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Autore: adamantina    19/01/2012    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
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Mi scuso per il ritardo tremendo nel pubblicare questo capitolo, ma soffro di un blocco dello scrittore che mi tormenta -.-''
Eccolo, comunque, finalmente! Ah, tra l'altro mi è stato pure formattato il computer, perciò la nuova versione di NVU che ho scaricato ha deciso di cambiarmi il formato della storia... spero sia leggibile!

~PROPOSAL~

[Blake]

Vahel ci riceve in una delle vecchie aule. Sono passati diversi giorni dall’operazione che ha subito, ma sembra ancora molto provato. Non che la cosa mi dispiaccia, sia chiaro.
Vorrei solo che potessimo andarcene da qui. Ma Arthur non riesce a teletrasportare altri con lui, e Charlotte ha già detto che i sistemi di sicurezza del Queen Victoria’s sono migliorati. Sospiro e mi guardo intorno. Damien sta molto meglio, sembra del tutto ristabilito, e Arthur è rinato di conseguenza –ogni tanto è gentile persino con Charlotte. Lei e Jonathan non si rivolgono la parola, naturalmente. Vanessa è diventata enorme, il suo pancione è una mongolfiera e mi fa ridere il modo in cui se ne lamenta; ormai è all’ottavo mese. E Lily … Lily.
Lily se ne sta perlopiù per i fatti suoi, ignorata da tutti –tranne da Damien, che ogni tanto la coinvolge nelle nostre conversazioni. Il suo smalto e la sua vivacità sembrano essere rimasti sepolti da qualche parte dove è difficile vederli –forse sotto strati di rancore, o forse solo di indifferenza. Perché non sembra più avercela con noi, ma non si sforza neanche di riallacciare dei rapporti che forse crede persi per sempre.
E io? Io dovrei fare il primo passo verso di lei, lo so. Ma la verità è che ne ho una paura folle.
Perché mi ha già deluso una volta.
Perché so di avere sbagliato a giudicarla.
Perché ho degli obblighi nei confronti di Vanessa.
Perché ho il terrore di provare qualcosa.
«Non so se avete seguito i notiziari, in queste ultime settimane» esordisce Vahel.
«Come no» rispondo in automatico, con sarcasmo non necessario. «È stato facile, da prigionieri.»
Vahel mi ignora.
«Potreste quindi non sapere il risultato delle elezioni» commenta.
È così, infatti. Mi era completamente sfuggito di mente, ma effettivamente la fase di voto a quest’ora deve essersi conclusa e probabilmente i risultati sono già stati divulgati. Dio, lo saranno da settimane, ormai.
«Chi ha vinto?» chiede Vanessa.
«Leonard Renshaw» annuncia Vahel, appoggiando la schiena alla cattedra. «Esponente del partito Repubblicano, ex marine, ex generale dell’Esercito ed ex Senatore. Nonché un mio vecchio amico.»
Quindi il vecchio Presidente, Democratico, è stato sconfitto. È strano saperlo così, dopo tre anni in cui ho fatto del mio meglio per salvargli la vita senza che lui lo venisse mai a sapere.
«Dovete sapere» prosegue «Che l’atteggiamento del signor Renshaw nei confronti dei poteri è decisamente differente da quello del suo predecessore. Il Presidente –ormai possiamo chiamarlo così- è d’accordo con me nel vederne le potenzialità piuttosto che la pericolosità
«Cosa significa?» domanda Charlotte, stringendo gli occhi. «Che ha intenzione di sfruttare la nostra immagine per sostenere la sua popolarità? Vuole metterci in mostra dicendo di aver trovato il modo di salvare il Paese dalla criminalità?»
Vahel rimane immobile per un momento, quindi un angolo della sua bocca si solleva in un freddo sorriso storto.
«Avevo dimenticato la tua arguzia» concede con un cenno del capo. «Ma devo precisare che non stiamo parlando di schiavitù, bensì di un lavoro ben pagato.»
«Non si parla di lavoro quando non è possibile scegliere se farlo» obietta logicamente Charlotte.
«Ma voi potrete scegliere! Voglio solo che mi seguiate fino a Washington e ascoltiate quello che Renshaw ha da dire. Dopodiché, sarete liberi di andare per la vostra strada.»
Mi sembra talmente irrealistico che scuoto istintivamente la testa.
«Potete non credermi, ma è la verità» dice semplicemente Vahel. «Fra tre giorni sarete liberi, se lo vorrete.»

Le parole mi raggiungono a metà del corridoio.
«Mi dispiace.»
Mi volto e inquadro Lily, che accelera il passo per raggiungermi.
«Per cosa?»
«Lo sai.» Deglutisce e si scosta una ciocca di capelli rossi dagli occhi, nervosa. «Per aver cercato di estorcerti a forza quelle informazioni.»
«Potevi dire torturarti
«Mi sembrava troppo brutale.»
Alzo le spalle e riprendo a camminare, seguito da lei.
«In ogni caso, adesso sai che dicevo la verità sull’essere solo.»
«Non pensavo che fossi stato stupido a tal punto da buttarti in un’impresa suicida come quella.»
«E io credevo che fossimo ancora alla fase delle scuse.»
Raggiunto il giardino, rallento il passo fino a fermarmi su una delle panchine. Lancio un’occhiata a Lily, che adesso tace e mi osserva da in piedi, le mani che affondano nelle tasche della felpa grigia.
«Allora» riprende, piegando leggermente la testa in un modo che mi fa desiderare di stringerla a me –ma respingo ogni pensiero. «Diventerai padre. Come ci si sente?»
La osservo con attenzione per un momento. La sua espressione mostra assoluta indifferenza, ma attraverso la stoffa sottile riesco a vedere le sue mani strette a pugno nelle tasche. E preferirei che non fosse così.
«Non lo so» ammetto. «Credo di non averlo ancora interiorizzato.»
«Dovrai farlo» replica lei, quasi malignamente «Quando ti troverai a fare i conti con pappe e pannolini.»
Socchiudo gli occhi.
«Accetterò le mie responsabilità» ribadisco con fermezza.
«Dimmi la verità» insiste Lily, un sorriso malizioso sulle labbra rosse «Eri ubriaco, quando sei andato a letto con lei?»
«No!» sbotto, scacciando la sua insinuazione con un gesto infastidito della mano.
«E allora com’è successo che lei è rimasta incinta?» domanda lei, senza girarci intorno. «Quando stavi con me, hai sempre fatto in modo di evitarlo.»
«Io … » prendo fiato, chiedendomi come diavolo abbia fatto a smascherarmi così in fretta. «Avevo la testa da un’altra parte. Ero preoccupato.»
«Scommetto che non stavi pensando all’affitto da pagare» insinua.
So che sta solo cercando di provocarmi, ma non credo che abbia capito la verità. Incrocio le braccia.
«Non sono affari tuoi» taglio corto.
Lily si siede accanto a me e mi posa una mano sul ginocchio, guardandomi negli occhi.
«Tu sei affar mio, Blake.»
«Non più.»
Lei si ritrae subito e socchiude gli occhi.
«Pensi che non abbia capito?» ride con un pizzico di cattiveria. «Scommetto che stavi pensando a me. Ti struggevi per come mi avevate abbandonata e, pieno di rimorsi, sei andato in cerca di consolazione da Vanessa … »
Scatto in piedi.
«Non è così!» protesto vigorosamente, ma lei mi ignora e prosegue.
«E poi, preso dalla rabbia e dal dolore, sei andato a letto con lei pensando a me, e non ti sei fermato un attimo a riflettere.»
«Non sai di cosa stai parlando!»
«Quindi» continua Lily senza dare alcun segno di aver sentito, alzandosi a sua volta, ancora con quel sorriso strano «In sostanza, è tutta colpa mia. Dici che dovrei scusarmi con Vanessa o pensi che lo troverebbe indelicato?»
Non riesco a controllarmi. Sono talmente furioso che la mia mano scatta da sola e le colpisce il volto con forza. Lily indietreggia di un passo e mi guarda sconcertata, portandosi una mano alla guancia.
Restiamo un momento in silenzio, mentre io cerco di calmare il mio respiro affannoso.
«Mi dispiace» dico alla fine, la voce incerta. Non posso credere di avere appena picchiato una ragazza. «Non avrei dovuto perdere il controllo.»
Lily abbassa la mano e riesco a vedere la guancia arrossata, sentendomi subito in colpa.
«Ho esagerato» dice cautamente. «Ma la prossima volta che ci provi ti do fuoco.»
Annuisco meccanicamente e mi allontano rapidamente, la mente in subbuglio, con l’orribile sensazione di essere stato messo a nudo.

Vanessa è seduta su uno dei divani della sala comune e sta leggendo un libro sui bambini che deve aver scovato in biblioteca. Mi vede subito e mi sorride.
«Blake! Mi stavo chiedendo dove fossi finito.»
«Io … uhm, ero fuori in giardino.»
Ometto di specificare “con Lily” senza riflettere. So di non avere nulla da nascondere –per Dio, il mio autocontrollo è di molto superiore a quello di Charlotte e Arthur- ma temo che … non lo so neanche io.
«Guarda» mi invita, e mi siedo accanto a lei.
Mi mostra delle immagini di come appare il bambino in questo momento, entusiasta, e io sorrido e annuisco.
Poi Vanessa si avvicina e mi bacia. Mentre ricambio, penso a Lily.

Più tardi, mi ritrovo nel furgoncino di Vahel, schiacciato nel sedile posteriore tra il finestrino e Jonathan. La strada si srotola davanti a noi a lungo, lasciandomi tempo per pensare. Lascio la mente libera di vagare, appoggiando la testa contro il vetro e osservando il paesaggio cambiare lentamente.
Siamo diretti a Washington.
Vanessa avrà un bambino.
Lily sarà furiosa con me, adesso.
Vanessa avrà un bambino, e io sono il padre.
Lily cosa penserà? Che posto avrà in tutto questo?
Vanessa e io saremo genitori di una creatura che dipenderà da noi.
Io dipendo da Lily?
Vanessa dipende da me?
Con queste domande confuse e insensate che mi ronzano in testa, mi addormento.

A svegliarmi, qualche ora dopo, è una sosta al distributore di benzina. Ne approfittiamo per sgranchirci le gambe. Mentre sto parlando pigramente con Jonathan, il suo cellulare squilla. Lui risponde senza neanche guardare il mittente, distratto.
«Pronto?»
Lo vedo impallidire e irrigidirsi davanti ai miei occhi.
«Io … sì, lo so» dice. «No, mamma. Non … »
Si blocca, e posso quasi sentire la madre chiedergli come stia Jack. Mi allontano, lasciando che affronti da solo l’argomento –un po’ per rispetto, un po’ per paura.
Raggiungo Vanessa, che sta uscendo dal bar con una lattina in mano.
«Ehi» mi sorride. «Va tutto bene?»
«Sì, tutto ok. Tu?»
«Anche. La bambina continua a darmi calci da ore, credo che non le piaccia viaggiare in macchina.»
Allungo d’istinto una mano a toccarle la pancia. Dopo qualche secondo, sento un movimento. Mi ritraggo, stupito.
«È lì davvero» dico stupidamente, guardandola con gli occhi spalancati.
Vanessa ride.
«Beh, meno male che te ne sei accorto.»
Sorrido anch’io e la abbraccio. Da sopra la sua spalla, con gli occhi socchiusi, distinguo Lily che ci osserva mentre accende una sigaretta con le dita.

Washington è lontana, ma alla fine la raggiungiamo. Guardo la Casa Bianca con ammirazione e ansia, temendo che le guardie armate ci sparino al solo vederci, dopo la perdita del nostro anonimato.
Ma Vahel mostra qualcosa a una di loro, che annuisce e ci lascia passare.
Percorriamo innumerevoli corridoi, superiamo metal detector e controlli vari e, alla fine, eccoci arrivati.
Lo Studio Ovale.
Rimango senza fiato. Non posso credere di essere davvero qui, nel luogo politico più famoso d’America, di fronte all’uomo il cui volto ha campeggiato per mesi su cartelloni e volantini di tutto il Paese, sovrastato dalla scritta CHANGE.
Leonard Renshaw, massiccio, sulla cinquantina, con capelli corti da militare ormai grigi, un completo elegante e occhiali da vista, ci saluta con un sorriso affabile.
«Benvenuti» dice, e respingo l’impulso di inchinarmi –non è la Regina, dopotutto- limitandomi a ringraziare insieme agli altri. «Vi riconosco» prosegue «Per via di quel terribile show televisivo. Ma voglio che sappiate fin da subito che quello che intendo proporvi non ha nulla a che fare con questo. È stata opera del mio predecessore, e non ho intenzione di seguire i suoi passi.»
Annuiamo tutti, piuttosto sollevati.
«Il motivo per cui siete qui è che vorrei instaurare con voi una collaborazione su base assolutamente volontaria. L’Area 51 non è minimamente coinvolta in questo. Si tratta di un lavoro molto ben retribuito che contribuirà al bene del Paese.» Fa una pausa meditata, quindi riprende: «Non posso negarlo: siamo sotto attacco. Dalle indagini della CIA si è scoperto un piccolo nucleo terroristico e anarchico che è ben nascosto e radicato. Si fa chiamare il Falco
«Chiaro riferimento ad un contrasto con l’Aquila americana» mormora Charlotte con un cenno di assenso.
«Chiarissimo» conferma sottovoce Lily, al mio fianco, e sorrido in silenzio.
«Questa organizzazione sta organizzando un attentato, ne siamo certi, ma non siamo stati in grado di procurarci prove a sufficienza per incastrarli. Il vostro lavoro consiste nel trovare queste prove, che siano evidenti e inoppugnabili, e successivamente nell’arrestare i propugnatori del Falco.»
Segue qualche istante di silenzio.
«Quanto ci guadagneremmo?» chiede in termini molto pratici Jonathan.
Renshaw lo dice, e di sicuro è una cifra i cui zeri superano di molto qualunque altra io abbia mai visto.
Rimaniamo tutti a bocca aperta.
«Sul serio?» indaga Jon, incredulo.
«A testa» specifica Renshaw sorridendo.
«Oh.»
«Vi lascio soli a discutere.»
Rimasti tra di noi, ci guardiamo in silenzio. Fin dal primo momento è chiaro che non siamo tutti d’accordo: perciò mi preparo con un lieve sospiro ad una lunga discussione.

   
 
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