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Autore: _Nica89_    12/01/2012    1 recensioni
Fanfiction già pubblicata sul forum "Elisa di Rivombrosa" sotto il titolo di "Voglia di sognare, la mia Elisa di Rivombrosa", riveduta e corretta. Ambientata sei anni dopo il "famoso" giorno di Natale e l'agguato al conte Ristori. Elisa non è mai partita per Napoli, e la tenuta è ancora gravata dai debiti. Riuscirà a salvare la sua casa?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando Emilia scese dalla carrozza, di fronte all’imponente entrata, diversi occhi si posarono su di lei. Per tutta risposta, la ragazza si strinse maggiormente nel mantello da viaggio, quasi a nascondersi e, a capo basso percorse la scalinata principale. All’interno cercò ancora una volta il cugino, che però non sembrava presente. Incerta sul da farsi cercò qualcuno a cui chiedere.

“Mi scusi signore, sto cercando il conte Ristori, sapete dirmi dove posso trovarlo?” domandò timidamente a un capitano dall’aria seria.
“Sono spiacente signorina, ma non sono concesse visite a quest’ora” fu la risposta dell’uomo.
“Ma sono sua cugina. Ho bisogno di parlare col conte Martino Ristori, è importante”ribatté Emilia alzando la voce, attirando su di sé l’attenzione di alcune giovani reclute che la guardarono, prima di allontanarsi velocemente, per poter assistere a quel divertente diversivo, senza però incappare nell’ira del capitano, un tipo piuttosto imprevedibile.
“Non mi interessa chi voi siate, non si ricevono visite dopo le cinque del pomeriggio. Queste sono le regole, e tali regole sono valevoli che voi siate la regina di Francia o la nuova ragazza della sala da gioco di Parigi, e ora andatevene”. Così dicendo, e senza troppi complimenti, l’accompagnò fino alla porta principale, per poi tornarsene ai suoi impegni. La ragazza, offesa e smarrita, era rimasta immobile a fissare la porta davanti a sé, con le lacrime agli occhi, lottando contro sé stessa per non scoppiare a piangere e dare ancora più spettacolo di quanto non avesse già fatto. Si era quasi data per vinta, quando un ragazzo l’avvicinò.
“Signorina, ho sentito che stavate cercando il conte Ristori”.
“Lo conoscete?”
“Non intimamente, ma se volete posso accompagnarvi da lui, anche se in questi giorni rimane spesso chiuso nella sua camera, senza far avvicinare nessuno”.
“Ve ne sarei grata, signor …” iniziò Emilia, rendendosi conto di non conoscere il nome del suo interlocutore.
“Chiamatemi semplicemente François, signorina Ristori” le rispose il giovane esibendosi in un baciamano piuttosto singolare, che strappò un sorriso alla ragazza. Durante il breve tragitto il ragazzo le raccontò di come aveva conosciuto il conte, e di come lo ammirasse. La marchesina rimase in silenzio per tutto il tempo, incerta se seguire quello strano giovane, o scapparne a gambe levate, ma prima che riuscisse a porre fine a quel suo dissidio interiore, il ragazzo si fermò davanti ad una porta, anonima come tutte le altre, alla quale bussò, solo dopo aver fatto promettere alla ragazza di attendere di essere annunciata.
Martino non rispose, rimanendo immobile alla finestra, osservando il grande parco. La giovane recluta non si arrese, e dopo aver bussato nuovamente, aprì la porta.
“Perdonate signore, ma avete visite.”
“François, avevo chiesto di non essere disturbato, e soprattutto pensate che non sappia che l’orario delle visite è già scaduto?- domandò seccato- di solito non utilizzate tali sotterfugi per venirmi a parlare, e vi sarei grato che quantomeno aspettasse un mio ordine prima di entrare” lo rimproverò prima di voltarsi verso di lui, rivelando tutto il suo disappunto per l’agire del ragazzo. Ma il suo voltò mutò presto espressione, vedendo alle spalle del ragazzo sua cugina. Emilia non resistette oltre e gli corse incontro. Martino la sollevò da terra e le fece fare un giro completo prima di riadagiarla al suolo, stringerla a sé, e ricoprire il suo volto di baci, fino a baciarle le labbra.
“Emilia, quanto mi sei mancata! Sono stato uno stupido!” esclamò sulle sue labbra prima di baciarla nuovamente. Ma il loro idillio venne interrotto prima da alcuni colpi di tosse del giovane spettatore, poi, da un improvviso mancamento di Emilia.
“François, aiutami ti prego. Toglile il mantello, sistema quei cuscini sulla spalliera del letto, e vai a chiamare il medico di guardia”. Il giovane eseguì i comandi, e presto Emilia si trovò semi-sdraiata sul letto, col corpetto slacciato, in modo che potesse prendere aria più agevolmente. Quando, poco dopo, il medico apparve nella stanza, Emilia aveva appena ripreso conoscenza.
“Martino, devo avvertire Elisa. È alla locanda poco distante dall’accademia, insieme a Fabrizio …  so che non lo vuoi vedere, ma ti spiegherò tutto più tardi”. Iniziò la ragazza.
“Non ti preoccupare, me ne occupo io” la rassicurò il ragazzo, prima che il medico lo facesse uscire dalla stanza, per poter visitare la ragazza.
 Martino prese dal cassetto l’occorrente per scrivere un biglietto alla madre. Quando ebbe finito di scrivere quelle poche righe, che gli costarono un notevole sforzo, chiese a un ufficiale di recapitare la lettera. E lui rimase di fronte alla sua camera, in compagnia della giovane recluta, che cercava di rassicurarlo.
“Non ero così preoccupato, nemmeno quando nacque mio cugino!” sbottò il conte italiano, continuando a misurare con grandi passi il corridoio.
“Ma avete visto anche voi che si è ripresa” gli fece osservare l’altro.
“Sì ma il medico è ancora con lei in quella stanza, e la cosa sta iniziando ad innervosirmi.”
“Se siete così agitato ora, non vorrei starvi vicino quando darà alla luce un vostro erede, signore” cercò di sdrammatizzare. Martino lo fulminò con lo sguardo.
“François, cosa state dicendo?” domandò severo.
“Perdonatemi, ma dal momento che siete promessi, credevo che, dopo il vostro matrimonio …” balbettò in cerca di una scusa.
“Non siamo promessi” si lasciò sfuggire il conte, ma la conversazione tra i due venne interrotta dalla porta che si aprì dalla quale uscì il medico.
“Dottore come sta?” domandò Martino, impedendogli quasi di varcare l’uscio.
“Non posso dirvi molto. È stata vostra cugina stessa a impedirmi di parlarvi più del necessario. Ma non preoccupatevi, sta bene. È molto debole a causa del lungo viaggio e ha bisogno di riposarsi. Se posso permettermi sconsiglierei di farla agitare e sarebbe prudente anche ridurre i viaggi in carrozza. Se la ragazza se la sentisse, delle passeggiate all’aria aperta potrebbero aiutare, ma badate sempre che non si stanchi troppo, e niente emozioni violente, se potete evitargliele. Più di questo non posso dirvi.”
“Grazie dottore, posso entrare?”
“Sarebbe meglio aspettare che si sia assopita. Ho già spiegato anche a lei l’importanza del riposare.”
“Ho capito dottore, vi ringrazio”. L’uomo non fece neppure in tempo ad allontanarsi che il giovane conte entrò nella sua camera.
Martino si chiuse la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile; gli sembrava così strano rivivere quel momento, ma almeno per una volta non era andato dalla cugina per scusarsi, non di una litigata per lo meno. Emilia era distesa sotto le coperte, la testa rivolta verso la porta, il cugino le si avvicinò e si sedette su una poltrona vicino al letto.  Continuava ad osservare la ragazza addormentata: in tutto quel tempo trascorso separati aveva dimenticato quanto fosse bella: i capelli scuri, leggermente arruffati contrastavano con la pelle di porcellana, forse un po’ troppo chiara per una ragazza nel pieno delle forze. Senza pensarci il ragazzo sfiorò delicatamente i tratti del volto della cugina, lei si mosse appena, troppo stanca per svegliarsi. Il giovane conte ritirò la mano, temendo di averla disturbata, ma notando il suo respiro profondo e regolare si tranquillizzò e continuò ad osservarla dormire, immaginando il loro futuro insieme, finché non cadde, a sua volta, addormentato sulla poltrona.
Il mattino seguente alcuni raggi del sole colpirono proprio il volto del futuro sottoufficiale, che infastidito da quel brusco risveglio, si stiracchiò sulla poltrona, massaggiandosi il collo indolenzito, a causa dello scomodo letto. Il broncio del ragazzo durò poco: infatti, non appena vide davanti a lui gli occhi castani della cugina, un dolce sorriso gli affiorò sulle labbra.
“Perdonami, ti ho rubato il letto …” lo salutò la ragazza, facendo forza sulle braccia per portarsi a sedere.
“Non devi scusarti, Emilia … e poi un vero soldato è abituato a difficoltà ben peggiori, di una bella fanciulla che gli sottrae il letto …” sorrise, facendo arrossire la cugina, per poi ridiventare serio:
“Tu piuttosto come ti senti?”
“Meglio, grazie … ma devo parlarti, è importante …” iniziò Emilia, prendendo per una mano il cugino e invitandolo a sedersi vicino a lei sul letto.
“Anch’io devo dirti una cosa importante … - iniziò un po’ impacciato, cercando di fissare la ragazza negli occhi - in realtà è più una richiesta …”continuò, ma la cugina lo interruppe di nuovo.
“Davvero?” domandò con voce insicura.
“Non preoccuparti, non è nulla di così terribile … almeno spero – cercò di alleggerire la tensione che era calata – Per prima cosa perdonami, non avrei mai dovuto lasciarti. Mi sembrava di impazzire, ma allo stesso tempo avevo paura di scriverti, paura di farti soffrire – si allontanò dal letto e tirò fuori dal cassettino di uno scrittoio alcuni fogli, accuratamente ripiegati e tenuti insieme da un nastro di stoffa, che consegnò alla ragazza-  sono tutte le lettere che mi hai scritto in questi due mesi. Vivevo nell’attesa di ricevere tue notizie, e ogni giorno che passava senza ricevere posta da Rivombrosa, mi maledicevo per non averti scritto a mia volta. Temevo che tu ti fossi stancata di mandarmi tue notizie senza mai riceverne di mie.  Ogni volta che tentavo di scriverti, mi accorgevo di non avere risposte per le domande che mi ponevi, così abbandonavo i miei propositi e speravo che tu non facessi altrettanto. Ora ho finalmente capito cosa desidero veramente; ma ho bisogno che sia tu a rispondermi …” così dicendo riprese le mani della ragazza tra le sue, e face per inginocchiarsi, ma Emilia le ritirò, impedendogli di terminare la sua domanda.
“Martino, ti prego perdonami, ma non pormi quella domanda, almeno non prima di sapere tutta la storia, voglio essere sincera con te, e non voglio che tu possa un giorno pentirti di non aver saputo la verità prima di scegliere la tua vita”. Il ragazzo la fissò senza capire il ragionamento che la giovane stava tentando di spiegare:
“ Una volta che saprai tutto, allora, sarai libero di pormi qualunque richiesta tu voglia, ma non prima”.  
“Emilia non capisco …” ammise il ragazzo. La marchesina prese un profondo respiro prima di iniziare a parlare, cercando di scegliere le parole più adatte.
“Vedi Martino … ti ho fermato, perché in realtà, ho già ricevuto quel tipo di proposta … - gli occhi del cugino sembrarono diventare di ghiaccio a quell’affermazione, il suo volto era diventato più teso, ed Emilia faticava a continuare - è stato il principe di Montesanto a chiedermi in sposa” riuscì ad ammettere con un filo di voce. A quelle parole la rabbia di Martino divenne incontrollabile, e il ragazzo si lasciò sfuggire uno scatto d’ira.
“Sapevo che quell’uomo ti era troppo vicino. Sono stato uno stupido! Un amico, un salvatore! E io che gli ho anche chiesto di starti vicino mentre non avrei potuto farlo! Ora capisco le sue parole, le sue rassicurazioni! ‘non dubitate signor conte’ faceva l’amico sincero, solo per avvicinarsi a te!” si sfogò il ragazzo, alzando sempre più il tono di voce.
“Martino ti prego ascoltami” cercò di calmarlo la ragazza, alzandosi e prendendolo per un braccio. L’istinto del giovane l’avrebbe portato a liberarsi di quella leggera stretta sulla camicia, ma qualcosa negli occhi della cugina lo fece desistere.
“Continua” rispose gelido.
“Tra me e il principe di Montesanto non c’è mai stato nulla, la sua proposta è stata causata solo da un malinteso: in un momento di debolezza ho risposto a un suo bacio –ammise la ragazza- e il giorno dopo lui si è presentato da mia madre e Antonio, chiedendo di poter annunciare un nostro fidanzamento ufficiale …”
“E tu sei scappata qui per quale motivo? Non mi è ben chiaro. Ieri sera non mi sembravi la promessa sposa di un altro uomo. Eri venuta per annunciarmi il tuo prossimo matrimonio, o per pregarmi di salvarti da una promessa che tu stessa avevi accettato?”
“Martino io l’ho rifiutato …” rispose sincera, sorpassando sulle critiche che il ragazzo le aveva rivolto.
“L’hai rifiutato?” domandò confuso il giovane conte, pentendosi delle parole usate contro la cugina.
“Sì non potevo sposarlo. Io non lo amavo … il mio cuore batte per un uomo diverso … un giovane - si corresse - non potevo vivere nella menzogna, e soprattutto non avevo diritto di mentire per tutta la vita a mio figlio …” ammise Emilia, arrossendo leggermente. Martino rimase immobile.
“Tuo figlio?” domandò con un filo di voce, confuso e sorpreso da quella rivelazione che lui faticava ancora ad accettare come vera.
“Aspetto un bambino - ripeté Emilia, emozionata - mio e … TUO figlio” quasi a confermare quelle parole, Emilia si portò una mano del cugino sul ventre, che ancora non rivelava il suo segreto. Per un istante i due si fissarono negli occhi, senza dire parole, ognuno col respiro corto dall’emozione e il cuore che batteva impazzito nel petto, poi Martino strinse forte la cugina, sussurrandole all’orecchio:
“Non ci posso credere sarò padre … e sei stata tu a concedermi questo onore!” prima di nascondere il viso rigato da lacrime di commozione tra i capelli di lei, che per tutta risposta gli si era stretta, quasi avesse paura che scappasse nuovamente. Rimasero abbracciati per diverso tempo, prima di trovare la forza di staccarsi l’uno dall’altra. Martino si asciugò velocemente i residui delle lacrime di commozione, ma gli occhi arrossati tradivano la sua emozione. Emilia sorrise, nel vedere quel comportamento.
“Hai ancora molte cose da spiegarmi, per esempio come mai sei arrivata in accademia così esausta?”domandò stingendola contro il suo petto e baciandole la fronte.
“Ho cercato di arrivare a Parigi il prima possibile, Elisa e Fabrizio tentavano di dissuadermi, ma io non potevo più aspettare, mi sei mancato così tanto …” spiegò la ragazza. Martino sorrise.
“Emilia ti farebbe piacere assistere alla cerimonia di settimana prossima?”
“Come potrei mancare alla promozione del padre di mio figlio?” rispose raggiante, Martino continuò:
“E vorresti partecipare col titolo di mia futura sposa?” domandò, rinunciando al discorso che si era preparato per chiederla in moglie. Emilia si portò le mani alla bocca, felice di quella proposta tanto semplice, quanto sincera e spontanea.
“Sì” rispose radiosa, prima di baciarlo timidamente.
“Bene, allora avverti anche Elisa che vi farò riservare tre posti” Emilia stava per ribattere, ma capì a cosa alludeva il ragazzo. Voleva che anche suo padre fosse presente, ma ancora una volta era combattuto sulla decisione da prendere.
“Ora, scusami ma devo risolvere una questione molto importante” disse sistemandosi meglio la divisa e facendo per uscire, ma si voltò per chiamarla, lei alzò lo sguardo.
“Ti amo, non dimenticarlo …” le disse, provocandole un sorriso.
“Ti amo anch’io Martino. Adesso mi vesto e vado da Elisa per avvertirla”.
  
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