Prologo
Non avrebbe mai
pensato che il suo ultimo anno di lezioni sarebbe stato così
movimentato.
Certo, le sue
preoccupazioni svanivano se paragonate a quelle che il suo eccelso padre aveva affrontato durante i
suoi diciassette anni.
Scrollò
la testa,
sospirando. Ormai era riuscito a far capire almeno agli incantatori di
Hogwarts
che lui era un individuo a se stante e non un’appendice della
fama paterna. Ma,
per il resto del mondo magico, lui non era che una ramificazione
imperfetta del
noto genitore, un innesto che ancora non aveva dato i suoi eroici
frutti.
Al contrario del
padre, infatti, la sua vita scolastica era stata sorprendentemente
vivace e
pacifica – escludendo alcuni episodi – e pareva che
buona parte dei maghi
considerasse questa sua serenità una colpa:
com’era possibile che la progenie
del famoso Potter si rammollisse in uno stile di vita tranquillo
anziché andare
a caccia di maghi oscuri e fosche presenze?
Contorse un
angolo
della bocca, contrariato. Non aveva alcuna intenzione di buttarsi tra
le fauci
del pericolo, se non era costretto. Gli eroi facevano sempre una fine
tragica e
prematura, mentre lui pianificava di andarsene solo dopo essere
diventato un
vecchietto rinsecchito coccolato dall’amore familiare. Suo
padre era una delle
eccezioni alla regola, ma nessuno gli garantiva che la dea bendata
avrebbe
concesso una seconda occasione alla
famiglia Potter.
Per cui, meglio
rimanersene al sicuro nel dormitorio di Slytherin,
a studiare come era suo dovere.
Se solo fosse
riuscito a studiare. Lanciò un’occhiata ai libri
chiusi con rassegnazione.
Ultimamente i
suoi
piani di tranquillità erano stati sconvolti da troppi
avvenimenti.
Non era lo
studio a
preoccuparlo: aveva ancora tempo di prepararsi per i MAGO, e si era
sempre
dimostrato uno studente brillante.
Ciò
che lo
preoccupava, era cosa sarebbe successo una volta che la porta della sua
camera
si fosse aperta.
Sospirò
di nuovo.
Dovevano
parlare.
Il progetto che Haru aveva proposto era ambizioso, ma non impossibile,
e
abbastanza folle da solleticare la loro curiosità. Senza
contare che gli ultimi
avvenimenti avevano messo in luce come non si potesse attendere oltre:
bisognava elaborare una risposta efficace prima possibile, o tutto il
sistema
magico ne sarebbe stato irrimediabilmente compromesso.
Ma non era solo
il
futuro del mondo della magia a tormentarlo.
Cosa avrebbe
detto
su quell’altra questione?
O meglio,
cosa avrebbe fatto?
Si
tirò le coperte
fino al mento e poi più su, a coprire tutta la faccia.
Non era
necessario
cercare nemici epocali per finire invischiati in un mare di guai.
Bastava
innamorarsi.
Si
irrigidì sotto
le lenzuola quando sentì lo scricchiolio della porta che si
apriva.
Dalle coltri
emersero solo i ciuffi scomposti della frangia e gli occhi verdi, che
puntarono
subito la persona appena entrata.
Il materasso si
inclinò sotto il peso di un secondo occupante.
Albus fece
uscire
dalle coperte anche la bocca perché il nome del compagno di
stanza non venisse smorzato
dalle lenzuola.
«Scorpius…»
Parte
Uno – Primo Anno
1
Slytherin
Gli sarebbero
scoppiate le vene del collo.
Gli sarebbero
scoppiate tutte quante, e di lui sarebbe rimasta solo una macchia
rossastra sul
binario nove e tre quarti di King’s Cross.
Fu con enorme
sollievo che sentì il peso della valigia abbandonare le sue
braccia per
schiantarsi sul pavimento della carrozza numero tre
dell’Hogwarts Express.
Si
aggrappò al
corrimano e riuscì a raggiungere il suo gigantesco bagaglio.
«Hai
dei sassi in
quella valigia, Albus?» chiese Rose, fissando con aria
critica le guance
paonazze dell’amico.
«Mia
madre ha
voluto darmi cose… per ogni evenienza»
sbuffò lui, affaticato.
L’apprensione
di
Ginny per il figlio minore si era palesata nelle pile di vestiti,
scarpe, libri
e cibarie che aveva stipato a forza nella valigia.
Sulle labbra di
Rose si mescolarono divertimento e furbizia nel suo tipico sorriso da
bravata.
«Immagina
cosa
succederebbe se qualcuno dovesse disattivare l’incantesimo di
riduzione che tua
madre ha messo su tutta quella roba» scherzò,
additando il bagaglio.
Albus
non riuscì a trattenere un sorriso nel pensare ad un
povero mago coinvolto nell’esplosione del suo baule
sovraccarico.
«Quel
poveretto si
troverebbe ricoperto di maglie e calze» rise.
«Un
bell’albero di
Natale» rincarò lei «Solo che sarebbe
decorato con le tue mutande e non con dei
festoni!»
«Rose!»
«Perché,
non le
porti?»
«Sì,
ma…»
«Se
non c’è colpa,
non c’è vergogna» sentenziò
lei con un’alzata di spalle, per poi indicare la
cabina più vicina. «Ho appoggiato le mie cose
lì. Ti unisci a me per il
viaggio?»
«Volentieri…»
l’entusiasmo uscì smorzato dalla gola di Albus: il
peso del baule limitava
notevolmente le sue capacità espressive.
«Ti
aiuto» offrì
lei, afferrando una maniglia del mastodontico bagaglio.
Albus
poté muovere
solo pochi passi prima che una risata di scherno lo freddasse alle
spalle:
«Ti
fai aiutare da
una donna?»
Il bimbo
alzò gli
occhi per incrociare lo sguardo derisorio di James Sirius Potter.
Sarebbe
arrivato il giorno in cui sarebbe cresciuto a
sufficienza per ribattere guardando il fratello maggiore dritto negli
occhiali.
O, ancora meglio, il giorno in cui avrebbe imparato una magia di
ingrandimento tale
da poterlo guardare dall’alto con aria di sufficienza, come
un elefante fa con
una pulce.
Ma
per il momento era ingabbiato nel metro e trenta tipico
dei suoi undici anni, e non poteva che allungare il collo per miagolare
le sue
proteste.
«Questa
valigia
spezzerebbe la schiena anche a te» replicò,
tirando cocciuto il manico del
bagaglio. La resistenza del baule fu così ferrea che per
poco Albus non si
rovesciò a terra, e la sua piroetta non troppo nascosta
suscitò l’ilarità del
fratello e della sua congrega.
«Non
ho mai detto
che non sia pesante» gli ricordò James, mentre si
aggiustava gli occhiali con
insopportabile strafottenza. «Ho detto solo che hai meno
forza di una donna.»
«Almeno
io ho solo
due occhi sul naso.»
Il sorriso di
James
si incrinò a quell’affermazione. Dopo tanti anni
di guerriglie familiari,
entrambi i fratelli avevano imparato quali fossero i punti deboli
dell’avversario: Albus si irritava per i commenti indelicati
sulla sua scarsa
altezza e sulla sua debolezza, e James era particolarmente sensibile
alle
frecciatine sui suoi occhiali. Albus era convinto che, se si fosse
accanito a
dovere, sarebbe riuscito a radicare nel fratello un vero e proprio
complesso
per la miopia. Ma preferiva evitare di sfoderare
l’artiglieria pesante con lui:
non ci teneva a sperimentare quanto potesse essere perfido se
adeguatamente
stuzzicato.
Un ghigno
malizioso
solcò le labbra di James quando questo
controbatté:
«Io
gli occhiali
posso toglierli. Tu, invece, come
conti di aggiungere tutti i centimetri che ti mancano?»
«Devo
ancora
crescere!» protestò Albus.
«Ma
crescerai al
massimo di una spanna, se queste sono le premesse»
constatò James, e rimarcò la
differenza di altezza tra loro appoggiando un gomito sulla testa del
fratello.
Non contento, gli pizzicò un bicipite come la strega faceva
con Hansel nella
famosa fiaba per verificare quanto fosse ingrassato. «E non
cambieranno nemmeno
queste braccine flaccide.»
«Vedremo
se i miei
muscoli ti sembreranno ancora un problema quando dovremo prenderti un
cane
guida. La miopia peggiora quando si
invecchia» reiterò Albus.
«Potrei
scambiarti
per il mio cane guida, allora, visto che non crescerai più
di così» con scorno
del fratello minore, James non sembrò accusare il colpo,
anzi, un’aria leziosa
si dipanò sul suo viso mentre restituiva l’insulto.
«Scusatemi.»
La sorpresa si
diffuse
come un fulmine sul volto dei presenti: troppo impegnati a seguire la
disputa
tra fratelli, nessuno si era accorto del nuovo arrivato, un ragazzetto
pallido
che osservava la scena a lato dei propri bagagli con distaccata
curiosità.
«Dovrei
passare»
sottolineò l’ovvio con un candore tale che nessuno
riuscì ad afferrare il
sottilissimo alone di sarcasmo di quelle parole. A parte Rose, il cui
sopracciglio disegnò un arco dubbioso.
«Da
quello che ho
capito, il problema è che sia una donna ad aiutarlo,
giusto?» continuò
serafico. Si avvicinò al baule e scostò
educatamente la ragazza per poi
chinarsi ad afferrare la maniglia libera. «Così la
questione dovrebbe essere
risolta, no?»
Albus non fece
in
tempo a ringraziare lo sconosciuto che una mano sgraziata gli
piombò sulla
testa e prese a scompigliargli con furia i capelli.
«Complimenti,
Albus! L’ho sempre detto che saresti finito a Slytherin!»
James, al contrario del nuovo arrivato, non aveva la
delicatezza di mascherare la sua ironia. «Ci vediamo a
Hogwarts!»
Il minore dei
Potter attese che il fratello e il suo stormo migrassero in un altro
vagone,
poi si rivolse finalmente al suo salvatore:
«Ti
ringrazio.»
«Non
ho fatto nulla
di speciale» si schermì l’altro.
«Era
anche nel suo
interesse aiutarti, altrimenti non sarebbe riuscito a
passare» intervenne Rose,
che fino a quel momento era rimasta barricata dietro un rovente
silenzio: le
risposte acide che aveva trattenuto tra i denti per non peggiorare la
lite dei
due fratelli le bruciavano tra le labbra e le arroventavano le gote. Se
c’era
una cosa che proprio non sopportava, era di essere costretta al
silenzio quando
mille idee le ribollivano nella gola.
La battuta di
Rose
non intaccò l’aura compassata del ragazzo, che si
informò con calma inglese:
«Qual
è la tua
cabina?»
«Nostra»
specificò
subitaneamente la cugina.
Albus
indicò con un
cenno della testa la porta dello scompartimento limitrofo.
«Quella»
asserì.
«Puoi unirti a noi, se non hai altri compagni»
aggiunse, per non apparire
scortese con chi si era appena mostrato gentile nei suoi confronti.
Passò
un secondo di
silenzio prima che il ragazzo annuisse: lo aiutò a
trascinare il bagaglio fino
a destinazione, dopodiché uscì nuovamente per
prelevare le sue valigie.
Rose non permise
ad
Albus di seguirlo per restituire il favore ricevuto: costrinse
l’amico a prendere
posto sul sedile accanto al finestrino e bisbigliò
cospiratoria:
«Quel
tipo non mi
convince.»
«Mi ha
aiutato»
obiettò Albus, senza comprendere
l’ostilità della cugina.
«E’…
sfuggente» proseguì
Rose, lanciando un’occhiata alle sue spalle per assicurarsi
che l’interessato
non la sentisse. «Come se portasse una maschera.»
«Tu
vedi doppi fini
in ogni cosa» la smontò Albus con un sospiro.
«E tu
non ne vedi
affatto. Il mondo non è una fabbrica di confetti»
ribatté lei. Prese posizione
di fianco all’amico con le braccia incrociate e il collo
sprofondato nelle
spalle come stendardi della sua testardaggine.
Albus nutriva un
profondo rispetto per la cugina: aveva una memoria proverbiale e un
intuito
affilato, ed aveva divorato in lettura l’equivalente di una
biblioteca. Era
certamente la persona più intelligente che conoscesse, dopo
zia Hermione.
Ma
proprio la sua astuzia la rendeva incredibilmente
guardinga e sospettosa, come se la vita ricalcasse le intricate trame
che la
affascinavano, in cui tutti tradivano tutti. Forse le persone troppo
intelligenti non sapevano godersi la vita con la stessa rilassatezza
degli
stupidi.
«E,
comunque,
volevo difenderti mentre litigavi con tuo fratello»
sbottò di colpo. «Ma avrei
peggiorato la situazione. Ti stava già accusando di fare
troppo affidamento su
di me, ti avrei scavato la fossa se fossi intervenuta. Mi immagino i
commenti:
“Non solo hai meno muscoli, ma hai anche meno fegato di una
donna”» si voltò a
fissarlo irata, con occhi fiammeggianti: «Tuo fratello e i
suoi amici hanno per
caso una condivisione di neuroni? Ogni volta che aprivi bocca tu si zittivano, tutti seri come se tu
avessi appena detto che Tu-Sai-Chi è morto di raffreddore, e
ogni volta che
apriva bocca lui erano tutti felici
e
sorridenti. Sembrano delle foche ammaestrate, sbattono le pinne se gli
fai
dondolare un pesce davanti al naso!» Rose rilassò
la schiena contro l’imbottitura
del sedile per riprendere fiato: aveva pronunciato quel rosario di
improperi
quasi senza respirare, e le guance avevano assunto la stessa tinta
scarlatta
dei capelli.
«Rose,
sei
impareggiabile quando ti sfoghi in questo modo» sorrise
Albus, divertito dal
temperamento della cugina. Lei gli rispose con un brontolio greve poco
prima
che la porta si aprisse permettendo al ragazzo sconosciuto di entrare e
posare
i bagagli.
Rose non
staccò per
un secondo gli occhi dal giovane mentre questo sistemava il baule,
spazzava con
la mano dal sedile alcune briciole invisibili e infine si accomodava di
fronte
a loro.
Albus
pregò che il loro nuovo compagno non notasse il
sospetto con cui lo esaminava la cugina. Fortunatamente lui fu troppo
educato
per farlo pesare e lei fu abbastanza furba da assumere nuovamente un
contegno
civile nel momento in cui il ragazzo si voltò nella loro
direzione.
«Non
ci siamo
ancora presentati» notò la cugina, porgendo la
mano con simulata amicizia. «Mi
chiamo Rose. Rose Weasley.»
Gli occhi chiari
del ragazzo si sgranarono lievemente per la sorpresa a
quell’informazione e
riacquistarono una dimensione normale quando si posarono sui riccioli
rossi
della ragazza.
«Weasley»
ripeté
lui, con un accenno di sorriso. «Il tuo è un
cognome abbastanza conosciuto.»
«Lo
so» rispose lei
senza scomporsi.
Albus le
lanciò
un’occhiata: i capelli cremisi del padre e gli occhi nocciola
della madre
sembravano gridare il nome dei suoi genitori, ma il ragazzo era stato
abbastanza diplomatico da non farlo notare e fingersi sorpreso. Anche i
vestiti
della cugina, chiaramente passati sotto più mani prima di
raggiungere le sue,
erano un chiaro indice della famiglia di provenienza, ma perfino su
questo
aspetto lo sconosciuto aveva sorvolato.
Le iridi fumose
del
ragazzo si focalizzarono su Albus, in attesa della sua presentazione.
Il piccolo prese
mentalmente un profondo respiro. Era il suo turno.
«Mi
chiamo Albus
Severus Potter.»
Le sopracciglia
quasi albine del ragazzo si sollevarono fino a sfiorare la frangia.
«Anche
il tuo
cognome è abbastanza famoso.»
“Abbastanza
famoso”. Apprezzava l’eufemismo.
«Sì,
all’incirca» Albus
tentò maldestramente di sminuire. Non era una di quelle
persone che si
vantavano del lustro della famiglia: al contrario, avrebbe preferito
nascere in
una casa anonima, in modo da non dover sopportare la pressione costante
del
confronto con il padre. Di Harry Potter aveva ereditato il cognome, gli
occhi
verdi e i capelli corvini; per ora, le loro somiglianze si limitavano a
quello.
«E
tu?» domandò,
per deviare l’attenzione da se stesso.
«Scorpius
Malfoy.»
La stima che il
ragazzo nutriva per la sua famiglia gli fece scandire con orgogliosa
calma ogni
singola lettera.
Rose
appoggiò il
viso contro una mano ma, sebbene la bocca fosse premuta contro il
palmo, Albus
poté udire ugualmente il commento della cugina:
«Più
che famoso, è
famigerato.»
«Volete
qualche
dolcetto, tesorini?»
Albus
provò per la
prima volta in vita sua l’intenso desiderio di gettarsi in
ginocchio e
ringraziare ogni santo in ascolto: l’arrivo della signora dei
dolci era stato
provvidenziale nel coprire l’ultima parte
dell’affermazione di Rose.
La
cugina estrasse il portafoglio e ne esaminò il contenuto,
facendo mille conti su cosa fosse più conveniente comprare.
Albus si frugò
nelle tasche, contò i soldi che aveva trovato e scelse.
Scorpius studiò
attentamente il contenuto del carrello, calcolò la portata
del borsellino e
decise a sua volta.
«Io
prendo una
caramella TremilaGustiPiùUno e una Cioccorana»
ordinò Rose.
«Per
me un
Cioccorno e tre ZuccottiPlus» la donna gli allungò
il cartoccio dei dolci,
notando: «Hai gli stessi gusti di tuo padre,
figliolo.»
Albus si
esibì in
un sorriso gastritico nel prendere il sacchetto: dubitava fortemente
che suo
padre mangiasse le stesse cose. Innanzitutto, vent’anni prima
le caramelle
avevano solo mille gusti più uno, e come CioccoAnimali
esistevano solo le
CioccoRane. E poi, gli Zuccotti erano dolcetti gonfi di semplice crema
di
zucca: ora il ripieno frizzava e, in alcuni casi, danzava addirittura
sulla
lingua. Valentine, uno degli amici di suo fratello, sosteneva che una
volta due
omini di crema arancione avevano improvvisato un valzer nella sua bocca.
Certamente
la signora intendeva fargli un complimento. Non
poteva immaginare quanto fosse fastidioso avere un mito per genitore.
«Per
me una fetta
di Torta della Strega» chiese Scorpius.
Nessun commento
sui
suoi parenti: la consegna della busta avvenne in silenzio, la signora
intascò
il denaro e proseguì verso lo scompartimento successivo.
«Hai
preso un
Cioccorno?» si stupì Scorpius, armeggiando con la
confezione della sua fetta di
torta.
«Sì.
Perché?»
domandò di rimando Albus, mentre sistemava le sue compere
sul sedile.
«Sono
molto più
complicati da mangiare delle CioccoRane. Loro al massimo saltano. I
Cioccorni…»
si strinse nelle spalle. «Prova ad aprirla» lo
invitò e, nel dirlo, poggiò il
contenitore del suo dolce sulle gambe, come per prepararsi ad uno
spettacolo.
Albus
fissò Rose, indeciso,
la quale gli restituì uno sguardo vago: evidentemente,
nemmeno lei aveva mai
assaggiato un Cioccorno.
Il ragazzo
aprì con
cautela la bustina, per richiuderla subito dopo con uno scatto: nel
momento in
cui i lembi di plastica si erano separati, un corno di cioccolato aveva
cercato
di pungergli il pollice con un nitrito rabbioso.
«Era
questo che
intendevo» spiegò Scorpius.
«Sarà un problema domarlo.»
Albus
riaprì la
busta, questa volta completamente, e l’unicorno di cioccolato
galoppò furioso
sul suo braccio; il giovane fece appena in tempo ad afferrarlo per il
dorso
prima che la piccola belva gli conficcasse il corno in un occhio.
«Aspetta
che si
addormenti» lo consigliò Scorpius.
«Si
addormenta?»
gracidò Albus, tenendo lontano da sé la bestia
scalciante.
«Le
industrie
dolciarie hanno a cuore la verosimiglianza del prodotto, ma devono
anche
renderlo mangiabile. È ovvio che abbiano pensato ad un
meccanismo per
permetterti di gustarlo» brontolò Rose.
La cugina non
aveva
quasi finito di parlare che l’unicorno si
afflosciò tra le sue dita. Era quasi
ridicolo con il grosso collo penzolante, le zampe ciondolanti e le
labbra che
si increspavano in una strana imitazione del russare umano. Albus lo
addentò
con circospezione, timoroso che quel mostriciattolo potesse
risvegliarsi nel
suo esofago e piantargli gli zoccoli nella trachea.
«E’
buono»
constatò, ingoiando e prendendone un altro morso.
«Deve
essere più
che buono, altrimenti la gente comprerebbe solo le
CioccoRane» replicò Rose.
Masticando,
Albus
si trovò a fissare la sgargiante confezione sulle ginocchia
di Scorpius: il
cartone era stato piegato in modo da riprodurre le stamberghe delle
streghe del
tredicesimo secolo, le stesse che si vedevano raffigurate nei libri
babbani di
favole. Scorpius afferrò due angoli del tetto sgangherato e
lo sollevò:
all’interno riposava una fetta di torta alla crema spolverata
di zucchero e
pinoli e, a lato, sedeva una minuscola figurina umanoide.
«Cos’è?»
indagò
Albus, allungando il collo.
«La
Torta della
Strega ha una particolarità: trovi sempre una mini-strega
dentro» spiegò
Scorpius.
«Davvero?»
Albus si
ricordò di essere in compagnia di un estraneo e non solo
della cugina, quindi, anziché
leccarle, cercò un fazzoletto su cui pulirsi le dita sporche
di cioccolato.
«E
cosa fanno
queste streghe?» domandò Rose, giocherellando con
l’apertura della caramella.
«Raccontano
aneddoti
poco conosciuti sul mondo della magia» per dare una prova
pratica di quanto
diceva, Scorpius avvicinò una mano all’interno
della casetta, permettendo alla
piccola fattucchiera di salirvi sopra.
Il
vestitino aderente dell’incantatrice aveva uno spacco
piuttosto marcato da cui si intravedeva il collant sottostante ma,
nell’immensa
ingenuità degli undici anni, nessuno dei tre la
reputò una cosa maliziosa.
«Avete
mai sentito
parlare dei Grandi Ceppi Magici? Si narra che, nei tempi antichi, essi
si siano
distinti nella massa dei maghi per la loro capacità di
affinare gli
incantamenti in maniera peculiare e sofisticata. Tali tecniche
sarebbero state
tramandate di generazione in generazione agli eredi di questi Grandi
Ceppi, ed
esisterebbero ancor oggi» raccontò la strega.
«Non
è così
sconosciuta. L’ho letto in un libro qualche mese
fa» minimizzò Rose, ficcandosi
la caramella in bocca.
«Non
sempre
sorprendono» ribatté Scorpius. La fattucchiera sul
suo palmo cominciò a
disfarsi lentamente in una voluta di fumo sottile, fino a lasciargli la
mano
libera di afferrare la torta.
«Di
cosa sa la tua
caramella, Rose?» domandò Albus, sperando di
prevenire ulteriori interventi
della cugina.
«Di
serpe» rispose
seccamente lei.
***
«Quel
tipo non mi
piace.»
«L’avevo
intuito,
Rose.»
«Sto
parlando
seriamente, Albus. Non mi piace.»
Erano riusciti a
rimanere insieme fino a che non avevano raggiunto la stazione di
Hogwarts. Poi
avevano perso Scorpius nello sciame di gente che aveva affollato i
corridoi del
treno. Albus non era riuscito a scorgerlo sulle barche che li avevano
portati
fino a scuola e nemmeno ora lo distingueva nella marea di teste che li
circondava.
«Mio
padre mi ha
consigliato di non diventargli amica» rimbrottò
Rose.
«A Ron
non è mai
stato simpatico Draco Malfoy. E trasferisce quella vecchia antipatia su
Scorpius» da quello che sapeva, zio Ron e Draco avevano
rivaleggiato a lungo per
zia Hermione, ma preferì non mettere al corrente la cugina
di quel pettegolezzo
che suo padre si era fatto sfuggire per una BurroBirra di troppo.
«Mi
fido più di mio
padre che di un estraneo con cui ho conversato in treno»
protestò Rose,
scatenando una mezza sommossa tutt’attorno perché
si era fermata nel bel mezzo
della calca per ribattere.
«Comunque,
non è solo per quello» Rose riprese a camminare
per evitare di essere falciata. «Te l’ho detto, non
mi piace che sia così
sfuggente.»
«A me
non è
sembrato tanto subdolo.»
«Perché
tu sei un
sempliciotto, quindi è facile ingannarti.»
«Grazie
Rose» sbuffò
offeso Albus. «Anche se fosse, potrebbe avere i suoi buoni
motivi per non
scoprirsi.»
«Non
mi interessano
i motivi. Come posso fidarmi di chi non è
sincero?» contestò Rose.
La fila si
arrestò
di colpo, e Albus per poco non crollò addosso al tizio
davanti a lui, che
protestò rumorosamente rispedendolo al suo posto con uno
spintone. L’improvvisa
frenata fu dovuta non solo al raggiungimento dei cancelli di Hogwarts,
ma anche
dall’aspetto della professoressa che li attendeva.
«Finalmente
quest’anno hanno messo la Eeriemay ad accoglierci!»
si felicitarono gli
studenti più anziani.
«Anche
Slytherin produce qualcosa di buono,
ogni tanto» fu il bisbiglio abrasivo di qualcuno.
La strega del
dolce
di Scorpius non era riuscita a farli imbarazzare; la donna che li
aspettava
avrebbe fatto arrossire perfino un sasso. Senza l’uso della
magia.
Era
l’apoteosi della femminilità, con curve sode
straripanti
dai vestiti e una montagna di capelli rubino raccolti in una crocchia
volutamente
scomposta. Gli occhi erano evidenziati da un trucco sapiente che ne
esaltava la
grandezza e il verde delle iridi, e con altrettanta maestria erano
state curate
le labbra piene. La divisa da impiegata modello che indossava era il
particolare veramente sconcio dell’insieme: un abito simile
avrebbe dovuto
evidenziare coprendo, ammiccare ma con pudore. C’era ben poco
di coperto e
pudico nell’abbigliamento della donna: la gonna era talmente
corta da poter
essere scambiata per un fazzoletto, e l’effetto malizioso era
accresciuto dai
tacchi alti che indossava. La blusa era stata alleggerita di alcuni
bottoni, in
modo che fosse più che visibile la prosperità dei
seni, su cui si appoggiava un
pesante ciondolo d’oro. Il mantello sanguigno non copriva in
alcun modo tutta
quell’abbondanza: era semplicemente appoggiato sulle spalle.
La donna sorrise
in
uno sfavillio di denti perlacei nel dar loro il benvenuto:
«Ragazzi,
auguro a
tutti voi un anno piacevole tra le mura di Hogwarts» detta da
lei, ogni parola
sembrava foriera di doppi sensi osé. «Io sono
Rebecca Eeriemay, la responsabile
di Slytherin. Fatemi la cortesia di
seguirmi fino alla Sala Principale, dove i nuovi arrivati potranno
essere
assegnati alle varie Case. Prego» si voltò con una
mossa da soubrette e
cominciò ad ancheggiare nei corridoi, seguita a ruota dagli
studenti. Nemmeno
il pifferaio di Hamelin aveva riscosso tanto successo nel farsi
tallonare da
dei bambini.
Albus procedette
con gli occhi fissi a terra, troppo imbarazzato dalle forme che
ondeggiavano
davanti a lui. Rose fissò lo sguardo da un’altra
parte, lievemente disgustata:
che pessimo esempio dava alla categoria femminile.
Guardando
ognuno da una parte diversa, raggiunsero finalmente
la Sala Principale, sul cui soffitto si distendeva un sereno cielo
notturno.
Il Cappello
Parlante venne portato dalla sensuale professoressa, e subito il
copricapo
cominciò a cantare.
Albus quasi non
sentì il testo della ballata, affogato nel suo rimuginare:
forse era vero che
lui era ingenuo rispetto alla cugina, ma non era giusto farlo passare
per un
credulone. E poi, Scorpius non gli sembrava un cattivo ragazzo. Forse
appena un
po’ ritroso, ma chi non lo sarebbe stato, sentendosi dare del
traditore fin
dalla culla?
«Bradley
Thomas!»
Il primo nome lo
riscosse istantaneamente dal suo stato meditativo.
Ad
una velocità che non avrebbe creduto possibile la sua
bocca si asciugò completamente e le mani cominciarono a
grondare. Tra poco
avrebbe saputo a quale Casa lo avrebbe ospitato per i successivi sette
anni.
«Ravenclaw!» gridò il
Cappello.
Albus attese,
torcendosi le mani per l’ansia. I minuti parvero dilatarsi
per dare più tempo
al suo cuore di spaccargli il petto mentre i nuovi arrivati venivano
chiamati
uno per uno.
«Malfoy
Scorpius!»
Il
ragazzino trasalì e si sporse per riuscirlo
a vedere. Scorpius avanzò senza la minima esitazione, con
un’ombra di sorriso
distesa sulle labbra. Si sedette e il Cappello quasi non si
appoggiò sulla sua
testa prima di annunciare:
«Slytherin!»
Sentì
la cugina
irrigidirsi al suo fianco, come se i suoi dubbi su quel ragazzo fossero
stati
confermati. Albus, al contrario, provò solo un enorme
sollievo: se fosse finito
a sua volta a Slytherin, almeno non
sarebbe stato solo.
Vennero smistate
altre tre matricole prima che il suo nome venisse pronunciato:
«Potter Albus
Severus!» intonò Eeriemay.
La
professoressa non gli riservò un trattamento di favore, cosa
che Albus apprezzò
oltre ogni dire: gli sorrise incoraggiante come aveva fatto con tutti
gli altri
e gli posò con grazia il cappello sulla testa.
Trascorse
qualche
istante di silenzio totale in cui Albus quasi dimenticò come
si facesse a
respirare. L’attenzione di tutti gli studenti presenti si era
focalizzata di lui,
in scalpitante attesa del verdetto; l’aria sembrava vibrare
tanto era gravida
di tensione.
Poi
il cappello emise la sua sentenza:
«Slytherin!»
La notizia venne
accolta da un mutismo glaciale. Gli Slytherin
non si aspettavano quell’assegnazione e ancor meno i Griffindor, che lo guardavano come se li
avesse appena pugnalati
alle spalle. Soprattutto il fratello, con gli occhi sbarrati dalla
meraviglia e
dall’orrore.
Poi la signorina
Eeriemay
applaudì, felice che un nuovo pargolo si aggiungesse alla
Casa di cui era
responsabile, e, sul suo esempio, un’ovazione si
sollevò dalla tavola degli Slytherin.
Albus dovette
fare
attenzione a non inciamparsi nella tunica mentre si rialzava e si
dirigeva al
tavolo degli Slytherin. Suo padre
gli
aveva detto che poteva parlare con il Cappello e chiedergli di essere
affidato
ad una particolare Casa, ma non l’aveva fatto. In un certo
senso, voleva sapere
l’opinione del Cappello senza interferire con essa in alcun
modo. E poi, non
vedeva il senso di finire in una Casa su richiesta personale: doveva
essere
assegnato in base alle attitudini, non ai capricci.
Cercò
nel tavolo la
chioma bionda di Scorpius e, individuata, vi si accostò.
«Anche
tu a Slytherin» si
congratulò il ragazzo,
facendogli spazio perché potesse sedersi.
Albus
annuì, prendendo posto in silenzio.
«Conosci
qualcun altro di questa Casa?» al cenno negativo
del piccolo Potter, Scorpius si scostò appena
perché fosse visibile il ragazzo
che sedeva alla sua destra.
La
buona creanza impedì ad Albus di esternare il proprio
stupore: il giovane apparso a lato di Scorpius sembrava un elogio alla
buona
salute e un polo attrattivo per le malattie al contempo. Neppure uno
dei
lucidissimi capelli castani era sfuggito all’ira del pettine,
che li aveva
sistemati in una simmetria implacabile; allo stesso modo, la pelle
levigata era
priva di qualsiasi imperfezione. Il fisico del ragazzo,
però, era quello di un
sollevatore di stuzzicadenti, esile e delicato come una scultura di
cristallo.
Ad accentuare la fragilità del corpo contribuivano il
colorito pallido tendente
al verdognolo delle guance ed il fazzoletto ricamato che il giovane
teneva
vicino a bocca e naso, come se temesse un conato da un momento
all’altro.
«Lui
è Macauley
Nott» lo introdusse Scorpius.
Lo sconosciuto
roteò i suoi occhi castani su Albus, e il suo sguardo fu
più intenso di una
radiografia.
«Non
mi sembra
sano. Ha gli occhi vitrei e suda troppo» fu
l’analisi clinica di Macauley.
Albus
fissò il suo
riflesso in una delle coppe lucidate presenti sulla tavola: non gli
sembrava
che il suo sguardo fosse così assente, e non stava sudando
affatto. Decise di
ignorare la diagnosi non richiesta e porse la mano in segno di
cameratismo:
«Piacere.
Mi chiamo
Albus…»
Non
riuscì a
terminare la presentazione: Macauley trasalì come se gli
avesse teso un
Basilisco al posto della mano.
«Pazzo!
Lo sai
quanti germi si trasmettono con il contatto fisico?»
strepitò, attutito dal
fazzoletto che si era premuto sul viso come una mascherina.
«Esprimi quello che
devi esprimere alzando il pollice.»
Albus
fissò
sconcertato Scorpius, il quale sillabò muto:
“È un po’ strano. Assecondalo”.
Il piccolo
tentò di
nuovo: «Mi chiamo Albus Severus Potter» e
alzò il pollice.
«Più
lontano»
ordinò Macauley, nauseato. Albus fece retrocedere il dito
verso il petto. «Più
lontano di così!»
«Nott,
se lo
allontana ancora si spezza il gomito» lo calmò
Scorpius, quando le
articolazioni di Albus minacciarono di sconfinare.
«Piacere
di
conoscerti» sentenziò lo strano tipo, rilasciando
la presa sul fazzoletto che
tornò a sostare in prossimità di bocca e naso.
«Non
è cattivo.
Devi solo imparare a conoscerlo» sdrammatizzò
Scorpius. «Allora, sei contento
di essere a Slytherin?»
«Sì»
Albus fu il
più sorpreso di tutti nel sentire quella sillaba uscirgli
dalle labbra.
«Davvero?
E la tua
famiglia Griffindor
approva?»
discusse caustico Macauley.
«All’inizio
pensavo
che non mi sarebbe piaciuto venire a Slytherin»
ammise Albus, guadagnandosi un’occhiata sprezzante da Nott;
Scorpius, al
contrario, si mantenne indifferente. «Più che
altro per i pregiudizi della
gente. Però non mi sembra male come Casa. È solo
malvista dagli esterni.»
«Altroché
se è
malvista!» sbottò Macauley. «Non pensano
mai che Tu-Sai-Chi poteva finire in
una qualunque altra Casa. Non è stata Slytherin
a crearlo, ma lui ha creato tutti gli stereotipi che la
contraddistinguono!
Stereotipi falsi»
aggiunse, piccato.
«Allora
dobbiamo
impegnarci per fare crollare queste credenze, no?»
ribatté con ovvietà Albus.
Nott lo
fissò
indagatorio, Scorpius interessato.
«Gli Slytherin tentano da decenni di
riabilitare il loro nome. Cosa ti fa credere che quest’anno
possa cambiare
qualcosa?» lo mise in dubbio Macauley.
«Quest’anno
ci
siamo noi» rispose semplice Albus.
Scorpius nascose
un
sorriso mascherandolo da colpo di tosse; Macauley scostò per
la prima volta il
fazzoletto dal viso per esclamare:
«Sei
più tenace del
Morbillo dei Goblin!»
«Grazie…?»
traballò
Albus, indeciso se quello fosse un complimento o meno.
Il trillo
gioioso
della Eeriemay distolse l’attenzione del giovane Potter:
«Weasley
Rose!»
Il Cappello non
fece fatica a decidere. D’altronde, Albus stesso avrebbe
scommesso la sua
bacchetta sulla Casa della cugina.
«Ravenclaw!» fu infatti la
sentenza del
Cappello.
E, con lei, lo
Smistamento terminò.
***
Era stata una
cena
bizzarra.
Aveva mangiato
con
un misto di felicità e agitazione: quando prevaleva la
contentezza, il cibo gli
sembrava squisito; quando prevaleva l’ansia, i piatti
diventavano
improvvisamente acidi.
Era
contento che il suo discorso avesse riscosso
l’approvazione di Macauley e Scorpius. Tuttavia, lui stesso
non era convinto
delle sue parole: non era ancora sicuro che Slytherin
fosse la Casa che faceva per lui.
Da
quanto sapeva dai racconti degli studenti più anziani,
era normale portarsi simili dubbi anche al secondo anno: solo il tempo
gli
avrebbe fatto capire perché il Cappello avesse scelto quella
strada per lui.
Ad
ogni modo, la rete di preconcetti che imprigionava quella
che era diventata la sua Casa non gli piaceva per nulla: che senso
aveva
giudicare intere generazioni di maghi per le nefandezze di un unico
individuo?
Era
sincero quando aveva dichiarato di voler scardinare quel
substrato di malignità gratuite.
Comunque, non
erano
state solo le sue riflessioni a rendere strampalato quel pasto.
Macauley era uno
spasso da guardare mentre mangiava: aveva studiato le posate alla
ricerca di
macchie e batteri, e aveva esaminato ogni singolo boccone prima di
portarlo
alle labbra.
Albus
si girò sulla schiena e osservò il letto a
castello
dall’altro lato della stanza: nel giaciglio superiore,
Macauley dormiva
protetto da una mascherina ipoallergica.
Sorrise,
scuotendo la testa. Se non altro, sua madre sarebbe
stata felice di sapere che uno dei suoi compagni di stanza fosse
così attento
all’igiene.
«Potter,
dovresti
dormire» bisbigliò Scorpius dal materasso sopra il
suo.
«Anche
tu» replicò
Albus. «E chiamami con il mio nome.»
«Non
ti piace
“Potter”?»
«Preferisco
Albus».
Gli piaceva il
suo
cognome. Ma era troppo generico. E poi, era sua padre il
Potter per eccellenza.
«D’accordo,
Albus.
Ma dovresti comunque dormire. Domani cominciano le lezioni»
lo consigliò
Scorpius.
Il ragazzo si
inabissò nelle coperte fino al naso, brontolando un assenso.
«Scorpius?»
tremulò
nel buio.
«Sì?»
«Ti
seccherebbe se
domani mi sedessi vicino a te, a lezione?»
Ci fu un
movimento
nel materasso di sopra che Albus non riuscì a decifrare, poi
giunse risposta:
«Albus,
ho
accettato di dividere il letto con te. Cosa ti fa pensare che ti
caccerei se ti
sedessi vicino a me?»
Il piccolo si
sorprese del tono di Scorpius. Aveva ipotizzato una risposta del tipo:
“Ma certo,
nessun problema”, il tutto condito da un sorriso che avrebbe
falciato l’ombra
della stanza. C’era un sottofondo ironico in disaccordo con
l’immagine gentile
e luminosa di Scorpius. Doveva essere davvero stanco, e lui lo stava
tenendo
sveglio.
«D’accordo,
grazie.
Buonanotte, Scorpius» tagliò corto, per non
infastidirlo ancora.
«Sogni
d’oro,
Albus» si accomiatò a sua volta l’altro.
Il bambino
restò
ancora qualche istante immobile nel letto, aspettando di addormentarsi.
Quando
finalmente
si sentì abbracciare da Morfeo, gli tornarono in mente le
parole della cugina.
Come posso
fidarmi di chi non è sincero?
Poi scivolò nel sonno, e il variopinto mondo onirico ebbe il sopravvento.
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Grazie per essere arrivati fin qui, spero che anche i prossimi capitoli saranno di vostro gradimento<3