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Autore: fragolottina    25/01/2012    12 recensioni
"‘Pâtisseries françaises’ è famosa per i suoi dolci, per il fatto che Paris Hilton compra qui la sua torta di compleanno e per il suo pasticcere francese eccellente quanto affascinante, si dice che sia anche velatamente arrogante, ma sono sicura che siano solo chiacchiere."
Quando però Veronica Neri si trova davanti alla dura verità - Pierre Mureau è davvero il presuntuoso che dicono - ha due scelte: rinunciare ad un posto sicuro e decisamente ambito per orgoglio, oppure inghiottire amaro, sopportare Mensieur 'Io sono più figo di te perché parlo francese' Mureau e sperare di conquistare i suoi favori per mettere le mani sul suo leggendario quaderno di ricette.
Ci riuscirà?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Patisserie française fragolottina's time
allora prima che inizio a sproloquiare, che poi non si sa dove vado a parare, ringrazio tutte quelle che hanno inserito questa storia nelle preferite, ricordate, seguite e che mi hanno recinsito: io scrivo per far piacere a me, ma se facendolo faccio piacere anche a voi è molto meglio!
mi avete resa strafelice!
poi, questo capitolo com'è? ...decisamente non scontato, suppongo... relativamente lungo (guardate la barretta quant'è piccina!), sicuramente divertente...
va a finire che vi dico qualcosa, quindi a più giù...
ps. stamattina ho fatto il compito di francese (tanto per rimanere in tema) quindi sono un tantino rintronata, se ci sono degli errori che non ho visto mi scuso... se li vedete voi fatemi un appunto che li correggo!

CAPITOLO 2

Le conseguenze di una discussione
«Sei in ritardo.»
    Le sei sono un’ora infida, un’ora infida e fredda. Cielo, è ancora buio.
    Lo guardo aprire il negozio in quel momento, bello come il sole che non è ancora sorto, dopo avere parcheggiato il mio scooter – non ho la macchina – dietro il locale. Per alcuni secondi rimango semplicemente a fissarlo, in attesa che le mie sinapsi addormentate trovino la risposta giusta da dargli. «No, non è vero.» commento infine, perché, se lui sta aprendo adesso, non posso essere in ritardo. «Tu sei appena arrivato.» io non ero mica tanto bella stamattina, con occhiaie e segni del cuscino. Magari non dorme. Oppure dorme in piedi. Forse in una bara con le braccia incrociate.
    «E sono in ritardo.» mi lancia un’occhiata terribilmente lucida, sono quasi invidiosa. «Quindi lo sei anche tu.» si rimette un mazzo di chiavi tintinnanti nella tasca della giacca e mi apre la porta. «Mademoiselle.»
    Assottiglio lo sguardo poi entro; non appena varco la porta, ormai sveglia grazie al suo essere intrattabile anche la mattina alle sei, incrocio le braccia sul petto e lo osservo. «Sei in ritardo.» lo scimmiotto.
    Lui ridacchia entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
    «Pierre, aspetta.» urla qualcuno correndo fin davanti alla porta e bussando a mano aperta. «Ho scordato le chiavi.»
    È un ragazzo dall’aria adulta, non riesco a situarlo esattamente in un fascia di età, ma immagino sia sulla trentina. Lui torna indietro e gli apre, annoiato, qualsiasi cosa faccia sembra che si annoi a morte. Anche quando fa sesso, probabilmente, Laura rimane una grande incognita. «Nora?» gli domanda.
    «Sta ancora dormendo.» ride mordendosi il labbro. «Diciamo che abbiamo fatto le ore piccole…»
    Pierre sbuffa senza avere la minima idea di presentarmi. «Diciamo che non te l’ho chiesto.»
    «Tu sei la nuova ragazza?» chiede direttamente a me, aggirando una situazione sociale che Pierre non ha intenzione di rispettare.
    Annuisco e sorrido. «Mi chiamo Veronica.»
    Anche lui sorride, non è esattamente bello, insomma, non quanto Pierre: è magrissimo, alto, troppo dinoccolato ed ha il viso ed i lineamenti troppo appuntiti per i miei gusti, ma sembra esattamente il tipo di ragazzo in grado di prenderti nonostante l’aspetto. «Ciao, Veronica, io sono Daniele.» mi saluta. «Pierre, non me la strapazzare, è così carina.»
    Lui mi guarda, mi studia tutta, sono sicura che se avessi qualcosa che non va – dai trigliceridi alti ad un’ernia – a questo punto lui lo saprebbe. Fa una smorfia. «È carina, ma è un po’ inutile.»
    Sospiro studiandolo. «Guarda che io sono qui.» poteva dire che sono carina evitando di aggiungere altro, no? Evidentemente no.
    «Oui, oui… certo.» mi afferra per un braccio tirandomi prima dietro il bancone, poi in cucina. «Appena puoi ci fai due caffè francesi?» urla dall’altra parte senza lasciarmi.
    Lo seguo come un palloncino legato al polso di un bambino fino allo studio della Bernardi. Come lei, scavalca la scrivania e si avvicina ad una scatoletta, che ha tutta l’aria di essere il contatore della corrente, mentre si scioglie dal collo una sciarpa verde muschio e si sfila la giacca. E la maglietta.
    Ed io volevo chiedergli come diavolo è fatto un caffè francese, ma, trovandomi a fissare la sua schiena chiara e nuda, mi esce solo un: «Pierre?» imbarazzato… ed anche un po’ ammirato.
    Lui mi ignora tornando dalla mia parte, poi in cucina. Io resto perplessa e pietrificata, guardando la maglietta che è rimasta sulla scrivania di Eleonora e riflettendo sul fatto che, magari sono stanca ed ho visto male, ma… si stava spogliando?
    Quando rientra nella stanzetta si sta slacciando i jeans, mi lancia un’occhiata da sotto i riccioli che gli ricadono sulla fronte e sbuffa. «Sei ancora così?» mi chiede superandomi e fermandosi di schiena. «C’è soltanto questo posto per cambiarsi e la mattina di tempo da perdere per fare i pudichi non ce n’è.» quando si abbassa i pantaloni io mi giro ad occhi sgranati. Non che io sia pudica, però… meno male che non devo svestirmi.
    Rincuorata dal fatto che in fondo io devo semplicemente infilarmi un grembiule, mi tolgo la giacca, poi sciarpa, guanti ed inizio ad intrecciarmi i capelli.
    Lo sento trafficare con qualcosa che sferraglia, probabilmente una cintura, poi immobilizzarsi. Cerco di pensare a cosa non gli vada bene – perché è scontato che non gli vada bene qualcosa – visto che ho perfino messo una maglia di caldo cotone senza pelucchi, quando per fortuna mi illumina.
    «Dovresti proprio tagliarti i capelli.»
    Eccolo là, doveva esserci qualcosa.
    «I patti sono che se ne trovi uno in giro li taglio, altrimenti no.» gli ricordo, pronta prima di lui, che si infila una fascia, poi una cuffietta che gli nasconde tutti i ricci biondi, il che è un vero peccato.
    Si stiracchia, sbadiglia, fa un paio di distensioni in avanti. «Bien.» conclude.
    Torniamo in cucina dove è tutto quanto acceso ed i forni stanno già riscaldando l’ambiente.
    «Non lavoro la notte, quindi la mattina si fanno gli impasti perché sia tutto pronto il pomeriggio ed il pomeriggio per la mattina dopo.» lo osservo avvicinarsi al frigo e tirarne fuori alcune scodelle. «Tecnicamente con te dovrei impiegare meno tempo, ma sono sicuro che per correggere i tuoi errori me ne ruberai un sacco…» è davvero confortante il fatto che abbia sempre una parola tenera per me. «quindi l’orario mattutino potrebbe cambiare.»
    Distribuisce tutto quello che ha preso sui vari piani di lavoro poi mi si avvicina, mi prende una mano mentre con l’altra mi solleva il viso in modo che possa guardarlo negli occhi. Per un secondo rimango vagamente scossa – un tantino più di vagamente – e cerco di ritrovare lucidità sbattendo le palpebre. «Veronica, sto per darti il tuo primo incarico.» dice piano fissandomi, per essere un ragazzo ha le ciglia decisamente lunghe e folte.
    «O-ok.» balbetto incerta.
    «Ma devo avere la tua parola che tu ti impegnerai al massimo.»
    Mi rendo conto che il cuore mi sta battendo molto più forte del normale, probabilmente sono eccitata all’idea di fare qualcosa per Pierre Mureau, o magari è un altro tipo di emozione. Mi schiarisco la voce obbligandomi a fare pensieri razionali e lucidi: è per il lavoro ovviamente. «Certo, che devo fare?» gli chiedo impegnandomi al massimo per mantenere un tono di voce neutro.
    «Monta la panna.» dice serio.
    Incantesimo rotto.
    «Come?» chiedo incredula mentre si allontana e mi tira fuori una frusta elettrica da uno sportello.
    «Sai farlo, no?» fruga tra le pentole finché non trova una bacinella ed un paio di pacchi di panna da montare. «Se riesci a farlo bene, domani ti potrei anche far sbattere le uova.» e non è affatto ironico.
    Io vorrei lanciargliele le uova.
    «Caffè!» sentiamo urlare Daniele prima che si consumi un delitto, ahimè, inevitabile.
    Pierre mi fa un cenno con la testa verso il bar. «Vola!» mi ordina.
    Io sbuffo con i pugni stretti lungo i fianchi e mi dirigo indispettita verso il davanti del locale. Cioè, quello mi fa montare la panna, anche una bambina di tredici anni lo sa fare! Si prende un cartoncino di panna da cucina, si versa in una ciotola o nel comparto di un frullatore, e, a seconda della scelta, si monta con la frusta o si spinge il tasto ‘on’.
    Quando mi vede palesemente irritata, infastidita e con gli occhi illuminati da immagini di sangue, Daniele scoppia a ridere porgendomi due bicchierini di polistirolo. Si allunga sul bancone e mi posa le mani sulle spalle. «Calma, bambina…» mi suggerisce. «calma, pensa a cosa rilassanti.»
    Al momento mi sento così… grrr! Che non c’è niente in grado di potermi rilassare. «Tipo il suo sangue al posto della marmellata di mirtilli?!» domando, meno sarcastica di quanto dovrei, sospetto. «Tu da quanto sei qui?» gli chiedo, alla ricerca di un motivo qualsiasi per non tornare di là immediatamente.
    Lui si volta e fruga nelle macchinette. «Quattro anni.» indossa una maglia verde menta come le mattonelle, con sopra un grembiule rosa come i muri; Eleonora è stata decisamente fantasiosa e poco attenta ad eventuali imbarazzi nello scegliere la loro divisa.
    Quando torna a guardarmi credo di avere gli occhi fuori dalle orbite, perché lui ridacchia. «Lo sopporti da quattro anni?!» chiedo completamente ed irrimediabilmente incredula.
    Lui si stringe nelle spalle con noncuranza. «Se non invadi i suoi spazi, non è così male.»
    Lo osservo sconsolata per alcuni secondi, poi decido che è ora di tornare all’inferno: io sono pagata per invadere i suoi spazi.
    Ci sono tre crostate a cuocere in un forno, diverse teglie di biscotti in un altro, e, nel suo preziosissimo e personalissimo miracolo francese, i croissant. Impegnandomi a non considerarlo, lascio il suo bicchierino sul tavolo e torno alla mia bacinella, con annessa frusta. Che m’importa, in fondo? Se Eleonora Bernardi si può permettere una tizia che gli monta soltanto la panna e pagarla mille euro al mese, meglio per me, no? Prendo uno stipendio di super lusso senza fare niente. Fottutissimo bastardo di un francese!
    Vuoto due cartoncini nella ciotola ed aziono la frusta con un mano, mentre con l’altra scoperchio il mio bicchiere. Ne bevo appena un sorso prima di fare una smorfia disgustata. Sono nella pasticceria più chiacchierata della città e mi tocca bere il caffè senza zucchero… ma che diavolo!
    Apro un cassetto e pesco un cucchiaino a caso, prendo un po’ di panna e…
    «Non ti azzardare a farlo.» mi minaccia.
    Volto il viso e lo fulmino. «È la mia panna.» annuncio decisa e stufa. «Di una fabbrica italiana e montata da me…» carico particolarmente il ‘me’ in modo che gli entri bene in testa. «vai a giocare con il tuo ‘Dolce Forno’.» e non me ne frega niente se sto per scatenare una guerra, se il mio atto di ribellione – decisamente audace: ho messo la panna nel caffè… io e Rousseau abbiamo lo stesso spirito rivoluzionario, evidentemente  – mi si ritorcerà contro: non posso farmi sopraffare dai suoi isterismi. Anche perché, se chino la testa oggi, dovrò chinarla ogni santo giorno e non mi pare proprio il caso di creare un precedente della mia assoluta obbedienza. Quindi prendo il cucchiaino e lo tuffo nel mio caffè.
    Lui mi si avvicina a passo di carica e non posso non gongolare davanti alla sua espressione furiosa: è soddisfacente sapere che io riesco ad esasperarlo almeno quanto lui esaspera me. Decisamente soddisfacente… quasi eccitante.
    «Sono il pasticcere più famoso della città, io.» inizia chinandosi appena in avanti per parlarmi addosso. «Paris Hilton chiede de parler con moi. La gente paga il doppio rispetto ad una qualsiasi boulangerie pour manger quello che preparo io!» mi da una spintarella alla spalla ed io guardo con espressione oltraggiata il punto dove mi ha toccato. È così vicino che quando lo faccio sento i miei capelli intrecciati sfiorargli il viso. «Tu sei soltanto una ragazzina imbranata, incapace e presuntuosa…»
    «Ah, io sarei presuntuosa!» esclamo interrompendolo. «Tu mi fai montare la panna, nonostante io sia una pasticcera fatta e finita!» continuo.
    Ora, magari fatta e finita no, però, insomma…
    Lui prende la ciotola alla quale mi sono dedicata finora con tanto amore – beh, un po’ meno – e la butta nel lavandino. «Da quel che vedo non sai fare nemmeno quello.» grida.
    Prima che possa davvero pensare a quello che sto per fare, la parte più arrabbiata, più offesa, più indisposta a certi comportamenti ed accuse di me si libera di ogni catena che il quieto vivere impone. Probabilmente, se fosse a portata di mano, gli lancerei un’altra mela, ma ho il mio bicchiere di caffè corretto con panna ed è quello che gli svuoto in faccia.
    Per un lungo istante tutto si ferma tranne il mio cuore, incoraggiato a rimbalzarmi nel petto dall’adrenalina della discussione. Ho voglia di colpirlo con qualcosa di duro, di pesante; ho voglia di fargli male, conficcargli le unghie nella pelle, morderlo.
Lui mi prende le braccia, pronto a ricominciare ad urlare, ignorando ogni palese traccia di aggressività che possa esserci nel mio sguardo. «Come caz…»
    Ti permetti? Hai potuto?
    Non può terminare la frase perché ha la bocca impegnata.
    Ha la bocca impegnata perché l’ho baciato.
    «Bambini, come va? State facendo i bravi a zia Nora?»
    Cielo, due giorni e sono già andata fuori di testa!
    Mi scosto in fretta ad occhi sgranati, lui ha un’espressione indecifrabile, ma probabilmente al momento è troppo incredulo per mantenere lo stesso livello di rabbia. Arrossisco tutto insieme ed allontano di scatto le mani, che ad un certo punto devo aver posato sul suo camice.
    «Scusa.» sbotto piano, perché, cavolo, devo scusarmi: l’ho baciato!
    Lui mi lascia proprio mentre Eleonora ci raggiunge. «Che succede? Daniele ha detto che state facendo un bel po’ di casino.»
    «Niente.» borbotta lui fissandomi un’ultima volta ed andando a controllare i suoi croissant. Recupera un tovagliolo e lo usa per asciugarsi il viso dal caffè, mentre Eleonora continua a guardare alternativamente me e lui con aria confusa.
    Non mi rivolge più nemmeno una parola per tutto il giorno, cosa davvero frustrante visto che bisogna preparare una torta di compleanno e non possiamo nemmeno tornare a casa per pranzo. In realtà nemmeno io gli do motivo di farlo: mangio a capo chino come una collegiale penitente, scambio qualche parola con Daniele che – il cielo lo benedica – rimane a controllare la situazione, evito di stargli più vicina di tre passi.
    Di tanto in tanto mi da qualche ordine, sempre cose di vitale importanza tipo ‘lava i piatti’ o ‘sgombra il tavolo’, solo che, per oggi, sono talmente spaventata all’idea di un’altra discussione ed alle eventuali conseguenze che potrebbe comportare, da obbedire. Inizio ad avere paura di me stessa…
    Solo quando usciamo, sospirando, mi decido a parlare. Insomma, nonostante mi finisca questo è il miglior lavoro che io abbia mai avuto, quindi, per quanto mi odi, ho intenzione di fermarmi abbastanza – anche per tutta la vita, fosse per me – da preferire un clima sereno ad un continuo, perpetuo e duraturo silenzio imbarazzato.
    «Senti, ti chiedo scusa, non so davvero cosa mi sia preso… non…» sospiro, passandomi una mano sulla fronte. Non lo so davvero! Non sono quel tipo di ragazza che va in giro a baciare ragazzi a caso, non so nemmeno se esistono tipi di ragazze del genere! «di solito non mi comporto così.»
    Lui mi guarda fisso, ignorando l’eventualità che possa mettermi a disagio, anzi, probabilmente lo fa apposta. «Io credo…» comincia. «che tu sia effettivamente pazza.» conclude.
    Ottimo.
    «Mi auguro solo che tu non sia anche pericolosa.» e se ne va a prendere la sua macchina sportiva e sicuramente costosa.

«Lo hai baciato?!» chiede incredula e sorpresa Tiziana ad occhi sgranati.
    Io mi appoggio al bancone del ‘Black Star’ coprendomi il viso con le mani. «Devo essere impazzita.» mormoro sconsolata.
    «Ma come ti è venuto in mente?!» continua. «Lo conosci… da quanto? Trenta ore?»
    «Dio, Tiziana, non lo so!» sbotto. «Non lo so che mi è preso. Era lì che mi urlava addosso e…» piagnucolo senza avere il coraggio di continuare.
    «…e l’hai baciato… assolutamente razionale!» commenta sarcastica la mia amica.
    «Lo hai baciato?» gli fa eco Samuele avvicinandosi.
    Sospiro appoggiando la fronte contro il bancone freddo ed umido.
    «Credo che sia stato un moto inconscio… alla fine è un po’ che Veronica non si intrattiene con un uomo…» spiega.
    Allungo una mano alla cieca dandole una botta. «Non è così tanto, stupida.»
    «Solo un paio d’anni.» acconsente ironica. «Che sarà mai?!»
    Quando mi tiro su Samuele mi sta fissando. «Un paio d’anni che non…» non finisce. «accidenti!»
    «Un anno e tre mesi.» preciso.
    «Chi è stato l’ultimo?» chiede – e non sto scherzando – l’altro ragazzo dietro il bancone insieme a Sam. Ormai della mia privacy ce ne infischiamo altamente. «Se hai tenuto il conto deve essere stata una cosa grossa.»
    Sospiro e guardo Tiziana che abbassa il viso. Abbiamo rischiato seriamente di litigare quella volta; non che io non capissi la sua situazione ed il suo desiderio di rimanerne il più fuori possibile, ma… lei sapeva.
    «Marco Di Prospero.» confesso infine.
    Samuele sgrana gli occhi e guarda la sua fidanzata, l’altro barista – sono quasi sicura che si chiami Simone – non può capire la sua reazione, perché non sa che Marco Di Prospero è l’assolutamente amabile fratello maggiore di Tiziana. «Cazzo…» è l’unico commento che esce dalle labbra di Sam dopo un po’.
    ‘Cazzo’ è effettivamente anche l’unico commento possibile. Mi sono innamorata follemente, irrazionalmente del fratello della mia migliore amica, dolce ed affettuoso come lo zucchero a velo. Ci siamo lasciati perché la sua amante, di cui non conoscevo assolutamente l’esistenza è rimasta incinta. A quel punto il fatto che Tiziana avesse cercato in tutti i modi di sottolineare ogni suo comportamento scostante, ogni sua assenza ingiustificata, ogni sua distrazione, era apparso per quello che era: un tentativo disperato di farmi aprire gli occhi, cercando di non tradire il fratello.
    «Si, ma in tutto questo Pierre come c’è entrato?» chiede Laura, quella che dovrebbe essere la sua ex fidanzata.
    Io guardo la mia bottiglietta quasi vuota di birra e capisco che bisogna raggiungere un livello maggiore di tasso alcolico, se alla fine della serata proprio non riuscirò a stare dritta, tornerò a casa a piedi, l’aria fresca mi farà bene.
    «L’ho baciato mentre litigavamo.» le lancio un’occhiata. «Mi dispiace, pare che il mio inconscio faccia le bizze.»
    Lei si stringe nelle spalle. «Nessun rancore…» sorride maliziosa. «ma in qualche modo dobbiamo arrivare al tuo inconscio.» riflette. «Sam, vodka!»

Veronica è matta... disse quella con una sanità mentale molto opinabile...
cmq, non è una cosa strana come sembra, l'adrenalina è una roba bizzarra... capita... almeno a me capita!
ma voi non volete già bene alla banda del 'Black Star'?! io tantissimo, quindi, si parlerà parecchio di loro...
dunque... oh! ho tante di quelle idee in mente...
non vedo l'ora di scriverle...
per ora se vi va di sapere che ne pensate, mi fate felice!
baciconpanna!


   
 
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