.

L’essere a conoscenza dei motivi che l’avevano ridotto così, comunque, non poteva che farlo sorridere.

Di certo, non ne avrebbe fatto parola con nessuno dei due – non gli erano parsi vogliosi di parlarne.

Limitandosi, perciò, a prendersi cura del padre senza aprire bocca in merito, Antalion portò la colazione ad Aken subito dopo le abluzioni mattutine.

“Quando starai bene, verrai con me a conoscere i nonni, lo zio e la famiglia di Sendala? Di solito, durante l’inverno faccio loro visita almeno una volta, assieme a mamma, e sarebbe carino se venissi anche tu.”

“Sicuro che non vorranno ammazzarmi, visto che non sono mai stato con voi in questi anni?” sottolineò Aken, sogghignando all’indirizzo del figlio.

“Mamma ha sempre detto loro, come a me, che non potevi stare con noi per gravi motivi quindi, vedendoti e sapendo chi sei, capiranno immediatamente” lo tranquillizzò Antalion, facendo nel frattempo spallucce come se il problema non esistesse affatto.

“Oppure, mi ammazzeranno pensando che, in quanto principe, io mi sia semplicemente approfittato di Eikhe” ipotizzò per contro Aken, sorseggiando un po’ di caffè bollente.

“Approfittare della mamma?” lo irrise il figlio, davvero scettico in proposito.

Il padre ci rimuginò sopra un istante, prima di ridacchiare e convenire con il figlio.

Sì, sarebbe stato impossibile avere la meglio su Eikhe in quel particolare frangente, a meno che lei stessa non volesse la stessa cosa.

Una figlia sacra, a meno di un agguato in grande stile, tale da bloccarla su ogni fronte, non avrebbe mai potuto essere presa con la forza.

E lui, di certo, non aveva usato la forza, per farla sua. O lei per farlo suo.

Con una scrollatina di spalle, Aken acconsentì alla proposta del figlio.

“Quando starò meglio, e se il tempo lo permetterà, andremo a trovare i nonni e gli zii, va bene?”

“Grazie” sorrise lieto Antalion prima di ridacchiare e aggiungere: “Ammesso che tu sopravviva, è ovvio.”

Sollevando un sopracciglio con evidente sarcasmo, il padre borbottò: “Non credo siano affaracci tuoi, figliolo.”

“Se rimango orfano, sì” ridacchiò lui, schivando di un soffio uno scappellotto giocoso di Aken. “La parte più divertente, però, sarebbe spiegare i motivi della tua morte!”

“Dovrei pulirti la bocca col sapone! Tua madre l’ha mai fatto? Dubito” brontolò il padre, ridacchiando suo malgrado di fronte all’evidente divertimento del figlio. “Ammettilo, che ti piace avere una famiglia al gran completo.”

Tornando serio, il ragazzo annuì ed esclamò: “Certo che mi piace! Ma, soprattutto, adoro vedere la mamma sempre sorridente. E questo è tutto merito tuo.”

Abbozzando un sorriso, Aken replicò: “Non ti sei accorto che ci somigliamo come due gocce d’acqua, Antalion? Pensi che fosse facile, per lei, averti accanto ogni momento della giornata?”

Mordendosi un labbro con fare pensoso, il ragazzo assentì torvo.

“Le ricordavo te ogni secondo, eh?”

“Esatto. E visto che, con mio sommo piacere, tua madre mi ama tanto quanto la amo io, pensi sia stato facile guardarti tutti i giorni e sapere che non avremmo mai potuto rincontrarci?”

“No” ammise Antalion.

“Inoltre, amandoti come ti ama, per lei era ancora più difficile. Mescolava rimpianto e amore, ogni qual volta posava lo sguardo su di te” disse sommessamente Aken, carezzando una guancia del figlio con il dolore negli occhi.

Quanta sofferenza aveva dovuto patire in silenzio, in quegli anni! Era un autentico miracolo che Eikhe non avesse finito con l’odiarlo.

“Ma ora che sei cui, è tutto più facile” asserì speranzoso il ragazzo. “Almeno, fin quando ti permetteranno di rimanere.”

“Te l’ho detto; anche se venissero a cercarmi, troveremo il modo di rimanere insieme. Non sono più disposto ad accettare compromessi, quando si tratta di voi” gli rammentò il padre, con un tono che non ammetteva repliche. “Ho sacrificato abbastanza della mia vita, per la corona e per Hevos.”

“Già” ammiccò Antalion, volgendosi a mezzo nel sentire bussare alla porta della stanza. “Sì?”

“Sono Seletta. Posso entrare?”

Aprendosi in un sorriso, Aken la invitò ad entrare e il figlio, immaginando volessero parlare da soli di vecchi ricordi, li lasciò alle loro chiacchiere portando via gli unguenti e le fasciature da pulire.

In cucina, intenta a sistemare un cesto di biscotti sicuramente portato da Seletta, Antalion si rivolse alla madre.

“Papà è a posto. C’è altro che posso fare?”

“Fai già anche troppo” scrollò le spalle Eikhe, sorridendogli. “Perché non vai fuori a divertirti con i tuoi amici? Tanto, qui in casa è tutto in ordine e papà, di sicuro, non scapperà da letto molto presto.”

Indeciso sul da farsi, il ragazzo tornò con lo sguardo al corridoio, che conduceva alle stanze da letto, restio ad abbandonare casa.

Raggiuntolo con un sorrisino comprensivo stampato in viso, la madre gli diede una pacca sulla spalla e disse: “Non se ne andrà, davvero. Non aver paura di lasciarlo per qualche ora.”

“Ho il terrore di svegliarmi da un bel sogno, e di non trovarlo più qui” ammise Antalion, ridacchiando imbarazzato.

“Ci sarà ancora, quando tornerai, promesso” annuì con convinzione lei, dandogli un buffetto sulla guancia prima di sospingerlo verso la porta.

Il figlio allora le sorrise grato e corse via, sbattendo la porta dietro le spalle dopo aver infilato un pesante giaccone di pelo di bufalo.

Poteva capire benissimo le paure del figlio, perché erano anche le sue.

Non si illudeva davvero che la corona lo avrebbe lasciato al suo destino, senza nemmeno provare a ricondurlo a Rajana, ma sapeva che, almeno per quell’inverno, non avrebbero corso rischio alcuno.

In primavera, sarebbe stata tutta un’altra storia.

Istrea, comunque, le aveva detto che le tribù più a sud, allertate, avevano dato la loro disponibilità per avvertire Hyo-den, qualora vi fosse stato pericolo.

Questo avrebbe concesso loro il tempo necessario per approntare un piano di fuga o, quanto meno, per evitare di essere trovati al villaggio, in modo tale da non mettere a rischio l’incolumità delle persone presenti.

Certo, non le piaceva affatto l’idea di scappare come una ladra nella notte, ma non era più disposta a farsi strappare dalle mani l’amore della sua vita.

Con le unghie e con i denti, avrebbe lottato per tenersi Aken, anche a costo di sfoderare veramente gli artigli.

Non le piaceva richiamare la freoha ma, per Aken, l’avrebbe fatto mille e mille volte.

Lo aveva fatto un tempo, nel loro viaggio verso Rajana. Lo avrebbe fatto ancora, per scappare da essa, stavolta.


 

 
 
********************
Ancora un po’ di focolare domestico, per la famiglia di Aken. Ma non dubitate, Arkan non si è dato per vinto. L’inverno, però, è ancora lungo, e lui dovrà pazientare, cosa che però non gli viene molto bene…ihihih
  
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