Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: Vesdronica    02/02/2012    6 recensioni
Il trillo della campanella scandì il cambio dell'ennesima ora.
Il corridoio lungo era inaspettatamente vuoto, gli armadietti argentei allucchettati di colpo si aprirono rovesciando il loro contenuto sul pavimento.
Fogli bianchi, un'infinità di pagine vuote presero a svolazzare per il corridoio, come foglie secche autunnali.
Poco a poco si tinsero spontaneamente di rosso acceso, della tonalità del sangue.
Un urlo agghiacciante riecheggiò contro i muri facendomi voltare di scatto.
Quello che sembrava essere il mio liceo si stava trasformando nello scenario di un orrido incubo.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4
E rieccomi qui con il capitolo quattro! Scusate se ritardo un po' con i capitoli ma sono sotto esami e anche se la voglia di scrivere/postare è maggiore, mi tocca comunque studiare o la laurea arriverà davvero nel tremilamai :D
Detto questo, concludo dicendo che amo la mia Beta Reader e la mia Correggitrice (lolwut?) che mi inganna nei modi più subdoli. Vi amo
E amo forever and always chi ha recensito e chi ha solo letto (se volete potete recensire, eh! Non mordo mica ;D)
Auf wiedersehen!
Disclaimer:  questa mia fanfiction è stata concepita e scritta senza fini di lucro, i Jonas Brothers, come penso sia chiaro, non mi appartengono in nessun modo; il personaggio di Vee (e un paio d'altri) invece mi appartengono.


4.


Nick Jonas era sempre stato un ragazzo di poche parole.
Il suo modo 
di esprimersi era diretto e secco, non necessitava di grandi discorsi; aveva la grande capacità di arrivare sempre dritto al punto della questione, senza mezze parole o inutili divagazioni. Chiaro e conciso, così aveva sempre vissuto.
L'avere un potere invasivo, poi, aveva aumentato esponenzialmente la sua riservatezza: lui stesso, che riusciva a leggere profondamente l'animo di chi gli si trovava davanti, cercava in ogni modo di preservarsi dallo sguardo altrui.
I suoi occhi seri e leggermente all'ingiù intimidivano, facendo una naturale scrematura delle persone che poi effettivamente sarebbero entrate in contatto con lui.
Essendo un ragazzo di bell'aspetto, attirava spontaneamente su di lui un alto tasso di sguardi, molti dei quali però, finivano per dileguarsi velocemente, una volta incontrato il suo.
Eppure la sua presenza era sempre stranamente rassicurante; sembrava che nulla avrebbe potuto scalfire quel paio di occhi scuri, che nulla avrebbe potuto piegare in una morsa di dolore quell'imperturbabile maschera di cera che portava sul volto.
Nulla, nemmeno la più grande tragedia che potesse abbattersi sulla sua famiglia. Neanche quel giorno, il dolore lasciò segni sul suo viso.
La vergogna, però, gli strinse forte il cuore.
Fu incapace di dimostrare sofferenza per la perdita dei suoi genitori, che erano tutto quello che in realtà aveva nella vita, oltre ai suoi fratelli.
Potè solo guardare, come uno spettatore non gradito, la facilità con cui quest'ultimi si lasciassero osservare dal mondo nel momento di più grande sconforto che mai avrebbero potuto attraversare.
Non provavano vergogna per le lacrime che stavano versando.
Non dovevano nemmeno chiedere scusa per quell'aperta debolezza e sapeva che sarebbe valso così anche per lui, ma niente da fare, quella sorta di blocco emotivo che condizionava parte della sua vita non gli avrebbe permesso di sciogliersi nel tanto agognato pianto, l'unica cosa che gli avrebbe dato sollievo.
I suoi giorni proseguirono in perenne compagnia di quel limite che non riusciva a superare e con la speranza di trovare qualcuno che avesse il coraggio di donargli un calore abbastanza forte da sciogliere la cera della maschera che si era inconsciamente autoimposto di portare.


"Dio, la mia testa!" pensò Nick, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.
Seguire le lezioni nei giorni in cui non riusciva ad avere il controllo delle sue facoltà, era un supplizio.
Costantemente bombardato da pensieri e riflessioni non suoi, si prese la testa tra le mani.
"C'è una tale confusione qua dentro, perché non la smettono un attimo di pensare?!"
Il più delle volte ascoltare i pensieri delle persone lo divertiva, poteva venire a conoscenza di segreti inconfessabili o smascherare bugie, ma quel giorno sembrava non passare più.
Fossero stati almeno pensieri interessanti! I grossi armadi della squadra di football non facevano altro che ripassare ripetutamente lo schema di gioco che avrebbero attuato nella prossima partita; la ragazzina riccia dell'ultima fila si domandava quale lucidalabbra sarebbe stato più azzeccato con il suo nuovo vestitino a fiori, mentre il tizio basso e grassoccio seduto davanti a lui non riusciva proprio a trovare la definizione giusta per il suo cruciverba.
"No, ti giuro, io l'ammazzo quella ragazzina! Come si permette?! Lei non ha capito come funzionano le cose da queste parti!"
"Dai, calmati... Non serve a nulla arrabbiarsi così"
"Io l'ammazzo, faccio una strage!"
Nick rimase interdetto. Da dove provenivano le due voci femminili che aveva appena sentito?!
Erano così chiare e distinte che sembrava gli parlassero davanti al naso.
Si guardò intorno, doveva essere stata per forza una delle sue compagne, ma bene o male tutti avevano le teste chinate sui quaderni.
Capì qualche istante dopo che stava assistendo ad una discussione telepatica.
Si concentrò intensamente su quella coppia di voci, cercando di annullare le altre.
"Non può andare avanti così. Devo farle capire che deve stare al suo posto!"
"Ma non c'è un altro modo? Non puoi semplicemente parlarle?"
"NO!"
Che diavolo voleva dire?
Il martellante mal di testa non gli diede tregua, ma la curiosità ebbe la meglio su di lui.
Il suono della campanella vanificò, però, tutti i suoi sforzi.
Infastidito raccolse velocemente tutte le sue cose ed uscì in corridoio.
Gli girò la testa, quell'ultimo sforzo non gli aveva fatto bene; per non rischiare di cadere si accasciò contro un armadietto e prese a massaggiarsi le tempie.
Che giornata pessima.
< Scusa, sei sul mio armadietto >
Aprì gli occhi: una ragazza di media statura, con lunghi capelli mossi color sabbia lo fissava perplessa.
< Ah, ok >
Si scansò di qualche passo traballante e riprese a massaggiarsi. Non avrebbe retto un'intera giornata in quelle condizioni.
Si accucciò nascondendo la testa tra le mani, facendo cadere a terra i libri.
La giovane si grattò nervosamente lo smalto smaggiucchiato del pollice, non sicura sul da farsi.
< T-ti senti bene? >
Si chinò per avvicinarsi al poveretto, gli poggiò una mano sulla spalla.
< Sì, sì, ho solo una forte emicrania, tranquilla >
Si tirò su e prese a cercare dei libri nell'armadietto, lanciando qualche occhiata al compagno a terra.
Assicuratasi che non fosse svenuto, chiuse lo sportello con un colpo secco.
< Se stai così tanto male, l'infermeria è per di là -indicò con la mano alle sue spalle- la terza porta a sinistra >
< Ok... > sussurrò.
Raccolse i suoi libri e si rialzò.
< Graz... > ma se ne era già andata.



Tre aspirine dopo Nick si sentì decisamente meglio.
Riuscì nuovamente a seguire le lezioni con interesse e a colloquiare con i professori con la sua solita brillantezza.
Soddisfatto dalla costruttiva lezione di filosofia, uscì dalla classe con un sorrisino stampato in viso e la rivide: la ragazza dai capelli color sabbia sfrecciò davanti come un treno.
Allungò il passo per raggiungerla, doveva presentarsi, sapere il suo nome.
< Ehi, ciao! > esordì con un cenno della mano.
Ottenne come risposta un una manata che non ammetteva repliche.
Non si scoraggiò e proseguì:
< Grazie per il consiglio, mi è stato d'aiuto >
La ragazza si girò a guardarlo per pochi secondi.
< Che stai dicendo? Dai, lasciami stare >
< Quello di questa mattina! Dai, non ricordi? In corridoio! >
Con un gesto stizzito lei si passò una mano tra i capelli chiari e sbuffò.
Tentò di accellarare il passo, ma Nick le rimase alle calcagna.
< No, guarda non so di cosa stai parlando >
< Sul tuo armadietto, mi hai detto di andare in infermeria... >
Inchiodò.
< Senti. Non ho idea di chi tu sia o del perché mi segui come uno stalker assatanato, ma se non assumo al più presto la mia dose di nicotina giornaliera non risponderò delle mie azioni. Quindi se ci tieni alla pelle, lasciami andare a fumare questa dannata sigaretta > e se ne infilò una tra le labbra.
< Sì, scusa. >
Non rispose e si allontanò nevroticamente da lui.
Sospirò, era come se fosse sopravvissuto ad un tornado.


* * *


Non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi, nè di come ci ero arrivata.
L'unica cosa che sentivo chiaramente era il gelo penetrarmi nelle ossa e spezzarle come se fossero semplici grissini.
Lo spazio intorno a me era deformato dalla nebbia densa e ghiacciata.
Quel poco di spirito di autoconservazione che mi era rimasto mi suggerì di provare ad avanzare in cerca di una via di fuga. Le gambe si mossero da sole, incerte affrontarono il vuoto davanti a me.
Continuai a camminare metro dopo metro, verso una meta che solo il mio subconscio sembrava conoscere.
Ogni passo in avanti scatenava in me un nuovo brivido, il sentore che non mi stavo avvicinando alla salvezza ma verso qualcosa di terribile. Agitata accellerai e mi scontrai contro qualcosa che sembrava essere appeso al soffitto.
Un pungente odore ferroso mi inondò le narici. Ne ero completamente impregnata. Sentii le mani sporcarsi di una sostanza densa. Le allungai per capire contro cosa avessi sbattuto. Era morbido e sembrava essere fatto di carne. Poi le sentii chiaramente: un paio di gambe.
La nebbia si dileguò abbastanza per permettermi di distinguere quello che una volta era un corpo umano.
"Uno dopo l'altro cadranno tutti e poi, oh, e poi sarai tutta mia, piccolina"
Un ringhio risuonò nelle mie orecchie.
Prima che potessi urlare con tutto il fiato in gola, mi risvegliai nel mio letto.


Ancora provata, mi sforzai di andare a scuola come se non fosse successo niente.
Aprii l'armadietto, le mani mi tremavano ancora.
Dopo tutti quegl'anni non ero ancora abituata a quello che la mia mente poteva partorire durante il sonno.
Cercai il mio libro di letteratura, ma non riuscii a trovarlo; di solito non lasciavo mai le mie cose in giro, dove poteva essersi cacciato?
< Forse stai cercando questo, snob? > riconobbi la solita stridula voce che non mancava mai di mettermi di malumore.
Guardai torva Camilla, non le avrei permesso di peggiorare ulteriormente quella giornata.
Poi mi accorsi cosa stringeva in mano: proprio il libro mancante, prova inequivocabile la targhetta con il mio nome sulla copertina.
< Si da il caso che sì, stia proprio cercando quello >
< E non vuoi sapere come mai ce l'ho io? >
Come il solito voleva provocarmi.
< Me l'ha dato Joe -fissai il fondo dell'armadietto- ho pensato di fargli questo favore e risparmiargli la seccatura di parlarti >
Sentii il desiderio di strapparle con le unghie quel sorrisetto dal viso.
< Sai, è proprio un ragazzo carino... Ha un bel sorriso e un corpo bello muscoloso. E' decisamente il mio tipo! Saremmo una bella coppia, molto popolari! Abbiamo il potenziale per essere il padroni di questa scuola, non credi? Ah, giusto, dimenticavo che a te non interessa nulla... Quindi non credo ti dispiaccia se ti continuo a parlare di lui, vero? >
Chiusi l'anta con uno schiocco deciso.
< Non vedo proprio il perché tu debba parlar di certe cose con me. Non hai delle sciocche amichette da infastidire con questi inutili discorsi? O anche loro si sono stufate della tua gracchiante voce? Non le biasimo >
L'avevo indispettita parecchio.
< Cosa credi? Io ho MOLTE amiche! >
< E allora perché non stai raccontando a loro le tue conquiste amorose? >
< Tsk, ci credo che Joe non voglia uscire con una come te, sei così antipatica! >
< Camilla, sto cercando in ogni modo di evitare di sentire i tuoi commenti da bambina di due anni, puoi smetterla per favore? Esci con chi vuoi, a me non interessa. Fai quello che vuoi, con chi vuoi, quando vuoi, ma non mettermi in mezzo a questioni che non mi riguardano minimamente >
Me ne andai.
Al diavolo tutto! Non le avrei di certo fatto vedere quanto pungente era la mia gelosia.

< Ehi, tu! Sei Vee, giusto? >
Mi sedetti al mio banco e trovai una ragazza dagli occhi azzurri e la capigliatura spettinata e selvaggia, che mi aspettava con le braccia ai fianchi.
< Sì. >
< Allora mi sa che abbiamo una nemica in comune. >
Alzai il sopracciglio, curiosa. La lasciai parlare e si sedette a fianco a me.
< Ovviamente sto parlando di Camilla. Quella gallina non ha capito come funzionano le cose qui dentro. >
< Ma non era tua amica? Come mai tutto quest'odio? >
Ricodai di averla vista più volte girare con il gruppo di amiche di cui si circondava Camilla.
< Ho imparato che nella vita bisogna tenersi vicini gli amici e ancora più vicini i nemici >
< Questa è una frase fatta, però. >
< Che importa? E' azzeccatissima. Torniamo al punto della questione: non darle tregua. Quella ragazzina ha osato fare quello che nessuno avrebbe dovuto fare e non mi piace. >
< E sarebbe? >
< Questa è una faccenda che riguarda solo me. Ma voglio aiutarti contro quella stupida che ultimamente si sta allargando troppo. >
Non risposi, ma l'idea che mi stava proponendo non mi dispiaceva completamente.
< Punto primo: lascia Camilla a me. Ci penserò io a farle passare la voglia di mettere il naso in ogni dove. Punto secondo: alimenta il tuo fastidio e tramutalo in rabbia. La rabbia porta alla vendetta e credimi, non c'è migliore compagna della vendetta. E' come un morbido gatto, di quelli sornioni dal pelo lungo e candido, che dopo essertisi accoccolati in grembo, se ne vanno stizziti, soffiando. Punto terzo: fai provare agli altri quello che provi tu. Sei arrabbiata? Annoiata? Oppure gelosa? E allora rendi gelosi anche gli altri. Quando avrai reso loro pan per focaccia, allora capiranno veramente le puttanate che hanno fatto e li avrai tutti ai tuoi piedi. -con una mano spostò tutti i capelli dal lato opposto a quello in cui erano prima- Sì, insomma quello che voglio dire è questo: non so bene come sia la storia tra te, Camilla-l'inetta e questo fantomatico "Joe", ma se lei si è scomodata a cercare di farti ingelosire in quel modo palese, vuol dire solo una cosa. E credo che ci siamo capite. A me non sono mai piaciuti i triangoli, molto meglio i quadrati. >
< In breve che stai cercando di dirmi? >
< In breve? Trovatene un altro con cui far ingelosire il ragazzo. >
Rimasi sorpresa da quella risposta. Non mi ero mai vista come una che potesse fare certi giochetti mentali, ma, saranno stati i magnetici occhi di quella ragazza o i suoi gesti concitati, stranamente non la trovavo più un'idea impossibile.
< Sarà un'altra frase fatta ma "in amore e in guerra, tutto è lecito" >
Sorrisi. Quella stessa frase era uscita proprio dalla mia bocca il giorno prima.
I nostri compagni iniziarono ad entrare in massa in classe, frettolosamente; la professoressa doveva essere vicina.
< Beh, grazie per la bella chiacchierata... >
< Daphne >
< ... Daphne. Ma non c'è bisogno che tu ti intrometta in queste faccende. >
< Ok, nessun problema. io ti ho solo dato un consiglio, poi vedi tu se accettarlo. -notò che Joe si stava avvicinando al banco in cui era seduta, si alzò- toh, guarda chi si vede. >
Si lanciarono una veloce occhiata.
< Ci vediamo in giro Vee! >
Uscì di corsa dall'aula, prima che la professoressa si chiudesse la porta alle spalle.
Joseph, incuriosito dalle parole di Daphne si poggiò sul banco e mi guardo, attendendo spiegazioni.
< Ma chi era quella? >
< Non lo so. > Sapevo solo poche cose di lei, le solite informazioni che volano di bocca in bocca per i corridoi: avevamo la stessa età, aveva una gemella con cui però non si faceva mai vedere e, fino a quel momento, credevo facesse parte del "giro" di Camilla.
< Beh, è riuscita a farti sorridere, non perderla di vista. >
Poggiai una mano sulla bocca per nascondere le labbra ancora dispiegate in un sorriso.
Poi mi ricordai in quale situazione mi trovavo, con chi avevo discusso poco prima e soprattutto per chi avevo discusso.
< Camilla mi ha ridato il libro. >
< Oh, davvero? Scusami, non mi ero accorto di averlo preso! Per fortuna è una tua amica e te l'ha ridato al più presto, senza altri disagi >
< Ah, questo ti ha detto? >
< Sì, perché? Quando siamo andati a prenderci un caffè insieme mi ha raccontato che vi conoscete da quando eravate bambine >
Quella gran bugiarda non aveva più alcun ritegno. E l'idea che lui fosse così sciocco da crederle e da uscirci pure insieme mi mandava ancora più in bestia.
Erano usciti per un caffè. Da soli. Molto più di quanto io potessi mai sperare ed ambire!
"Ti ho pensato un sacco in questi giorni" sì, immaginavo quanto doveva avermi pensato.
Mi aveva pensato anche mentre stava conversando amabilmente con Camilla?
Aveva pensato a me mentre le stava facendo la corte? Fandonie. Lui era bugiardo tanto quanto la moretta dalla voce stridula.
Ero cascata nella sua rete di bugie e frasi dolci con tutte le scarpe, come un'ingenua qualunque e non mi piaceva fare la figura della sciocca, non mi piaceva proprio per niente.
















   
 
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