Hermione non sapeva dire di preciso come era cominciata
quella cosa. Era cominciata e basta, come capita con le cose che sarebbe meglio
non succedessero mai, le cose sbagliate.
Magari
avrebbe potuto evitarla. Ma perché?
Era
forse giusto che tutte quelle persone fossero morte? No, ma adesso si trovavano
lo stesso due metri sottoterra, e nessuno aveva potuto farci niente.
Era
forse giusto che Ron fosse morto? No, ma adesso a lei non restava altro
che il ricordo di quel sorriso che amava così tanto, e nulla di
più.
Non
viveva in un mondo perfetto, e le cose ingiuste, quelle che non dovrebbero
succedere mai, succedevano in continuazione.
E
allora perché avrebbe dovuto evitarlo?
Fatalista,
superficiale, sinceramente non le importava come la chiamassero; per quanto ne
sapeva lei, era solo disgustata. Disgustata al punto di non volerne più sapere
niente dell’Ordine, niente della guerra, niente di niente. Voleva solo tirare
avanti per non affondare definitivamente, perché lei era forte. Arrancare,
afferrandosi agli ultimi brandelli di realtà rimasti.
Ed
era questo che stava facendo, si afferrava a dei brandelli di
realtà.
Una
realtà scomoda? Forse, ma d’altronde stava solo mettendo in pratica quello che
aveva imparato, a sue spese. Aveva imparato ad accettare le cose per come
venivano, perché non aveva alternativa; aveva imparato a convivere con quel
costante senso di nausea; aveva imparato ad arrancare.
E
adesso avrebbe imparato a convivere anche con quello sbaglio. Perché era
inequivocabilmente uno sbaglio, ma che ci poteva fare? Era pur sempre la realtà,
e la aiutava a non andare a fondo.
Non
viveva in un mondo perfetto.
Guardava
la sua immagine riflessa nello specchio, le prime luci del mattino filtravano
attraverso le tende della vecchia casa di famiglia. Quanto era cambiata, quasi
stentava a riconoscersi. La vecchia Hermione lottava per quello in cui credeva,
aveva fiducia in se stessa e nelle sue convinzioni; ma adesso vedeva una ragazza
arrivata alla conclusione che, purtroppo, lottare spesso non porta a nulla. La
vita glielo aveva dimostrato.
Si
sciacquò il viso, i capelli erano sempre un tale disastro che non ci provò
neanche a sistemarli, e si limitò a raccoglierli alla
meglio.
Tornò
in camera e si raggomitolò in fondo al letto. Lui era ancora addormentato. Le
piaceva osservare le persone quando dormono, perché nel sonno siamo tutti più
autentici, più vulnerabili senza le maschere che indossiamo di giorno. Il suo
viso era rilassato, evidentemente non avvertiva il peso di quello sbaglio come
lo avvertiva lei. Ce l’avrà avuta una coscienza da qualche
parte?
Era
sdraiato a pancia in giù, i capelli scomposti gli coprivano in parte il viso, il
braccio destro stringeva il cuscino, mentre quello sinistro ricadeva di lato
come un peso morto.
Quel
marchio era ancora lì, un macabro promemoria per il suo errore. Per l’errore di
entrambi.
Se
mesi fa qualcuno le avesse detto che avrebbe contemplato Draco Malfoy nel sonno,
sarebbe di certo sbottata per l’indignazione. Ma il tempo passa, e le cose
succedono.
Ma
allora cos’era quel nodo alla gola, senso di colpa?
Aveva
salvato la vita a un Mangiamorte. Era un crimine seguire il proprio istinto? Era
un crimine cercare di salvare una vita umana? Probabilmente, in quel caso lo era
stato. Ma si può guardare morire
una persona con fredda indifferenza? Lei non poteva.
Aiutandolo,
quella notte, si era messa in pericolo, aveva messo tutti quanti in pericolo.
Nascondendolo, peggiorava solamente la situazione. Avrebbe dovuto raccontare
tutto, ma non l’aveva fatto. Per paura, forse. Vergogna.
Senso
di colpa. In fondo meritava di morire.
Eppure
era convinta di non aver visto solo odio, dietro a quegli
occhi.
I
suoi pensieri vagavano liberi.
…
Malfoy
sussultò un po’ e fece una smorfia. Era seduto a letto, ed Hermione gli stava
medicando le numerose ferite, un’espressione preoccupata sul volto; lui la
guardava di sbieco con gli occhi leggermente
socchiusi.
“Perché
lo fai? Avresti dovuto lasciarmi morire.”
“Lo
so.”
Dopo
qualche momento fu lei a rompere di nuovo il silenzio.“Tutti ti credono morto. E
io non posso tenerti qua ancora a lungo. Se uscissi allo scoperto,
l’Ordine…”
“Non
si fideranno.”
“C’è
la prova del Veritaserum.”
“La
fai facile, Granger.”
“Ma non capisci?! Così è troppo rischioso, per entrambi.”
Hermione si era fermata per fissarlo dritto negli occhi, quegli occhi glaciali e
indecifrabili.
“Ti
ho detto già tutto quello che sapevo, non servirei a
nient’altro.”
“Io- non posso- tenerti- ancora qui.” scandì queste parole
lentamente, a denti stretti.
Fece
per riprendere a medicarlo, ma lui le bloccò il braccio e la squadrò a sua
volta.
“Me ne vado.”
“COSA?!
E dove? Sei ancora debole…”
“Sono perfettamente in
grado.”
“Sarebbe
una stupidaggine.”
“Lo è
restare. E se mi succederà qualcosa tanto peggio per me, che
t’importa.”
“Tu
non vai proprio da nessuna parte.”
“Che fai, ti metti a darmi ordini adesso?” le disse con
strafottenza. Lei lo fulminò con lo sguardo.
“Sì.
Non ti permetto di rovinarti. Non di nuovo.” E si morse il labbro, consapevole
di quello che si era lasciata scappare. I due rimasero immobili per qualche
momento, poi lui fece scorrere inspiegabilmente la mano lungo il suo braccio, su
fino al collo. Poteva sentire l’adrenalina che le scorreva nelle vene, un
brivido inaspettato. Eccolo, il brandello di realtà, una realtà che la faceva
sentire sorprendentemente viva. Vi si aggrappò.
E
poi, le sue labbra.
…
Malfoy
cominciò a agitarsi un po’ nel sonno, aprì gli occhi e incontrò lo sguardo della
ragazza.
“Ciao.
Che ci fai lì impalata?”
“Pensavo.”
Il
ragazzo sbadigliò e si mise a sedere. Le ferite che gli aveva curato erano
ancora un po’ visibili, ma notevolmente migliorate.
“Vieni
qua.”
La
afferrò per un braccio e la tirò a sé; Hermione ricadde al suo fianco e si girò
di lato a guardarlo, mentre giocava coi suoi capelli. Aveva di nuovo
stampigliata sulla faccia la sua espressione indecifrabile, la sua
maschera.
“Cos’è
questa cosa che ci è capitata, Malfoy?”
“Sei
pentita?”
“No.
Tu?”
“È la
prima cosa di cui non mi sia pentito in troppi anni.”
“E
adesso che succederà?”
“Non
lo so, Granger…”
Hermione
non si era ancora posta troppe domande, né voleva farlo. Era successo e basta.
Era la realtà. Forse era uno di quei casi in cui due persone che condividono
un’esperienza forte si trovano inevitabilmente connesse.
E
loro due si erano trovati a condividere così tanto, in così poco tempo. La vita,
la morte, il segreto, il pericolo.
“Ma
chi sei tu, eh?” gli chiese.
Malfoy
si strinse nelle spalle e alzò un sopracciglio.
“Lo
stesso vale per te. Non dovresti neanche rivolgermi la
parola.”
Hermione
sorrise. “E infatti, ti detesto; con tutto il mio cuore. Ma che vuoi…” e
fece spallucce con una faccia rassegnata. Ma quando lo sguardo le scivolò sul
braccio sinistro del ragazzo, il sorriso che le si era disegnato in volto
scomparve, e la sua testa la riportò violentemente al presente.
E il
presente era la guerra, le morti, il suo passato, il pericolo che
correvano.
“Non
possiamo andare avanti così.”
“Lo
so.”
“Se
solo la smettessi di nasconderti qua e ti decidessi a…”
“Granger…”
“Ma
ragiona, cosa mai potrebbe succ-“
“MA
LA VUOI PIANTARE?!”
“Non
gridare, adesso.” Hermione si alzò a sedere. “Non ha senso questa tua
ostinazione. È pericoloso, pericoloso per tutti!”
“È
per questo che voglio andarmene.”
“Ma
perché invece di scappare non mi dai retta una buona volta, eh? Non puoi
scappare all’infinito! Dove avresti intenzione di andare?”
Malfoy
si voltò di lato con una smorfia. Quella ragazza aveva ragione, come sempre. Si
passò una mano tra i capelli.
“Non
lo so, ho detto, NON LO SO!”
“Vedi?
Non hai molta scelta…”
“So
solo che non posso uscire così allo scoperto, non dopo tutto quello che… non ci
arrivi proprio, eh?! E l’hai detto anche tu, mi credono
morto.”
Si
alzò di scatto da letto e uscì dalla stanza facendo sbattere la porta così forte
che Hermione sussultò. Questo dopotutto era sempre Malfoy, ostinato, orgoglioso.
Era un po’ come lei, in fondo, e la cosa la fece sorridere, un sorriso
amaro.
Era
tardi, doveva andare al San Mungo. Si preparò in fretta e furia, si mise il
mantello da guaritrice e si smaterializzò da casa ignorandolo. Per quanto lo
conosceva, sarebbe stata un’inutile perdita di tempo provare a farlo ragionare.
Ed
ecco riaffiorare quel sottile ma pungente senso di colpa. Non le importava, ma
non poteva neanche continuare a nasconderlo a quel modo.
Era
uno sbaglio. Per questo, era ancora più irresistibile.
~~~~~~
Quando
tornò a casa, quella sera, per un attimo temé di non trovarlo; ma invece era
ancora lì, seduto alla finestra, che guardava fuori.
“Ciao.”
Nessuna
replica.
Hermione
si avvicinò al ragazzo, aveva uno sguardo serio e pensieroso e notò che
continuava a fregarsi il braccio sinistro.
“Malfoy,
stamattina… mi spiace, ma lo sai come la penso.”
“Avevi
ragione tu, come sempre del resto.” Mentre le diceva questo continuava a
guardare fuori, tra le fessure della tenda. “Sta per succedere qualcosa. Ne sono
certo…”
Hermione
lo scrutò qualche attimo, poi gli afferrò gentilmente il braccio sinistro e gli
sollevò la manica della maglia. Il marchio era di un intenso rosso scuro,
scottava. Lo sfiorò leggermente con le dita, come se il fastidio potesse in quel
modo alleviarsi. Alzò lo sguardo, sentendo che gli occhi le si stavano
gonfiando, e un groppo le stringeva la gola.
“Non
ho molte alternative, giusto?”
“Vuoi
dire che accetti di collaborare?” bisbigliò.
“Non
posso permettere che mi trovi qua.”
I
suoi occhi grigi, così glaciali, sembravano essersi accesi di uno scintillio
d’argento. Era una sua impressione, o quello sguardo non era più così
indecifrabile come al solito?
La
ragazza allungò una mano verso il suo viso, sentendo che non avrebbe più potuto
combattere a lungo contro le lacrime che stavano lottando per uscire, e gli
spostò di lato i capelli per leggere meglio dietro quello sguardo che per la
prima volta non era freddo e distaccato.
Una
strana sensazione le nacque da qualche parte tra lo stomaco e il cervello, una
sensazione sgradevole, ma non appena sentì le loro labbra schiudersi in una cosa
sola, e il suo sapore mischiarsi a quello salato delle lacrime, dimenticò tutto.
Era l’effetto che lui le faceva, la annullava, la destabilizzava. Era reale, la
teneva a galla.
Si
svegliò di colpo nel cuore della notte, chissà perché. Automaticamente, con gli
occhi ancora chiusi, distese un braccio alla sua destra come per andare a
cercarlo, ma tutto ciò che sentì scorrere sotto la sua mano era la stoffa del
lenzuolo stropicciato. Si voltò di scatto.
Vuoto.
Sentì
di nuovo fare capolino quella sensazione sgradevole che prima aveva messo da
parte, e si alzò di fretta.
“Malfoy? Dove sei?”
La
casa era vuota, a parte lei non c’era nessuno. Venne colta da un presentimento.
E poi vide quel biglietto, sintetico, secco:
Ti sono riconoscente, ma devo
andare.
Scusami.
Addio.
Sapeva che sarebbe successo, lo sapeva fin
dall’inizio.
“Addio
anche a te, Malfoy” disse. Alla fine aveva fatto come aveva voluto
lui.
Ma
lei, adesso, come si sentiva?
Sinceramente
non lo sapeva. Era consapevole che loro due non sarebbero mai arrivati a nulla,
e anche se a volte si ripeteva il contrario era solo un timido tentativo di
mentire a se stessa. Abbastanza debole per dirla tutta.
Non
era giusto, però. Era certa di aver imparato a guardare oltre quel muro che
Malfoy alzava da sempre tra sé e gli altri; o almeno aveva intravisto qualcosa
attraverso una crepa, ma adesso lui se n’era andato, e lei era di nuovo sola,
rimasta ad affondare sotto il peso del suo senso di colpa. Aveva sbagliato
tutto.
Ma
non era colpa sua. Non viveva in un mondo perfetto, e le cose sbagliate
succedono. Succedono in continuazione. Succedono e basta.
Rabbia.
Tristezza.
No,
non tristezza, amarezza.
Di
nuovo quel sapore salato sulle labbra, ma questa volta nessun bacio sarebbe
arrivato a raddolcirgliele. Questa volta, l’avrebbe assorbito fino all’ultima
goccia.
Ma
era reale, come la rabbia e l’amarezza, e questo le bastava. Se lo sarebbe fatto
bastare.
Arrancare, aggrappandosi a brandelli di realtà.