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Autore: fragolottina    05/02/2012    11 recensioni
"‘Pâtisseries françaises’ è famosa per i suoi dolci, per il fatto che Paris Hilton compra qui la sua torta di compleanno e per il suo pasticcere francese eccellente quanto affascinante, si dice che sia anche velatamente arrogante, ma sono sicura che siano solo chiacchiere."
Quando però Veronica Neri si trova davanti alla dura verità - Pierre Mureau è davvero il presuntuoso che dicono - ha due scelte: rinunciare ad un posto sicuro e decisamente ambito per orgoglio, oppure inghiottire amaro, sopportare Mensieur 'Io sono più figo di te perché parlo francese' Mureau e sperare di conquistare i suoi favori per mettere le mani sul suo leggendario quaderno di ricette.
Ci riuscirà?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Patisserie française fragolottina's time
questo capitolo si è fatto un po' attendere... ma come vedete c'erano tante cose da scrivere... che poi questo sarebbe il minimo, perchè porterà a certe conseguenze...
cmq, non so dove siete voi, ma io sono sommersa sotto tonnellate di neve che continua a cadere... bloccata in casa... siete il mio unico contatto con il mondo praticamente... triste!
ma non disperiamoci... finché ho per scrivere...
a più giù...


CAPITOLO 3


Troppa fortuna tutta insieme
Guardo con terrore la divisa, sulla sedia dello studio di Eleonora, ad occhi sgranati.
    Negli ultimi due giorni la situazione non è cambiata a lavoro, Pierre mi tratta con diffidenza e freddezza e non riesco proprio a non biasimarlo, in fondo ho fatto una delle cose più fuori di testa del mondo. Mi avrà preso per una specie di maniaca? Una ninfomane o qualcosa del genere? Come sono caduta in basso… e non è che prima ai suoi occhi fossi gran ché in alto!
    Ho conosciuto un ragazzo di nome Matteo, non so esattamente come l’ho conosciuto, deve essere stato tra il secondo ed il terzo bicchiere di vodka, mentre con Laura – che è un amore – cercavamo di raggiungere il mio inconscio con scarsi risultati. È stato un gentiluomo: quando ha visto che non ero esattamente in grado di camminare, figurarsi di guidare lo scooter, si è offerto di accompagnarmi a casa e l’ha fatto senza provare ad allungare le mani neanche una volta. È anche vero che Tiziana e Sam erano dietro di noi, lei con la macchina e lui con il motorino per portarlo a casa, e, se avessi avuto bisogno, mi sarebbe bastato sventolare una mano dal finestrino; ma lui è stato un vero e proprio cavaliere.
    Mi ha anche chiesto di vederci nel fine settimana ‘durante il giorno, magari facciamo qualcosa insieme’. Il fine settimana è diventato mercoledì, il mio unico giorno libero.
    Ma oggi è lunedì, Matteo è un problema ancora piuttosto distante – non è nemmeno un problema – mentre la divisa ed il fatto intrinseco che debba indossarla è un’incombenza.
    La guarda anche Pierre, dopo aver acceso il contatore della corrente, poi alza gli occhi su di me.
    «Se tu ne regardes pas me, io non guardo te.» mi annuncia con semplicità. Ma lui è anche quello che il primo giorno si è spogliato così, davanti a me senza batter ciglio; dubito che uno del genere abbia i miei stessi parametri di pudore, decenza e rispetto dell’altrui nudità.
    Che mutandine ho addosso? Oh, quelle con i gattini mi sa… mi appunto mentalmente di procurarmi uno stock di biancheria un tantino più discreta.
    «Posso fidarmi?»
    Lui incrocia le braccia sul petto schioccando la lingua scettico. In sua difesa, c’è da dire che oralmente non infierisce, anche se nei suoi enormi occhi castani c’è scritto tutto quello che vorrebbe dire: sei tu che hai baciato me, non viceversa.
    Sono così matta da essermi messa in una situazione in cui devo dargli ragione. Mi chiedo se, in un qualche bislacco modo, non sia stato tutto un suo piano machiavellico per costringermi al silenzio con la mia stessa coscienza. Diabolico… ma poco probabile.
    Prendo la gruccia alla quale è appesa la mia divisa e tolgo la busta di plastica trasparente da sopra, mentre Pierre, pago del fatto che mi vergogno troppo per non dargli retta, si sfila una felpa e poi la maglietta che ha sotto.
    Io mi volto e mi mordo le labbra, realizzando che non mi spoglio con un uomo nelle vicinanze – che non sia mio padre, ovvio – da un anno e tre mesi e che adesso devo farlo davanti a quello stronzo. Sospirando e borbottando mi sfilo il golfino e prendo atto, una volta rimasta in una striminzita canottierina di microfibra verde fluo – forse è il caso di comprare anche canottiere più sobrie – che fa un freddo assurdo quando i forni non sono ancora completamente a temperatura. Cercando di seguire quel filo di pensieri, e non quello che mi porterebbe a valutare il suono che ho sentito alle mie spalle, inconfondibilmente quello di una zip che si abbassa, mi domando se ci sia anche il riscaldamento o siano effettivamente tutti i macchinari mitigare l’ambiente.
    Mi sfilo le scarpe, i pantaloni e recupero quelli neri della divisa; Eleonora ha un buon occhio perché sono esattamente della misura giusta. Alle mie spalle Pierre traffica con la cintura. Prendo il camice bianco che devo indossare sopra: è lungo come quello di lui, fino a metà coscia, anche se probabilmente il mio è leggermente più avvitato sui fianchi, essendo da femmina, e si chiude con una serie di bottoni a sinistra. Ora sto più calda.
    Pierre mi sfila accanto, veloce come la luce e già pronto, io continuo a fissare con sguardo omicida la porta da cui è uscito, mentre mi appunto i capelli in un chignon sulla nuca e maledico quelle due o tre filze che non ne vogliono proprio mai sapere di stare al loro posto… maledette!
    «Aspetta, ti aiuto.» mi volto verso Eleonora che mi si avvicina con due forcine. Si ferma alle mie spalle, recupera le due ciocche ribelli e le ferma ai lati della mia testa.
    «Grazie.» dico riconoscente. Trovo davvero incredibile che lei sia più paziente e gentile di un suo semplice dipendente… sono sicura che, se andassi da Pierre a dirgli che è un semplice dipendente, mi infilerebbe nel suo forno francese al posto dei croissant.
    Faccio per dirigermi in cucina e mi fermo sulla porta prendendo un profondo respiro: arriverò alla fine di questo giorno, non lo ucciderò, non lo bacerò, la mia pazienza raggiungerà livelli epici, mi daranno il Nobel per la pace.
    «Stai facendo un buon lavoro, Veronica.» mi volto a guardarla e lei mi sorride dolcemente. Ha già scavalcato la scrivania e sta cercando qualcosa nei cassetti. «Me lo ha detto lui.»
    «Lui Daniele?» chiedo curiosa, gentile da parte sua difendermi.
    «No, lui Pierre.»
    Resto a bocca aperta ad un livello di stupore mai raggiunto, nemmeno – giuro – davanti alla gravidanza di Martina. «Stai scherzando? Per lui conto meno del suo forno.»
    Lei fa una smorfia aggrottando le sopracciglia scure e perfettamente depilate. «Nessuno conta più del suo forno, non pretendere troppo, cara!»
    Anche lei ha ragione, la gente al giorno d’oggi è troppo arrogante… eh, che ne è stato della cristiana umiltà di un tempo?
    «Quindi non vuole che me ne vada?»
    Lei ruota gli occhi al cielo. «Questo non lo so. Però non mi stressa ogni giorno con telefonate o con sue improbabile lettere di licenziamento...» ci riflette. «decisamente un buon segno.»
    Non appena arrivo in cucina sento Daniele chiamare per il caffè, quindi nemmeno mi fermo e tiro di lungo verso il bar. Gli ho confessato dell’incidente di percorso che ha portato a… ehm… quel contatto poco convenzionale tra le nostre labbra: ha riso tantissimo, senza alcun rispetto per il mio imbarazzo. Però mi ha anche garantito che da quel giorno avrebbe zuccherato il mio di nascosto, così niente incidenti poco convenzionali. Quell’uomo si è guadagnato il mio affetto.
    «Dove abiti?»
    Lo guardo stupita sbattendo le palpebre, mentre recupero i due bicchierini, il mio – quello dolce – ha il coperchio leggermente scostato; potrebbe sembrare un casualità o una distrazione, invece è un segno del tutto intenzionale. Siamo dei geni del crimine.
    «A casa dei miei, perché?»
    «Pranziamo insieme oggi, vuoi?» mi domanda senza rispondere alla mia lecita richiesta di spiegazioni. «Devo proporti una cosa, ma ho bisogno di parlarne con calma.»
    «Oh…» mormoro studiandolo, come se potessi leggergli in faccia quello che vuole propormi. «immagino di sì, non dovrebbero esserci extra da preparare.»
    «Ottimo, ne parliamo dopo allora!»
    Oggi sono addetta ad ungere teglie e stampi, nemmeno ho provato a lamentarmi, me ne sto semplicemente qui, con le mani inguantate, a spargere burro sulla pila di stoviglie che mi ha preparato, annoiandomi a morte e chiedendomi se effettivamente sia necessario svegliarsi mezz’ora prima – si, perché una conseguenza il mio colpo di testa l’ha avuta, Pierre il ‘non baciarmi o te ne penti’ mi ha rubato un’ulteriore ed importante mezz’ora di sonno. Davvero senza di me ci metteva meno tempo? Ne dubito. Gli lancio un’occhiata inquisitoria mentre è tutto preso a guarnire dei mini tortini con panna e frutta con il sac-à-poche; è impossibile che ci mettesse meno tempo, quindi è soltanto crudele.
    E lui dovrebbe aver detto ad Eleonora che me la sto cavando bene? Mi sembra come minimo improbabile.
    «Se mi si attacca qualcosa perché sei distratta a fulminarmi, farò in modo che tu non tocchi mai più nemmeno lo zucchero.» mi minaccia senza staccare gli occhi dai suoi tortini. Dio non voglia che debba staccare gli occhi dai tortini!
    Sbuffo, ma non rispondo.
    Anche se tirargli una teglia potrebbe senz’altro essere una protesta d’impatto.

Io e Daniele andiamo a pranzo in un fastfood con la sua macchina, in realtà non ho molta fame, lavorare con Pierre mi stressa così tanto da mandarmi via l’appetito; però sono decisamente curiosa, quindi non discuto la sua proposta e mi ritrovo con un vassoio semivuoto in confronto al suo, ma con una bambolina in regalo visto che ho preso il menù da bambini.
    «Allora…» inizio frugando nella mia scatola alla ricerca delle patatine, che una volta freddate saranno immangiabili. «di cosa volevi parlarmi?» gli chiedo. La curiosità per la nostra conversazione è stata l’unica cosa a tenermi sveglia durante il lavoro.
    «Ho un appartamento troppo grande.»
    Sbatto le palpebre senza afferrare del tutto il nesso. «Oh, mi dispiace.» commento ad ogni modo.
    «Prima dividevo le spese con un ragazzo…» mi spiega. «e le cose andavano bene, finché non ha deciso che la monogamia non faceva per lui.»
    Mi fermo con una patatina a mezz’aria, so che lo sto guardando con gli occhi a palla, so che se fossi un pesce rosso e stessi in una boccia avrei la stessa espressione non esattamente intelligente, ma inizio ad avere un’intuizione di quello di cui stiamo parlando.
    «Ad ogni modo, sono un buon coinquilino e se avessi eventuali compagni con cui passare la notte sarei discreto.»
    Mi strozzo con la patatina che avevo finalmente addentato e deglutito, iniziando a tossire in modo compulsivo. Non sono una bigotta, davvero, che ognuno sia libero di amare chi vuole, ma non ho nemmeno una conoscenza così approfondita dell’altra parte diciamo. Non che credi quella meno esotica migliore, il mio fidanzato ha messo incinta un’altra mentre stava con me, ma devo essere avvisata di certe cose con delicatezza, diciamo.
    In qualche modo riesco a recuperare la mia coca-cola ed a controllare gli spasmi della mia gola. Dopo aver preso un profondo – molto, molto profondo – respiro, lo guardo. «Vuoi che io venga ad abitare da te al posto del tuo…» gracchio, poi mi chino sul tavolo arrossendo. «ragazzo?» bisbiglio.
    Come me anche lui si sporge in avanti. «Non c’è bisogno di bisbigliare.» mi sussurra. «Comunque, tu sembri una ragazza apposto.» continua alzando la voce e raddrizzandosi, da un morso soddisfatto al suo panino - accidenti, quelli sì che sono denti molto bianchi - e dopo aver deglutito riprende a parlare. «Arrivi a lavoro in ordine, pulita, sopporti Pierre, quindi riuscirai a venire a patti anche con le mie cantatine sotto la doccia…»
    «Canti sotto la doccia?» chiedo, sbalordita come se quella fosse la cosa più importante o sconvolgente che mi abbia detto da quanto siamo entrati. Temo soltanto di dover scaricare lo stupore accumulato su qualcosa, non importa cosa.
    Sbatte le palpebre un paio di volte, sì, immagino di non sembrare proprio la ragazza più sveglia sulla faccia della terra, ma poi archivia la cosa con una scrollata di spalle ed una risata. «Sì, prevalentemente gli Stadio, ma ammetto di aver un debole per Biagio Antonacci.» non do risposte così lui continua. «Insomma, hai ventiquattro anni e vivi con i tuoi, ho pensato che potesse interessarti la cosa, Eleonora ti paga abbastanza da permettertelo.»
    In fondo era questo che volevo, no? Indipendenza, autonomia. Mi sono presentata al colloquio perché sapevo che mi avrebbero pagato bene e permesso di andare a vivere in un posticino tutto mio: il lavoro l’ho ottenuto, Daniele mi sta offrendo il resto. Anche se non sarebbe proprio tutto, tutto mio, farei un grande salto di qualità dalla stanzetta da quattordicenne che occupo a casa di mamma e papà. A ventiquattro anni un letto singolo e zero privacy da parte di una madre iniziano ad andarmi proprio stretti.
    Sospira, poi posa il suo cheeseburger mangiato per metà sull’incarto ed appoggia i gomiti incrociati sul tavolo. «Se non ti da fastidio vivere con un uomo che va a letto con altri uomini.» mormora serio, fissandomi, nel suo sguardo c'è il tormento di chi si sente inventare scuse poco probabili molto spesso.
    Daniele è stato sempre gentile con me, ha importanza quello che succede nella sua camera da letto?
    «Io canto Laura Pausini.» gli confesso dopo un po’. «Ma quando sono di buon umore mi piace ripiegare anche su Katy Perry.»
    Lui mi lancia un’occhiata di sbieco che nasconde un sorriso, mentre io sfido la prossima patatina ad uccidermi addentandola come se fosse viva e potesse scapparmi da un momento all’altro. «Non devi darmi una risposta subito.» mi rassicura.
    «Magari posso venire a vedere il posto dopo la chiusura.»
    «Certo.»
    Continuiamo a mangiare in silenzio finché la mia curiosità, decisamente aggressiva, non inizia a pungolarmi fino all’esasperazione. «Credevo che tu ed Eleonora…» inizio, ma non finisco per non rischiare di essere indelicata.
    «Oh, no!» si affretta a negare. «Nora è una cara amica. Nessuno voleva assumermi dopo aver fatto outing ed aver iniziato ad uscire regolarmente con il mio ragazzo. Lei è stata l’unica a non farsi problemi.»
    Mi do un’orgogliosa pacca sulla spalla per aver preso la decisione giusta. Veronica, sei proprio una ragazza intelligente.
    Però…
    «Pierre lo sa?»
    Lui annuisce succhiando coca-cola dalla sua cannuccia. «Ah-ah.»
    «E niente isterismi?» solleva lo sguardo per lanciarmi un’occhiata interrogativa, io mi stringo nelle spalle, la mia è una domanda lecita. «Da di matto per qualsiasi cosa.»
    «Ti posso garantire che non ha mai lasciato trapelare che le mie compagnie lo turbassero.» mi confida. «Ha conosciuto Manuel, è venuto a casa mia a cena qualche volta, anche con Laura, ed è sempre stato gentilissimo.»
    Lo osservo corrucciata. «Perché con me non è gentile?» chiedo, perché sembra che abbia scritto dietro la schiena ‘odiami’ in francese, in modo che lo capisca solo lui.
    «Perché tu ci lavori insieme.» risponde semplicemente.

Quindi dopo la chiusura sono di nuovo sulla macchina di Daniele, una Fiat Bravo blu. Sul sedile di dietro. Insieme a Pierre. Il perché sia qui anche lui mi appare ancora oscuro, ma in qualche modo ci ha seguito, è salito sulla macchina con abitudine e nessuno gli ha detto nulla. Anche Eleonora si è autoinvitata ed è da appena messa in moto l’auto che sta girata verso di me a decantarmi le qualità dell’appartamento di Daniele; pare che sia: spazioso, luminoso, riscaldato autonomamente, moderno, in un buon posto – beh, via dei Gerani è effettivamente un luogo carino dove vivere – con vicini rispettosi e simpatici.
    Io continuo ad essere un po’ scettica perché trovare, in meno di una settimana, il contratto e l’appartamento dei miei sogni mi sembra troppa fortuna tutta insieme.
    Il mio telefono trilla, frugo nella borsa fino a trovarlo: è Tiziana. Non appena schiaccio il pulsante per accettare la chiamata, inizia a parlare senza darmi il tempo di dire nulla. «Ma dove sei? Ti stiamo aspettando!»
    Aspettando?
    «Non ci eravamo date appuntamento e…» mi blocco. «chi mi sta aspettando?» aggiungo dopo un attimo di esitazione.
    «Ma come?!» sento un’altra voce maschile. «Si, glielo chiedo subito…» gli risponde. «Ci sono stati altri scontri alla ti odio ti amo?»
    Mi schiarisco la voce posando con tutta la forza che ho in corpo la mano sul cellulare per evitare che si senta il minimo sussurro. Guardo Pierre, impaurita ed imbarazzata, ma sembra del tutto tranquillo mentre tiene la fronte premuta contro il finestrino e guarda la strada scorrere di sotto.
    Così mi riporto il telefono all’orecchio dandogli le spalle, anche se dubito che serva a gran ché, sono su una macchina, quanta distanza posso mettere tra noi?
    «Piantatela, non è il momento.» sibilo.
    «Oddio, sei con lui!» commenta eccitata. «Silenzio tutti, sono insieme!»
    Mi copro la fronte con la mano, ma cosa sono diventata, una specie di soap opera vivente?!
    «Ok, noi ti facciamo delle domande, tu devi dire soltanto sì o no, capito?»
    Sospiro, ma Tiziana lo prende come un sì.
    «Siete in pasticceria?»
    «No.»
    «Oh-oh…» commenta lei con enfasi. «E avete i vestiti addosso?» non è la voce di lei a chiederlo, mi sembra più quella di Sam.
    «Certo, che abbiamo i vestiti addosso!» esclamo arrossendo.
    …ops…
    Mi volto ed incontro la faccia perplessa di Pierre che mi osserva con attenzione, io chiudo con uno scatto lo schermo scorrevole del mio cellulare, restringendomi nelle spalle nella vana speranza di sparire, nascondermi… evitare questo momento. Lui continua a fissarmi ancora un po’, poi riporta gli occhi davanti a lui scrollando la testa.
    Sospiro di sollievo, che giunga pure alle sue conclusioni silenziose, basta che non mi coinvolga.
    «No… pardonne-moi, ma devo chiedertelo.» dice dopo un po’ tornando con lo sguardo su di me, mi sembrava che fosse stato troppo semplice. «Tu sei davvero così?»
    Io lo fisso con occhi enormi, troppo a disagio – per colpa di quel matto di Sam e della sua evidentemente degna compare – per dare una risposta seria e soddisfacente che non sembri un miagolio, ed annuisco piano con la testa.
    «Intendo, sei sempre così?» precisa.
    Annuisco ancora. Il problema è che, per colpa di una serie di sfortunati eventi, lui mi ha sempre vista in una veste poco… ehm… dignitosa? Se mi conoscesse come mi conosce, che so? Tiziana? Saprebbe che, dietro quella che ha tutta l’aria di essere una grande turbe psichica, c’è solo un’enorme incomprensione. Più o meno. Voglio dire, la normalità è un fatto relativo, no?
    «E non ti è mai venuto in mente di chiedere l’aiuto di uno specialista?» continua a domandare.
    Io incrocio le braccia sul petto facendomi improvvisamente scettica. «Grazie, tanto.» commento secca.
    Lui si stringe nelle spalle. «Ero serio!» si difende. «C’est vrai!»
    Scuoto la testa tornando ad ignorarlo.
    «Siamo arrivati!» trilla contenta la voce di Eleonora.
    Il palazzo è effettivamente bello, non è molto grande né alto, quindi immagino che non contenga molti appartamenti. Non appena entriamo nell’ingresso, l’illuminazione automatica si accende rivelando dei pavimenti lucidissimi grigio perla, non so se sia proprio marmo, ma, se non lo è, chiunque abbia fatto il lavoro si è impegnato abbastanza da renderlo credibile.
    Non c’è l’ascensore, ma, come mi spiega Daniele, siamo soltanto al terzo piano ed io sono una ragazza giovane e forte.
    Eleonora non ha mentito, l’appartamento è uno spettacolo. Per alcuni secondi resto ammirata a guardarmi intorno nella cucina-salotto, i mobili sono neri e bianchi modernissimi, c’è un penisola di granito che divide la zona fornelli dalla zona soggiorno, dove fanno bella mostra di sé un tavolo di vetro da sei posti, un divano di pelle nera con sopra dei cuscini sparsi bianchi ed un enorme televisore al plasma.
    Purtroppo non appena realizzo quanto sia bello, mi trovo anche a pensare che mi costerà troppo. Mille euro al mese sono molti, ma, se la metà devo spenderli di affitto, non so se posso farcela. Non ho molte spese, l’assicurazione del motorino ed eventuali riparazioni costano pochissimo, ma mangio, compro vestiti, necessario per toletta.
    «Daniele.» provo a chiamarlo.
    «Vieni, ti faccio vedere quale sarebbe la tua stanza.» mi invita.
    Pierre ci ignora perso nel suo mondo, si siede sul divano e tira fuori un mini netbook dalla tasca interna della giacca.
    «Viene a scroccarmi l’adsl.» mi spiega facendomi strada verso una porta sulla sinistra che da ad un piccolo corridoio. «Quella è la mia camera.» annuncia indicandomi una porta a destra. «Quello è il bagno.» apre la porta di fronte a noi; è spazioso, non c’è la vasca, ma un doccia idromassaggio sì. In più tutti i mobili sono già per due. «Lo so, è soltanto uno. Ma se ci organizziamo non credo che ci saranno problemi.»
    Ma io non credo di potermelo permettere, sovrappensiero mi chiedo anche quanto cavolo lo paghi Eleonora.
    «Qui starai tu.» ed apre la porta a sinistra.
    È una camera essenziale, c’è un letto matrimoniale, una cassettiera, un armadio ed un comodino; ammetto che i muri sono un po’ fastidiosi, di un azzurro cyan troppo squillante, ma non riesco ad impedirmi di immaginare tutte le mie cose sistemate lì, compresa me stessa. Faccio alcuni passi all’interno, poi mi dirigo decisa verso la finestra accanto all’armadio per sbirciare all’esterno, da su un palazzo dall’aria antica. Vorrei poter vivere qui.
    «Io non me lo posso permettere.» inizio.
    «Sono trecento euro al mese.»
    Lo guardo incredula sbattendo le palpebre. «Soltanto?» chiedo, perché trecento euro al mese sono pochissimo. È vero che non è una casetta molto grande, però…
    «L’appartamento è mio, non pago affitto, mi serve soltanto qualcuno che divida con me le altre spese.»
    «L’adsl.» mormoro ancora, incapace di spiegarmi perché costi così poco, dovrà pur esserci un inghippo da qualche parte.
    Lui ride e scuote la testa. «No, non serve. Pierre viene ad approfittarne perché è la linea comunale…» mi indica con un cenno del capo la finestra. «il palazzo lì sotto è la biblioteca.»
    «Oh…» sussurrò tornando a guardarlo. «Perché così poco?»
    «Te l’ho detto, ho bisogno di dividere le spese. Non mi interessa guadagnarci chissà cosa, un lavoro ce l’ho già, ma così non ce la faccio.»
    Mi siedo sul materasso, coperto soltanto da un lenzuolo, per saggiarne la consistenza e ripiego una gamba sotto di me. «Devi essere molto ricco per esserti potuto permettere di comprarlo.» tipico trovare un ragazzo simpatico, gentile e facoltoso e scoprirlo gay. O sono gay o mettono incinte le altre ragazze… o sono Sam. Inquietante. Oddio, oppure sono Pierre! Direi che effettivamente convivere con un ragazzo omosessuale potrebbe essere la mia unica esperienza di convivenza con un uomo.
    Lui appoggia la mano sullo stipite. «L’ultimo regalo dei miei.» si stringe nelle spalle senza guardarmi. «Mi hanno cacciato di casa, ma mia madre si sentiva la coscienza sporca per lasciarmi in mezzo ad una strada.»
    Deglutisco dispiaciuta. «Oh, i tuoi non…» non riesco a finire.
    «No.» dice lui soltanto, poi scrolla le spalle tornando gioviale. «Allora, che ne pensi?» mi domanda sorridendo.
    Mi guardo intorno. «Che è perfetto.»
    «Ti lascio un po’ sola, così vedi che effetto ti fa.» dice uscendo dalla porta. Sento Eleonora bisbigliare dall’altra parte ed intuisco che ci abbia non solo seguito, ma anche spiato.
    Mi guardo intorno ancora seduta sul letto, che effetto deve farmi? Già mi immagino gestire a modo mio e come voglio tutto questo spazio, lasciare le mie cose in giro senza che mia madre ci frughi – lo so, è un po’ psicotico, ma ho dei problemi con chi fruga nelle cose molto mie. Ma sono davvero pronta ad andare a vivere da sola? Insomma, a parte qualche incomprensione a livello coabitativo i miei genitori sono apposto; sono la loro figlia minore, per di più femmina, l’unica ancora in casa, è normale che vogliano stare prepotentemente nella mia vita. Con me possono farlo, con mio fratello che lavora al CERN di Ginevra è un po’ più difficile. Certo, lo capisco, se l’impianto di studio subatomico più famoso al mondo ti offre prima uno stage, poi un posto fisso non puoi dire di no, ma tornare a casa a fare un salutino ai genitori di tanto in tanto non credo che comprometta poi così tanto la sua carriera, no?
    Sento dei passi e mi volto; per ritornare al tema delle psicosi, Pierre si appoggia allo stipite della porta con le mani in tasca. È seriamente bello, soprattutto senza divisa. Ha una felpa bianca con la zip aperta, sotto una maglietta grigia ed un paio di jeans dall’aria un po’ troppo grande per lui. Immagino che voglia sapere se prenderò la stanza e se dovrà trovarmi qui tutte le volte che vorrà scroccare l’adsl.
    Adoro i suoi capelli.
    «Che fai mercoledì?»

    Aggrotto le sopracciglia sorpresa… come?!
    «Perché?»
    Piega la testa di lato ed arriccia le labbra, pensieroso. «Devo fare l’inventario, sicuramente ci saranno cose scadute. Riutilizzabili per usi privati, ma non servibili al pubblico.» mi spiega. «Puoi venire, pasticciare con i miei avanzi e farmi vedere come te la cavi e quanto sei indietro.»
    Mi chiedo se sia effettivamente capace di dire qualcosa senza sottintendere la tua inferiorità, forse è un problema a livello linguistico, magari non glielo hanno insegnato.
    Matteo.
    «Ho un appuntamento.» mi giustifico.
    «Con chi?»
    Me lo sta chiedendo davvero?
    «Con un ragazzo.»
    «Lo annulli.» mi dice serio, senza muoversi.
    «Lo annullo?» chiedo scoraggiata.
    «Oui, lo annulli.» continua annuendo, senza smettere di fissarmi neanche un secondo.
    Sospiro affranta. «Lo annullo.» mormoro.
    «Bien, preparati.»
    Quando si volta gli faccio la linguaccia e lui sventola la mano senza voltarsi. «Je t’ai vue.»


porca la misera se è lungo... però vi rendete conto ti quante cose ho messo in moto?
oh! quante cose devo scrivere...
mi sento un po' pazza...
anyway il prossimo capitolo sarà molto, molto, molto Veronica e Pierre con tutto quello che comporta...
non so di preciso che succederà perchè non l'ho ancora scritto, ma mi sento moooolto ispirata!
baci dall'Alaska praticamente!
   
 
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