Come miriadi di stelle cadenti, scendevano giù dal cielo piccoli fiocchi di neve. Il momento magico era all’apice dello splendore. L’immenso aveva acquistato una forma leggiadra.
Ero come in estasi. Avrei voluto non staccarmi da quell’abbraccio gentile.
Mi faceva sentire protetta. Amata.
Il mio viso sfiorava il suo petto percependone quei battiti che rimbalzavano a ritmo insensato.
Se non fosse stato per quel tocco credo che avrei azzardato a definire il susseguirsi di quegli eventi un qualcosa di surreale.
Continuavo, infatti, ad essere riluttante all’idea di accettare senza capire. Eppure era l’unica cosa che rimaneva da fare oramai.
L’unica cosa che in realtà il mio cuore voleva fare.
Credevo che sarei uscita tardi dalla delicata trappola, ma, evidentemente, mi sbagliavo di grosso.
La bocca non mi diede nemmeno il tempo di riflettere che osò uno:
-Scusa se ti pongo una simile domanda. Ma tu, chi sei?
Dovevo essere impazzita per chiedere una simile atrocità.
Avevo, io, intenzione di negare fino alla morte?
Non sarebbe stato rinnegando che sarei giunta al gradino più alto. Lo sapevo perfettamente.
Come raggelato a causa di un improvviso shock lui si liberò. Liberò me dalla sua costrizione.
-Dobbiamo andare. Disse.
Non riuscivo a comprendere una simile affermazione così come non riuscivo a capacitarmi che si trattasse di una sua risposta al mio inutile ed insignificante interrogativo.
Avevo solamente bisogno di una conferma alle mie teorie, d’altronde. O meglio, avevo bisogno che lui si presentasse come solo un estraneo avrebbe fatto.
Il mio barlume di luce protetto da ricordi lontani non poteva spegnersi per nulla al mondo, così.
Volevo mantenere, ancora per un po’, vive quelle memorie felici.
Difatti conoscevo bene il traguardo che mi si proponeva di raggiungere.
Per tale ragione continuavo a sperare, a sperare di non star contrattando con il concreto.A sperare di essermi magari addormentata in macchina.
Eppure,per quanto si sarebbe potuto protrarre il sogno? Era una tesi piena di falle.
In quel lasso di tempo, utilizzato per ricoprirmi, per lo più, d’ insulsi pensieri nessuno dei due scelse di pronunciarsi.
Vedendo la mia totale assenza di reazione lui soltanto, arrivò con la sua mano alla mia mano e stringendola dolcemente, guidò il mio corpo debole, come si fa con i burattini, in direzione della casa dei Dupont. Della sua casa.
I miei neuroni non erano di certo in funzione in quell'istante perché ricordo un sussurro.
Un ‘’dove mi stai portando’’.
Rimase, eppure, un brusio. Aveva scelto il silenzio al concedermi attenzioni, lui.
La vita stava, ufficialmente, mettendomi in difficoltà per la seconda volta.
Ero come in estasi. Avrei voluto non staccarmi da quell’abbraccio gentile.
Mi faceva sentire protetta. Amata.
Il mio viso sfiorava il suo petto percependone quei battiti che rimbalzavano a ritmo insensato.
Se non fosse stato per quel tocco credo che avrei azzardato a definire il susseguirsi di quegli eventi un qualcosa di surreale.
Continuavo, infatti, ad essere riluttante all’idea di accettare senza capire. Eppure era l’unica cosa che rimaneva da fare oramai.
L’unica cosa che in realtà il mio cuore voleva fare.
Credevo che sarei uscita tardi dalla delicata trappola, ma, evidentemente, mi sbagliavo di grosso.
La bocca non mi diede nemmeno il tempo di riflettere che osò uno:
-Scusa se ti pongo una simile domanda. Ma tu, chi sei?
Dovevo essere impazzita per chiedere una simile atrocità.
Avevo, io, intenzione di negare fino alla morte?
Non sarebbe stato rinnegando che sarei giunta al gradino più alto. Lo sapevo perfettamente.
Come raggelato a causa di un improvviso shock lui si liberò. Liberò me dalla sua costrizione.
-Dobbiamo andare. Disse.
Non riuscivo a comprendere una simile affermazione così come non riuscivo a capacitarmi che si trattasse di una sua risposta al mio inutile ed insignificante interrogativo.
Avevo solamente bisogno di una conferma alle mie teorie, d’altronde. O meglio, avevo bisogno che lui si presentasse come solo un estraneo avrebbe fatto.
Il mio barlume di luce protetto da ricordi lontani non poteva spegnersi per nulla al mondo, così.
Volevo mantenere, ancora per un po’, vive quelle memorie felici.
Difatti conoscevo bene il traguardo che mi si proponeva di raggiungere.
Per tale ragione continuavo a sperare, a sperare di non star contrattando con il concreto.A sperare di essermi magari addormentata in macchina.
Eppure,per quanto si sarebbe potuto protrarre il sogno? Era una tesi piena di falle.
In quel lasso di tempo, utilizzato per ricoprirmi, per lo più, d’ insulsi pensieri nessuno dei due scelse di pronunciarsi.
Vedendo la mia totale assenza di reazione lui soltanto, arrivò con la sua mano alla mia mano e stringendola dolcemente, guidò il mio corpo debole, come si fa con i burattini, in direzione della casa dei Dupont. Della sua casa.
I miei neuroni non erano di certo in funzione in quell'istante perché ricordo un sussurro.
Un ‘’dove mi stai portando’’.
Rimase, eppure, un brusio. Aveva scelto il silenzio al concedermi attenzioni, lui.
La vita stava, ufficialmente, mettendomi in difficoltà per la seconda volta.