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Autore: Wendy_magic_forever    24/01/2012    2 recensioni
Sperando che sia migliore di quella che ho scritto un anno e mezzo fa, eccola di nuovo, riveduta e corretta.
TRAMA:
Miki è una giovane donna che è stata diseredata dalla sua famiglia perché invece di obbedire ai suoi nonni dalle regole antiche, ha preferito seguire i suoi sogni.
Si trasferisce nella 135esima strada di New York, dove la zia le ha lasciato un monolocale e lì vive campando dei soldi che guadagna facendo la tassista. Ma poco dopo essersi trasferita scoprirà che le basterà girare l'angolo per ritrovare la felicità perduta il 25 giugno 2009.
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Le immagini sono puramente indicative.
Genere: Generale, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Prologo-

(25 giugno 2001, ore 21:30)


Le persone molto spesso nascono in un modo e crescono in un altro; quando una persona viene alla luce in una certa famiglia dove le insegnano certi regimi, non è detto che essa segua le orme dei propri padri, anche se questo vuol dire andare contro tutto e tutti.
Questo era successo a Eveline, la zia della prima protagonista che incontreremo: la sua famiglia aveva un piede nel ventunesimo secolo e uno nel diciottesimo, e i suoi genitori allevavano i figli secondo rigidi schemi di educazione e apprendimento.
Ma Eveline era diversa dagli altri; si ribellò al loro volere e s'incamminò per la sua strada. Anche se questo le costò una diseredazione, continuò per il sentiero che aveva scelto e non si pentì mai delle sue scelte.
E, tra un rimorso, un tentativo e svariati fallimenti, arrivò in cima dove voleva arrivare; diventò una grande insegnante di danza moderna, molto famosa e molto ricca.

In Italia, a Portofino, c'era una delle sue ville; baciata dal sole, accarezzata dal vento marino, circondata dal verde e così larga da poter accogliere trenta persone.

In questa bella villa ci giocava felicemente una dei nostri protagonisti: una dolce bambina di cinque anni dai riccioletti biondo cenere e un vestitino rosa che amava indossare.
Come ogni bambina fa alla sua età, scorrazzava tra le grandi sale illuminate, nonostante la madre le chiedesse, inutilmente, di non fare troppo rumore.

«Sorella, lasciala giocare.» disse Eveline incitando la sorella a sedersi con un gesto della mano «È normale, per la sua età, correre in quel modo!»
La donna si arrese e si sedette, lasciando la piccola Miki ai suoi giochi.

«Michela somiglia più a te che a me.» disse Caroline, la madre
«Lei si chiama Miki!» disse Eveline, alterata «Non voglio che papà la rovini come ha rovinato te! Guardati! Moglie a uno che manco conosci e con una figlia! E aspetti altri due gemelli! Karo, devi smetterla di chiamarla Michela e insegnarle a vivere veramente!» Eveline ci teneva che sua nipote non entrasse in quel baratro di rigidità dove sua sorella era caduta e a fatica si stava rialzando. In teoria, né lei, né sua nipote dovevano essere lì presenti, secondo i voleri dei loro genitori.
«Scusami, Ev. Sono troppo abituata a chiamarla col suo nome di battesimo. Vorrei che fosse una bambina come tutte le altre, ma non riesco a educarla in quel modo. È difficile cambiare mentalità dopo che ti hanno impresso un regime così... così...»
«Duro? Impossibile? Demotivante? Peggio dei lager nazisti?»
«Sì, esatto.»
Eveline amava sua sorella, e l'avrebbe aiutata in qualunque modo. «Se ti trovi in difficoltà, rivolgiti a me, sorella!», le disse, prendendole una mano.
«Ma se i nostri genitori ci beccano...»
«Non ti preoccupare per loro. Mi avranno anche diseredata, ma non mi impediranno di aiutare la mia nipotina!»

Pov Miki:


Mentre mia madre e mia zia discutevano tra di loro, io correvo come una matta, a discapito del mio bel vestitino rosa.

I miei capelli, a quell'epoca riccioli, sventolavano per la velocità, che mi sembrava aumentare e aumentare e aumentare. Amavo correre, giocare, saltare, girare e non stare mai ferma; come ogni bambina di cinque anni. Per me poterlo fare era quasi un sollievo: a casa mia era vietato essere bambini.

Saltando da una piastrella all'altra, arrivai alla camera di zia Eveline e, guardando la porta di ebano, mi accorsi che era socchiusa.
A me, curiosa piccola peste, bastò spingerla per aprirla.

Fino ad allora, non ero mai entrata nella camera di zia Eveline, perciò rimasi affascinata dall'ampiezza di quella stanza e dai meravigliosi motivi decorativi a fiori sui muri e negli angoli.

L'oro e il bianco sembravano i colori dominanti, nella camera della zia; a parte per il letto a baldacchino di un color blu caldo e accogliente.

E proprio sul muro dietro al cuscino, c'era un grande poster del cantante che da lì a tre secondi dopo sarebbe diventato il mio idolo: Michael Jackson.

Era l'unica cosa nera di quel luogo, anche perché indossava il suo completo della “Bad Era”.
Rimasi affascinata da quella sua immagine: lo sguardo duro e imbronciato, i lineamenti sottili e allo stesso tempo scolpiti, gli occhi profondi dove scorgevi ogni sfumatura della sua anima: rabbia, frustrazione, solitudine, amore... mistero.

Salii sul letto per guardarlo meglio, e rimasi a contemplarlo per ore...

... fino a che zia Eveline non mi sorprese: «Bello, vero?»

Sobbalzai, girandomi verso di lei; era seduta sulle ginocchia dietro di me e mi guardava con quello sguardo amorevole che io di rado ottenevo da un parente. Portava una tuta da ginnastica arancione acceso, in forte contrasto con le lenzuola del letto, ma perfettamente in sincronia con la sua personalità; non bastavano due rughe e i capelli grigi a levarle la sua vitalità giovanile.

«Ehm...sì, credo di sì, zia.» le risposi «Chi è?»
«È un cantante. Ed è la persona che mi ha aiutato a non stare sotto il controllo dei tuoi adorabili nonni!» le ultime parole le disse con una forte nota sarcastica
«Davvero?»
«Sì... mi ha convinto a diventare insegnante di ballo. È molto bravo. O, per lo meno... a me le sue canzoni piacciono!»
«Posso sentirle?»

La zia si alzò con estrema facilità e andò ad accendere lo stereo. Le grandi casse rimbombarono delle prime note di “Heal The World”.

Trovai fin da subito la voce di Michael unica nel suo genere. Non era un uomo, era un angelo.

Dopo un po' di tempo, avevo imparato a memoria il ritornello, e cominciai a cantarlo sopra la sua voce. La mia voce argentina si sincronizzava perfettamente con la sua eterea, creando un duo unico nel suo genere.

A fine canzone, zia Eveline mi fece un applauso: «Hai una voce bellissima, Miki!»
«Mai quanto la sua...» risposi, ancora presa dalla canzone.

Zia Eveline ridacchiò: «Sai, Michael ha proprio ragione nel dire che i bambini dicono le cose con sincerità assoluta!» la guardai, lei continuò: «E lo sai una cosa? I bambini sono ciò che Michael ama più di tutto!»
«Sul serio?» chiesi, estasiata.
«Sì. Solo che... purtroppo c'è della gente che riempe di fango la sua reputazione.»
rimasi quasi scioccata a sentire questa frase: come potevano fare una cosa del genere a una persona come lui???
«Come?» chiesi
«Dicendo cose del tipo “Si è sbiancato”, “Dorme in camere iperbariche”, “Ha il terrore dei germi”...» man mano che elencava, sul suo volto si dipinse una furia incontenibile, le vene pulsarono e la pelle di venne rossa come il fuoco «...“È una donna travestita da uomo”, “È  omosessuale”, “Si è fatto trentamila plastiche” ma in realtà sono tutti falsi, approfittatori, ingannatori, adulatori, voltafaccia , figli di pu...»
«Zia, mi fai paura!»

Detto questo, zia Eveline si calmò, la sua pelle tornò del suo colore originale e le vene si rilassarono. Mi chiese scusa per quella sfuriata: «È che non sopporto le persone come loro! Le detesto.» poi mi guardò negli occhi «Tu non credere mai a una sola parola di quello che dicono. È facile prendere in giro una persona se è buona e sa perdonare.»
Annuii.

La zia pensò un attimo, poi mi disse: «Miki, sai che lui sa anche ballare?»
«Ballare? Davvero? Anch'io so ballare!»
«Sì, ma non le cose classiche che ti insegnano in quella scuola per figli di nobili con la puzza sotto il naso, lui ha uno stile tutto suo. Te lo faccio vedere.»

Guardammo insieme un dvd di clip con lui protagonista, potei assistere a tutte le sue performance di “Smooth Criminal”, “Black Or White”, “Beat It” e “Scream”.

Il suo stile mi colpì subito e, appena il dvd finì, io gridai: «Quello stile è più interessante della danza classica, voglio impararlo!»
«Tesoro, anch'io ho voluto impararlo, ma purtroppo ho dovuto fare da sola perché in quella scuola non lo insegnano il suo stile!»
«Ma se devo farlo da sola, come faccio?»

Lei pensò un attimo: «Puoi imitarlo finché non imparerai. È così che ho fatto io.»
«E ha funzionato?»
Mi lanciò uno sguardo strano: «Vuoi vedere?»

Saltò nel guardaroba, ne uscì con un completo bianco stile “Smooth Criminal”, io applaudii, contenta.

Mise la canzone in questione e iniziò a ballare. Non era come Michael, ma ci andava vicino.

Alla fine, applaudii di nuovo: «Funziona! Funziona! Perché non sei andata da lui a ballare?»
«Perché poi ho scelto un'altra strada.»
Presi un tono triste: «Ma io vorrei diventare una ballerina...»
«E allora fallo. Sai... se ti allenerai con tutte le tue forze, potresti anche farcela. Magari, un giorno, potresti essere in una delle sue clip, a ballare al suo fianco.»
«Dici?»
«Sì, ma lui vorrà solo i migliori. Devi diventare una dei migliori per essere al suo fianco su un palcoscenico.»
Annuii con forza e mi alzai in piedi sul letto con fare orgoglioso: «E allora io diventerò una ballerina cantante così brava, ma così brava, ma così brava che dovrà prendermi per forza!»
«Brava la mia nipotina!!!» mi disse la zia prendendomi in braccio «E sai che faccio?» disse sorridendomi. Con una mano libera prese il dvd di clip e me lo diede: «Te lo regalo. Così ti potrai allenare per bene quando vorrai!»
«Davvero?!?» ero così contenta che me lo regalasse; mi sentivo come se fosse Natale e Compleanno allo stesso tempo
«Sì, tesoro!» rispose «Ma attenta a non farti beccare dall'orco cattivo!» mi disse scherzosamente. L'orco cattivo era il nonno.
Felice come non mai, la strinsi forte, poi mi fece scendere e corsi verso l'ingresso, per metterlo nella borsa di mamma e portarmelo via, a casa mia in California.

(25 giugno 2009, ore 21:30)


Chi conosce la sua storia, sa che cosa è successo a Michael in questo giorno.

E chi sa cosa è successo a Michael in questo giorno, sa perché ero sdraiata sul letto, con la faccia nascosta nel cuscino a piangere.

Il mio cuscino era diventato troppo umido, eppure le mie lacrime non smettevano di cadere sul mio cuore spezzato per questa mancanza.
Era il mio più grande punto di riferimento, la mia vita e la mia meta. Il mio mondo intero.
  “Ora che lui non c'è più, cosa farò?”   mi chiedevo, disperatamente

Il mio cellulare squillò: avevo scelto il ritornello di “Heal The World” come suoneria, la prima canzone che avevo imparato.

La foto e il numero di zia Eveline brillava sullo schermo, accettai la chiamata, nonostante non riuscissi a dire una parola. Poggiai l'orecchio sul cellulare, senza dire nulla.

Fu zia Eveline a parlare per prima, con voce triste e profonda, come se fosse appena tornata da un funerale:   «Miki... ho saputo cosa è successo.»   rimase in pausa, come se anche lei tentasse di tirare indietro le lacrime  «Sai quanto condivido il tuo dolore.»  aggiunse, con la voce contorta dal pianto 

Tirai su col naso rumorosamente: «È morto, zia... ero a tanto così dal diventare brava come lui e se n'è andato...» in preda a una rabbia e disperazione improvvisa, gridai forte: «Perché ora?!? Non poteva aspettare ancora qualche anno?!? Perché così presto?!?»
 «La morte ci chiama quando meno ce lo aspettiamo. Ma tu non devi scoraggiarti.»  tirò su col naso e la sua voce s'incrinò di nuovo «Non è questo che vorrebbe Michael.» 
«Non dire il suo nome... il cuore mi fa tanto male...»
«Anche a me. E pensa che io sono sua fan dai tempi di Thriller!»
«...Questa è la fine, zia?»
«No, tesoro. È un nuovo inizio. Vedi... quando un sogno s'infrange devi prendere la colla e crearne uno nuovo.»
«...ma dove la trovo la colla?»
«Questa è una cosa che dovrai scoprire te. Sii forte, piccola mia.»

Chiuse la chiamata.

Non l'avesse mai fatto. Mi sentii abbandonata a me stessa e al mio dolore. Un dolore che non potevo sopportare.
Mi aveva chiesto di essere forte, ma io avevo avuto così tanti problemi tutti in una volta che non potevo esserlo.

Quella sera feci qualcosa che pochi hanno il coraggio di fare e solo in occasioni davvero disperate.

Tuttavia, quel qualcosa che feci, mi assicurò la felicità. Felicità che avrei ritrovato pochi anni dopo, a New York, in una strada che avrei portato sempre nel cuore: la 136esima strada.
   
 
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