Eravamo Nemici
Tristezza, dolore,
pena, disperazione, colpa… questi i sentimenti che in
quel periodo gli martoriavano cuore e mente.
Era debole come
mai lo era stato, preda di un’emotività così violenta da renderlo immensamente fragile
e capace di tramutare qualsiasi cosa, seppur piccola, nella causa di un crollo nervoso
disastroso, un biglietto senza ritorno per la depressione più nera.
Avere sulle
spalle il peso delle orribili azioni che era stato obbligato a compiere e dei
disastri familiari che non era stato capace di evitare non aiutava.
Draco Malfoy
sapeva bene come si sentiva, la causa di tutto il suo malessere non abbandonava
la sua mente. Per questo, quell’ultimo anno aveva preferito stare da solo in un
proprio vagone, piuttosto che con quei pochi amici che non lo avevano
abbandonato nonostante le sciagure capitategli. Voleva evitare di avere crisi
di fronte a loro, non era sua abitudine apparire debole, soprattutto quando lo era.
E per ovviare
spiacevoli inconvenienti – come casuali e inopportune incursioni - si era
sigillato dentro quella cabina, che poi aveva accuratamente insonorizzato per
evitare di sentire ciò che accadeva fuori.
Con la testa
poggiata nella spalliera del sedile, non guardava neanche fuori dal finestrino,
che aveva coperto con le tende scure. I suoi occhi filtravano la semioscurità
in cui era immerso, vedendo e non vedendo ciò che
avevano di fronte.
Quando il treno
partì, tuttavia, neanche tutte queste precauzioni riuscirono a impedire al suo
cuore di esplodere.
S’immaginò le
famiglie che salutavano i loro figli, padri e madri emozionati che alzavano le
mani per dare ai loro bambini l’ultimo saluto prima dell’inizio del nuovo anno
scolastico; ragazzi che si affacciavano dai finestrini con allegria, felici di
ritornare alla magica vita fra le sicure mura di Hogwarts.
E si rese conto
che, a contrario di tutti loro, lui non avrebbe mai più avuto qualcuno lì, a
salutarlo e ad attenderlo.
Un singhiozzo appena trattenuto ruppe il silenzio
di quella stanza.
Ne seguì un altro, e poi uno ancora.
Draco si coprì la faccia
con le mani quando ormai le lacrime non poterono più
essere frenate.
Ecco, aveva
avuto un altro crollo, il secondo in quello schifoso primo settembre. Il primo
lo aveva avuto la mattina presto, mentre finiva di prepararsi per lasciare Malfoy Manor: era stato un
momento tragico, non usciva da quella casa dal giorno del funerale della madre,
poche settimane prima.
Aveva perso
tutto, tranne il denaro.
Peccato che
neanche tutti i galeoni d’oro del mondo sarebbero stati in
grado di ridargli ciò che aveva perso.
Suo padre e sua madre… la sua povera madre.
Era la sua
perdita che più di tutto lo distruggeva. Lei era l’unica innocente in quella
famiglia di dannati, e nonostante tutto aveva dovuto pagare gli errori di tutti
gli altri colpevoli. Una martire fin dalla nascita, una donna sempre vissuta
nell’oscurità e nell’odio, un angelo che aveva trovato la capacità di amare il proprio figlio anche nel cuore dell’inferno.
E lui non aveva
fatto nulla per meritarsi quell’amore, non era riuscito a ricambiarlo a dovere
e tanto meno a difenderlo.
Sarebbe dovuto morire lui,
quell’alba di quello sciagurato giorno, non sua madre.
I singhiozzi
erano ormai migliaia, le lacrime scendevano senza ritegno, il suo volto
arrossato dal dolore era irriconoscibile.
Le sue grida di
dolore rimbombavano in quella cabina, riempiendo la sua solitudine.
Senza neanche
sapere come, si ritrovò per terra, accoccolato in un angolo, la fronte poggiata
sul freddo pavimento, le mani a strappare i biondissimi capelli o a battere con
violenza qualunque superficie a portata di tiro.
A un certo
punto, il suo palmo cozzò con violenza nello spigolo appuntito della grande
valigia sistemata lì vicino. Gli spigolosi angoli d’argento con cui l’oggetto
era adornato penetrarono in quella parte morbida e delicata della mano,
provocandogli un dolore accecante.
Distratto da
quella sofferenza fisica Draco alzò il capo, volgendo
lentamente lo sguardo verso il suo arto.
Era
completamente coperto di sangue.
A lui il sangue
aveva sempre fatto paura. Fin da piccolo quando si sbucciava e gli usciva a
malapena una goccia di quel rosso liquido strillava e si dimenava come un
pazzo, e occorreva sempre una buona dose delle carezze e delle rassicurazioni
della madre prima che riuscisse a calmarsi.
Quella volta, al
contrario, la vista del suo sangue riuscì a quietarlo di botto, a riportarlo a
uno stato momentaneamente cosciente e ragionevole.
Lui non voleva
morire.
Avrebbe anche
pur potuto continuare a vivere una vita di sofferenze e rimpianti, ma non
voleva morire.
“Vigliacco…” Sentì la sua bocca sussurrare con voce
flebile e rotta.
Vigliacco. Era
sempre stato vigliacco. Il coraggio non aveva mai fatto parte del suo essere,
mai. Si sarebbe potuto frapporre fra quel raggio verde e la madre, il giorno
che Voldemort era giunto a ucciderla. Avrebbe potuto
salvarla. Non c’era nessuno a frenarlo con la forza. Tutti i mangiamorte lì presenti erano rimasti immobili, ai lati
della sala, fissando con occhi impassibili la scena.
Probabilmente nessuno
era andato a trattenerlo perché tutti sapevano che non avrebbe mosso un muscolo
per evitare l’accaduto. Tutti sapevano che sarebbe rimasto pietrificato dalla
paura di perdere la propria vita.
Vigliacco. Era colpa
sua se la madre era morta.
E con questo, la
stabilità raggiunta poco prima scomparve di nuovo, lasciando il posto a una
pazzia ancora più grande.
Sì, perché lui
non si meritava la vita che stava vivendo. Non si meritava di vivere neanche
come il peggiore dei cani di quel dannatissimo mondo. Era giunto il momento di
avere un po’ di coraggio e di compiere ciò che era giusto che fosse fatto.
Quel pensiero
gli diede forza.
Con uno scatto
isterico si strappò la spilla di Prefetto dalla divisa scolastica, lacerandosi
nella foga anche parte della tunica nera.
Guardò con
intensità la mano ferita, in cui il sangue continuava a scorrere abbondante, tant’è che cadendo a terra aveva già formato una grande
chiazza rossa. Alle fine del suo compito quella banale
macchia si sarebbe trasformata in un vero lago.
Lo spillone
d’oro di cui la spilla era munita era particolarmente appuntito, stranamente
grosso e lungo, perfetto per ciò che doveva fare.
Se lo sarebbe
conficcato in gola, così da avere un’agonia più lunga e dolorosa. Meritava
tutto il male del mondo per la sua vigliaccheria.
Portò la mano
davanti a se, preparandosi a sferrare un colpo tanto forte da mandare in
profondità il pugnale d’occasione.
Con un gesto
secco, poi, diresse l’arma verso la sua giugulare.
Hermione, furiosa, bussò con ancora più impeto contro
quella stramaledetta porta su cui, ormai da cinque minuti, stava consumando il
suo pugno destro.
Sarebbe stata ben più felice di adoperarlo con lo
stesso vigore sulla testaccia dura dell’occupante di quella cabina, non appena
si fosse degnato di accogliere il suo richiamo.
Malfoy. Dannazione a lui. Doveva farla diventare isterica
ancor prima di mettere piede a scuola.
“Apri o la butto giù con la magia!” Gridò, mentre i
visi curiosi dei compagni di vagone si affacciavano dalle cabine per capire
cosa stesse succedendo.
Un attimo dopo, proprio quando aveva deciso che
incantesimo usare su quell’inutile battente di legno, questo si aprì.
“Sono cinque minuti Malfoy,
CINQUE MINUTI CHE…” Iniziò, entrando con due falcate
furiose nel piccolo vano e assumendo la sua solita posizione da bacchettona,
ossia mano sinistra sul fianco e indice destro puntato minacciosamente contro
la sua preda.
Ma qualcosa la costrinse a bloccarsi.
Qualcosa di rosso, denso e scuro che copriva il
pavimento della cabina.
Alzò lo sguardo su Malfoy
che, algido come sempre, sedeva vicino al finestrino e la fissava con molta
nonchalance, come se ai suoi piedi non ci fosse una pozza di sangue e sul suo
grembo la sua mano non stesse finendo di dissanguarsi.
“Cos’è successo?!” Chiese Hermione
con un sussurro, chiudendo subito la porta alle sue spalle e sedendosi davanti
al ragazzo. Aveva visto così tanto sangue in quell’ultimo
anno, così tante ferite e così tanti morti che oramai al minimo taglietto
insignificante lo spirito da crocerossina si risvegliava in lei, prendendo il
sopravvento.
“Niente che t’interessi, immagino”
Rispose lui con placidità, fissandola coi suoi occhi di piombo.
Hermione lo guardò, e per un attimo il pensiero che fosse
pazzo – che fosse completamente folle
- le attraversò la mente. Poi scosse la testa, cacciandolo via e mettendosi
immediatamente all’opera. Con un colpo di bacchetta fece scomparire la macchia
sul pavimento, e con un altro avvolse in una stretta fasciatura la mano ferita.
“Ti sei tagliato con la valigia” Affermò poi,
notando l’angolo argenteo ancora gocciolante di prezioso sangue puro che
sporgeva dal bagaglio posto sotto il suo sedile.
“Che mente sopraffina” Commentò mellifluo lui.
Lei si voltò di nuovo a studiarlo con fronte aggrottata.
No, non le aveva fatto un complimento. Il tono con cui l’aveva detto era
alquanto disinteressato, come se casualmente la sua bocca avesse aperto le sue
falangi e quelle fossero le parole venutene fuori.
Già, disinteressato
era il termine chiave per descrivere Malfoy in quel momento.
Sembrava vuoto, quasi assente, lontano da tutto ciò
che lo circondava, immerso in quella che doveva essere una travagliata
interiorità, visti i suoi occhi rossi e il colorito cinereo assunto dalla sua
pelle. Chissà da quanto non dormiva. E chissà se mangiava.
La guerra lo aveva reso un relitto.
Possibile che si fosse arreso a essa e a tutto
quello che gli aveva portato via?
Sospirò, lo spirito di crocerossina in tumulto dentro di
lei. Era Malfoy, l’odiato Malfoy,
eppure bramava aiutarlo, in qualche modo. Sapeva quanto aveva perso… perché era lo stesso che aveva perso lei. Capiva la
sua sofferenza, solo che arrendersi non era la risposta giusta.
“Sei sempre stato una testa di cazzo, Malfoy” gli disse, d’impeto, stupendo perfino se stessa “Però
sono felice di rivederti”.
Non si rese conto di quanto le sue parole fossero
state forti per lui fino a che non vide le sue iridi puntarsi sulle sue,
stupite, colpite, e assolutamente vive.
Sorrise interiormente, lieta di aver fatto scoccare
una scintilla in quel braciere spento che era divenuto l’animo del suo nemico
di sempre. “E…” aggiunse, alzandosi e dominandolo con
la sua statura. “Sarei ancora più felice di vederti
partecipare alla riunione dei prefetti. Ti ricordi di essere un
prefetto, vero, furetto?”
“Dove?” Chiese la voce di lui,
quasi ridotta a sussurro.
“Nella mia cabina, è
l’ultima in fondo sulla destra. E non scordarti questa!” Disse la ragazza, cogliendo la spilla di
prefetto abbandonata nel sedile al fianco del collega e lanciandogliela.
Poi se ne andò, lasciando la porta aperta come
invito a seguirla quanto prima.
Rimasto solo col
cuore in tumulto e la spilla stretta fra le mani, Draco
restò immobile per qualche attimo fissando il varco da cui lei era uscita.
Quella piccola
strega non lo sapeva, ma l’aveva salvato. E non solo dal gesto folle che stava
per compiere, e che i suoi battiti compulsivi sulla porta avevano bloccato.
Gli aveva dato
una speranza, e con quella lo aveva salvato dalla morte dell’anima, dalla sua
quotidiana disperazione.
Almeno per quel
giorno.
Qual’era la speranza?
Non essere più solo.
Tre mesi dopo…
“Sei una schifosa
mezzosangue. Guarda cosa hai fatto!”
“Non avrei fatto nulla se
tu avessi guardato
dove mettevi i tuoi piedi!”
Lui le dedicò il suo miglior
sguardo omicida mentre lei si chinava per terra e
raccoglieva i suoi libri, controllando che il liquido della fialetta rotta del
ragazzo non li avesse imbrattati. “Stai dicendo che è colpa mia?!” Le sibilò poi.
La Gryffindor nemmeno lo guardò in faccia. ”Oh, pensavo non ci saresti mai arrivato!” Commentò semplicemente,
sventolando le pagine di un piccolo libro per assicurarsi che non fosse stato
bagnato.
“Stupida Granger, quello era il mio compito per domani!”
Lei alzò lo sguardo e lo
fissò arcuando un sopracciglio. “E allora? In fondo tu
sei un genio in pozioni, no? Riuscirai a rifarla
tranquillamente, o altrimenti sono sicurissima che il tuo caro Piton sarà felice di prestartene una!”
E, così dicendo, si voltò avviandosi per il lungo corridoio dell’antico
castello. Se avesse fatto in fretta, la scrivania vicino allo scaffale
di erbologia sarebbe stata sua: intendeva proprio
approfondire una questione importante sui funghi voraci, che la
professoressa Sprite avrebbe spiegato nel successivo trimestre…
Malfoy studiò per qualche attimo la sua figura disinteressata
allontanarsi da lui, incapace di trovare un modo per trattenerla. In quel
periodo l’aveva analizzata quasi con fare scientifico, facendola
divenire la sua ossessione e, insieme, il motivo per cui ogni giorno valeva la
pena alzarsi e vivere. Aveva capito che lei soffriva almeno quanto lui, ma non
lo dava mai a vedere. Era pur sempre una leonessa, no? E questo lato di lei gli
piaceva da matti. Aveva un modo di affrontare la vita che le invidiava, e che
tentava di imitare. Avrebbe voluto passare più tempo in sua compagnia, sapeva
che insieme sarebbero stati una bella coppia.
No, non di piccioncini. Non ancora,
almeno.
Ciò che sapeva era che, per il
momento, voleva la sua amicizia. Peccato che fino allora i loro incontri
fortuiti fossero stati assolutamente disastrosi. Forse era il caso di passare a
un attacco diretto.
Era stanco di stare solo.
Le crisi erano passate, ma aveva
bisogno di un amico.
No, avevo bisogno di lei come amica.
E se c’era qualcosa che quel
bastardo di suo padre gli aveva ben inculcato, era che i Malfoy
ottenevano sempre ciò che volevano.
Il giorno dopo…
La lezione di Piton
era finita già da cinque minuti, eppure Hermione era
ancora lì, intenta a raccapezzarsi fra il mare di roba che si era portata
appresso. Non appena ebbe finito di posizionare
in una pila abbastanza salda tutte i miriadi di libri che, non standoci in
borsa, era costretta a tenere in braccio, si diresse con passo deciso verso
l’uscita di quei sotterranei.
Non appena fuori, tuttavia, il brutto muso di Malferreth quasi non le fece perdere l’equilibrio appena conquistato. Si bloccò un attimo,
riprendendo silenziosamente fiato sotto lo sguardo attento di lui, e dopo
avergli dedicato un’occhiata di sdegnoso rimprovero, si diresse di nuovo per la sua via.
“La pozione era di Piton.”
La mora si voltò, inconsciamente sconcertata dal fatto che Malfoy non l’avesse appellata in modo cattivo e, anzi,
addirittura ricercasse la sua attenzione.
“Non ne dubitavo.” Commentò, acida.
“Quella della sera prima
però era mia. E tu me
l’hai rotta.”
“Perché sei qui, Malfoy?” Gli chiese, scocciata. Non aveva voglia di perdersi in chiacchiere inutili quando i suoi
preziosi tomi erano lì lì per schiantarsi al suolo.
Doveva tornare in camera sua in fretta, e depositarvi buona parte dell’armamentario.
“Perché ho un conto in
sospeso con te, secchiona zannuta.”.
“Sapessi quanti ne ho io in
sospeso con te, Malfoy! Non ti basterebbe una via per
saldarmeli tutti!”
“Sempre sarcastica, eh?”
“Non mi pare che tu abbia
mai richiesto la mia amicizia!”
“Non l’ho mai fatto finora,
infatti.” Disse lui,
ponderando la frase con cura.
Lei aguzzò lo sguardo,
poggiandolo con più attenzione sul suo interlocutore. “Non
l’hai mai fatto… finora… Malfoy, se
vuoi arrivare dove penso io, è meglio che ti fermi qui”
“Sentiamo,
dove credi che io voglia arrivare?”
“Dimmelo tu!”
“Cosa? Oh, no! Non sia mai che non offra all’intuitiva Hermione
Granger la possibilità di manifestare la sua logica
onnicomprensiva!”
Lei alzò gli occhi al cielo
e, stanca, poggiò i libri per terra. Erano diventati troppo pesanti… almeno quanto quell’assurdo dialogo. “Sai benissimo quello che hai detto, ed io non ho voglia di stare
qui e sopportare i tuoi loschi giochetti oratori da serpe. Ti serve
qualcosa da me, Malfoy? No? Allora
vai via, ho da fare!”
“E allora perché stai
ancora qui ad ascoltarmi?”
“Perché, nonostante il mio
interlocutore sia uno stronzo serpeverde figlio di
uno dei peggiori mangiamorte esistenti sulla faccia
di questo povero pianeta macchiato dalle feccia di Voldemort, l’educazione che mi ha impartito mia madre
m’impone di stare ad ascoltare le persone che mi si rivolgono…
e purtroppo, a causa dell’abitudine, non riesco ancora a farne a meno.
Altrimenti me ne sarei
certamente andata”.
Le labbra
di lui si aprirono in un leggero sorriso – forse più che altro un ghigno
– mentre il ragazzo abbassava il capo e si grattava la testa. “Sempre una
risposta valida pronta, Granger. Quasi mi verrebbe
voglia di complimentarmi con te!”
“Non farlo, non è
necessario. So benissimo di avere molte più rotelle funzionanti nel cervello di
te. Allora, non mi hai ancora detto cosa vuoi. Sei venuto qui,
mi hai detto che la pozione che hai presentato oggi era dello stesso Piton… cosa me ne dovrei fare di queste informazioni?!”
“Volevo dirtelo.”
“Ripeto, non era
necessario. Non lo era per nulla. Potevi risparmiartelo.”
“Perché ce
l’hai sempre contro di me?” Chiese a quel punto Draco,
fissandola interrogativamente, e anche fin troppo seriamente.
Hermione spalancò gli occhi, colta alla
sprovvista da quel sincero quesito.
Già, ultimamente era davvero acida
con lui.
Perché?
Beh, perché dal giorno in cui aveva
fatto irruzione nella sua cabina e l’aveva curato qualcosa di quel nobile
figlio di puttana si era insinuato in lui,
tormentandola continuamente col suo pensiero. E lo sguardo costante che lui le
rivolgeva ovunque s’incontrassero non facilitava le
cose.
Non capiva cosa stesse succedendo
tra loro, e questo la sconvolgeva. Non era abituata a non avere spiegazioni
logiche su quanto la circondava.
Sentiva quel legame che si era
creato fra loro due, ma lo temeva e, d’istinto, faceva di tutto per rifiutarlo.
Quella guerra aveva apportato anche
fin troppe novità nella sua vita… almeno all’interno
delle mura di quella scuola voleva fare finta che, in fondo, qualcosa non era
mutato.
Senza dire nulla, e con
passo scocciato, si avviò verso la torre Gryffindor facendo volare i libri al suo fianco, lasciando il suo interlocutore
senza risposta.
Quella notte…
Non poteva succedere
proprio a lei, no! Perché?! Perché mai?! Poteva essere una cosa naturale per Ron…
o per Harry. Molto naturale per i gemelli Weasley,
quando al loro tempo erano stati a Hogwarts. Ma non per lei!
Quando mai le era successo
di svegliarsi la notte con la pancia che brontolava e richiedeva subito un
saldo nutrimento?! NEANCHE NEI SOGNI!
Se l’avessero scoperta lì,
a camminare per i corridoi freddi con solo la camicia da notte e la bacchetta
addosso, sarebbe stata la sua fine. Letteralmente.
Certo, forse non avrebbe
dovuto saltare la cena… e neanche il pranzo. Ma aveva dovuto assolutamente ultimare
quella ricerca sui
pterodattili. Infatti, aveva scoperto che anticamente quegli uccelli erano
usati dai primi maghi come mezzi di trasporto. Interessante, vero? Certo, non
era un argomento che avrebbero mai svolto nemmeno ora, all’ultimo anno… ma la sua sete di sapienza non aveva mai fine.
Ormai il passaggio che
conduceva alle cucine non era distante. Doveva solo fare il solletico a una pera e… fatto!
Sorrise, ponendosi una mano
sulla pancia come per rassicurarla che presto avrebbe avuto tutto ciò di cui bisognava. Subito un’elfa domestica le si avvicinò, riconoscendola come una delle amiche del
loro caro Harry Potter.
“Signorina vuole mangiare? Io preparare per lei tanti dolcetti?!”
Le chiese, guardandola con i grandi occhi sognanti di un forte blu elettrico.
Lei sorrise. “Non è necessario! Ormai è notte, non voglio disturbarti.
Sarai stanca, va a dormire! Preparo tutto io!”
La piccoletta sgranò gli
occhi, terrorizzata. “Mellie no
stanca, signorina! Mellie sveglia! Mellie deve preparare per lei dolcetti! Mellie non può non farlo!”
Hermione sospirò duramente: nel corso di quegli ultimi anni aveva tentato
in tutti i modi di fare cambiare idea a quei poveri esserini, ma la servilità era così
intrisa nelle loro menti da essere ormai diventata un carattere genetico. “Va bene. Ma
subito dopo andrai a dormire e ti sveglierai solo quando dovrai preparare la
colazione, va bene Mellie?”
“Bene signorina!” Disse
quella con un forte cenno del capo, mentre tutta allegra si avviava ai
fornelli.
Fu allora che, mentre si
dirigeva al tavolo che corrispondeva a quello dei Grifoni su, nella Sala
Grande, si accorse di un altro occupante.
A dirla tutta, le scese
quasi un colpo quando lo riconobbe.
“Malfoy…”
Le uscì di bocca, con un tono che non si capiva fosse
spaventato o semplicemente sorpreso.
Lui sorrise. “Buonasera Granger.
Quale languorino notturno ti ha spinto qua? Non sai che è vietato
passeggiare per la scuola di notte?”
“Lo stesso vale per te.”
Rispose scocciata, sedendosi al suo posto.
“Io sono un prefetto.”
“Anche io.”
“Allora siamo due
prefetti.”
“Quanto sei intelligente.”
“Infinitamente.”
“Già. Infinitamente….
Sì. Infinitamente è una parola che ti sta davvero bene. Soprattutto
se abbinata ad
altre come stupido, idiota, scocciatore, schifoso Slytherin,
orribile furetto platinato, mangiamorte, pallone gon….”.
“NON SONO UN MANGIAMORTE.”
Scattò in piedi lui, guardandola furioso.
“…
fia… to…” Balbettò lei, fissandolo con un bel punto
interrogativo che le lampeggiava gigante in fronte.
“NON LO SONO E NON LO SARO’
MAI, FATTELO ENTRARE BENE IN QUEL TUO PREZIOSO CERVELLINO, GRANGER!”
“Stai calmo, Malfoy!” Esclamò lei, guardandolo come fosse impazzito. “Pensavo solo di farti un complimento. Non era forse il mestiere più
ambito nella tua famiglia?!”
“Fatti i cazzi tuoi.” Sbottò
lui, voltando la faccia con fastidio e sedendosi di nuovo.
“Lo prendo come un sì.”
“Non vedo perché.”
“Perché non mi hai risposto
in altro modo.”.
“Allora non è né un sì né
un no.”
“E cosa sarebbe?!”
“Sai benissimo come sono
andate le cose. Sai
che non lo sono, né lo sono stato”
“In ogni caso non eri dalla
nostra parte”
“Da quando sei così acida,
Mezzosangue? O, per le orecchie di
Salazar, non che sia mai stata un bocconcino dolce, specie con me, ma tutto
quest’astio è quasi una novità! Tiro a indovinare? Oh, forse è da quando sono stati tolti di mezzo quelle bestie idiote dei tuoi genitori?
O da quando hai scoperto che Lenticchia se la faceva con un’insignificante Tassorosso del quarto anno?!”
Chiese cattivo lui, fissandola marmoreo. Era furioso.
Lei rimase un attimo in
silenzio, mentre il dolore che quelle parole, come una bomba, le avevano
causato al cuore, lentamente era assopito dal suo orgoglio. Non avrebbe mai
pianto davanti al Re delle Serpi. “Esattamente, Malfoy. Esattamente. Ma,
fortunatamente, non solo la mia famiglia è stata distrutta. Sono stata molto
felice quando ho scoperto che tuo padre era stato baciato dai Dissennatori, e quando ho saputo che poco tempo dopo tua
madre è morta uccisa da un Avada Kedavra
che si sospetta fosse dello stesso Voldemort. Come ti
trovi da solo, serpe?!”
Fu il turno
di lui di rimanere a fissarla in silenzio, lo spirito abbattuto da
quelle terribili frasi. “Penso di stare nello stesso modo in cui stai tu, mezzosangue.”.
Si fissarono in silenzio,
mentre l’elfetta arrivava e poggiava piatti pieni di
ogni sorta di dolce pietanza che esistesse al mondo. Vedendoli però ‘impegnati’,
non si permise di disturbarli e andò subito a obbedire al secondo ordine della padroncina: riposare fino
all’alba!
“Stai male, non è vero? Così male che alle volte vorresti buttarti nel lago e sperare
che almeno la Piovra ti accetti
come cibo, togliendoti finalmente il pesante
fardello che questo infelice mondo ti ha poggiato addosso. La confusione che
hai dentro t’impedisce perfino di capire quali siano davvero gli amici su cui
ti puoi affidare ora che sei rimasta definitivamente sola. Perché coloro che ti
stavano prima intorno, diventano improvvisamente troppo
sciocchi, troppo superficiali, troppo fastidiosi per
stare al tuo fianco.
Loro non sono in grado di
capirti.”
Hermione sospirò, respingendo a stento l’istinto di piangere, e si poggiò
una mano in testa. Per Merlino, stava davvero facendo
quei discorsi con lui? E com’era che le sue parole sembravano adattarsi così
perfettamente al suo stato d’animo, quasi fossero
state pronunciate dalla sua stessa bocca? “Cosa
vuoi da me, Malfoy?” Gli chiese, con voce
flebile.
“Ciò che tu vuoi da me.”
“Io non capisco più niente ormai… lasciami in pace.”
“E’ solo una fase
momentanea. Poi passerà, e quando aprirai veramente gli occhi sarai felice.”
“Per cosa?”
“Per avermi al tuo fianco.”
“Non voglio averti al mio
fianco. Tu sei tu. Non puoi stare al mio
fianco.”
“Le cose cambiano.”
“Sono già cambiate anche fin troppo. Lascia che almeno questo rimanga uguale”
“Non posso.”
“Perché mi sei venuto a
cercare, Malfoy?” Chiese di nuovo lei.
“Perché ho capito ciò che
hai dentro.”
“Harry ha passato le mie
stesse sofferenze, però non mi ha detto nulla di tutto questo. Perché tu sì?”
“Il destino di Potter è sempre stato segnato:
lui ha sempre saputo come sarebbe andata la sua vita. Noi no. Noi abbiamo dovuto crearci passo dopo passo
il nostro percorso… e se sono qui, a parlare con te,
ora, in questo momento, non posso dire che sia grazie alle mie scelte. Perché se sono ancora vivo oggi è grazie a Silente, che mi ha protetto fino al suo ultimo battito di vita; grazie a
mia madre, che ha fatto lo stesso; e grazie a te, che quel giorno in treno mi
hai strappato da un gesto folle e una fine misera” Lo sguardo colpito e quasi
spaventato con cui lei accolse la sua rivelazione lo fece sorridere. “Ciò che
voglio dirti è che, dopo aver fatto tanti errori, tanti passi falsi, credo di
aver capito finalmente quale sia la giusta direzione da percorrere.”
“Hai già deciso quale
sarà il tuo nuovo futuro?” Disse lei in un sussurro, ben
sapendo cosa lui stava per dire.
“Ho già deciso che lo
sceglierò insieme con te.”.
“Presuntuoso. Cosa ti fa
pensare che io sia disponibile?”
“Il fatto che tu stia ancora
a parlare qui con me. E non mi dire che è una questione di educazione, non
attacca più.”.
La ragazza sorrise
lievemente, avvicinandosi un biscottino di cioccolato a forma di omino e
ricoperto di un grosso strato di glassa rosa: sperava solamente
che quel nodo alla gola le consentisse di mangiarlo, prima o
poi. Forse arrendersi a
quella voglia matta che aveva di dirgli di sì avrebbe aiutato il suo appetito. “Sei con me, Draco?” Gli chiese con voce flebile, senza guardarlo in
faccia.
“Sì.”
“Un…
amico?”
“Lo spero”
“E se mi venisse voglia di
picchiarti? Sai, di solito quando ti ho davanti accade
spesso”
“Fallo. Sai, di solito anche tu mi
fai venire la stessa voglia”
“Non è molto da signore quello che
stai dicendo”
“Vero.”
“E neanche molto da amico”
“Non del tutto.”
“Perché mai?”
“Perché anche tutte le volte che
avrai bisogno di un abbraccio, io ci sarò”
Lei assentì, un sorriso stupito a
tirarle il viso commosso. Per poco non si mise a piangere. “Già…
questo fa la differenza. E dire che eravamo nemici.”