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Autore: Ziggie    02/02/2012    1 recensioni
It's never too late to mend, perchè non è mai troppo tardi per redimersi. Un'avventura per i fratelli Blues lunga una vita, ma al loro fianco non vi era solo la Banda, ma anche Ziggie. Recensite se vi va :) Buona lettura.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ehylà, che si dice!?!?!!?
Eccomi qui con un nuovo capitolo, un capitolo che mi rende alquanto fiera di quanto ho scritto. Si passa da un ricordo passato al presente e, che dire, lascio a voi la lettura come spero le recensioni :)
Un grazie particolare a Ju, che segue assiduamente il racconto; al Lord che commenta sempre e alla mia sist Fede :) che mi supporta sempre. BUONA LETTURA.
                             

 

                                    10. Buon compleanno Elwood


Dei sorrisi, delle parole dolci poi, il nulla. Un bagliore e un forte impatto, i soli ricordi di quella fatidica sera. Persi tutto e divenni sola. L’unica sopravvissuta, l’unica ad essere uscita con qualche contusione: perché?!?!

Pioveva a dirotto, il temporale si faceva sempre più vicino, stavamo tornando a casa. Si, avevo una casa e una famiglia. Avevo tre anni. Da lì, più niente.

Il mondo mi crollò addosso, lasciandomi abbandonata in un orfanotrofio freddo e cupo, schernita dagli altri, mai scelta dalle famiglie perché mi rifiutavo. Io la mia l’avevo persa, non me ne occorreva una nuova.

Di mio padre mi era rimasta una maglia dei Cubs a maniche corte, il mio pigiama, il mio portafortuna, nel quale ci stavano tre o quattro me. Di mamma mi era rimasto il sorriso, ma era da quel cupo giorno che faticavo a ridere.

Rimasi qui, fino agli undici anni, età in cui venni condotta in un altro edificio, più caldo e accogliente, nonostante fosse l’ennesimo orfanotrofio. Feci, però, i primi amici e conobbi la musica.

Come di consueto, ogni notte che, vi era un temporale, l’incubo di quanto vissuto tornava a farmi visita, così come accadde quella sera. Mi svegliai, piangendo.

Mi guardai intorno, un po’ spaesata. Ad illuminare la stanza la fievole luce dei lampioni della strada, le tapparelle erano a metà. Accanto al mio letto vi era Jake, che dormiva spaparanzato a pancia all’aria e bocca aperta: no, non l’avrei svegliato. Di fronte al mio letto: Elwood.

Era colui con cui avevo subito legato, che mi  era entrato subito in simpatia, cosa che, faticava ad accadere, di solito. Niente mi garantiva che mi avrebbe consolata o che si sarebbe svegliato, ma  non volevo la pietà di nessuno. Nessuno, da quando era accaduto il fatto, mi aveva consolata e, in questo momento, avevo soltanto bisogno di una spalla su cui piangere, il letto era troppo freddo e solitario, nonostante fosse estate.

Mi avvicinai, al suo capezzale, timida. Tirai piano le coperte. Si svegliò, ma, nonostante la voce impastata e gli occhi ancora semi socchiusi mi sorrise appena, chiedendomi cosa succedeva. Gli risposi, semplicemente, che avevo avuto un incubo, lui mi guardò perplesso, non sapendo cosa fare, alla fine non ci conoscevamo che da una settimana e mezza. Piansi, incapace di fermare le lacrime. Mi fece posto nel suo letto, impacciato e non poco. Mi abbracciò e posai la fronte sul suo petto, lasciando che le lacrime facessero il loro corso.

-E’ soltanto un incubo, Ziggie  – mi sussurrò, come a tranquillizzarmi,un pò titubante – vedrai che ora passa tutto -.

- No, è l’incubo della mia realtà, Elwood – scossi il capo, tirando su con il naso.

Elwood fu la prima e unica persona a cui rivelai di quella fatidica notte. Perché lo feci? Non lo so.

-Perché loro si e io no? Perché loro sono andati in quel posto, che tutti chiamano migliore, ed io sono ancora qui? – chiesi disperata.

- Probabilmente perché tu hai ancora qualcosa da compiere a questo mondo – mi rispose, poco meno impacciato, accarezzandomi i capelli. Era stato diretto, si, ma in quel modo mi fece aprire gli occhi.

- E che cosa? – chiesi tranquillizzandomi.

- Che cosa non lo so, ma, se la costruirai con le tue mani, sarà qualcosa di grande -.

- Inizierò con il sorridere di più, allora – concessi, asciugandomi le lacrime, gli occhi rossi, bruciavano – a mio padre piaceva quando lo facevo, così li ricorderò meglio -.
- Anche a me piace quando sorridi -.

Aveva trovato il coraggio di superare quell'impacciataggine, il coraggio di far forza ad una perfetta conosciuta, ed era riuscito a trasmettermelo.
 
Ogni tanto quel ricordo tornava a trovarmi sotto forma di sogno, ma non piangevo più, sorridevo. Avevo imparato a guardare in faccia alla realtà e, se ora mi trovavo lì c’era un motivo ben valido: dovevo costruirmi una vita, riabbracciare ciò che mi era stato tolto.

Chicago era coperta da un'ampia coltre di neve: era arrivato, finalmente, l'inverno. Guardai fuori dalla finestra, la monorotaia passò e, come ogni mattina, mi diede il buongiorno. Mi stiracchiai e mi passai una mano tra i capelli, affacciandomi e imprimendo quell'aria pungente nei polmoni e sulle gote. Era il 6 Dicembre, il compleanno di Elwood e avevo l'intera giornata per organizzargli una festa con i fiocchi.

Mi infilai i jeans e una felpona di pail, sciarpa, cappello, guanti e anche una sorta di giubbotto, dopodichè, corsi fuori. In auto si faceva fatica a circolare, perciò la lasciai parcheggiata, preferendo andare a piedi dopotutto, il posto che dovevo raggiungere, non era poi così lontano. Camminavo felice come una bambina al suo primo contatto con la neve, le gote rosse per il freddo. Percorsi a piedi una lunga via dritta e svoltai ad un angolo, poco più avanti vi era un piccolo stabile, che vendeva strumenti musicali, di ogni sorta, a buon mercato; sarei andata da Ray, ma raggiungere il suo negozio, a piedi, era pressochè impossibile, ci avrei impiegato tutta la giornata! Guardai la vetrina, prima di entrare ed un'armonica Special 20 attirò la mia attenzione. Entrai e salutai il proprietario, un anziano musicista che ora gestiva quel locale con il figlio.

- Salve - salutai cordiale - Vorrei quella special 20 che avete in vetrina, quella argentata, se possibile - specificai, dato che ce ne era anche una dorata.

- Non potevi fare scelta migliore, signorina - commentò sorridendo l'uomo, avviandosi a prendere quanto richiesto - dov è che ti ho già vista? -

Mi accigliai appena a quella domanda, ma sorrisi - Non saprei, ma se lei ha messo piede a Calumet City, potrebbe avermi visto suonare con i Blues Brothers -.

- Ecco chi era la componente femminile - commentò compiaciuto, portando al banco quanto avevo richiesto.

- Me la potrebbe impacchettare? - chiesi gentilmente, una volta che l'uomo ebbe messo l'armonica nella propria custodia. L'uomo annuì e in breve tempo impacchettò il tutto: avevo il regalo di Elwood.

Uscì dal negozio e mi rincamminai alla ricerca di una cabina telefonica, che trovai sulla strada del ritorno verso casa. Da lì chiamai la Pinguina e le chiesi il permesso, nella maniera più piaciona e leccaculo che potessi mai esibire, di organizzare una festa a sorpresa, per quella sera, ad Elwood. Un pò contrariata, la suora, mi concesse il tutto, a patto che saremmo stati solo pochi intimi, equivaleva a dire: lei, Curtis, El, Jake e io; non voleva la banda che scorrazzava a piede libero per l'orfanotrofio. Glielo promisi e in ultimo le chiesi se sapeva dove potevo trovare i due fratellini. Mi diede il numero di telefono del motel per soli uomini, dove sapeva alloggiava Elwood, mentre mi disse che avrebbe fatto in modo che Jake mi raggiungesse dove abitavo. Come l'avrebbe contattato? Un mistero divino avvolgeva quella domanda, ma lasciai tutto nelle sue mani misericordiose, sapendo che, la sua parola, era legge.

Quando quella conversazione finì, stetti diversi minuti a fissare la cornetta. Mi rimaneva in tasca un ventino, per la telefonata bastava, ma, mi chiedevo, come dovevo pormi nella telefonata con El... Bah! Al diavolo! Avrei colto come sempre il momento e avrei deciso, così, su due piedi.

Telefonai, pregando fosse ancora lì e non in giro chissà dove. Il proprietario me lo passò, sospirai di sollievo.

- Ehy Zig! Qual buon vento ti porta a chiamare questa tana di lupi solitari?! -.

Ridacchiai a quella sorta di metafora - Mi chiedevo se, nel pomeriggio, avevi da fare, tutto lì -. Si, nessun augurio, per ora. Stette in silenzio qualche istante, si aspettava un buon compleanno diretto, lo conoscevo bene.

- Beh...No, sono libero, perchè? -

- Ti aspetto alla pista di pattinaggio che c'è in centro, per le quattro, ok? - alla fine, eravamo d'accordo che saremo usciti insieme, quel giorno, no?

- D'accordo, ci sarò - acconsentì - ma non pensare che mi metterò quegli orribili arnesi -.

- Non preoccuparti, signor B. Mi ricordo che non vai molto d'accordo con gli sport -.

Quando tornai a casa, trovai un Jake infreddolito ad attendermi sul marciapiede: ancora un pò e, sarebbe diventato un cubetto di ghiaccio, da quanto aveva le gote rosse. Però! La Pinguina era stata svelta! Come si dice: le vie del Signore sono infinite.

- Cominciavo a chiedermi quando saresti arrivata - mi disse, arricciando appena il naso.

- Scusa, non pensavo che ci mettesse così poco a rintracciarti e, soprattutto, non ti credevo in zona - presi le chiavi e lo invitai a salire, anche se dovevamo parlare di due cosucce, era meglio discuterne al caldo, visto che, nononostante la temperatura sotto lo zero, gli abiti di Jake non cambiavano mai. Quella era la divisa della sua vita, sembrava che se la fosse cucita addosso.

- Mi piace come ti sei sistemata - esclamò entrando e guardandosi intorno. dopodichè andò al frigorifero e prese un pò di roba da mettere sotto i denti. Lo guardai scuotendo il capo, sorridente: come Elwood, non era cambiato di una virgola!

- La Pinguina mi ha accennato che vuoi dare una festa per El... Bene! Conosco un posto niente male - cominciò a parlare con il suo solito fare da leader, mentre si preparava un sandwich con burro d'arachidi e affettato. Lo bloccai in tronco: doveva aiutarmi, si, ma non doveva fare di testa sua.

- Ferma i bollori, Jake! La festa si fa, a sorpresa, all'orfanotrofio. Senza banda, nè donnine, nè droga. Sarà una sorta di ritorno al passato. Ci saremo noi tre, qualche pacchetto di sigarette, qualche birra, Curtis e la Pinguina - precisai e lui, un pò contrariato, fece una smorfia alquanto buffa.

Ignorò, poi, il fatto che aveva la bocca piena e mi chiese, un pò contrariato - sarà una sorta di serata in famiglia, quindi?! -. Annuii. - Non che mi vada tanto, ma è per il fratellino in questione e, quindi, potrei fare uno strappo alla regola - sorrisi ampliamente.

- Sapevo che non avresti detto di no - commentai, sicura delle mie conoscenze - Io porterò Elwood, che entrerà nel salone al buio. So che Curtis preparerà una torta e pensavo a te per fare qualche scenografia alla Blues, in sala, che ne dici?! -

- Che hai chiesto alla persona giusta, sorella - mi indicò, con un sorriso ben deciso, per poi fermarsi un attimo pensieroso, finendo il sandwich - Sai già cosa regalare ad El?! -

- Si, gliel'ho già preso, ma, mi raccomando, fino a stasera, se lo incontri, non fargli gli auguri, fa come se fosse una giornata normale -.

Annuì e si avviò alla porta - Sai, Zig, se non gli avessi già comprato il regalo, avresti potuto impersonarlo tu stessa, magari uscendo da una torta con un bell'abitino - commentò con fare da marpione, mentre le mie guance diventavano paonazze.
- JAKEEEEEE!!! -

- Che c'è?!?!? Dico solo che, ad Elwood, sarebbe piaciuto - fece spallucce con un sorriso malizioso e piacione ed uscì.

Si, ad Elwood sarebbe piaciuto, ma cosa andava blaterando?!?!? Cercai di non pensarci e posai il piccolo pacchetto sul tavolo, dopodichè andai in cucina, preparai un sandwich al volo e, lo mangiai, uscendo.

Faceva meno freddo di quella mattina, ma l'aria era in grado di tagliarti le guance, alzai la sciarpa fino al naso e affrettai il passo verso la pista. Mentre aspettavo Elwood, avrei, volentieri, pattinato un pò.

La pista stava nella piazza principale del centro città, era una delle più grandi di Chicago e, al mio arrivo, ospitava già parecchie persone. Riconobbi qualche giocatore di hockey, ma non c'erano solo gli esperti: alcuni bambini stavano imparando e, anche, alcune coppiette che andavano mano nella mano. Noleggiai un paio di schettini ed entrai in pista. Me la cavavo bene e mi sentivo più grande di quello che ero sui pattini, perchè era una delle cose che avevo imparato a fare da sola, senza l'aiuto da parte di nessuno. Sfrecciai sul ghiaccio, facendo lo slalom tra la folla, provando a fare piccole acrobazie, andando avanti e indietro, curvando, mentre il freddo mi abbracciava e mi avvolgeva tra le sue braccia. Di tanto in tanto osservavo le balaustre in legno, con la speranza di scorgere Elwood, ma non era ancora arrivato e mi diedi ad altri giri. Stavo facendo i complimenti ad un giocatore di hockey quando sentii qualcuno parlare di un tipo strambo, vestito come un impresario delle pompe funebri in pieno inverno. Scossi il capo e sorrisi: era arrivato. Salutai il mio interlocutore e raggiunsi El, che si era appostato alla balaustra sud
.
- Ben arrivato, signor B - gli sorrisi, pimpante, appoggiandomi al parapetto di fronte a lui.

- E' tanto che aspetti?! - chiese, ricambiando il sorriso, passandosi di tanto in tanto una manica a pulire le lenti che si appannavo con il suo respiro.

- Non ho badato al tempo, è una così bella giornata, non trovi? - chiesi, continuando ad evitare di fargli gli auguri, mantenendo il tono allegro.

Dal canto suo si guardò intorno, come a voler cercare una risposta a quella mia domanda. Sicuramente si stava chiedendo perchè non gli avessi fatto gli auguri, solitamente ero sempre la prima a farglieli. All'orfanotrofio lo accoglievo al risveglio con il Tanti Auguri scritto a caratteri cubitali su alcuni fogli e, anche, quando lui partì per la prima tournee con la banda, lo chiamai augurandogli buon compleanno. - Si, direi che non c'è male - acconsentì, ricambiando, appena, il sorriso.
- Beh... El, hai intenzione di stare dietro alla balustra per tutto il pomeriggio?! - gli chiesi, mentre girovagavo con gli schettini sul posto.

- Te l'ho detto al telefono e tu stessa lo sai: io e gli sport non andiamo d'accordo - ribadì con tono fermo.

- Neanche se sono io ad insegnarti come si fa?!? - chiesi con un faccino a cui non si poteva dire di no - Dai signor B, non farti pregare -.

- No, grazie, preferisco guardare - replicò, annuendo. Era piuttosto risentito, ma sapevo bene che non era per la questione del pattinaggio, bensì per il fattore auguri.

- Io però non ti ho invitato per stare dietro ad una balaustra a guardare, diventando così un cubetto di ghiaccio - mostrai un'espressione alquanto crucciata - ma, ovviamente, se non vuoi, non posso certo costringerti - feci spallucce, mostrandomi alquanto triste, come se il sorriso che avevo poco prima si fosse spento del tutto - faccio l'ultimo giro e ti raggiungo -.
Feci, si, un altro giro, ma quando uscii dalla pista non mi tolsi i pattini, anzi, noleggiai un altro paio per  El. Lo so, mi aveva detto di no, che non gli andava, che non era capace, ma avevo fiducia nelle sue capacità, avrebbe imparato almeno a stare in equilibrio. Era un'azione azzardata, si; voluta soltanto dalla sottoscritta, ma era anche un modo per prendere tempo e stare insieme. Lui mi aveva insegnato così tante cose, ora, potevo ricambiare.

Raggiunsi El con i suoi schettini in mano e, gli picchiettai una mano sulla spalla, per attirare la sua attenzione. - Quando sei pronto, direi che è ora di entrare in pista -
Il ragazzo guardò prima me, poi i pattini, un pò contrariato, facendo una smorfia - sei tremenda - sospirò, prima di sedersi ed infilarli: la fase facile del lavoro.
Lo attesi al cancelletto di ingresso e gli tesi la mano, mentre le persone che schettinavano lo guardavano con le espressioni più svariate. Notai che il problema maggiore di Elwood era l'equilibrio, si sbilanciava troppo: dovevo, dunque, iniziare a farlo stare in piedi. Lo feci appoggiare alla balaustra e gli mostrai come doveva mantenersi ritto. Provò ad imitarmi, ma si sbilanciò e cadde: primo capitombolo. Gli tesi dunque le mani e provai a trascinarlo appena con me, mentre io andavo all'indietro, piano, senza fretta; stavamo riuscendo nell'intento, ma, quando lo lasciai, dopo pochi passi, ricadde: secondo capitombolo. Il vestito nero stava via, via diventando sempre più bianco.

- Il trucco è pensare che esisti solo tu, i pattini e la sottoscritta, che ti sta aiutando. Non c'è altro intorno a te - gli dissi. Sapevo che non era facile, ma il tutto aiutava.

- Oh! Certo! Chissà perchè io pensavo a non finire con il sedere per terra, ma ci continuo cadere - brontolò, rialzandosi.

- E' perchè parti in negativo che ci continui a finire - gli spiegai, senza demordere - E' come camminare, El. E' come scivolare su un palco -

- Preferirei scivolare sul solito palco di legno piuttosto, che, su questo di ghiaccio -

Cercai di ignorare quelle parole, ma decisi di dargli un piccolo indizio, senza andare troppo nel dettaglio, ovviamente - eh... Magari, su un palco di legno, ci scivolerai più tardi - commentai con un sorriso furbetto, prima di sgusciare via e farmi un giro di pista.
Gli diedi il tempo di assimilare quella notizia e, dopo aver compiuto il mio giro, gli sbucai alle spalle, afferandogli, a tradimento, una mano. Lo trascinai con me, ovviamente il più piano possibile, stava imparando dopotutto!! Fu una buona idea, El sembrava riuscire a stare in equilibrio, tanto che riuscimmo a fare mezza pista.

- Stai facendo progressi - commentai con un sorriso.

- Io aspetterei a cantare vittoria - fece lui, serio e concentrato.

- Non vedere sempre tutto nero - lo ammonii, con fare scherzoso. Si, da un certo punto di vista alludevo anche agli occhiali. Lui fece per ribattere, ma non vi riuscì, dato che finì nuovamente con il sedere a terra a causa di un ragazzo che ci sfrecciò troppo vicino. Persi l'equilibrio anche io e, come una pera cotta, caddi a gambe all'aria, senza, però, mollare la presa della mano di Elwood.

Fu quando lo vidi brontolare che scoppiai a ridere di gusto - No, signor Blues, non me ne sono dimenticata - dissi tra le risate, divertita per quella posizione: entrambi con il sedere refrigerato a terra - aspettavo giusto il momento opportuno e credo sia arrivato. Buon compleanno Elwood - gli augurai con un amplio sorriso, dandogli un bel bacio sulla guancia: cosa che, lo tranquillizzò, notai.

- Volevo ben dire che, la mia Ziggie, si fosse scordata del compleanno del sottoscritto - fece con aria di chi la sapeva lunga - ma, toglimi una curiosità, come mai l'idea di questi cosi infernali? -

Arrossii quando disse esplicitamente "la mia Ziggie", suonava così dolce! Ma ridacchiai subito, evitando di mostrare l'impacciataggine del momento - Semplice! L'ho fatto per passare un pomeriggio diverso dalla norma - commentai con fare ovvio, facendo spallucce, furbetta: noooo, non stavo nascondendo qualcosa!
Il mio sorriso lo insospettì, d'altro canto mi conosceva bene ed era quello che volevo: cuocerlo per bene a puntino, per farlo rimanere estasiato dalla sorpresa, che lo attendeva quella sera.

- Un pomeriggio diverso dalla norma - si grattò il mento pensieroso - tu, mi nascondi troppo, Zig - mi lanciò una frecciatina, alzandosi, mentre io facevo lo stesso.

- Forse, ma, intanto, posso chiederti un favore? -

- Dimmi pure -.

- Potresti darmi uno strappo a casa? - aggrottò le sopracciglia ed annuì, probabilmente non si aspettava tale richiesta
.
Una volta riconsegnati i pattini, ci avviammo a piedi verso la Bluesmobile e vi salimmo. Dato che nevicava, dovetti, però, salire dallo sportello visto che, il finestrino che usavo come passaggio, era chiuso.  Guidai El fino a casa mia ed una volta arrivato, parcheggiò davanti alla mia auto.

- Così è qui che abiti! -

- Già. Non è il grande hotel, ma è un tetto - convenni con un sorriso - visto che, abbiamo un appuntamento, in serata, perchè non sali a mangiare qualcosa? - Non so cosa lo fece rimanere perplesso e pensieroso, forse entrambi i fatti che avevo detto, ma che dovevo fare?!?!?!? Lasciarlo in auto ad ibernare?!?!? Farlo andare via, per poi, riprenderlo dove?!?!!??

- Un appuntamento?! - fece poi accigliato - Dove? Con chi? - iniziava e non poco ad insospettirsi: insomma, prima gli avevo detto del palco, ora dell'appuntamento, mi sarei insospettita anche io al suo posto.

- Lo vedrai a tempo debito - gli risposi ferma -Sali o mi aspetti qui per più di mezzora? -

Scosse il capo - No, salgo - brontolò appena.

Arrivammo al terzo piano ed aprii la porta di casa, proprio, quando la monorotaia compiva il suo giro quotidiano - Benvenuto nella Ziggie's house - commentai ridacchiando, fiera del mio monolocale. Il divano diventava un letto per la notte, non vi era la tv, ma una vecchia radio ed un giradischi; alle pareti c'erano alcuni poster di cantanti blues, come James Brown e John Lee Hooker, dei cartelli rubati come quello "No trepassing zone" ed una foto incorniciata di tutta la Banda al completo. La parete dell'armadio fungeva da pannello fotografico e raccoglieva frammenti di vita. C'erano: una foto dei miei genitori; una dove io, troppo piccola per entrare nella Banda, faccio la linguaccia in mezzo ai fratellini vestiti di tutto punto; un'altra dove suono l'armonica, seduta con una gamba penzoloni sul davanzale di una delle finestre dell'orfanotrofio; un'altra dove Elwood cerca di riparare, sdraiato nel cofano aperto, la Caddy di Curtis; un'altra ancora ritrae Jake spaparanzato a pancia in su sul letto, con la bocca aperta, mentre dorme e, la migliore, una foto scattata poco prima di abbandonare la Banda, è quella dove io schiocco un bacio sulla guancia ad Elwood e lui fa una faccia sorpresa, alzando gli occhiali da sole e mostrando lo sguardo.
El si guardò intorno, osservando ogni minimo particolare, soffermandosi su quel pannello.

- Ehm... Io faccio una doccia veloce. Tu fa come se fossi a casa tua; in cucina c'è del pane bianco se hai fame -. Afferrai al volo gli abiti blues che avevo già preparato sul divano ed entrai in bagno con, ben impressa in mente, la reazione di El, quando dissi la parola doccia. Un'espressione bonacciona e un pò maliziosa, la stessa di quando cantava Rubber Biscuit forse, giusto, un pò più impacciata.

Feci questa doccia veloce, meditando sul fatto di quando sarei riuscita a rivelarmi, se buttarmi o no, se farlo quella sera o aspettare ancora. Scossi il capo e spensi l'acqua: avrei lasciato al caso e all'andamento della serata. Uscii dalla doccia, mi asciugai e mi vestii, non completamente dato che dovevo ancora asciugarmi i capelli e, quindi, rimasi con pantaloni camicia aperta sul reggiseno e cravatta appena infilata. Presi il phon e lo accesi, iniziando ad asciugarli, canticchiando, cercando di non pensare al fatto che Elwood era di là ad aspettarmi o, almeno, così credevo io.

Mi voltai appena e lo vidi appoggiato alla porta del bagno, che aveva appena richiuso alle sue spalle. Spensi il phon e divenni paonazza.
- El!!!! Che diavolo ci fai qui?!?? - esclamai alquanto contrariata, con un mezzo urlo di imbarazzo. Dal canto suo mi si avvicinò, posando le mani sulle mie spalle, togliendosi gli occhiali per guardarmi dritto fisso negli occhi, mi sciolsi.

- Perdona l'intrusione, Zig, ma non c'è l'ho fatta ad aspettare oltre - sussurrò serio, accarezzandomi il volto.

- A..aspettare co..cosa?! - balbettai, deglutendo, per un attimo, a vuoto.

Sorrise. Lo vedevo impacciato, ma il suo sguardo era determinato ad affrontare quell'oltre che aveva accennato - Il tuo distacco dalla Banda mi ha fatto aprire gli occhi e, nonostante questi siano costantemente coperti da lenti scure, non vedo sempre tutto nero. Era senza di te che avevo perso il mio punto di riferimento... -
- El, me ne sono andata per evitare... - feci per dire, ma mi fermò, posandomi un dito sulle labbra.

- So, perchè te ne sei andata e mi spiace non aver aperto gli occhi fin da subito. Curtis ti ha detto la verità, piccola; sono tre le ladies che interessano al sottoscritto: le auto, la musica e una certa bimba che gli è entrata nel cuore quando ha messo piede all'orfanotrofio - confermò quelle parole con un sorriso, sfregando il naso con il mio.
In quel momento ero incapace di muovere anche il più piccolo muscolo, estasiata da quei piccoli gesti, commossa per quelle parole. - Mi spiace aver frainteso il sentimento che ci legava, perchè non era solo il semplice affetto che lega due fratelli, no. Tra noi c'è sempre stato qualcosa di più -.

- Tutti abbiamo bisogno di qualcuno da amare - citai le parole di Everybody needs somebody, sorridendo con gli occhi lucidi per quanto ero contenta.

- Io ho trovato il mio qualcuno da amare - sussurrò sulle mie labbra, posandovi poi le sue, chiudendo il tutto in un bacio, il nostro primo e vero bacio, che, contraccambiai, senza esitare un istante.
                                                           
                                                                                                                                              ***

La festa a sorpresa era all'orfanotrofio, ma, di certo, non potevo bendarlo, avrebbe riconosciuto la strada ugualmente, anche ad occhi chiusi, per tutte le volte che l'aveva percorsa. Così, mi inventai la scusa che dovevamo andare a recuperare un pacchetto da Curtis, necessario per l'appuntamento, che ci attendeva.

Una volta giunti lì, entrammo. Era pià buio del solito; i bambini già dormivano e, fortunatamente, la festa si svolgeva lontano dal dormitorio. Proseguimmo a tentoni, nonostante conoscessimo quel posto come le nostre tasche, fino alle scale, che conducevano alla cucina e all'ufficio di Curtis. Ci tenemmo per mano fino a che non arrivammo davanti alla porta, dove gli sorrisi e mi sciolsi da quella stretta. Sapevo quanto era timido e riservato e spettava a lui, decidere se e quando, rivelare agli altri che stavamo insieme. Bussò. Nulla.

- Entra - lo invitai con un sorriso.

Annuì ed aprì la porta. La luce si accese e, nella sala, si  levò il grido di: - SORPRESA! - oltre ad uno striscione con scritto: Tanti Auguri Elwood. Ad attenderci: Jake, Curtis e la Pinguina; insomma, una cosa per pochi intimi, come si era assicurata la suora.

A quella sorpresa, Elwood rimase stupefatto ed un amplio sorriso gli si dipinse sul volto, mentre io andavo a posare il mio pacchetto sul tavolo con gli altri regali. Come al solito, Jake si distinse e gli regalò una scatola di medie dimensioni contenente: sigarette, accendino, preservativi e un misto di riviste d'auto e porno; cosa che gli fece buscare alcuni scapellotti dalla Pinguina, che regalò ad Elwood un rosario con la promessa sperata che evitasse di cacciarsi ancora nei guai, fatto che fece mostrare, al ragazzo, un sorriso alquanto tirato e paraculo. Curtis gli prese un libro sul Blues, che sapeva mancava alla collezione di El, poi fu la volta del mio. Quando vide l'armonica, che gli avevo preso, il sorriso che comparì sul suo volto fu pari a quello di un bambino al suo primo Natale. Ne fui compiaciuta.

- Zig! E' divina, grazie! - aveva ringraziato tutti con sorrisi, abbracci, strette di mano, era quanto mi aspettavo anche io, alla fine e, invece, seppe sorprendermi ancora. Quando feci per dargli un bacio sulla guancia, lui lo corresse, in direzione delle labbra, rendendolo alquanto passionale. Nonostante i volti increduli a quella mossa, le approvazioni non tardarono ad arrivare. Alla fine non servivano parole, giusto una spinta dettata dal cuore.

Quella notte ci amammo. Eravamo due amanti; due anime bisognose l'una dell'altro; due innamorati che avevano ritrovato la via.
 
  
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