Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: Vesdronica    25/01/2012    8 recensioni
Il trillo della campanella scandì il cambio dell'ennesima ora.
Il corridoio lungo era inaspettatamente vuoto, gli armadietti argentei allucchettati di colpo si aprirono rovesciando il loro contenuto sul pavimento.
Fogli bianchi, un'infinità di pagine vuote presero a svolazzare per il corridoio, come foglie secche autunnali.
Poco a poco si tinsero spontaneamente di rosso acceso, della tonalità del sangue.
Un urlo agghiacciante riecheggiò contro i muri facendomi voltare di scatto.
Quello che sembrava essere il mio liceo si stava trasformando nello scenario di un orrido incubo.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3 Eccomi qui con il terzo capitolo! Spero sia di vostro gradimento :)
Ringrazio come sempre chi ha avuto la gentilezza di perdere un po' del suo tempo per recensire la mia storia, non sapete quanto sia importante per me. Ringrazio anche chi si è solo fermato a leggere, vi amo tutti
Questo capitolo è più lungo del precendente (thank God!) e scusate se le cose vanno un po' a rilento, ma prima o poi tutti i nodi verranno al pettine!
ENJOY!
Disclaimer: questa mia fanfiction è stata concepita e scritta senza fini di lucro, i Jonas Brothers, come penso sia ben chiaro, non mi appartengono in alcun modo; il personaggio di Vee invece è di mia proprietà.




3.



Quella sera andai a letto prestissimo. "Afflitta" era l'aggettivo che meglio mi descriveva.
Mi buttai a peso morto sul letto. Sbuffai.
Il mio orgoglio non sopportava l'idea di aver fatto una tale figura.
Come avrei coperto un così evidente ematoma? Non possedevo alcun tipo di maquillage, al massimo un burrocacao smangiucchiato, abbandonato in una tasca chi sa dove.
Di certo non mi interessava cosa pensava del mio aspetto quella massa di sciocchi che si riversava per i corridoi della scuola. Però non era una cosa facile, trovare il coraggio di mettere fuori il naso  in quelle condizioni.
Dopotutto non era stata colpa mia: e
ra colpa di quei tre ragazzi, mi avevano mandato in pappa il cervello. In circostanze normali mi sarei accorta all'istante di quella palla senza controllo, l'avrei schivata con un veloce e leggero salto, come se fosse la cosa più naturale al mondo. Ma no, ora mi trovavo più interessata a farmi filmini mentali che evitare di restare sfregiata a vita. No, era invece tutta colpa mia. Io mi ero lasciata affascinare in quel modo stupido.
Io non facevo altro che ripensare, di continuo, senza sosta, ancora ed ancora, sempre agli stessi ragazzi.
Quella situazione mi mandava in bestia, ero impotente.
Mi addormentai stringendo rabbiosamente il bordo della federa.


Il sole splendeva timido nel cielo quella mattina ed io, altrettanto timidamente, poggiai i piedi sul pavimento.
Titubante, mi avvicinai allo specchio per constatare i danni sul mio viso; inforcai gli occhiali -sì, ero miope dall'età di undici anni- e mi ci specchiai.
Non era possibile. La mia faccia era a posto. Nessun segno, nessun livido di qualsivoglia dimensione, addirittura sembravo più carina del solito, una strana aura di splendore mi accarezzava il volto.
Impossibile, non era umano guarire così velocemente e certamente non era stato grazie alle pomate datemi dall'infermiera. Doveva essere stato uno dei miei compagni, ma chi? Una volta persa conoscenza non potevo sapere chi mi si fosse avvicinato.
In ogni caso gli dovevo un favore, mi aveva salvato la faccia, in tutti i sensi.


A lezione tutti sembravano bramosi di scoprire cosa c'era sotto la mia portentosa guarigione.
La voce della mia figuraccia aveva fatto il giro del campus in poco tempo, alimentando ulteriormente le insistenti voci che correvano sul mio conto.
C'era chi giurava che io non fossi umana, chi diceva che nascondessi dentro di me un terribile segreto, chi si domandava se per caso io non fossi là solo per la mia parentela con il vice preside.
Non mi interessava molto quello che le loro giovani menti avevano partorito, tanto meno dar loro una spiegazione razionale.
Non ne avevo una nemmeno io.
La calca di persone che provò ad avvicinarsi mi rese incredibilmente nervosa. Cosa volevano da me? Chi erano? Perché avrei dovuto raccontare i fatti miei a delle persone che avevo solo incrociato distrattamente per i corridoi? Perché si interessavano tanto a me? Nessuno l'aveva mai fatto e non sopportavo l'idea che iniziassero proprio adesso.
Nemmeno i miei genitori. Benchè mio padre si trovasse a pochi metri da me, non ci vedevamo nè sentivamo mai. Era un ignorarsi reciproco, risultato di molti anni di indifferenza. Non è un uomo che sa gestire le sue emozioni. E' freddo e distaccato e io ne ho ereditato ogni singolo atteggiamento.
Se il mio stesso padre si comportava così allora poteva solo significare che quello fosse il giusto comportamento da assumere. Quando mi accorsi che per il resto del mondo non valevano quegli insegnamenti, era ormai troppo tardi e il fastidio troppo grande.
Nonostante tutto, sarei comunque rimasta la fredda e calcolatrice ragazza che sono. Se il mio destino è quello di diventare un automa, tanto vale essere il migliore automa in circolazione.
Magari, affascinati dalla mia bravura e capacità di analisi, le società che avrebbero comprato la mia abilità mi avrebbero dato un po' della libertà che nel profondo del cuore cercavo.
Fino a quel momento me la sarei cavata benissimo da sola, senza legami, senza intralci inutili. Non avevo bisogno e, men che meno, volevo una spalla su cui piangere o una mano da stringere nei momenti di difficoltà.
Eppure non potevo far a meno di sentire un po' di calore al centro del petto quando incrociavo uno sguardo curioso e in pensiero per me.
In nessuno di quei volti, però, trovai quel febbricitante paio di occhi castani che tanto cercavo.





"Si definisce solubiltà di un soluto in un solvente a una data temperatura..."
La chimica. Orribile. La materia meno interessante sul pianeta.
Non la trovavo nemmeno facile. Dovevo fare incredibili sforzi per non abbassare la mia egregia media di voti a causa sua. E questa cosa mi imbestialiva. Non ero perfetta. E anche se razionalmente lo avevo accettato, nel mio cuore era una grandissima sconfitta. L'esistenza di questa maledettissima materia mi impediva di crogiolarmi nel mio sempre crescente ego. Non ero certo una che mollava e a suon di sbatterci la testa contro, quelle parole totalmente senza senso, mi sarebbero rimaste impresse nella memoria.
Ero chiusa tra quelle quattro mura da ore ormai. Ci voleva una piccola pausa.
Approfittai così di quell'improvviso bisogno d'aria per andare in biblioteca a cercare dei libri per una ricerca per il corso di geografia magica.
La biblioteca del campus era enorme, raccoglieva volumi antichissimi e di raro pregio. Erano testi maledetti e proibiti, erano testi scampati all'Inquisizione e alla censura.
Mi addentrai tra quegli enormi scaffali. Dunque, la sezione di geografia... Sì, doveva essere alla mia sinistra.
Svoltai alla fine della sezione di zoologia leggendaria, ma fui costretta a tornare di corsa sui miei passi.
Ma che diavolo!
Loro erano là, seduti ad un tavolo a studiare.
Non ne potevo più, quando li cercavo non si facevano vedere, quando li rifuggevo me li trovavo davanti.
Kevin si alzò dal suo posto e lo vidi venire nella mia direzione. Non potevo più fingere di non averli visti.
< Oh, ciao! -si mise a cercare un libro tra gli scaffali- tutto bene? Scusa, ma sto cercando un libro sulle creature mitologiche... >
Mi scansai.
< Tutto... ok. >
< Eccolo! -finalmente mi guardò negli occhi- Sono contento. Vedo che il tuo occhio sta meglio! >
Mi fece l'occhiolino.
< Ti va di unirti a noi? >
Ingoiai a vuoto dal nervosismo.
< Devo prendere un libro prima >
Corsi in cerca della collocazione del libro che cercavo e finsi di non trovarlo.
In che guaio mi ero cacciata? Io e il mio stupido bisogno d'aria.
Feci un respiro profondo, dovevo prendere il toro per le corna. Quella era la giusta occasione per parlare con Joe con calma e in modo maturo. Tranquillamente, in modo molto casual. E allora perché stavo sudando freddo?
Afferrai il libro e li raggiunsi. Gli occhi dei tre mi si puntarono addosso.
Forza, tranquilla. Fai finta di nulla, sii fredda come sempre.
Kevin mi sorrise nuovamente prima di immergersi nelle pagine del suo libro.
Forza, non ero uscita per nulla. Tanto valeva mettersi sotto con quella ricerca.
Del brusio mi distrasse dopo poche righe, guardai Joe: fissava di sottecchi il fratello Nick, un ghigno dispettoso sul viso.
Velocemente scarabocchiò il foglio su cui il fratello stava scrivendo e tornò a far finta di nulla.
Nick lo fulminò con lo sguardo e si vendicò facendo lo stesso su quello del fratello.
Joe ricambiò il favore.
E così fece di nuovo Nick.
Arrivarono poi le gomitate e le spinte.
Peggio di due bambini dell'asilo, erano ridicoli.
< Smettetela! > li sgridò il maggiore.
I due obbedirono per una manciata di secondi, fingendosi dispiaciuti, poi ripresero a darsi noia.
Tsk.
Cercai di ignorarli, mi facevano abbastanza pena, come potevano comportarsi in quel modo in pubblico?
Joe tornò all'attacco: buttò a terra il foglio su cui il fratello stava lavorando, gli chiuse il vocabolario e gli sequestrò la penna e l'astuccio.
< Joe. Ridammeli. >
< No >
< Joe. >
< Noo >
< Dammeli! >
< Parola d'ordine! >
A quel punto gli arrivò un bel pugno sulla spalla.
< Ridammi le mie cose! >
Assurdo, addio pace.
Se avessi un senso dell'umorismo "normale" probabilmente avrei trovato quel siparietto divertente, in realtà ero solo enormemente infastidita.
Avere un fratello significava davvero fare baruffa tutto il giorno? Non la smettevano mai? Erano grandi abbastanza da mantenere un certo decoro? Diamine.
Kevin li divise fisicamente, spostandosi con la sedia tra i due.
< Finitela, con voi due è sempre così! >
Ritornai al mio scritto. Avevo bisogno di concentrazione, dovevo prendere il massimo in quel compito, così avrei confermato la mia A+ per quel trimestre.
Alzai gli occhi dal foglio per raccogliere i pensieri per il prossimo paragrafo.
Vidi una pallina di carta sorvolare Kevin e precipitare sulla testa di Nick. La stessa fu prontamente rispedita al mittente.
Ci fu un gran andirivieni di palline e pezzetti di gomma da cancellare.
Stufo di mirare sempre allo stesso obiettivo, Joe spostò la sua attenzione su di me, credendo fosse una buona idea coinvolgermi nei suoi giochetti infantili.
Oh, ingenuo ragazzo.
Attesi il momento giusto, lasciandomi tempestare da granate di cellulosa e poi attaccai: allungai da sotto il tavolo il piede e gli diedi un sonoro pestone che probabilmente ricorderà a lungo.
Spero capisca che non doveva azzardarsi a mettermi in mezzo.
Si tappò la bocca con una mano per non lanciare un urlo, ma notai gli occhi inumidirsi dal dolore.
< Non vale! Non si attacca da sotto il tavolo! >
< In amore e in guerra tutto è lecito. > mi comparve sul viso un sorrisetto sarcastico.
Mi guardò colpito.
Lo ignorai e tornai al mio compito.
Non mi accorsi che quel mio strano modo di fare poteva considerarsi "flirtare".
< Ma.. Tu ti chiami Vee Vane? >
Lo vidi leggere il mio nome sul foglio.
< Sì. >
Gli si illuminarono gli occhi e fece un sorriso allegro.
< Sono il tuo compagno di banco a letteratura, ti ricordi? >
Se io mi ricordo? Sta scherzando?
< Ti ho pensato un sacco in questi giorni > poggiò il viso su una mano e ritornò a leggere, quel sorriso sempre sulla faccia.
Oh, se sapesse quanto avevo pensato io a lui...




* * *


Un paio di ore dopo tornarono tutti nelle loro stanze.
< Uffa, inizia il periodo dei compiti in classe >
Nick si buttò a peso morto sul suo letto e strinse il cuscino al petto.
Gli piaceva il posto letto che si era scelto, poteva controllare l'intera camera da lì.
< E non vedo l'ora sia già finita! Ne ho già piene le scatole > commentò Joe.
Joe e lo studio? Non proprio amiconi.
Incredibili erano, però, i suoi voti. Nessuno riusciva a spiegarsi un così buon rendimento con un così scarso impegno.
< Come pensate stia lo zio? > chiese Nick.
< Bah, credo bene. Sicuramente non gli dispiace godersi un po' di tranquillità! > ridacchiò Kevin.
< Un po' mi manca quell'omaccione scorbutico. Non era malaccio, forse un po' severo, ma non cattivo >
Joe non disse nulla, si limitò a fissare la foto di famiglia che avevano poggiato sul comodino.
Sentì una fitta al centro del petto.
Ritraeva la loro famiglia: i suoi genitori stringevano tra le braccia il piccolo della famiglia, Frankie. Sorridevano beati, ai loro lati gli altri tre figli.
C'era gioia in quella foto. Amore.
Trattenne i suoi pensieri per non farli captare da Nick.
< Vado a farmi una doccia >
Prese un cambio, un asciugamano e corse in bagno, là i poteri del fratello non lo avrebbero raggiunto.
Gli mancavano i suoi genitori da morire.
Non lo avrebbe dato a vedere per nulla al mondo, non gli piaceva intaccare la sua aria perennemente positiva e orgogliosa. E questo non faceva altro che aumentare il nodo che gli si era creato alla gola.
Due anni. Erano già passati due anni da quel tragico pomeriggio.
I suoi genitori e il fratellino neonato avevano perso la vita in un brutale incidente stradale.
Il giudice decretò che, data la loro minore età, fosse necessario avere un tutore che si prendesse cura di loro. La scelta ricadde sullo zio Josh, il fratello della madre.
Si rivelò l'ultima persona adatta ad occuparsi di tre ragazzini: dati i problemi con l'alcool, non riusciva a tenersi un lavoro stabile e la costante sensazione di fallimento che attanagliava la sua vita, lo rendeva giorno dopo giorno sempre più violento e rabbioso.
Si tolse la maglietta e si guardò allo specchio, questa volta senza vanità.
"Non era malaccio, forse un po' severo, ma non cattivo".
Ripensò a quelle parole.
< Non cattivo > sussurrò.
Rivisse tutto in un lampo: le urla, i rimproveri, la cattiveria in quelle parole che non si meritava, una bottiglia, quella maledetta bottiglia vuota, i vetri rotti lacerargli la carne, il sangue sul pavimento e sulle sue mani, le copiose lacrime che aveva versato.
No, non era cattivo, lui era malvagio.
Il giorno prima del suo compleanno si ritrovò a casa con la spalla fasciata, otto punti a suturargli la ferita.
Tutti avevano dato per scontato che si fosse trattato di un incidente, in fondo Joe era sempre stato un gran imbranato.
Si sbeffeggiarono a lungo della sua goffaggine, mentre nella sua mente risuonavano pesanti le minacce rivoltegli dallo zio.
Non si doveva azzardare a dire nessuno di quello che era successo o la prossima volta non sarebbero bastati dei punti a ricucirlo.
Kevin e Nick non sapevano delle angherie che il fratello dovette sopportare, lo stesso si impegnava a cancellare dalla loro memoria ogni traccia di ricordo. Non dovevano sapere, non dovevano soffrire, non fino a quando non sarebbero stati in grado di cavarsela da soli. 
Si strinse la spalla.
No, non sarebbe più tornato in quella casa, l'essere entrato in quella scuola era stata la sua salvezza. Era la sua occasione di rivalsa.
Era tutto finito.
Si girò per scoprire la grossa cicatrice. La accarezzò leggermente, un forte fastidio lo attraversò da testa a piedi.
Finì di spogliarsi e andò sotto il getto d'acqua calda del box doccia.
Riusciva a sentire ogni singola goccia d'acqua accarezzargli la pelle; tese i muscoli, poggiò entrambe le mani sul muro davanti a lui.
Si godette quel piacevole solletico mentre meditava vendetta.
Un giorno gliela farà pagare, con gli interessi.
Un giorno, quando sarà abbastanza forte, quando i suoi poteri non saranno inibiti da nessuna emozione, un giorno quando avrà la mente così lucida da guardare quell'uomo negli occhi e non provare nulla, allora potrà portare a compimento il suo piano.
Quel giorno, caro zio, era sempre più vicino.






   
 
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