Capitolo
2
Dal buio alla luce
- Prima parte -
“ L'amore non si vede in un luogo e non si
cerca con gli occhi del corpo. Non si odono le sue parole e quando viene a te
non si odono i suoi passi ”.
Sant’Agostino
Campo di
concentramento di Ravensbrück,
5 maggio 1945
Il soldato russo spinse Werner nella baracca e, con tono
sprezzante, gli intimò: “ Muoviti, dottore! ” Il giovane coprì subito il naso e
la bocca con un fazzoletto bianco per evitare di respirare quel terribile odore
mentre il soldato continuò a dirgli: “ A te spetta questa baracca! ” Werner si
guardò attorno: nella baracca c’erano tanti letti, se così potevano essere
definiti (altro non erano che tavoli di legno posti gli uni sopra gli altri),
ma poche persone vi giacevano. In un primo momento, il giovane non riuscì a
capire se quelle persone fossero uomini o donne né tantomeno se fossero vive o
morte: questa era stata la conseguenza dell’ideologia che sin da bambino gli
avevano inculcato, che da sempre aveva ritenuto giusta e che come medico aveva
anche appoggiato. Ma adesso, davanti allo scempio dell’umanità, tutto era
crollato, i suoi occhi si erano aperti e aveva incominciato a provare angoscia
e rimorso. Werner si chinò davanti a un letto e sentì il polso a due ragazze –
una delle quali era poco più di una bambina – ma per loro non c’era più niente
da fare come per le altre tre donne sdraiate sul letto di sopra. Nella baracca
sembrava non esserci più nessuno ma Werner per precauzione fece un altro giro,
prestando maggior attenzione ai letti dell’ultimo piano. Ed ecco che si accorse
della presenza di un’altra donna, sdraiata su un fianco, con la schiena rivolta
verso il muro. Non appena la vide, nonostante l’aspetto emaciato e
l’espressione sofferente, ebbe la sensazione che fosse ancora viva. Non le sentì
nemmeno il polso che subito la sollevò delicatamente dal suo letto, prendendola
in braccio e facendola sdraiare su quello di mezzo. Un lieve gemito di dolore
che uscì dalle labbra della giovane confermò la sensazione di Werner. La
donna era viva ma non lucida: il suo stato di denutrizione era troppo avanzato
e molto probabilmente aveva contratto più di una malattia. Non ne ebbe paura e
senza alcuna protezione medica, tipo guanti e mascherina, le si avvicinò per
controllarne l’attività respiratoria e cardiaca. Entrambe erano nella norma,
considerata la situazione. Fu contento per lei e, accennando un lieve sorriso,
le disse: “ Non preoccuparti, ce la farai. ” Werner si meravigliò delle sue
stesse parole e di quella strana sensazione che stava provando. La ragazza,
intanto, emise un profondo respiro e Werner immaginò che anche lei stesse
tremando. E aveva ragione. Confuso, uscì di corsa dalla baracca per avvisare i
sovietici delle condizioni di salute dell’unica sopravvissuta. “ L’infermeria è
piena. ” rispose freddamente uno dei due soldati. “ Ho bisogno urgentemente di
una flebo … e una coperta. ” continuò Werner, assumendo un tono più autorevole.
Il soldato fece un cenno al suo commilitone che, senza alcuna fretta, si
allontanò mentre Werner ritornò nella baracca. Sedette accanto alla ragazza e
all’improvviso, mentre aspettava con impazienza ciò che aveva chiesto, apparve
alla porta un suo collega tutto trafelato. “ Werner! ” iniziò a dire “ Tra poco
i sovietici bruceranno parte del campo per evitare contaminazioni. Questo è il
momento giusto per scappare, per metterci in salvo! ” Il giovane Werner si
sollevò quasi di scatto mentre il suo collega continuò a esortarlo: “ Forza,
andiamo! ” Ma Werner guardò la ragazza e, determinato, rispose: “ Non posso. ”
“ Su via, Werner, ci penseranno i sovietici a lei! ” ribatté il collega con un
pizzico di sarcasmo. Il giovane Werner non diede retta al suo collega e prese
in braccio la ragazza, pronto a raggiungere la gip aggirandosi velocemente tra
le baracche del campo in fiamme.