Venerdì sera!
Finalmente un week-end di
riposo dopo il tour de force che aveva dovuto sostenere al San Mungo l’ultimo
mese. Non che le fosse dispiaciuto, sia chiaro, diventare Guaritrice era la sua
ambizione, ma ogni tanto anche la stacanovista Hermione Granger doveva
riposarsi un pochino.
Il periodo di tirocinio
richiede sempre molto impegno e concentrazione e adesso poteva rilassarsi come
si deve, nel senso di poltrire a casa, leggere, fare shopping, uscire la sera,
il tutto condito con la gioia di non ritrovarsi attaccato quello strazio di
Daniel (appunto mentale: mai, e dico mai, mettersi assieme a uno storico
della magia, perché dopo l’iniziale esaltazione intellettuale rimangono solo
abnormi sbadigli e sonnolenza perpetua. E se lo dice una come Hermione!).
La nostra ragazza era di
ottimo umore: la fine del corso, il week-end imminente, la valutazione
eccellente del suo supervisore… perciò, invece di smaterializzarsi
dall’ospedale come al solito, decise di fare due passi per Londra. Quanto tempo
era passato dall’ultima volta che aveva passeggiato con quella calma tra la
folla di babbani che si affrettano in tutte le direzioni? Troppo, sembrava una
vita fa. E in un certo senso era un po’ come se si trattasse veramente di una
vita passata. Fu allora che, nell’enfasi del momento, coi ricordi babbani che
le affollavano la mente, decise di prendere la Metropolitana.
Da donna previdente
qual’era portava sempre con sé qualche Sterlina (così, giusto per non essere
colti impreparati), perciò comprò il biglietto, studiò qualche minuto la
complicata mappa delle linee e scese lungo le scale mobili con un’espressione
compiaciuta sulla faccia, ricordando divertita quando era piccola e ci andava
con i suoi genitori.
Arrivata sul binario
attese il suo treno un paio di minuti e con un sorriso smagliante salì a bordo,
ignara di quanto le sarebbe successo di lì a poco.
*-*-*
Lui non ci aveva mai
capito molto di quella roba babbana.
Ma che cervello avevano
questi qua? Tutte quelle scale metalliche che scendevano da sole (marchingegni
infernali, tra l’altro, altro che le rampe mobili di Hogwarts!), poi quei
tabelloni con tante righe colorate (chi ci capisce è bravo), gente che corre
frenetica in ogni direzione neanche fosse sotto l’effetto della maledizione
Imperius. La Metropolitana.
Harry gliene aveva
spiegato il funzionamento qualcosa come una trentina di volte, e adesso Ron si
divertiva troppo a prenderla (ovvero: ripeteva a memoria il percorso da seguire
per andare a casa sua da lavoro). Una volta ci aveva anche portato suo padre,
non sapeva che cosa regalargli al compleanno e optò per una soluzione
alternativa e economica. Aveva reso un uomo felice.
Era un venerdì sera ed era
piuttosto stanco, ma soddisfatto.
Il suo lavoro di Auror
andava bene.
Lo aspettavano tre giorni
di ferie.
Christine lo aveva mollato
giudicandolo troppo immaturo, risparmiandogli la fatica e l’onere di lasciarla
lui (sì, forse era stato un po’ un vigliacco in questo, ma d’altronde era un
immaturo, parole sue…).
Si era trasferito in un
appartamento decente.
Sua madre gli aveva
lasciato un dolce spettacolare a casa.
Christine lo aveva
piantato!
Riacquistando la
concentrazione necessaria comprò il biglietto (o meglio: chiese a un tale di
farlo per lui, perché si era dimenticato gli occhiali e non avrebbe visto
neanche l’acqua in mare. Scusa collaudata, ormai aveva rinunciato a capire il
funzionamento di quelle macchinette diaboliche); con uno scatto felino salì
sulle scale mobili e ripeté con attenzione il percorso che Harry gli aveva
insegnato per arrivare a prendere il suo treno. Il mezzo era già sul binario,
fece una corsa e riuscì a salire a bordo.
Suo padre sarebbe stato
fiero di lui.
Il treno correva veloce
per i cunicoli sotterranei e Ron era piuttosto intimorito da questo evoluto
manufatto babbano, ma divertito.
Si appoggiò ad uno spazio
di parete libero e cominciò a verificare mentalmente le fermate restanti prima
della sua, giusto per stare tranquilli. Meno sei… no, meno cinque.
“RON?!” la voce di una
ragazza alla sua sinistra attirò la sua attenzione. Ron si voltò.
“GRANDE MERLINO!”
Ron e Hermione erano
sconcertati di rivedersi. Dopo quattro anni. Di nuovo. In una metropolitana!
“Che cosa ci fai tu qua
sotto!” sbottò la ragazza sconvolta. Non suonava come una domanda.
“Hermione?!”
“Cosa ci fai qua!”
“Hermione!”
Silenzio e facce
sbalordite.
“Io…” dissero all’unisono.
Il ragazzo spalancò la bocca e la ragazza strabuzzò gli occhi.
“Stavo tornando a casa…”
attaccò lui, titubante.
“Con la Metro?” commentò
lei scettica.
“Mi diverte, Harry mi ha
spiegato come si prende.”
“Santo cielo, Ron!”
esclamò di nuovo, poi rise sbalordita.
“Hermione! Saranno…
quattro anni?”
“Più o meno…”
E di nuovo calò quel
silenzio imbarazzante. L’ultima volta che si erano parlati avevano diciannove
anni, lei strillava furibonda, lui strillava furibondo, lei piangeva, lui era
viola, lei era offesa, lui era geloso, lei gli aveva mollato un ceffone, lui
l’aveva mandata a qual paese, lei aveva imprecato, lui aveva imprecato, e così
via.
E adesso un mago e una
strega dal passato turbolento si rincontravano dopo qualche anno in un mezzo di
trasporto babbano affollato all’ora di punta.
“Come… come te la passi?”
riprese lei.
“Io?”
“No, tua sorella.”
“Ginny?”
“TU!” ridacchiò lei, e lui
arrossì un pochino.
“Ah. Beh, non c’è male.”
Ripensò per un attimo a quella lagna di Christine e annessi e connessi. “Direi
tutto a posto… tu?”
“Ho concluso il mio
tirocinio all’ospedale.”
“Wow… Guaritrice a tutti
gli effetti!”
“Così dicono.”
“Ma era ovvio che ci
saresti riuscita. Insomma, sei tu… oh cazzo!” si interruppe. “Ho perso il conto
delle fermate e ora non ci capisco più niente! Cosa sarà, la quinta?”
“Io scendo alla prossima,
vieni con me che ti aiuto!”
“Sono un po’ confuso…”
constatò con una smorfia preoccupata guardando fuori dal finestrino, mentre il
treno entrava in una stazione che non gli diceva proprio un bel niente.
“Andiamo!” e si sentì
tirare per un braccio verso l’uscita.
*-*-*
Una volta scesi, Hermione
studiò attentamente il ragazzo che si guardava attorno spaesato. Non era
cambiato particolarmente dall’ultima volta che lo aveva visto: aveva i capelli
tagliati più corti ed era un po’ più robusto di spalle e schiena, ma
all’incirca era rimasto lo stesso.
Era sempre tremendamente
carino, pensò anche.
“No, senza dubbio non è la
mia fermata. Dovrò smaterializzarmi, ma con questo casino…” commentò lui.
“Perché intanto non
facciamo due passi? È un secolo che non ci vediamo.” E dopo aver proposto
questo, Hermione si morsicò la lingua in segno di autopunizione. Aveva mica
azzardato un po’ troppo? A giudicare dalla sua faccia lui sembrava imbarazzato,
in fondo non è che si fossero lasciati esattamente da buoni amici.
“Ehm… ok…”
E i due ragazzi sbucarono
in una via abbastanza centrale della città. Dopo i primi minuti di sconcerto e
freddure si lasciarono andare e cominciarono a parlare a più non posso, di
tutto quello che gli era successo in quei quattro anni in cui non si erano
visti, di dove erano arrivati e dei loro progetti.
“In effetti lo sapevo che
eri tornata da qualche mese dagli Stati Uniti, me lo ha detto Harry” disse Ron.
“Due ceci in bocca quello
non se li sa tenere, eh? Comunque potevi almeno passare a salutarmi!” protestò
indignata la ragazza.
“Potevi farlo anche tu,
allora!”
“Scherzi?! Dopo il modo in
cui ci siamo lasciati?”
“Lo stesso vale per me,
quindi!”
“Ok, siamo pari. Non
ricominciamo a litigare adesso!” concluse la ragazza con un sorrisetto.
“Impossibile, noi
litighiamo per definizione. Le classiche persone che cozzano di continuo, su
tutto.”
“Colpa tua, sei sempre
stato troppo… passionale.”
“Passionale?” e inarcò un
sopracciglio.
“Sì, prendi fuoco in un
attimo, nel comportamento e in volto!”
“Ha parlato la donna di
ghiaccio!” si difese.
Ehi ehi, stavano mica
flirtando? No, non poteva essere.
Ma invece era. Si trattava
del classico flirt del tipo ‘rivedo il mio ex dopo anni e, avendo
inconsciamente cancellato i ricordi negativi legati a lui, me ne sento di nuovo
attratta come se tra noi non fosse successo il finimondo che invece è successo’
(si tratta della definizione scientifica del suddetto tipo di flirt, mi sono
documentata). Ed era inutile che cercasse di nasconderlo, gli stava mandando
dei segnali espliciti attraverso il linguaggio del corpo. Ok che Ron non era
mai stato troppo sveglio, ma poteva anche evitare di toccarsi di continuo i
capelli.
“Io sarei arrivata” gli
disse fermandosi davanti a un portone.
“Hermione, mi ha fatto
piacere. Davvero. Non facciamo più i bambini ok? Fatti sentire.”
“Anche tu” gli sorrise.
“Già…” e le restituì il
sorrisetto. “Io vado allora. C-ciao…”
“Ciao, Ron.”
Restando ferma con le
braccia incrociate, lo guardò voltarsi dopo qualche istante di titubanza. Dove
sarebbe andato adesso? Un’idea malsana le balenò in testa, e non riuscì a
fermarsi in tempo.
“Ron?”
Lui si voltò. “Si?”
“Perché non sali un attimo?”