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Autore: Nausicaa Di Stelle    08/02/2012    6 recensioni
Può l'amore sconfiggere la Morte o tutto deve sottomettersi all'ineluttabile destino? Esiste una forza più grande del dolore e del Nulla Eterno?
Isobel, l'indovina del Circo dei Sogni, si trova di fronte al destino di due amanti speciali e alle sue convinzioni sul fato e sul potere della volontà umana di scardinare la logica degli eventi.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il destino di due amanti


La tenda era perfettamente immobile, pur se sferzata dal gelido vento che prometteva neve. Ampia, eppure raccolta e accogliente, riusciva a mettere a proprio agio chi entrava, senza cancellare del tutto il senso di mistero che aleggiava ovunque tra i tendoni del circo. Le lucide perline bianche e nere che la componevano riflettevano i tremuli bagliori provenienti dal candido lampadario a bracci, decorato da gocce di vetro e catene di perle di cristallo.
Fa effetto in un posto così fu il primo pensiero di Lihly.
Le sedie attorno al tavolino erano tutte vuote.
Tutte tranne una. Come aveva fatto a non notarla? Una donna sedeva dall’altro lato del tavolo, proprio di fronte a lei, e la fissava con i suoi profondi occhi chiari.
Era lì fin dall’inizio o è appena entrata? si chiese Lihly con un vago senso d’angoscia.
La donna le sorrise ma i suoi occhi non mutarono espressione: rimasero penetranti e tristi.
La ragazza si sedette in fretta, come se fosse stata invitata a fare presto. Incrociò le mani in grembo e attese.
- Che cosa ti porta da me, graziosa fanciulla? - l’indovina parlava con voce felpata, ma quale improvviso frastuono fu per le orecchie di Lihly, ormai abituatasi al silenzio irreale della tenda. Tutto pareva così fuori dall’ordinario in quel circo dei sogni. Persino il bianco e il nero dei suoi tendoni era molto più candido e molto più profondo di quanto non sia nella realtà.
- Ecco... io... - balbettò Lihly, cercando il bandolo delle sue argomentazioni. E pensare che si era preparata per bene la sua domanda prima di entrare in quella tenda. Quante volte c’era passata davanti, ripromettendosi che la prossima volta ci sarebbe entrata? Ora era la sua occasione, non poteva sprecarla.
L’indovina la fissava, gli occhi assottigliati a due fessure. Certe volte era davvero frustrante per Isobel aspettare che i consultanti le ponessero la domanda, quando lei conosceva perfettamente quello che volevano sapere: le sue carte glielo rivelavano ancor prima che questi aprissero bocca, mostrandosi nell’ordine più efficace per raccontare la storia di ognuno. Talvolta era una pena anche cercare di aiutarli a formulare la richiesta nella maniera corretta e qualche volta Isobel si era divertita a burlarsi di loro, scioccandoli con la sua capacità di anticiparne le richieste.
Ma quella ragazza aveva già un destino tanto duro da affrontare e Isobel desiderava soltanto aiutarla, per quanto le era possibile.
- C’è qualcosa che ti preoccupa? Forse un affanno d’amore? - chiese l’indovina, tentando di metterla sulla buona strada.
Lihly annuì, mentre le sue guance prendevano un leggero rossore, l’unico tocco di colore in quell’universo di bianchi e neri.
- Vuoi che legga il destino della vostra relazione d’amore? - proseguì Isobel, già mescolando il mazzo di carte.
- Sì signora, vi prego. - quella luce disperata negli occhi nocciola della ragazza non aiutava certo Isobel a fare il suo dovere. In quei momenti si ripeteva che lei era solo una voce che raccontava una storia già scritta e che il destino non dipendeva da lei. Era l’unico modo per restare estranea ai fatti che vedeva attraverso i suoi Tarocchi. Specie quando erano tragici.
In pochi attimi gli Arcani Maggiori furono pronti per essere stesi sul tapettino a rombi bianchi e neri che ricopriva il tavolo, decorato tutt’attorno dai candidi simboli dei segni zodiacali.
A Isobel pareva di leggere il futuro di due tra i più famosi amanti della storia e si chiese che cosa avrebbero fatto gli innamorati di Verona se avessero potuto conoscere per tempo il loro destino. Dubitò che avrebbero scelto di separarsi per sfuggire al triste fato che sarebbe stato predetto loro. No, non avrebbero mutato nulla nel loro comportamento e nelle loro scelte e se anche ci avessero provato, forse il destino li avrebbe attirati a sé per altre vie, conducendoli allo stesso epilogo fatale.
Questa lettura sarà del tutto inutile. Si disse l’indovina, serrando le palpebre per pochi attimi.
- Sei pronta a conoscere tutta la verità, qualunque essa sia? - la voce di Isobel tremò per l’emozione nel pronunciare quelle parole, ma Lihly non sembrò avvedersene.
La ragazza annuì di nuovo, stropicciando tra le mani il fazzoletto che aveva estratto dalla tasca solo per aiutarsi a sostenere la tensione.
Non dovette mescolare a lungo il mazzo perché fosse pronto: le sue carte parevano animate da una volontà propria ed erano capaci di disporsi da sole nella posizione giusta per la stesa. Del resto, la donna che le aveva detto di prenderle in quel negozio di antiquariato di Parigi, le aveva definite Cartes du Diable.
- Vedo un legame forte e tenace come la catena di un’ancora. Un giovane volitivo e abile che ti ha scelta come la sua regina in mezzo a tante, corrispondendo il tuo amore. - l’indovina posò sul tavolo una dopo l’altra le carte del Carro, del Mago e dell’Imperatrice.
Un timido sorriso si disegnò sulle labbra di Lihly, che si avvicinò un poco con la sedia al tavolino per vedere meglio la stesa. Probabilmente quest’indovina non può nemmeno immaginare quanto mi siano grate le sue parole, anche se si limitano a confermare le mie certezze, si disse la ragazza.
- Le tue doti intellettuali, fisiche e morali lo hanno conquistato per sempre. - proseguì Isobel con la sua voce vellutata - “Chi ha gli occhi più belli di Lihly e le labbra più rosa? Chi altra può vantare capelli lucidi come ossidiana? Chi parimenti a lei canta come un usignolo e ricama come una dea, conosce l’arte e la letteratura e si prodiga per il prossimo? E chi mai, oltre a lei, sa dove si trova la porta del mio cuore?” - declamò Isobel con voce alterata e profonda.
Lihly ebbe un sussulto sulla sedia. Si scostò immediatamente, fissando l’indovina con occhi sbarrati: come poteva ripeterle le stesse parole del suo Keith? Indovinare era una cosa, ma sapere era tutto un altro paio di maniche!
- Tuttavia due grossi ostacoli ci sono fra voi: la famiglia di lui, e soprattutto suo padre, si oppone strenuamente alla vostra unione. - proseguì l’indovina dopo una breve pausa, durante la quale la sua voce era tornata bassa e vellutata.
La sua mano dalle lunghe unghie dipinte di nero e bianco depose sul tavolo la carta del Papa, a cui fece seguito quella del Diavolo. Senza distogliere lo sguardo da quest’ultima, Isobel riprese:
- Questa persona sarà però quella che più di ogni altra vi farà del male. La sua passione per te è insana, come malato è il desiderio di vedervi divisi per sempre. A qualunque costo...
Lihly fissava come ipnotizzata l’Arcano del Diavolo, sul quale l’indovina teneva piantato un dito a mo’ di spillo. Quell’essere mostruoso dalle ali di pipistrello che teneva incatenati a sé un uomo e una donna era dunque il vero arbitro del loro futuro? Una mano gelida strinse il cuore della ragazza in una morsa dolorosa. Rialzò il viso, appuntando i suoi occhi in quelli di Isobel e l’indovina notò che c’era sgomento, ma non rassegnazione, nel suo sguardo.
- Ci riuscirà? - chiese accorata. Lilhly non sapeva dove avesse trovato la forza per fare quella domanda, ma dopotutto era proprio questo ciò che voleva sapere. Era venuta al Cirque des Rêves per realizzare il suo sogno d’amore ed era entrata dalla sua famosa indovina per avere un aiuto o dei consigli su come agire, non per sentirsi dire che non poteva fare nulla. Ora doveva conoscere tutti i fatti nei dettagli e poi... e poi... avrebbe combattuto contro ognuno di essi. Lei e Keith avrebbero combattuto, assieme.
Isobel vide l’angoscia sul volto di Lihly mutarsi in determinazione e questo, anziché confortarla, non fece che aumentare le sue certezze sulla tragica fine della vicenda.
Può Giulietta rinunciare al suo Romeo? E può forse Romeo vedere altre che Giulietta finché è accecato dal sole che sfolgora in lei?
Inutili, retoriche domande delle quali l’indovina conosceva già la risposta.
Inspirò, presa da profonda amarezza. Trascorsero secondi che parvero anni, durante i quali anche l’indovina sembrò cercare la forza per proseguire con la divinazione. Infine girò la carta successiva. La Torre si posò sul tavolino con tutto il suo peso.
Isobel tacque ancora alcuni istanti prima di proseguire con il responso, scegliendo accuratamente le parole con cui le avrebbe tolto ogni speranza.
- Questa carta non è mai positiva e di certo i due arcani che l’accompagnano non mitigano i suoi significati. - le sembrava che partire da lontano, parlando per sommi capi, nello svelare il significato dell’arcano numero XVI potesse aiutare Lihly ad assorbire l’impatto della realtà che le sarebbe stata rivelata. Ma la ragazza colse al volo dove voleva arrivare con quelle parole.
- Volete dire che riuscirà a dividerci? - la sua era più un’esclamazione che una domanda.
- Dividerà i vostri corpi, ma non le vostre anime. - Isobel avrebbe voluto mordersi la lingua: se credeva di aver dato una risposta delicata, in verità si rese conto che quello che aveva detto era davvero terribile. Sperò solo che Lihly non ne avesse colto il significato. Ma d’altronde ormai non c’era via d’uscita perché era tempo che la carta successiva fosse svelata. La sentiva premere contro la sua mano sinistra, posata sopra il mazzo come per trattenerne l’insano spirito vitale. Sempre che una simile carta potesse avere uno spirito vitale...
- Cosa volete dire? Io e Keith non accetteremmo mai di vivere separati! - protestò Lihly, accorata.
- Lo so... - senza riuscire più a trattenerla, l’indovina girò l’ultima carta, lasciandola quasi cadere sul panno di velluto bianco e nero.
Inizialmente, la visione della carta non sembrò sortire alcun effetto sulla ragazza che la contemplò a lungo prima di capire che cosa aveva di fronte. Uno scheletro bianco che falciava impassibile una terra quasi brulla, dalla quale spuntavano solo sparuti ciuffi d’erba.
Lihly scrollò il capo, raddrizzandosi sulla sedia e levando di nuovo i suoi occhi per fissarli in quelli azzurri dell’indovina.
- Non è vero... So che cosa significa quella carta... Non necessariamente la Morte predice la fine della vita, ma solo un cambiamento.
Isobel sospirò, facendo un debole segno di diniego, ma Lihly insistette.
- E’ così, lo so, me l’hanno detto!
- Non è esatto, cara Lihly... Del resto, l’hai appena detto tu stessa: “non necessariamente” la morte predice la fine della vita. Questo però non significa che predica sempre qualcos’altro. - spiegò Isobel con voce più gentile e pacata che poté. Come avrebbe voluto che quella ragazza si lasciasse convincere dalle sue parole e capisse che l’ostacolo che si erano prefissi di scavalcare era troppo grande, troppo pericoloso! Come desiderava riuscire a cambiare il suo destino!
- Quindi... mi state suggerendo di rassegnarmi? - la voce le tremava per l’emozione, ma Lihly si sforzò di ricacciare indietro le lacrime. Se doveva diventare forte per affrontare tutte quelle avversità, tanto valeva cominciare subito.
Isobel sospirò di nuovo, cercando le parole più appropriate. Nessuna delle due si muoveva, assorte in un dolore sempre più simile, e per un po’ parve che l’unica cosa viva all’interno della tenda fosse la calda luce che il lampadario spandeva tutt’attorno.
- Vorrei che tu capissi che ci sono cose contro le quali non si può lottare. Cose più forti di noi, della nostra volontà, dalle quali l’unica via di salvezza è la fuga... Ammesso che sia possibile sfuggire al proprio destino.
- Così per avere salva la vita dovrei lasciare Keith? - riprese Lihly, con voce incolore.
L’indovina scrollò le spalle.
- Non sarebbe sufficiente.
- Non sarebbe sufficiente? Anche solo non vederlo più per il resto della mia vita per me significa morire e mi dite che non è sufficiente? - nonostante l’oscura marea di dolore che sentiva montarle in petto, Lihly si sforzò di mantenersi calma.
- Non sarebbe sufficiente perché fareste comunque la fine di Romeo e Giulietta. Se vuoi davvero cambiare il tuo destino non basta che tu lo allontano da te, perché anche lui deve allontanarti da sé. - gli occhi dell’indovina si velarono di profonda tristezza. - Rinunciare l’una all’altro è l’unico modo che avete per salvarvi...
- Anche a costo di condurre un’esistenza vuota e sterile, un’esistenza che non potremmo più chiamare vita? - era una domanda che non esigeva alcuna risposta perché ormai Lilhy parlava più a se stessa. Isobel lo comprese e non aggiunse altro, attendendo che la ragazza avesse il tempo di riprendersi. Le sue ultime parole continuavano a riecheggiarle nella mente: “un’esistenza senza vita”.
- Vorrei davvero poterti aiutare in un altro modo, ma questo è l’unico suggerimento che ti posso dare perché non esiste altra via d’uscita. - spiegò Isobel dopo lunghi minuti di silenzio. - Niente è più forte della morte...
Lihly si alzò senza dire una parola e rimase ferma in piedi di fronte all’indovina, la testa bassa, meditabonda. Quando parlò, la sua voce era fredda come quella di chi ha già sostenuto la sua prima, dura prova.
- No, vi sbagliate: il dolore è più forte persino della morte. E vivere lontani l’uno dall’altra ci darà un dolore che ci ucciderà lentamente, come un veleno. Un dolore che renderà la vita solo una parola vuota e ogni nuovo giorno sarà simile a una lunga morte. Non è così che noi vogliamo vivere. Piuttosto, se nulla si può fare per cambiare le cose, accetteremo il nostro destino e vivremo l’una a fianco all’altro fino all’ultimo dei nostri giorni.
Le due donne si guardarono lungamente negli occhi, in silenzio, e Isobel seppe che non c’era nient’altro che potesse fare o dire per indurla a cambiare idea. Chinò la testa, fissando la stesa sul tavolo.
- Vi auguro buona fortuna. - mormorò l’indovina, senza rialzare lo sguardo.
- Grazie... - c’era un dolce tepore nella voce di Lihly, come una sorta di riconoscenza e Isobel seppe che la ragazza aveva capito e apprezzato il suo tentativo di aiutarla.
Il calore della sua voce e la sua figura di spalle, esile e scura nel lungo cappotto nero, fu l’ultimo ricordo di Lihly, e questo s’impresse nella memoria di Isobel come se fosse stato marchiato a fuoco.


Il vento d’autunno spazzava l’erba come se avesse voluto falciarla e le chiome nude degli alberi si stagliavano contro il cielo latteo simili a neri arabeschi, geroglifici dall’oscuro significato. Alcune foglie secche roteavano nell’aria per andare a deporsi sulle lapidi di marmo come un triste saluto. Isobel Martin avanzava incurante del vento e delle foglie verso una tomba più grande delle altre. Una tomba per due.
Si fermò a pochi passi di distanza, le mani in tasca per proteggersi dal freddo, il cappello ben calato sugli occhi. Sembrava non volere che qualcuno la riconoscesse in visita a quel cimitero.
Per diversi minuti i suoi occhi si rifiutarono di leggere la scritta che campeggiava, nera, inequivocabile, sulla grande lastra bianca:

Lihly e Keith Howard

14 02 1871 20 05 1870

13 06 1889

Ciò che l’amore ha unito nessuno più potrà dividere.


Isobel trasse un profondo respiro per sciogliere il nodo che sentiva in gola. Si schiarì la voce anche se non aveva nulla da dire e trasse da una tasca del cappotto il suo mazzo di Tarocchi Marsigliesi. Non ebbe nemmeno bisogno di cercarla: come se fosse stata evocata, la carta degli Amanti si presentò da sola in cima al mazzo. L’indovina la contemplò a lungo, assorta nel ricordo di una notte d’inverno di due anni prima, quando quella giovane dolce e determinata era venuta da lei per conoscere il suo futuro.
Isobel ricordava bene come l’iniziale compassione che provava per Lihly a causa del crudele destino che l’attendeva si era mutata in qualcosa d’altro, in un sentimento più profondo fatto di comprensione e affetto. Anche adesso, a distanza di tanto tempo, questo sentimento non era cambiato. Solo, avrebbe desiderato essere riuscita a fare di più, trasformando il corso degli eventi.
Isobel si chinò e depose con delicatezza sulla lastra di marmo l’arcano degli Amanti, come se fosse stato un fiore.
- Il destino non si può cambiare... - disse a mezza voce, fissando come un quadro la carta e la pietra tombale, finché la vista le si sfocò.
- ...E niente è più forte della morte. - le fece eco una voce alle sue spalle. Una giovane voce di donna.
Isobel ebbe un tuffo al cuore e si voltò. A pochi passi da lei stava ritta una figura avvolta in un lungo cappotto scuro, la testa nascosta da un cappello a falde larghe. Isobel aprì le labbra ma non riuscì a dire nulla: un turbine di pensieri vorticavano nella sua mente senza che riuscisse a ordinarli in un discorso coerente. La figura avanzò, facendo scricchiolare le foglie sul sentiero ghiaioso.
- Lihly? - mormorò Isobel.
La donna si tolse il cappello, rivelando il suo volto. Era davvero lei!
- Non ci vediamo da tanto. - disse la ragazza in un sorriso.
- Ma... com’è possibile. - l’indovina si mosse, dubitando di ciò che vedeva e allungò una mano fino ad accarezzare il braccio della giovane: un cappotto vero vestiva un braccio morbido e reale. - Sei viva...
Lihly annuì e il suo sorriso soddisfatto fu la prova più concreta che quanto Isobel vedeva era realtà.
- Ma... questa tomba... - riprese l’indovina, additando la lapide.
Lihly si fermò acconto a lei a contemplare il suo nome e quello del suo amato incisi per sempre assieme ad un’unica data di morte.
- Siete stata voi a darci l’idea, madame Isobel. - l’indovina notò che la voce di Lihly aveva preso un vago accento francese che le donava alquanto.
- Io?
Lihly annuì.
- Quando mi avete detto che niente è più forte della morte. All’inizio né io né Keith siamo riusciti ad intendere quella frase in nessun’altra maniera che in senso letterale. E più il nostro destino si chiudeva su di noi come una gabbia, più quelle parole acquistavano un significato fatale da cui era impossibile sfuggire.
- Infatti vi avevo messo in guardia anche da questo: il destino non si può cambiare.
- Forse è vero... - assentì Lihly guardando con un mezzo sorriso la sua interlocutrice - Ma se il destino non può essere cambiato, possiamo cambiare noi.
Isobel scrollò la testa, le sopracciglia corrugate: quel ragionamento non aveva senso.
- Quando ogni possibilità di amarci liberamente e ogni sogno di vivere assieme fu infranto dalla caparbietà delle nostre famiglie e dall’intransigenza di suo padre e quando la lealtà delle nostre azioni e la purezza della nostra condotta furono insozzate per sempre dal Diavolo dei vostri Tarocchi, Keith e io decidemmo di fuggire assieme.
Lo sguardo di Lihly, benché sempre fisso sulla lapide, era in realtà lontano, perduto nelle immagini del passato.
- Ricordavo bene che ci avevate paragonati a Romeo e Giulietta e, nella nostra semplicità, credemmo che fuggire assieme e non separatamente, come fecero i due innamorati di Verona, sarebbe stato sufficiente per mutare il tragico epilogo della nostra storia. Ma non era così... Del resto, di quanto avevate a suo tempo predetto, ogni cosa si era avverata in ogni suo minimo dettaglio. Come potevamo pensare di sfuggire proprio all’ultimo atto di questa tragedia?
Isobel la ascoltava con il fiato sospeso, come se ancora adesso qualcosa potesse improvvisamente cambiare il corso degli eventi e rigettare i due amanti nel baratro.
- Poi, quando stavamo ormai per essere raggiunti dalle persone mandate dalle nostre famiglie per riprenderci, decidemmo che non avremmo permesso a nessuno di separarci e, di comune accordo, scegliemmo di morire assieme. - Lihly fece una pausa, rincorrendo i fantasmi evanescenti dei suoi ricordi - Eravamo sul ponte di Westminster e le acque scure del Tamigi scorrevano sotto di noi come la promessa di un dolce oblio dai nostri affanni. Avevamo deciso di gettarci in un unico abbraccio... pensavamo persino che ci avrebbero ritrovati così, stretti per sempre l’uno all’altra, come Paolo e Francesca.
Lihly sorrideva, ora, di quel loro scellerato progetto, consapevole che non avrebbe più potuto nuocerle. Isobel invece la guardava fissamente, ancora incapace d’immaginare quello che era accaduto dopo.
- Non indovinate? Eppure è tanto semplice? - le chiese Lihly, quasi le avesse letto nel pensiero - Mentre osservavamo il fiume e prendevamo coraggio per gettarci, le vostre parole continuavano a rimbombarmi nella testa: “nulla è più forte della morte”... E io rispondevo, dicevo “eppure deve esserci una soluzione, una via d’uscita... deve esserci. Oh, se solo ci lasciassero stare... basterebbe che ci credessero morti davvero e smetterebbero di perseguitarci.”
L’indovina del Cirque des Rêves fissò Lihly stupefatta, finalmente consapevole di come erano andate le cose.
- Volete dire che avete inscenato la vostra morte?
Lihly annuì.
- La soluzione era sempre stata a portata di mano, ma solo in quel momento, faccia a faccia con l’irreparabile, avevo capito. Sapevamo che così avremmo dato un grande dolore alle nostre famiglie e ci sentivamo colpevoli per la nostra scelta... ma d’altronde erano state proprio loro a spingerci a tanto. - Lihly tacque alcuni istanti, sul volto un’espressione tirata, specchio dell’angoscia di quei momenti. - Lasciammo un biglietto sul ponte in cui chiedevamo perdono per il nostro gesto e poi, quando già sentivamo le grida della gente che ci stava raggiungendo, gettammo i cappelli e le sciarpe nel Tamigi perché credessero davvero che ci eravamo annegati...
Con un movimento perfettamente sincrono, Isobel e Lihly fissarono lo sguardo sulla data del presunto suicidio, nera contro il fondo chiaro della lastra tombale.
- Come sui corpi di Romeo e Giulietta, così sulla vostra tomba vuota, anche le vostre famiglie si sono riconciliate, pentite del male che vi avevano fatto. - mormorò Isobel, comprendendo finalmente la piena portata di quel gesto estremo.
Lihly sorrise all’indovina e il suo sguardo era pieno di gratitudine. Le due donne si guardarono a lungo in una sorta di muto colloquio, gli occhi azzurri di Isobel riflessi in quelli di Lihly come se il cielo si specchiasse sulla terra.
- Tutto quello che è accaduto a partire dalla notte in cui voi mi avete letto le carte mi ha dato una convinzione.
Isobel fissò l’amica con aria interrogativa, invitandola a proseguire.
- La convinzione che io e Keith siamo stati la seconda occasione degli innamorati shakespeariani, la loro rivincita sul destino.
Anche Isobel sorrise.
- Sì, è vero: voi siete davvero Romeo e Giulietta tornati alla vita.
   
 
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