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Autore: Daisy Pearl    23/01/2012    11 recensioni
Avete mai pensato che possa essere la cattiva la protagonista di una storia?
Marguerite non è nè santa nè dolce. Tutt'altro.
Lei sà giocare ad un gioco particolare, un gioco di sguardi ed è abituata a vincere.
Ma cosa potrebbe accadere se un paio di begli occhi verdi dovessero batterla per la prima volta in questo strano gioco?
Bè leggete e scopritelo!
Attenti agli sguardi!
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
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GLANCES GAME -- GIOCO DI SGUARDI




CAP 3

Erano ormai circa le 5 di mattina quando decidemmo di uscire da quella discoteca.
Rob, un po’ brillo, ridacchiava senza sosta vantandosi della vittoria mentre io continuavo a guardarlo incredula ridendo del suo essere così pateticamente patetico.
Ma una vittoria non è mai tale se l’avversario non si sente sconfitto e, naturalmente, io non potevo sentirmi sconfitta dal momento che non ero stata battuta, questa  era solo una sua stupida convinzione.
Per suggellare questo, all’uscita dal locale,diedi un bacio al buttafuori carino che la sera prima mi aveva fatta entrare.
Rob mi guardò con sguardo di sfida e quando quasi stava per dare anche lui un bacio al ragazzo, come avevo fatto io, lo presi sottobraccio e ridacchiando lo allontanai da lì.
“Adesso ti concentri anche sugli uomini?” gli chiesi divertita. Non rispose, si limitò a sbuffare.
“Brucia la sconfitta eh Rob?”.
 Mi guardò con quegli occhi cielo e ribattè “Sconfitta?” rise.
“Andiamo a fare colazione va!” esclamai trascinandolo in un bar.
Quando entrammo le poche persone che già si trovavano nel locale a quell’ora si volsero verso di noi e ci squadrarono, forse per l’aspetto trasandato e non del tutto normale di Rob, oppure per il mio provocante vestito.
Entrai a testa alta beandomi degli sguardi languidi degli uomini e di  quelli invidiosi delle due donne che stavano dietro il bancone.
Scelsi un tavolino vicino alla finestra e feci sedere Rob, prima di sistemarmi di fronte a lui. Una delle cameriere che prima mi aveva odiata si fece avanti con block notes e penna in mano e ci chiese “Cosa vi porto ragazzi?” e il suo sguardo vagò da me a Rob che fissava il tavolo assente.
“Tre caffè” risposi senza nemmeno degnarmi di guardarla.
“Tre?” domandò la ragazza un po’ stupita, come per assicurarsi di aver capito bene.
Ero stanca, volevo un caffè e le sue domande mi stavano davvero innervosendo, così alzai lo sguardo e incontrai ai suoi occhi.
Non servì pronunciare alcun ordine mentale le mie scure iridi avevano già fatto tutto da sole, potevano ipnotizzare, stregare, ma anche incutere timore e la ragazza davanti a me sembrò leggermente spaventata.
Così si voltò e tornò solo pochi minuti dopo con i nostri caffè fumanti su un vassoio, ci servì e non si fece più vedere.
Posizionai un caffè d’avanti a me e i restanti due li diedi a Robert. “Perché due? Non ho bisogno di DUE caffè!” protestò.
“Bevi e zitto!” ribattei io acida. Il mio gesto non era dovuto al fatto che io fossi una pia donna, cosa peraltro assurda considerando il soggetto, ma lo feci solo perché volevo che si riprendesse un attimo, non mi andava di trascinarlo a villalux mentre lui si sbellicava dalle risate.
 Dopo una mezzoretta Rob stava decisamente  meglio e ci mettemmo a discutere della notte precedente “Però darmi un bacio davanti a quella pazza sclerotica te lo potevi anche risparmiare!” disse lui ridacchiando “Puzzo ancora di alcool e mi sento appiccicoso!” aggiunse.
Lo annusai “Già, puzzi ancora di alcool! Per quanto riguarda l’essere appiccicoso, lo eri anche prima che quella ti rovesciasse quel drink addosso!” esclamai divertita.
 “Appiccicoso? Io insisto per venire con te perché le tue reazioni mi fanno morire dal ridere e anche perchè ADORO il tuo essere stronza col prossimo” sbadigliò “Anzi devo ammettere che quel bacio ha dato più brio alla serata!”.
Gli feci l’occhiolino avvicinandomi “Per la reazione della pazza o perché agognavi di baciarmi da tutta la serata?”.
“Mmm a te la scelta!” rispose avvicinandosi a sua volta. Sorrisi e mi alzai “Non so tu che voglia fare adesso, ma io me ne torno a casa, sono a pezzi!”. Andai alla porta quando sentii un “Hei tu?”. Mi voltai e vidi un nonnetto che mi guardava dritto dritto negli occhi. Che stupido! “Dica!”.
“Il conto..” sussurrò porgendomi uno scontrino. Offrimi la colazione sciocco! “Ma non importa per questa volta offro io…” disse apatico.
Sorrisi “Grazie signore!” e uscii dal bar seguita dagli sguardi curiosi della gente.  Arrivai a casa stupendomi che Robert ancora non fosse apparso alle mie spalle, ma poco importava, dopo una notte in bianco ero davvero stanchissima.
Aprii il portone e lo richiusi quasi immediatamente alle mie spalle. Sospirai. Agatha arrivò ben presto a vedere chi fosse arrivato. Col suo solito sguardo assente si posizionò dinnanzi a me chiedendomi con voce spenta “Posso fare qualcosa per lei?”.
 “Al diavolo!” le sbraitai contro e salii le scale in un batter d’occhio pronta a infinite ore di riposo.
Mi svegliai per il frastuono.
Qualcuno si doveva essere addormentato sul campanello di casa perchè quest’ultimo inondava la villa con il suo suono fastidiosamente  acuto. Mi misi il cuscino sulla testa sbuffando.
Ma anche in quel modo il perforante suono raggiungeva i miei timpani già provati dalla lunga notte passata ad ascoltare musica a volume esageratamente elevato.
Ma dove diavolo finiva Agatha quando serviva.
“Agatha!” chiamai con la voce piena di sonno “Agathaaaaa!” riprovai.
Niente il campanello era come posseduto e la domestica era come morta. Quello che si dice un ottimo risveglio. Mi alzai sbuffando, misi addosso la prima felpa che trovai e mi precipitai giù per le scale.
Quando raggiunsi il portone vidi la massiccia figura della domestica avanzare con una lentezza degna di una tartaruga zoppa, alzai gli occhi al cielo imprecando e pensando a quanto fosse inutile quella donna, dopo di che aprii di qualche decina di centimetri la porta. Due occhi azzurri e vispi catturarono i miei “Finalmente!! Fa freddo fuori sai?”.
“Robert! C’era da aspettarselo!” sibilai.
 “Dovevi per forza svegliare tutta la casa? Ah già dimenticavo che sei egocentrico, rompicogl..” .
“Mar, Mar, Mar suuuu un po’ di gentilezza!! Non insultarmi dai! Almeno non davanti agli ospiti!”.
Perplessa spalancai completamente la porta e vidi che Robert era accompagnato da una signora di un magro degno di uno scheletro,  e dall’aria così fragile da sembrare essere fatta  di porcellana.
 Al di sotto del cappellino rosso all’inglese spuntavano di boccoli finto platino che le arrivavano fino alle spalle dove si richiudevano sul corpo.
Dalle rughe sul viso dedussi che doveva avere una sessantina d’anni.
Così la Mar irritata scomparve sotto la maschera di cera che ormai tutti noi avevamo imparto a portare sin da piccoli, perché la gente è così sciocca da giudicare un libro dalla copertina, e noi dalle nostre maschere abbindolatrici.
Sorrisi amabile e dissi esageratamente mielosa “Mi scusi è che a volte il nostro Rob..” e qui presi quest’ultimo sottobraccio per dimostrare il profondo affetto che ci legava “…a volte sa essere così…così…” lo guardai cercando la parola giusta.
Lui sorrideva beffardo, era palese che si stava godendo il mio tentativo di rimediare alla pessima figura fatta poco prima. “…bè è così!! Ancora un ragazzino…lo sa come sono gli uomini..” . La donna mi rivolse uno sguardo curioso ignorando completamente quello che le avevo appena detto.
“E..lei è??” chiesi cortese.
“Dorothy  Mcfunction, e  se non le dispiace vorrei entrare, sa, come ha detto il suo amico, fa freddino qua fuori!”. Con tutta la mia forza di volontà mi sforzai di sorridere, mi faci da parte e feci passare la donnetta.
“Cerco il dottor Black, avevo un appuntamento alle 9 ma vengo da fuori città e il mio pullman è arrivato prima del previsto, il giovanotto lì..” disse indicando con un cenno del capo Rob “..mi ha detto che abitava qui!”.
 “Infatti, ma temo che non la riceverà prima dell’orario prestabilito”. Le dissi sorridendo in modo vergognosamente esagerato.
“Signora guardi può attendere in questa sala” disse Rob indicandole la porta che conduceva alla biblioteca “Il dottore sarà da lei il prima possibile”.  La donna gli sorrise riconoscente, entrò nella sala guardandosi intorno stupita.
Capivo come si sentiva, la prima volta che io avevo visto la Biblioteca ne ero rimasta stregata, sia a causa delle dimensioni, sia a causa dell’enorme numero di libri in essa contenuti. Ma questo accadde quando ancora ero molto piccola.
Rob, una volta che miss Mcfunction non fu più a portata d’orecchi si rivolse verso di me con il suo solito ghigno cantilenando “Ma che bel pigiamino…molto mooolto sexy”.
“Ma vai a cagare!” gli risposi voltandogli le spalle e iniziando a salire le scale.
“Shh shh shh non vorrai fare un’altra figura come quella di prima no??”.
Mi voltai di scatto verso di lui che si trovava un paio di passi dietro di me “Lo sai che avrei potuto farle dimenticare tutto con un solo sguardo” sibilai “Ma purtroppo Alan è stato categorico, i nuovi pazienti prima devono essere visitati da lui, ffff!” sbuffai riprendendo la salita.
“O forse non l’hai guardata negli occhi perché erano troppo impegnati con qualcos’altro..” .
Sapevo dove voleva arrivare e così risposi sghignazzando “Con cos’altro sentiamo…”.
“Ma con me, ovvio baby!”. Scoppiai a ridere di puro gusto, solo lui riusciva ad essere così stupido.
“Ma dico, Roby…hai visto con che razza di bei ragazzi mi sono divertita stasera? Ma secondo te perderei il mio tempo con te?” replicai voltandomi verso la mia porta che nel frattempo ero riuscita a raggiungere.
“Ovvio!! Io ho qualcosa che loro non hanno! Qualcosa di innegabilmente speciale…” affermò con un sorriso da conquistatore.
Stavo per replicare sulla stessa linea quando la porta accanto alla mia si aprì.
Ne uscì una spettinatissima Caren che sbadigliava mugugnando “Ma che ore sono? Avete finito di far chiasso? Auuuun…voglio dormire”.
“Dio che schifo Caren, ti ho visto i polmoni quando hai sbadigliato!” dissi acida. Quella giornata stava decisamente iniziando in modo sbagliato. Mi lanciò un sorriso cattivo e sarcasticamente replicò “Cos’è successo Mar?  Rob ti manda in bianco? Per questo sei così acida? Oooo scusami…è vero…tu sei SEMPRE  acida!”
“oh-oh-oh” finsi una risata “Caren non ti facevo così simpatica! Davvero! Comunque nemmeno io ti facevo così stupida! Come stavo giusto dicendo a Rob prima che tu ci interrompessi mostrandoci le tue tonsille, io posso permettermi di meglio, a differenza di qualcuno!” e la squadrai con sguardo sprezzante dalla testa ai piedi.
Lei strinse i pugni sibilò un “grrr” e guardò Rob in cerca di un sostegno, ma lui se la stava ridendo allegramente. Allora si girò e tutto a un tratto sbattè la porta.
Scoppiai a ridere “Ma una può essere peggio di così?”. Robert scosse la testa. Senza aggiungere altro entrai in camera mia, ma prima di richiudere la porta alle mie spalle vidi Rob che entrava nella camera di Caren; quel giorno non voleva proprio essere mandato in bianco.
Mi vestii in fretta mettendo un paio di jeans e una maglietta a righe e scesi velocemente al piano di sotto, dove si trovava la signora che aveva portato Rob.
Ero curiosa di vedere come fosse quella nuova paziente, vedere quale debolezza mentale avesse, quanto fosse facile manovrarla, ma ero perfettamente consapevole che non avrei potuto testare la cosa prima della visita di Alan, così mi limitai a entrare in biblioteca sorridendo.
“Le dispiace se le tengo compagnia?” chiesi inverosimilmente gentile. Lei alzò lo sguardo da un libro che aveva preso dagli scaffali senza complimenti.
Una persona sicura, valutai, o che si fa pochi scrupoli. Strano. Le persone esterne che frequentavano villa Lux di solito non mostravano quel tipo di comportamento, erano molto più insicure.
“Ma certo!” rispose. Mi sedetti accanto a lei.
“Cosa legge?”. Senza rispondermi chiuse il libro per farmi vedere il titolo. “Il mondo come rappresentazione e volontà”.
“Shopenahuer?” domandai sempre più incredula.
C’era DECISAMENTE qualcosa che non andava.
 Chi andava da uno psichiatra non si intendeva di filosofia semplicemente perché non aveva le capacità mentali per mettere in discussione tutto il proprio sistema di valori e le proprie credenze, non era abbastanza stabile per farlo. Pensai che probabilmente aveva preso il primo libro che le fosse capitato in mano.
Invece affermò “Oh è uno dei miei filosofi preferiti!”.
Sorrisi incredula. Volevo davvero guardarla negli occhi, costringerla a raccontarmi cosa ci facesse lì se visibilmente era perfettamente sana, la curiosità mi stava divorando.
 Ma  non potevo! Strinsi i pugni poggiati sulle mie ginocchia e li fissai intensamente.
 Anche se il nervoso mi stava salendo sempre di più mi sforzai di essere il più carina possibile “Cosa fa lei nella vita miss Mcfunction?” chiesi continuando o non guardarla.
“Bè in realtà sono una psichiatra, proprio come il signor Black, ma sa che a volte anche gli psichiatri devo essere, analizzati! Ho sentito che il Signor Black è molto abile nel suo settore e allora ho deciso di rivolgermi a lui!” disse con la sua vocina acuta.
“E lei qui ci abita?” mi domandò.
Ci misi qualche secondo a capire che si stava rivolgendo proprio a me. Ero troppo sconvolta da quello che mi aveva detto. Non era mai arrivata a casa una che svolgeva a stessa professione di Alan.
Fortunatamente in  breve ripresi le mie facoltà cognitive e risposi amabilmente “Si!”.
Le sorrisi. Dio quanto odiavo essere così falsa, ma era davvero strettamente necessario, soprattutto considerando il fatto che lei poteva capire da un mio piccolo errore che stavo fingendo, dovevo fare un’interpretazione da oscar.
“Lei è la figlia del dottore…”.
E tutte quelle domande, mi sembrava di trovarmi in presenza di una vecchia pettegola che non aveva niente da fare se non immischiarsi nella vita altrui.
Nonostante i miei pensieri intervenni prontamente per spiegare l’errore “Io vivo qui, ma Alan,…cioè il signor Black non ha figli, io, ragazzo che l’ha portata qui, e altri quattro abitiamo questa casa, il signor Black ci ha amorevolmente adottati quando eravamo piccoli. Sa, uscivamo da situazioni complicate”.
“Ohhhh…non volevo toccare un tasto dolente!” si scusò tirandosi su gli occhiali che le erano scivolati sul naso.
“Nono, non si tratta di un tasto dolente! Per noi è stata una vera fortuna avere Alan!” sorrisi compiaciuta della mia interpretazione, mi stavo quasi per commuovere per la mia bravura.
“Davvero una brava persona! Proprio come si dice in giro”.
“Mmm non sapevo che circolassero voci sul conto di Alan! Viviamo una vita molto riservata, lui si mostra poco in pubblico” riflettei ad alta voce, molto perplessa da quella strana dichiarazione.
“Ha ragione, ma lei sta parlando degli ultimi venti anni! Ma sa, il signor Black ha anche un passato”. La guardai incredula. Sapevo benissimo che stava dicendo qualcosa di perfettamente logico, ma riusciva difficile pensare ad un fantomatico Alan del passato, non credevo che lui avrebbe potuto essere diverso da come io lo conoscevo.
“E cosa dice il paese su Alan?” chiesi curiosa.
“Oh…in paese non so, come le ho già detto non sono di qua, ma all’interno del nostro campo ci si conosce, si sanno molte cose. E’ vero, come diceva lei, che da una ventina d’anni il Signor Black conduce una vita riservata, infatti noi colleghi non sentiamo più parlare di lui da anni, si fa vedere solo all’annuale festa per i medici e gli assistenti”.
“Ricordo! Ci va una volta l’anno è vero!” esclamai, stupita di quanto poco avessi osservato Alan in tutto quel tempo. Una volta l’anno egli tirava fuori il suo impeccabile smoking di seta nera, indossava la solita maschera da buon samaritano e andava a quella festa, per trovare nuovi pazienti, diceva, e per guadagnare la stima dei suoi colleghi, fondamentale per avere una buona reputazione come medico.
La signora Mcfunction, seccata per la mia interruzione tossicchiò per diversi secondi. Quella donna mi stava innervosendo parecchio, ma considerando l’interesse e la curiosità che avevo per quello che stava dicendo, inghiottì la serie di insulti che mi stavano salendo in gola.
“Comunque vent’anni fa partecipava a molte più feste e portava sempre con se sua moglie, una gran bella donna…”.
Stop , pausa. Sua MOGLIE?
Alan come dolce e affettuoso maritino?
Alan INNAMORATO?
MOGLIE?
ALAN?
Non ero affatto sicura di aver sentito bene, spalancai la bocca sorpresa e senza farlo apposta fissai la donna negli occhi.
Lei sussultò un attimo, probabilmente sorpresa dalla profondità del mio sguardo e si mise a guardare distrattamente la copertina del libro, tutto per evitare il contatto con i miei occhi, e continuò “La vedo sorpresa…”.
Riassunsi il mio solito contegno “Oh lo sono! Non sapevo che Alan avesse una…avesse una…” no, non riuscivo proprio a dirlo.
La parola MOGLIE non si intonava per niente al nome Alan Black.
“Bè io l’ho vista un paio di volte! Era molto bella, e moooolto dolce. Probabilmente hanno divorziato e non gliene parla perché fa troppo male”.
Sospirai. La cosa puzzava abbastanza, magari era solo un test da strizzacervelli per psicanalizzarmi a mia insaputa. Se era così io ci stavo cascando con tutte le scarpe.
 Il nostro silenzio venne interrotto da una voce esageratamente allegra: Rob aveva fatto la sua comparsa vestito di tutto punto sulla porta, e non aveva per niente la faccia di uno cha aveva passato la notte in bianco, sembrava che si fosse appena ridestato da un lungo sonno rigeneratore. Mi scocciava ammetterlo ma Caren aveva fatto un miracolo.
“Lo sapevo” disse ridacchiando “Signora Mcfunction, perdoni la nostra Mar, non le ha nemmeno offerto qualcosa! Agatha!”.
Lo fulminai con lo sguardo. Quanto sapeva essere irritante quel ragazzo!
“Mi scusi davvero Miss, ma lei sa intrattenere una conversazione in maniera così sublime che me ne sono totalmente dimenticata, spero voglia scusarmi” sorrisi amabile, mentre lanciavo uno sguardo a Rob che alle spalle della signora fingeva di vomitare.
“Oh…sono lusingata signorina. Ma mi dica quel bel giovanotto vive qui con lei?” e così dicendo indicò con la testa Rob.
“Siamo come fratelli.” affermai come se fossi davvero fiera di avere Rob come parente. In realtà il più delle volte avevo la tentazione di strozzarlo.
Agatah entrò nella stanza con il suo solito sguardo catalettico e stava per attaccare con la sua cantilena quando capii che grosso errore poteva essere quello di far vedere quella donna-automa del tutto priva di personalità a una psichiatra.
Sicuramente non avrebbe mai capito nel profondo, ma avrebbe intuito. SEGRETEZZA aveva detto e ripetuto almeno un milione di volte Alan nei miei primi mesi a villa Lux, quelli che gettarono le basi su cosa sarei diventata.
“NESSUNO DEVE SAPERE QUELLO CHE ABBIAMO IL DONO DI FARE” ripeteva col suo sguardo penetrante camminando avanti e indietro di fronte a me ,Caren e Rob come avrebbe fatto un generale con il suo esercito.
“TROVEREBBERO UN MODO PER FERMARCI! E NOI NON CE LO POSSIAMO PERMETTERE!”.
La cosa bella di saper influenzare la volontà degli uomini e uniformarla TOTALMENTE al perseguire i nostri interessi stava proprio nel fatto che l’essere umano è un essere stupido e ignorante.
Così sciocco da credere che le decisioni prese così gentilmente da noi per loro, siano in realtà state prese da loro stessi! Non avrebbero mai attribuito la colpa delle loro scelte ad altri.
Naturalmente per continuare ad agire in questo modo era necessario che gli uomini continuassero a pensare di essere totalmente e completamente padroni delle proprie scelte e della propria vita.
 LA SEGRETEZZA PRIMA DI TUTTO!
Ma Agatha era stata TOTALMENTE privata della sua capacità di pensare, di muoversi o di agire liberamente, era controllata da fili invisibili dal più grande burattinaio della storia moderna, Alan.
E una psichiatra, che sicuramente non è una sprovveduta, avrebbe sicuramente capito che qualcosa non andava, si sarebbe insospettita, e dato il personaggio, avrebbe ficcato il naso dove non avrebbe dovuto. Consapevole di tutto ciò balzai con uno scatto fulmineo in piedi e mi avvicinai ad Agatha prendendola sottobraccio.
“A dir la verità ho bisogno un attimo di te Aggy!” sorrisi alla nostra ospite mentre Robert mi lanciava uno sguardo decisamente pieno di interrogativi.
“Vogliate scusarmi” aggiunsi  trascinando la domestica fuori dalla stanza. Chiusi la porta alle mie spalle e tirai un sospiro di sollievo.
“Desidera...”
“Agatha vai in cucina!” ordinai nervosa catturando i suoi occhi. Lei si ammutolì all’istante e se ne andò. Trassi un sospiro di sollievo.  Intanto sentii che anche Rob si stava congedando dalla nostra ospite, poco dopo infatti mi raggiunse.
“Ma sei pazza? Vuoi che scappi a gambe levate a dire che in questa casa siamo tutti pazzi? Mar, perché hai portato via Agatha così? Si è visto che era una fuga in piena regola!”.
Il suo tono così fastidiosamente accusatorio mi irritò ancora di più. Lo presi per una spalla e lo spinsi contro il muro, mi avvicinai al suo viso e puntai i miei occhi dritti dentro ai suoi.
 Poi sibilai “Tu hai una minima idea di chi fosse quella gentile e amabile signora?” le ultime parole le pronunciai con perfido sarcasmo, poi continuai senza aspettarmi una sua risposta “E’ una PSICHIATRA, come Alan! CAPISCI?”. Lo presi per il colletto della camicia.
“Può analizzarci in un solo istante, non è una sciocca o una malata, lei può capire cose che noi pensavamo che nessuno avrebbe mai capito!”. L’espressione di Rob mutò profondamente, passando paradossalmente dall’irritato al divertito.
“Ma dai Mar, non ti sembra di esagerare?”.
Lo fulminai. Non sto esagerando SCIOCCO! E lo sai anche tu! Lui trasalì, ovviamente il messaggio partito dalla mia mente era giunto a lui tramite l’influenza dei miei occhi. Lo lasciai andare.
“Vado ad avvertire Alan”. Detto ciò voltai le spalle a un Rob ancora un po’ intontito e mi diressi verso lo studio del mio mentore. Arrivata alla grossa porta esitai. Alan sicuramente era già in piedi, era sempre stato molto mattiniero, ma non sapevo come dargli la notizia, magari era già al corrente di tutto.
Incapace di prendere una decisione, trassi un profondo respiro e bussai. Nessuna voce mi invitava ad entrare. Ribussai. Niente.
Allora abbassai la maniglia ed entrai. Lo studio di Alan Black consisteva in’ampia e spaziosa stanza dal cui soffitto pendeva un’enorme lampadario ottocentesco.
 In mezzo alla sala troneggiava un lettino, vicino al quale vi era un accogliente divanetto in pelle nera. Appena davanti alla finestra invece vi era posizionata la possente scrivania di legno dietro la quale solitamente Alan studiava intensamente i suoi pazienti, incrociando le dita delle mani e appoggiando il mento sul loro dorso. La stanza era totalmente vuota.
Decisi di aspettarlo lì, mi piaceva sempre stare nel suo ufficio, mi dava l’illusione di avere potere, enorme e sconfinato potere.
Alan, lui sì che era un uomo potente, probabilmente lo era così tanto che io non avrei MAI potuto eguagliarlo!
Forse anche per questo lo ammiravo profondamente, ed era uno dei sentimenti più umani che fossi in grado di provare, insieme alla profonda riconoscenza per avermi sottratta da mia madre e avermi permesso di diventare quella che ero.
Così mi sedetti sulla poltrona dietro la scrivania e mi voltai verso la finestra alle mie spalle. In realtà non stavo guardando il paesaggio, piuttosto stavo riflettendo.
 Mi dava fastidio ammetterlo, ma probabilmente Rob aveva ragione. La mia reazione di poco prima nei confronti della signora Mcfunction era stata realmente esagerata.
Ero talmente attaccata alla mia vita da vedere una minaccia anche in una semplice signora di mezz’età. Che stupida! Sorrisi e mi volsi verso la scrivania.
 Fu allora che lo notai. Era lì, l’unico oggetto poggiato sul tavolo, delle dimensioni di un normale libro, ma allo stesso tempo sembrava colmare tutto lo spazio circostante, come se avesse un’aura propria.
La copertina era nera e lucida, sembrava fosse fatta di pelle, dava l’idea di essere molto antico.
Avevo paura di toccarlo, come se potesse sgretolarsi al solo contatto, ma allo stesso tempo braccia invisibili mi spingevano verso di esso, e più io esitavo più la forza di attrazione aumentava. Irrefrenabilmente, in un istante interminabile, allungai la mano verso la copertina e lo sfiorai.
Un brivido mi attraversò i polpastrelli.
Mi guardai attorno per controllare che non ci fosse nessuno in quella stanza. Dopo di che tornai a rivolgere la mia attenzione a quel vecchio volume.
Finalmente lo presi tra le mani e subito una scossa mi attraversò le braccia salendo su fino alla testa. L’adrenalina inizio a scorrere impetuosa nelle mie vene.
Non potevo più trattenermi, così aprii il libro.
Non appena lo feci mi sentii invadere da una forza invisibile, travolgente come un mare in tempesta  che entrava in me, mi sentivo pervasa totalmente, fu come respirare l’aria fresca dopo che si è stati costretti a trattenere il respiro per un lungo periodo.
 Potevo percepirla scorrere in me chiaramente così come avrei sentito il mio cuore battere furiosamente dopo una lunga e faticosa corsa. Invadeva e inghiottiva tutto il mio essere.
 La sentivo muoversi dentro di me, con i sui innumerevoli tentacoli.
SAPEVO che si stava dirigendo da qualche parte. Il tutto durò pochi secondi e terminò quando tutta l’energia convogliò nella mia testa. Sopraffatta dall’emozione iniziò a girarmi la testa. Prima di svenire sorrisi stremata, ero euforica.
Compresi che NULLA sarebbe stato più come prima.
   
 
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