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Autore: Nadine_Rose    23/01/2012    1 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 3

 

Dal buio alla luce

 

- Seconda parte -

 

“ Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie e rischiara l'oscurità del mio cuore?
Tu mi guidi con mano materna, e se mi abbandonassi, non saprei fare più nessun passo.
Tu sei lo spazio che circonda il mio essere e lo racchiude in sé.
Da te lasciato, cadrebbe nell'abisso del nulla, dal quale tu l'hai elevato alla luce ”.

Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce)

 

Città di Fürstenberg/Havel, 23 maggio 1945

Nadine respirò profondamente e subito fu invasa da un gradevole profumo di lavanda. Erano anni che non lo sentiva. Un intenso calore avvolse il suo corpo e capì allora di trovarsi in un letto, in un vero letto, ben coperta da lenzuola calde e pulite. L’odore e il freddo della baracca erano scomparsi, così come quel dolore che prima avvertiva in tutto il corpo e, confusa, si domandava dove fosse. Forse in un sogno, si disse ma quella sensazione era troppo reale per esserlo. Aprì lentamente gli occhi e una forte luce l’abbagliò: anche il buio era scomparso. Poi, pian piano, quel bagliore andò diminuendo e vide il volto di un angelo chinato su di lei. Per un istante, quella visione celestiale fece credere a Nadine di essere passata a miglior vita. “ Buongiorno! ” udì a un tratto e capì che chi aveva di fronte non era una visione ma un uomo in carne e ossa. Ne colse subito la dolcezza della voce, la bellezza del sorriso, la perfezione dei lineamenti. “ Come ti senti? ” le domandò ma Nadine rispose con un’altra domanda: “ Dove mi trovo? ” “ Questa è la mia casa … Io sono un medico, mi chiamo Werner … Il campo di Ravensbrück è stato liberato, la guerra è finita … ” A queste parole il cuore di Nadine fece un sussulto di gioia: dopo cinque anni di prigionia era finalmente libera. “ … e adesso sei stata affidata alle mie cure … Sai dirmi qual è il tuo nome? ” Nadine ci mise un po’ di tempo per ricordarlo: per troppo tempo, infatti, il suo nome era stato un numero di matricola. “ Mi chiamo Nadine. ” rispose in seguito e gli tese la mano, mostrando un lieve sorriso. “ Piacere, Werner. ” Quel sorriso appena accennato, di calma e fiducia, rasserenò il giovane: dopo due settimane, la ragazza si era risvegliata dal coma e nel vederlo non si era spaventata. Il suo cuore si riempì di un qualcosa mai provato prima, di una gioia che andava ben oltre la soddisfazione per averla salvata dal tifo contratto nel lager, di una pace che stranamente lo allontanava dalle preoccupazioni del dopoguerra. D’altra parte, Nadine si domandava perché si fosse fidata subito di quell’uomo – che in fondo era uno sconosciuto e di sicuro un tedesco – e perché il suo cuore stesse battendo così forte guardando il verde dei suoi occhi. Era come se lo conoscesse da sempre e la sua vicinanza la faceva sentire al sicuro.

Nadine cominciò pian piano a riprendersi e a non aver più bisogno dell’alimentazione artificiale. Il suo corpo e il suo aspetto ritornavano a essere quelli di una donna e, dentro di lei, la speranza e la voglia di libertà si erano ridestate. Nadine stava pian piano rinascendo e il merito era di Werner. Non erano soltanto le sue cure a farla stare bene ma anche le sue attenzioni, il suo comportamento gentile e rispettoso, la sua delicatezza nel domandarle del suo stato d’animo e di salute, il suo trattarla da essere umano. Le prime volte la giovane se n’era addirittura meravigliata, essendo abituata al disprezzo e all’umiliazione. Contemporaneamente, anche la vita di Werner stava cambiando. Il suo prendersi cura di Nadine, il suo starle vicino, vederla rifiorire e sorridere dopo tutto quello che aveva passato nel lager, guardarla negli occhi e capire che in lei c’era qualcosa di diverso, qualcosa di speciale, una luce che non aveva mai visto in nessun altro sguardo, lo facevano sentire ogni giorno meglio e il suo cuore si apriva sempre di più. Werner si stava innamorando di Nadine.

“ Oggi ho il turno di notte … ” disse Werner, affacciandosi alla porta “ … Torno a casa alle sei. ” A queste parole, il cuore di Nadine fu invaso da una strana tristezza. Avrebbe voluto dirgli di restare con lei, di non andare via, di non lasciarla da sola ma non tentò nemmeno di farglielo capire, con una parola o un gesto. E così Werner andò via mentre Nadine cominciò a domandarsi cosa stesse succedendo al suo cuore, il perché di quel suo turbamento, perché ogni volta che il giovane si allontanava da lei ne sentisse la mancanza. Ben presto, girandosi e rigirandosi nel letto, Nadine riuscì a dare una risposta alle sue domande e trovò nel suo cuore quella verità che a se stessa stava nascondendo. Ciò che provava nei confronti di Werner andava oltre la gratitudine e la riconoscenza, la stima e l’affetto: era in realtà amore. La giovane non riusciva ad accettare questa verità e si diceva di non poter permettersi – proprio adesso che il suo corpo e il suo spirito cominciavano a riprendersi – di ricadere nella disperazione per un amore non corrisposto e di ritrovarsi a un passo dalla morte … interiore. Il suo cuore già martoriato dalla terribile esperienza di Ravensbrück non avrebbe mai sopportato un’altra delusione e stavolta per lei sarebbe stata davvero finita. Non poteva confondere le cure mediche di Werner e la sua umana sensibilità per un sentimento più profondo, i suoi ampi sorrisi e i suoi sguardi lucenti per dei segnali d’amore, non poteva crearsi l’amara illusione di essere contraccambiata. Ma, ogni giorno che passava, Werner non faceva altro che confermare la sua sensazione e il suo cuore cominciava a scalpitare, desideroso di aprirsi nuovamente all’amore. Il suo cuore era pronto ma la sua mente era ancora frenata dai ricordi del lager e delle persone che in quegli anni le avevano fatto del male. Nel frattempo, anche Werner pensava che ciò che provava Nadine fosse soltanto riconoscenza per averla portata via dal campo e ospitata nella sua casa e non voleva illudersi di un amore che in realtà era a senso unico.

Seduta alla finestra della sua camera, Nadine scrutava la strada: un cumulo di macerie faceva da tappeto alla città e nell’aria aleggiavano ancora polvere e detriti. Di fronte, un palazzo sventrato dai bombardamenti sembrava reggersi in piedi a malapena: forse sarebbe bastata una semplice pioggia per farlo cadere e ridurre in mille pezzi. La ragazza guardò per l’ennesima volta il tatuaggio inciso sul suo braccio, il numero 950 e pensò che il suo cuore fosse proprio come quel palazzo che aveva dinanzi agli occhi. Distrutto e, se anche Werner l’avesse abbandonata, non sarebbe rimasto più niente. Quell’amore che provava le riempiva il cuore e la incoraggiava a riprendersi e ad andare avanti dopo Ravensbrück ma, allo stesso tempo, le faceva paura. Nadine temeva, infatti, che tutto ciò che stava vivendo fosse un sogno e che Werner fosse un’illusione. Temeva di risvegliarsi da un momento all’altro e di ritrovarsi sola nel fango del lager, sporca di disprezzo e disperazione. Temeva di essere ingannata come nel suo arrivo a Ravensbrück quando, percorrendo quel bellissimo viale fiorito di gerani colorati, aveva creduto che fosse un posto migliore oppure come aveva fatto Kurt promettendole di salvarla dal campo. Nadine aveva paura ma sentiva di potersi fidare di Werner, perché lui era diverso da tutti gli altri e non le avrebbe mai fatto del male. Intanto, anche il giovane si domandava se Nadine fosse soltanto un’illusione, un miraggio nel deserto della sua vita e temeva che presto sarebbe svanito e lui risprofondato nella solitudine e nel buio dell’antisemitismo. Ma ben presto le loro paure caddero e, in un tiepido pomeriggio d’inizio estate, i due trovarono il coraggio di dirsi i loro sentimenti.

Poi la mano di Werner si posò su quella di Nadine mentre i loro visi si fecero sempre più vicini. Gli occhi negli occhi, i respiri all’unisono e le loro labbra finalmente vicine per potersi sfiorare. 

 

Tu, non sarai mica tu

una saponetta che

scivolando non c’è.

Dimmi che da un’ora tu

hai bisogno di me

che di ossigeno di più.

Dimmi che non sei tu

un miraggio, ma sei tu.

 

Umberto Tozzi, Tu

 

 

   
 
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