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Autore: Sophie Hatter    14/02/2012    4 recensioni
1978-1981: i Malandrini e Lily Evans si uniscono all'Ordine della Fenice. Le conseguenze sono tante: alcuni si sposano, altri si ritrovano invischiati in tresche segrete; alcuni si scontrano con Voldemort in persona, altri passano dalla sua parte; alcuni diventano spie di Silente, altri muoiono troppo presto. Come andrà a finire, già lo si sa.
1993: Remus Lupin, quando si era ormai rassegnato alla realtà dei fatti, si ritrova a fronteggiare strane perdite di memoria. Il metodo migliore per indagare su queste anomalie sembra essere quello di tornare a Hogwarts, accettando l'incarico offertogli da Albus Silente...
*
0) Prologo
1) Iniziazione
2) Questioni irrisolte
3) La prima battaglia
4) Il matrimonio
5) E' così facile capirlo
6) La spada di Grifondoro
7) Amicizia
8) Andare fino in fondo
9) La tomba di Regulus
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
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Capitolo 8 – Andare fino in fondo




Ma un vigliacco, perfino un vigliacco, può morire da coraggioso, compiendo un solo gesto.
(Frank Herbert, Dune)





Gennaio 1979


“È inutile che continui a guardarmi in quel modo, non ho nessuna intenzione di raccontarti cos’è successo.”

Regulus contrasse il volto pallido in una smorfia di dolore mentre appoggiava inavvertitamente parte del peso sulla gamba rotta. Ricambiò con aria imbronciata l’espressione dura e irremovibile di Erin, che evidentemente non aveva intenzione di desistere.
Era sempre stata incredibilmente testarda, per sua sfortuna. Ma aveva iniziato a rivelarsi tale soltanto quando l’aveva lasciato perché lui era entrato a far parte dei Mangiamorte.
“In tal caso, puoi scordarti qualsiasi aiuto da parte mia,” replicò lei, duramente. “Non ti darò una pozione per sistemarti le ossa, sarai costretto ad andare in giro così e finirai per diventare zoppo. E non potrai nemmeno servire il tuo Signore, date le condizioni in cui ti sei ridotto. Perciò, decisamente non ti conviene.”
Regulus sospirò, stizzito. Era incredibile l’ostinazione di quella ragazza. Lui era un Black e lei avrebbe dovuto obbedire senza fiatare a qualsiasi accenno di ordine che fosse uscito dalle sue labbra. Ma non l’aveva mai fatto, neppure quando, fin dall’inizio, le aveva intimato di non impicciarsi degli affari suoi e di restare fuori dalla sua vita.
L’unico motivo per cui anche lei non aveva mai reso pubblica la loro relazione era che non poteva farsi vedere in giro con un simpatizzante di Voldemort. Perché la zia che l’aveva presa in carico dopo l’aspro divorzio dei genitori era, come Regulus aveva scoperto poi, nientemeno che un membro dell’Ordine della Fenice.
Aveva scelto di farsi portare a casa sua perché sapeva che la donna non sarebbe stata presente, probabilmente impegnata nello stesso scontro in cui lui era rimasto ferito, non certo perché morisse dalla voglia di rivedere Erin. L’ultima volta era stato prima che lei tornasse a Hogwarts per il settimo anno, esattamente quando l’aveva piantato. Un ricordo poco piacevole, dunque.
“Che vogliamo fare, quindi? Rimanere qui a fissarci in silenzio?” sbottò lei, passandosi nervosamente una mano fra i capelli mossi e scuri. Regulus si sentì cogliere da un attimo di debolezza, ricordandosi improvvisamente di quando quelle dita scorrevano delicatamente sulla sua nuca. Non una vera e propria carezza, perché lui non tollerava i gesti d’affetto. Tuttavia, era il contatto fisico più significativo che riuscisse a ricordare.
“Per qualche secondo ho pensato che avresti potuto mettere da parte il rancore e darmi semplicemente una mano. Evidentemente mi sbagliavo,” rispose infine, abbassando lo sguardo in maniera studiata. Sperava segretamente di impietosirla, di indurla a non insistere facendo leva sulla sua sensibilità più intima. Ma Erin, ormai, lo conosceva fin troppo bene.
“Se non avessi voluto aiutarti, ti avrei cacciato quando ancora ti trovavi fuori dal cancello di casa mia,” gli rispose, fissandolo diritto negli occhi con tutta la disapprovazione possibile.
Regulus si accorse che non sapeva più come rabbonirla: fin dal momento in cui aveva detto il suo sì definitivo a Voldemort, era stato consapevole che Erin non l’avrebbe mai accettato. Aveva segnato la fine degli incontri clandestini nei corridoi immersi nel buio, dei momenti rubati in qualche aula vuota dei sotterranei, dell’apparente indifferenza mentre stavano seduti allo stesso tavolo della biblioteca. Sul momento, Regulus non vi aveva dato molto peso. Era convinto che sarebbe riuscito a gestire la situazione, in qualche modo, e che Erin tenesse troppo a lui per non mettere da parte il dettaglio di quel nuovo marchio impresso sul suo avambraccio. Tuttavia, lei gli aveva dimostrato di pensarla diversamente; la sua autorevolezza in quanto rampollo di una nobile casata non aveva mai sortito alcun effetto su di lei, Mezzosangue cresciuta fra Babbani fino al momento in cui era stata chiamata a Hogwarts.
Erin continuava a fissarlo con quello sguardo di ghiaccio e Regulus stava iniziando a non poterne più: gli occhi di lei erano sempre stati troppo espressivi. Riusciva sempre a capire immediatamente quando era arrabbiata, ferita o contrariata semplicemente guardandola; spesso aveva pensato che fosse piacevole poter avere un rapporto così diretto con qualcuno, abituato com’era a relazioni familiari fredde e composte, basate su formalità e cerimoniali che solo un Purosangue poteva comprendere. Ma in quel momento si rendeva conto che non avrebbe voluto vedere il suo disprezzo: si era fatto portare da lei perché sperava in un aiuto, non in un’accoglienza così ostile.
“Non muoverò un dito finché non mi spiegherai il perché,” disse infine lei, voltandosi verso la finestra con le braccia dietro la schiena. Regulus stava per protestare nuovamente, quando la porta di casa si aprì ed entrambi rimasero immobili, a fissare con sguardo pietrificato la persona appena comparsa sulla soglia.
“Hai ospiti?” domandò la donna, chiudendosi con studiata lentezza l’uscio alle spalle.
Erin fissò Regulus per un breve istante, totalmente incerta su cosa rispondere.
“Una visita inaspettata, posso spiegarti... è appena arrivato, non ho avuto il tempo di... lasciami sistemare un attimo.”
Con qualche rapido colpo di bacchetta, Erin fece accomodare Regulus su una poltrona, posizionò un poggiapiedi sotto la sua gamba rotta e gli fece comparire a fianco persino un bicchiere d’acqua. Il giovane Black borbottò fra sé con stizza, domandandosi se fosse stato davvero necessario aspettare fino a quel momento anziché fare tutte quelle storie.
“Erin, vorrei sapere cosa sta succedendo,” disse la donna, in tono controllato ma fermo. L’attimo dopo, la bacchetta di Regulus volò nella sua mano destra. “Perché hai fatto entrare uno di loro in casa mia?”
La ragazza sospirò, coprendosi il volto con una mano. Dopodiché si fece coraggio e tornò a guardare la donna.
“È un mio compagno di scuola – un mio ex compagno di scuola – a dire il vero è il mio ex ragazzo, anche se non gli piace che io lo dica in giro. Non mi farà del male, non ne farà nemmeno a te. Si è ferito e si è fatto portare qui, ma quello che l’ha lasciato qui davanti non era dei suoi.”
“Direi che è più che altro dei vostri,” s’intromise Regulus, con un’alzata di spalle. “Mi sono ferito cadendo in un burrone, durante la battaglia, quello si è impietosito e mi ha salvato la vita. Toglierò il disturbo al più presto, gliel’assicuro.”
La situazione aveva decisamente del paradossale. Un membro dell’Ordine della Fenice non si trovava certo tutti i giorni un giovane Mangiamorte in casa, che fosse contemporaneamente anche amico di sua nipote.
La donna continuava a fissarlo, con sguardo indecifrabile. Non assomigliava ad Erin – se ben ricordava, era semplicemente la sorellastra della madre; sua nonna si era risposata dopo la Grande Guerra di Grindelwald e aveva avuto un’altra figlia, o così gli sembrava di rammentare. Aveva una strana luce negli occhi, quasi un fuoco, e un portamento altero, misurato, tipico di chi discende da una famiglia aristocratica. Tuttavia, Regulus non aveva ancora capito se stava meditando di ucciderlo.
“Sono Dorcas Meadowes,” si presentò, accomodandosi nella poltrona di fronte a lui. “Tu chi saresti?”
“Regulus Black,” rispose il ragazzo, rassegnato. Ormai non poteva farci nulla: avrebbe dovuto restare sul campo di battaglia anziché farsi portare fin lì, almeno sarebbe morto, ma con l’onore di essersi battuto.
“C’era da aspettarselo, eh? Certo, lo sanno tutti da che parte stanno i Black. Tutti tranne Sirius. Una gran testa calda, il ragazzo, ma molto più coraggioso di dieci di voi Mangiamorte messi insieme.”
Regulus digrignò i denti, offeso.
“Lei non ci conosce, non ha il diritto di dire nulla su nessuno di noi.”
“Questo è quello che credi tu,” rispose la donna, in tono beffardo.
“Che vuol dire?” domandò Regulus, incerto.
“È una storia lunga. Ma dimmi, Regulus... cos’hai intenzione di fare, adesso che sei capitato qui? Approfittare della mia ospitalità e del fatto che oggi non ho voglia di uccidere, per poi tornare dal tuo padrone?”
Il ragazzo strinse i pugni, impotente. Le parole della donna lo colpivano come violente sferzate. Sapeva che aveva ragione, ma cos’altro avrebbe potuto fare?
“Lei sa che non ho altra scelta.”
“Non è vero. Una scelta ce l’hai, come tutti.”
“Chi non è con lui è contro di lui.”
“Non ti sembra di essere troppo grande per giocare ancora a fare tutto il contrario di quello che fa Sirius?”
Regulus esplose in una risata sarcastica; non era certo quella la risposta che si aspettava.
“Lo conosce, vero?”
“Sì, abbastanza bene.”
“Allora non dovrebbe faticare molto per capire perché non andiamo d’accordo.”
“Può darsi, ma non è una giustificazione valida per scegliere di stare dalla parte sbagliata.”
“Io non...”
“Non pensavi che sarebbe stato così, vero? Che ti avrebbero gettato immediatamente nella mischia, ordinandoti di uccidere. Ma questo è il minimo: anche noi uccidiamo in battaglia, è una lotta per la sopravvivenza. Però, se non sei stato capace di uccidere un tuo nemico, l’uomo che ha avuto pietà di te e ti ha portato fin qui, cosa farai quando ti chiederanno di torturare e ammazzare degli innocenti?”
Regulus deglutì a vuoto, interdetto. Era proprio durante la battaglia di poche ore prima che aveva realizzato la stessa, identica conclusione. Nei mesi precedenti, durante il suo primo periodo da Mangiamorte, non ci aveva mai pensato; i compiti che gli avevano affidato all’inizio erano di poco conto, come lanciare in aria il Marchio Nero per spaventare i villaggi, rubare o spiare, ma la guerra era tutt’altra cosa, una realtà con cui in precedenza non era mai venuto in contatto. Nessuno gli aveva mai chiesto di uccidere, perciò, da sciocco, aveva creduto che quel compito non gli sarebbe mai stato affidato.
Si sentì prendere dal panico. Tutto ciò che poteva fare era rispondere nel modo in cui i suoi genitori gli avevano insegnato: loro sicuramente conoscevano le giuste ragioni.
“Se coloro che sopravvivono appartengono alla razza più pura, non può che esservi un nobile fine dietro...”
Dorcas Meadowes rispose con una risata velenosa.
“Voldemort non si è fatto alcuno scrupolo nel far assassinare anche maghi Purosangue che si sono rifiutati di unirsi a lui. Ma questo, purtroppo, non è l’aspetto più importante della questione.”
“E quale sarebbe?”
“Ragazzo, il reale scopo di Voldemort non è quello di purificare la razza magica. Quello è più che altro un buon biglietto da visita, un modo per raccogliere adepti. In realtà, però, ciò che Voldemort vuole davvero è qualcosa che ha intenzione di tenere soltanto per sé, qualcosa per cui sta sfruttando tutti voi sciocchi che gli siete corsi dietro.”
Regulus osservò la donna, sbigottito. Cominciò a domandarsi chi diavolo fosse e come potesse essere certa di tutte quelle sentenze che andava declamando: sembrava conoscere l’Oscuro Signore molto meglio di quanto non lo conoscesse lui, che pure portava il suo Marchio sull’avambraccio. Appariva molto sicura di ciò che diceva, e a nulla gli servì continuare a ripetersi che, probabilmente, si trattava soltanto di un bluff; la curiosità per quelle parole così assurde era ormai troppa.
“E di che si tratta?” domandò.
“Non ho intenzione di dire nulla di fronte a mia nipote.”
Regulus si volse verso Erin, che era rimasta ad assistere in silenzio all’intera conversazione. Con un’occhiata dura, le fece un cenno eloquente verso la porta.
“Va’ fuori.”
“Tu non mi dai ordini!” sbottò lei, irata.
“Ti ricordo che a scuola io ero il prefetto e tu l’alunna semplice, perciò non ci sono dubbi su chi comanda fra noi due. Esci.”
Erin si voltò verso Dorcas Meadowes, cercando sostegno.
“Zia, non se ne parla assolutamente!”
“Fa’ come ti dice,” rispose però lei, lasciandola completamente sbigottita.
“Ma perché non posso ascoltare?!”
“È una faccenda troppo delicata e soprattutto troppo mostruosa per essere udita da chi non è stato contaminato dal male di Voldemort. Per favore, dimostrati matura come al solito.”
Erin si diresse verso la porta con aria furente e lasciò la stanza, senza aggiungere altro, anche se Regulus sapeva benissimo che dentro di sé lo stava maledicendo in ogni lingua possibile.
“Molto bene,” disse quindi Dorcas, tornando a guardare il ragazzo. “Ti mostrerò qualcosa che nessun altro sa, dato che lo desideri. Ma tieni presente che questo cambierà tutto. Non potrai più fare a meno di assumerti le tue responsabilità.”
“Questo sarò io a deciderlo, se permetti,” ribatté Regulus, piccato. Non capiva più nulla di ciò che quella donna intendeva dirgli; nella sua testa albergava soltanto la confusione più nera.
“Voldemort non desidera che i suoi Mangiamorte siano persone coraggiose, dico bene?”
Il ragazzo si sentì avvampare di vergogna e un moto di rabbia affiorò nello sguardo nobilmente offeso che rivolse a Dorcas.
“È una falsità, servire qualcuno fino alla morte è molto più che semplice coraggio.”
“Quale senso avrebbe la tua morte se fosse per una causa sbagliata, per qualcosa in cui neanche tu credi, o peggio ancora... per qualcosa che interessa soltanto il tuo padrone?”
“Non ci sono prove di tutto questo,” replicò il ragazzo, con aria di sfida. Dorcas incurvò le labbra in un sorriso storto, ermetico; gli volse le spalle, aprì un’anta della credenza che le stava di fronte per tirarne fuori un oggetto che Regulus non riuscì a vedere, poi estrasse la bacchetta e se la puntò alla tempia.
Il ragazzo intuì in fretta dove voleva arrivare e a quel punto avvertì una scossa che lo fece vacillare, destabilizzare, quasi perdere l’equilibrio.
Dorcas si volse di nuovo verso di lui. Il suo sguardo era spiritato, quasi folle.
“È giusto che tu veda, perciò ora non opporre resistenza. Ci vorrà solo qualche minuto,” gli disse, prima di afferrarlo per il polso e trascinarlo verso il Pensatoio, per poi tuffarvisi dentro insieme a lui senza aggiungere altro.
Regulus non ebbe il tempo di protestare.

*

“C’è qualcosa che non mi convince in te, Black,” mormorò Severus Piton all’orecchio di Regulus, in un tono di voce quasi impercettibile. Le loro conversazioni avvenivano quasi sempre in quella maniera: nel bel mezzo di una riunione dei Mangiamorte, i due sedevano sempre l’uno a fianco all’altro, uniti da un silenzioso legame che nessuno dei due avrebbe saputo ben definire.
“Non so come aiutarti, Severus. Sono qui solamente per fare rapporto sull’accaduto, nient’altro,” replicò Regulus, stringendosi nelle spalle, senza fissare negli occhi il suo interlocutore. Sapeva che Piton era un abile Occlumante e in quei frangenti non era assolutamente il caso di cadere in balia di una delle sue ispezioni. Sforzarsi di tener chiusa la mente senza dare nell’occhio era estremamente difficile, ma era stato proprio l’uomo seduto a fianco a lui ad insegnarglielo, prima dell’ingresso alla corte di Voldemort.
“Voglio solo augurarmi che tu non ci faccia passare dei guai,” gli intimò Severus, muovendo appena le labbra. Regulus finse di ignorarlo, rivolgendo un cenno di saluto a Narcissa e Bellatrix, che avevano appena fatto il loro ingresso nella sala. Notò che le due cugine stavano venendo nella loro direzione, perciò decise di tagliar corto con Piton e si voltò verso di lui.
“Ascoltami, Principe, non c’è nulla che non va. Sono sopravvissuto, sto bene, potresti almeno mostrare un po’ di gioia per questo.”
Gli occhi neri di Severus trafissero Regulus da parte a parte, forse nel tentativo di farlo vacillare, ma lui non distolse lo sguardo. Era stato addestrato talmente bene da sapere come ingannare il suo maestro.
“Cerca di fare attenzione a quello che dici,” rispose infine l’altro, ermeticamente. Regulus annuì in fretta, dopodiché accolse Bellatrix e Narcissa con un educato ed appena accennato sorriso.
“Vogliamo sapere chi è stato, cugino. Non si compie un affronto simile nei confronti della famiglia Black,” gli disse Bellatrix, mentre l’entusiastica follia che la contraddistingueva traboccava dai suoi occhi fissi su di lui. Probabilmente si stava già immaginando i mille, terribili modi in cui avrebbe volentieri ripagato l’offesa.
“Tra poco rivelerò tutto,” si limitò a rispondere Regulus, con cortesia. “È così che desidera l’Oscuro Signore.”
“Tu stai bene?” domandò Narcissa, corrugando solo lievemente la fronte. Mantenere il contegno era indispensabile.
“Certo, Cissy. Ho la pelle dura, non basta qualche colpo di bacchetta a farmi crollare,” rispose Regulus, gonfiando leggermente il petto. Ignorò deliberatamente il ricordo della fuga, della caduta e di tutto ciò che ne era seguito. Era stato un puro miracolo che nessuno l’avesse visto o riconosciuto.
Guardandosi intorno, si domandò quanti fra quei Mangiamorte lì riuniti avrebbero continuato a seguire Voldemort con cieca fedeltà, se solo avessero visto ciò che aveva visto lui. Gli sembrava quasi surreale che, fino a pochi giorni prima, fosse anche lui parte di quel branco di ingenui; aver cambiato modo di vedere le cose in maniera così rapida l
’aveva scombussolato non poco. Per giorni si era tormentato al pensiero di un cambiamento così sconvolgente, domandandosi se non l’avesse inizialmente accettato soltanto per foga ed inesperienza, come gli era successo quando aveva scelto di unirsi ai Mangiamorte; tuttavia, ora che si trovava lì, si sentiva perfettamente calmo e deciso, come se di colpo avesse raggiunto la consapevolezza e la maturità che gli erano mancate in passato.
Subito dopo, si sentì sfiorare il polso.
“L’Oscuro Signore è arrivato,” gli sussurrò Severus. Regulus gli gettò un’occhiata in tralice, domandandosi, come già tante altre volte in passato, che cosa passasse nella testa dell’altro. Si era sempre chiesto se la passione quasi ossessiva di Severus per l’Occlumanzia fosse imputabile soltanto alla sua sete di conoscenze e abilità magiche, piuttosto che all’estrema necessità di nascondere a tutti i suoi reali pensieri.
Paradossalmente, Severus era la persona più vicina a lui, ma anche quella che conosceva meno di tutti. Era stato il primo a degnarlo di reale considerazione all’interno della Casa di Serpeverde, ignorando deliberatamente il fatto che fosse fratello di un soggetto come Sirius – motivo per il quale, sicuramente, tutti gli altri lo tenevano ad una certa distanza. Non era loro permesso dire ad alta voce che la casata dei Black stesse andando incontro alla rovina, ma Regulus era conscio che tutti a Serpeverde lo pensassero, per via di Sirius.
Con Severus, però, le cose erano andate diversamente. Era iniziato tutto a una riunione del Lumaclub, per poi proseguire con qualche aiuto in Pozioni e, infine, la sua ufficiale introduzione nel gruppo dei futuri Mangiamorte. Regulus aveva così iniziato a frequentare assiduamente Avery, Mulciber, i Carrow, Malfoy e altra gente più grande di lui, conquistandosi le occhiate invidiose dei suoi coetanei, ma era sempre stato Severus quello che si preoccupava maggiormente di lui. Tuttavia, mai una volta si era lasciato andare nel confessargli quali fossero le sue preoccupazioni più intime; tutto ciò che Regulus sapeva di lui, l’aveva appreso per osservazione indiretta, imparando anche a capire che Severus accettava le sue confidenze, ma non ne avrebbe regalate altrettante.
Nonostante ciò, ora Regulus era costretto a tenersi a distanza anche dall’unico che avrebbe potuto definire un amico.
Nessuno doveva sospettare, altrimenti sarebbe stata la sua fine.
Svuotando completamente la mente, il giovane Black s’inchinò come gli altri all’ingresso di Voldemort. Attese pazientemente in silenzio, finché non venne chiamato.
“Avvicinati, Regulus.”
Si alzò e camminò a passi misurati e composti, fino a raggiungere il suo Signore.
“Miei cari amici, la scorsa notte è successo qualcosa di molto grave.”
Tutti rimasero in perfetto silenzio, protesi nell’ascolto di ogni parola pronunciata da Voldemort.
“Si tratta di un terribile affronto, che dovrà essere ripagato col sangue.”
Regulus vide Bellatrix sorridere, sgranando gli occhi.
“Durante la battaglia, il nostro giovane compagno è caduto prigioniero di una nemica, è stato torturato da questa persona vile e senza scrupoli e solo per caso ora è qui per raccontarvelo.”
Regulus chiuse gli occhi, solo per un istante.

“Hai ancora bisogno di restare fra loro, ti servono altre informazioni. Non ti sarà utile uscire allo scoperto ora, Voldemort si metterebbe a darti la caccia e la tua missione finirebbe molto prima di cominciare.”
“Belle parole, le tue, ma come posso fare a tornare? Sono stato portato qui da quel tuo amico, ho lasciato che mi salvaste la vita, senza contare che sono fuggito anziché combattere... se tornassi, l’Oscuro Signore mi farebbe uccidere.”
“Far parte dei Mangiamorte non ti ha insegnato proprio nulla, eh?”
“Non capisco cosa intendi, Dorcas.”
“Devi fingere, Regulus. Nessuno ha visto Remus trasportarti qui, dato che eri caduto in quel precipizio. Devi tornare da Voldemort e raccontargli che sei stato fatto prigioniero da me, che ti ho torturato e che solo per miracolo sei riuscito a scappare.”
Regulus scrutò Dorcas con espressione sorpresa, quasi ammirata. Quella donna era completamente pazza, ma non certo stupida. Faceva ancora fatica a capire come una personalità simile potesse aver avuto la storia che aveva appena visto nel Pensatoio, ma quello era, indubbiamente, il tipico modo di ragionare dei Serpeverde.
La guardò e annuì, con un sorriso storto.
“E va bene, Dorcas, allora fammi vedere che sai fare,” disse, gettando a terra la bacchetta. Lei gli gettò un’occhiata interdetta.
“Che significa?”
“Non prenderanno mai sul serio il fatto che io sia stato fatto prigioniero e torturato, se non lo rendiamo credibile. Perciò, questo è quello che faremo ora: prenderai la tua bacchetta, mi farai del male, mi ridurrai in fin di vita e poi mi farai Smaterializzare con la bacchetta di Erin in un luogo nascosto qui intorno. A quel punto chiamerò uno dei miei compagni in soccorso, ma dovrò essere solo. Non voglio che tu lo veda in faccia, né che lui veda te: questo aggiungerebbe soltanto ulteriori problemi.”
Dorcas lo fissò in silenzio, stringendo le labbra.
“Ti è chiaro il perché dovrai darmi la bacchetta di Erin, no? Dovrò fingere di essermi liberato avendogliela sottratta, se usassi la mia non sarebbe credibile. Sapranno che non avrò avuto a che fare con degli sciocchi sprovveduti, ma esattamente con te: Voldemort ti conosce bene, sa che non sei una strega da sottovalutare.”
Dorcas continuò a non pronunciare alcuna parola, limitandosi ad incrociare le braccia.
“Dopo aver fatto questo, dovrai portare Erin in un luogo sicuro e nascondercela. Dovunque tu voglia, basta che resti lì. Dovrò fare il suo nome quando racconterò cos’è successo, è inevitabile; alcuni sanno che ci conoscevamo, fare un collegamento fra me e te potrebbe risultare facile. Perciò, dovrai tenerla assolutamente fuori dai guai.”
“Sai che non sarà d’accordo, vero?”
Regulus sollevò il capo, fieramente.
“Lo so benissimo, e so che non lo sei nemmeno tu. Ma è l’unica scelta che abbiamo, se vogliamo andare fino in fondo.”
Dorcas lo scrutò a lungo. Regulus si sforzò di non vacillare nemmeno per un istante, nonostante il tumulto che lo agitava nel profondo.
“Non ti ho mostrato quei ricordi perché volevo obbligarti a seguire questa strada. Puoi sempre mollare tutto e scappare, anche con Erin, se lo desideri. Potrei darvi una mano.”
“È inutile, sono piuttosto certo che mi troverebbero. Non si abbandona Voldemort senza pagarne le conseguenze.”
Era la risposta più facile da fornire; Regulus tralasciò volutamente il fatto che, ormai, era pienamente convinto di voler proseguire lungo quella strada, senza alcun ripensamento. Non voleva tirarsi indietro, non l’avrebbe fatto per niente al mondo: per la prima volta in vita sua, si sentiva come se qualcuno gli avesse finalmente aperto gli occhi con forza bruta. Aveva aderito alla causa di Voldemort soltanto perché credeva che fosse l’unica cosa giusta che gli restava da fare per guadagnarsi appieno l’onore di essere un Black, di essere amato e ammirato dalla sua famiglia come lo era stato Sirius prima di passare dall’altra parte, di essere guardato con orgoglio da suo padre che, ne era certo, aveva sempre dubitato della sua forza di carattere, credendolo un inetto. Ma era tutto terribilmente sbagliato, un errore così grande che non capiva come avesse potuto non accorgersene: non stava combattendo per una giusta causa, ma soltanto per la sete di potere di un uomo che si era trasformato in un mostro pur di sfuggire alla morte. Nessuno avrebbe ricavato alcun beneficio nell’aiutarlo a raggiungere il suo scopo: non Bellatrix, così smaniosa d’amore e di gloria, non Lucius, disposto ad essere incredibilmente servile pur di ottenere una fetta di successo, non Severus, così accecato dalle potenzialità della Magia Oscura, e nemmeno la sua famiglia. Aveva chiaramente visto nei ricordi di Dorcas cosa interessasse realmente a Voldemort, e non era la purezza della razza magica.
“Avanti, non perdiamo altro tempo,” disse infine, con impazienza. Dorcas sospirò, rassegnata.
“E va bene. Se può consolarti, sappi che mi dispiace.”
Dopodiché il primo Schiantesimo lo scagliò contro la parete, facendogli battere violentemente la testa.

“È stata Dorcas Meadowes, un membro dell’Ordine della Fenice, a farmi prigioniero. Pensava di avermi torturato talmente tanto da avermi ridotto in fin di vita, ma quando sua nipote è scesa nella cantina della loro casa, in cui mi aveva rinchiuso, per accertarsi delle mie condizioni, sono riuscito a rubarle la bacchetta e a Smaterializzarmi. È solo grazie al Principe Mezzosangue se sono vivo.”
Piton gli restituì lo sguardo, piegando lievemente gli angoli della bocca. Regulus esibì un’espressione di sincera e quasi commossa riconoscenza, mettendo da parte l’appena percettibile senso di colpa per aver usato l’amico per la buona riuscita del suo piano. Nessuno dei presenti avrebbe potuto vedere nulla di strano in quella mossa: era più o meno risaputo che Regulus fosse il protetto del Principe.

“Sei un vero idiota, Black. Te l’avevo detto di aspettare, se non ti sentivi ancora pronto a combattere. Sei appena maggiorenne, dopotutto. Ma ovviamente non hai voluto darmi retta, cacciandoti come sempre in guai disastrosi.”
Regulus non riuscì a replicare a quell’aspra arringa rivolta contro di lui; era troppo debole per poterlo fare. Dorcas aveva eseguito il suo compito alla perfezione e, una volta terminato, il giovane Black aveva trovato a malapena la forza di Smaterializzarsi. In quel momento giaceva su una branda nel salotto di Spinner’s End, mentre Severus si muoveva velocemente tra garze, calderoni, fiale e dispense.
“Dovrai fornire delle spiegazioni per tutto questo, e non ti aspettare di essere assegnato ad altre missioni importanti per un bel po’ di tempo.”
Regulus imprecò mentalmente: Severus era davvero incapace di non accanirsi su di lui con il suo tono da insegnante intransigente, perfino in una situazione come quella, nella quale il suo interlocutore era a malapena in grado di capire dove si trovasse.
D’improvviso, si ricordò che a un certo punto aveva visto Erin entrare nella stanza. Era riuscito a scorgere la sua espressione scioccata, le lacrime che le avevano offuscato gli occhi. Per Dorcas era stato difficile trattenerla ed impedire così che mandasse tutto all’aria.
Sorrise in silenzio, guardando fuori dalla finestra. Allora le importava veramente di lui.

“Noi giuriamo vendetta a quella donna. Il suo sangue verrà versato per ripagare ciò che ha fatto al nostro compagno.”
I Mangiamorte annuirono e applaudirono con entusiasmo alle parole di Lord Voldemort. Regulus si voltò, per capire se poteva tornare al suo posto; l’Oscuro Signore, però, si chinò verso di lui per sussurrargli qualcosa.
“Più tardi parleremo in privato. Raggiungimi quando avremo finito.”
“Sì, mio Signore.”
Mentre tornava al suo posto, per un attimo, Regulus pensò che sarebbe stato inevitabile cedere e farsi prendere dal panico. Era probabile che Voldemort avesse compreso che il suo era solamente un trucco e volesse smascherarlo una volta soli, per poi ucciderlo senza pensarci su una seconda volta; per quale altra ragione avrebbe dovuto desiderare di discutere con lui faccia a faccia? Lui non era uno di quelli importanti, lì dentro. Non era Bellatrix, non era Barty, e neppure Severus.
La sua fine era praticamente segnata.
Si sforzò di concentrarsi su Erin e sulle lacrime che aveva versato nel vederlo a terra ferito e in quel modo, incredibilmente, la paura svanì di colpo.

*

“Kreacher, ascolta bene quello che sto per dirti,” mormorò Regulus, dando le spalle all’elfo domestico, lo sguardo rivolto allo specchio di fronte a lui. Studiò con attenzione il suo volto pallido e impassibile, i suoi occhi grigi privi di qualsiasi ombra di timore, le labbra tirate in una smorfia decisa; dopodiché, fissò il riflesso dell’elfo.
“Cosa desiderate, padrone?”
“Ti ordino di tornare indietro, qualsiasi cosa accada. Se le cose si mettono male, se ti trovi in qualche pericolo, la prima cosa che dovrai fare sarà tornare qui. Mi hai capito bene?”
“Sì, padrone, perfettamente,” rispose Kreacher, con un lieve inchino. Regulus si voltò, chiudendosi il mantello sulle spalle.
“D’accordo. Ora puoi andare. E ricordati di dire all’Oscuro Signore che per te è un onore servirlo,” concluse, poi osservò l’elfo Smaterializzarsi sotto i suoi occhi.
Ripensò al momento in cui aveva creduto fosse giunta la sua ora, quando il Signore Oscuro gli aveva ordinato di recarsi da lui per parlare in privato: in realtà, si era trattato della coincidenza più fortunata in cui Regulus potesse sperare.
Voldemort aveva richiesto di fare uso del suo elfo domestico per una piccola missione, una cosa di poco conto, senza entrare in maggiori dettagli. Come Severus gli disse più tardi, desiderava semplicemente qualcosa in cambio da lui, dopo che gli aveva fatto fare la figura dello sciocco cadendo prigioniero di quella donna. Il giovane Black non aveva potuto sottrarsi, perciò si era ritrovato ad assentire rispettosamente e a garantire che per Kreacher sarebbe stato un piacere essere a disposizione per l’Oscuro Signore; tuttavia, dentro di sé, non avvertiva buoni presentimenti. Tutto ciò che poteva fare era ordinare a Kreacher di ritornare, conscio del fatto che non avrebbe potuto evitare di obbedirgli. Il padrone era lui, lui soltanto.
Si avvicinò alla porta di camera sua, gettando un’occhiata furtiva all’esterno, in corridoio. Nessun rumore. Suo padre era in giro, a caccia di qualche cimelio all’asta, tutto preso dalla nuova smania di rendere la casa maggiormente sfarzosa; sua madre, probabilmente, stava riposando in compagnia di un bicchiere di Idromele. Poteva stare tranquillo, almeno per il momento.
Con un incantesimo serrò la porta, poi fece apparire tutto ciò che gli serviva per continuare con le ricerche. Aveva trovato un paio di libri nella biblioteca privata di suo padre, ma per sottrarli e sostituirli con una copia Trasfigurata ci era voluto del tempo; nessuno doveva accorgersi di ciò che stava facendo, nessun dettaglio fuori posto doveva essere notato. Era perfettamente consapevole dei guai in cui si stava cacciando, giorno dopo giorno stava giungendo perfino ad accettare l’idea che per questo sarebbe morto, ma non voleva che nessuno ci andasse di mezzo, né i suoi genitori né Kreacher. Non uno di loro avrebbe dovuto sospettare che aveva in mente di tradire Voldemort.
Dorcas gli aveva spiegato che non era riuscita a scoprire molto sugli Horcrux, perché i libri di testo tendevano a parlarne il meno possibile. Quello che Regulus aveva letto a riguardo fino a quel momento era, più o meno, equivalente a ciò che gli aveva spiegato lei. Le informazioni che avevano in mano erano quindi molto scarse – Dorcas non aveva nemmeno le prove che Voldemort avesse davvero creato un Horcrux, anche se lo dava praticamente per scontato – ma Regulus si sentiva fiducioso del fatto che, prima o poi, avrebbe finito per scoprire qualcosa. Faceva ancora parte della schiera dei Mangiamorte, doveva soltanto stare molto attento a raccogliere i giusti indizi e a scovare le informazioni che gli servivano.
Tuttavia, quando quella sera Kreacher ritornò al numero dodici di Grimmauld Place, il giovane Black si rese conto con sgomento che senza volerlo aveva raggiunto il bersaglio.

*

“Lei non ha mai detto niente nemmeno a me. Questo non è giusto, io sono sua nipote, vivo con lei... ho il diritto di conoscere la verità.”
“Solo perché sei una Corvonero sapientona?”
“Vai al diavolo, Regulus!”
“Senti, Erin, non ti puoi arrabbiare perché le persone hanno dei segreti. Tutto quello che posso dirti è che tua zia, come sai, era compagna di Casa di Voldemort. Era una delle poche persone che non lo amavano, perché lui era un ammiratore di Grindelwald ma lei al contrario lo detestava, dato che aveva fatto imprigionare e uccidere qualcuno della sua famiglia. Credo lo avesse fatto perché il ramo di suo padre non era composto da Purosangue, ma non sono riuscito a leggere fino in fondo il ritaglio di giornale nel ricordo che ho visto.”
“Sì, è andata così. Mio nonno Jacob, per sopravvivere durante quegli anni di razzismo, si finse un mago di nobile lignaggio. Aveva rubato qualche stemma, modificato qualche memoria e si era costruito un albero genealogico, così i genitori della nonna, che invece erano dei nobili Purosangue, ci cascarono e gliela diedero in moglie. Grindelwald però lo conosceva, era delle sue parti, sapeva che era un impostore. Lo cercò e lo imprigionò a Nurmengard, dove morì. Zia Dorcas all’epoca era a Hogwarts.”
“Ecco, sai già tutto. Insomma, tua zia con il tempo ha maturato sempre di più il proposito di far guerra a Voldemort, perché sosteneva gli stessi ideali di Grindelwald ed evidentemente non le piaceva l’idea che qualcun altro potesse fare la fine di suo padre... fai due più due, Erin. Sono stati compagni di Casa. Lei ha avuto la possibilità di sapere molto, moltissimo sul suo conto.”

Quel cruciale ricordo di Dorcas riaffiorò improvvisamente alla memoria di Regulus, senza che lui potesse fare in tempo a fermarlo: rivide la giovane Dorcas Meadowes seduta compostamente a una delle riunioni del club di Lumacorno, poco più in là stava Tom Riddle, che discuteva affabilmente con il professore. Tutti ridevano alle sue battute e Dorcas stava al gioco; era ancora troppo presto per uscire allo scoperto. Quando l’incontro si era concluso, Dorcas si era accorta che Riddle era rimasto indietro. Uscendo dalla stanza aveva rallentato, cercando di non dare nell’occhio, e per qualche secondo era rimasta ferma dietro la porta dell’ufficio dell’insegnante, trattenendo il respiro.
“Signore, volevo chiederle una cosa.”
“Chiedi, ragazzo mio, chiedi...”
“Signore, mi chiedevo che cosa sa degli... degli Horcrux.”
Mentre Lumacorno borbottava qualcosa, Dorcas vide che una sua compagna si voltava a cercarla con lo sguardo per vedere come mai non fosse più a fianco a lei, perciò si allontanò in fretta dalla porta.

Erin sospirò, coprendosi gli occhi.
“Ancora mi domando come ci sia finita, a Serpeverde.”
Regulus credeva di sapere il perché; la ragazza da giovane era stata cresciuta con modi aristocratici tipici di una famiglia Purosangue, ma soprattutto in lei era forte l’ambizione di vendicare la sua famiglia. Tuttavia, il tono di Erin lo infastidì.
“Oh, certo, conosci solo feccia uscita da lì, vero? Chissà che abominio sarebbe frequentare uno di quelli.”
La ragazza lo squadrò duramente, incollerita. Regulus si rese immediatamente conto del perché: era la prima volta che accennava anche solo vagamente alla loro relazione mentre, quando erano ancora a Hogwarts, le aveva sempre impedito di parlarne con chiunque, perfino tra loro. Era come se non esistesse nulla che li unisse, come se i loro incontri clandestini non fossero mai avvenuti. Erin aveva sempre chinato la testa e obbedito, facendo finta che non le importasse più di tanto, ma Regulus sapeva che non era così.
“Stammi bene a sentire. Io voglio darle una mano, ma non posso farlo se la gente comincia a ficcare il naso. Sì, compresa te.”
Ferirla e allontanarla era l’unico modo per tenerla al sicuro. Regulus non poteva fare altro, anche se quella poteva essere l’ultima volta che riuscivano a vedersi.
“Un giorno potrò spiegarti meglio, se giudicherò che tu sia in grado di comprendere.”
“Sei un idiota, lo sei sempre stato. Tu e la tua mania di tenere segreta ogni cosa... non ti capisco, ma purtroppo non ho del Veritaserum a disposizione, quindi immagino di non avere altra scelta.”
Si guardarono a lungo negli occhi. Lei aveva un’aria cupa, imbronciata. Regulus frenò immediatamente la compassione, evitando di farsi pervadere dai sensi di colpa per le bugie e le costrizioni a cui l’aveva sottomessa fin dall’inizio del loro rapporto; per come stavano le cose in quel momento, era l’unico modo per far sì che Erin non finisse nei guai.
“Devo andare.”
Si alzò, senza lasciarle il tempo di replicare. Le diede un bacio veloce, al quale lei reagì con un misto di sorpresa ed inerzia. Forse non lo desiderava più, il che poteva essere soltanto un bene per lei; avrebbe sofferto di meno la sua mancanza.
Prima di scomparire le lanciò un’ultima, silenziosa occhiata di cui lei non si accorse mai.

*

Nessuno avrebbe mai scommesso sul fatto che Kreacher sapesse piangere, esattamente come era in grado di fare un qualsiasi essere umano. Eppure erano lacrime copiose e calde quelle che scivolavano sul suo muso raggrinzito mentre osservava Regulus morire dentro quella maledetta caverna, erano gemiti di frustrante dolore quelli che si udivano a tarda notte tra le mura del numero dodici di Grimmauld Place, dopo che l’angoscia aveva finalmente concesso a Walburga di prendere sonno, erano spasmi di pianto quelli che scuotevano il piccolo e sgraziato corpo dell’elfo mentre spolverava in silenzio una stanza destinata a rimanere vuota per sempre. Aveva giurato al suo padrone di non dire nulla riguardo a ciò che gli era successo e che aveva visto, e la sua parola fu mantenuta; nessuno seppe mai cosa gli accadde. Dopo un mese dalla scomparsa saltò fuori una lettera indirizzata ai genitori,  che risultò essere stata scritta proprio dal secondogenito Black, in cui egli informava che, se non fosse più tornato a casa, significava che era morto per mano di Voldemort, o di qualcuno a lui vicino, perché non si era dimostrato all’altezza dei compiti affidatigli. La mattina in cui la scrisse, in realtà, Regulus sapeva benissimo che non sarebbe sopravvissuto; tuttavia era essenziale tenere nascosto il furto dell’Horcrux, perciò accettò con tranquillità di lasciar credere che fosse morto perché aveva avuto paura ed era fuggito. Con una smorfia amara pensò che Sirius, quantomeno, ci avrebbe creduto di sicuro.
Non gli sarebbe dispiaciuto rivedere il fratello prima di sparire in quelle acque nere, soltanto per dirgli che finalmente stavano dalla stessa parte. Ma accettò con rapida rassegnazione che anche quello non era possibile.
A Erin inviò via gufo un biglietto anonimo, in cui diceva semplicemente di amarla; non pensava che ci fosse bisogno di aggiungere altro.

 





Let her treat you like a criminal,
So you can treat her like a priest.
Never tell the one you love that you do,
Save it for the deathbed.
And do everything she’d never do.

(The National, Cardinal Song)





Nota di fine capitolo: innanzitutto, se ancora qualcuno dei miei vecchi lettori capiterà da queste parti, porgo le mie scuse per l’enorme ritardo dell’aggiornamento. Trovare l’ispirazione necessaria per scrivere bene un capitolo così complesso è stato, purtroppo, molto difficile, sia per la storia che dovevo costruire sia perché ho attraversato un periodo pieno di problemi personali; purtroppo, ogni volta che provavo a lavorarci riuscivo a stendere a malapena due righe. Per fortuna qualche giorno fa devo aver preso una forte botta in testa e sono riuscita a superare questo blocco, tornando finalmente a vedere la luce. Mi dispiace immensamente di averci messo così tanto, davvero, credo di avere ben poche scusanti e mi auguro che un blocco simile non ricapiti più; per ora posso dire soltanto che il prossimo capitolo è uno di quelli che non vedo l’ora di scrivere da secoli, perciò, esami permettendo, arriverà più in fretta di questo. Avrei potuto eliminarlo? Forse, però era da tempo che desideravo scrivere la storia di Regulus e dar voce così a un personaggio che amo, perciò mi auguro che almeno un pochino ne valesse la pena. Se non sto rivolgendomi al nulla – il che sarebbe anche possibile XD – vi ringrazio infinitamente per la vostra pazienza.
In ogni caso, questo è il modo in cui ho scelto di spiegare la storia di Regulus. Ho inserito la figura di Dorcas per due motivi: uno, Dorcas viene uccisa personalmente da Voldemort (il che fa dedurre che fosse un nemico importante) ma nessuno spiega mai il perché; due, mi serviva un metodo efficace per far scoprire a Regulus degli Horcrux. Il fatto che Voldemort si fosse vantato davanti a lui, francamente, non mi sembra così credibile: Regulus non era un Mangiamorte importante e Voldemort sembrava tenerci molto a non far scoprire a nessuno che avesse creato degli Horcrux. Perciò, ho adottato questo espediente. È convincente o fa schifo? C’è qualcosa che non si capisce? Fatemelo sapere. In ogni caso, quello che mi riprometto è di ricominciare ad aggiornare una volta al mese. Spero di farcela, ce la metterò tutta.
A presto,
S.
   
 
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