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Autore: Gemini_no_Aki    20/02/2012    4 recensioni
Wesker si passò una mano sul volto sollevando leggermente gli occhiali prima di prenderli e lasciarli posati sulla scrivania. L’orologio segnava le 10 del mattino, la giornata era pressoché calda.
TIC TAC.
La mano scattò ad afferrare la pistola con uno spasmo, la puntò alla sorgente di quell’insopportabile rumore che sembrava sfondargli i timpani. Un monotono, lento e insopportabile tic tac.
BANG.

[Character Death nel finale 1]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Albert Wesker, William Birkin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Questo finale parte esattamente da quando Albert si addormenta..



Per un attimo William si spaventò quasi, tanto che la prima cosa che fece fu sentirgli il polso prima di poter tirare un sospiro di sollievo. Lo prese dalle ascelle e riuscì a metterlo sulla poltrona. Sicuramente era molto più comoda del pavimento. Poi si allontanò un attimo andando a raccogliere i fogli che prima gli erano caduti nello shock, al momento però di quegli esperimenti non gli interessava più nulla. Ritornato alla scrivania vi si appoggiò contro e accarezzò delicatamente il volto pallido di Wesker. Il respiro sembrava essere ancora molto affaticato ma non poteva fare molto per aiutarlo.
Avrebbe dovuto rimproverarlo anche se non si aspettava una disattenzione simile da parte sua. Lui che era sempre impeccabile in ogni cosa che faceva si era semplicemente dimenticato di mettere una maschera protettiva? Dio quanto gli suonava strano.
“Non dirmi che era volontaria la cosa...altrimenti potrei arrabbiarmi sul serio Al...” Sussurrò smettendo di accarezzarlo e guardandolo con occhio indagatore.  Non si sarebbe veramente arrabbiato, ok, forse se avesse scoperto che l’intenzione del compagno era proprio quella di uccidersi, in quel caso si. In ogni caso rimase fermo a guardarlo tenendo controllato anche il più piccolo movimento. Non appena si fosse svegliato aveva deciso che lo avrebbe portato a casa, anche a costo di trascinarlo, non che potesse opporre tanta resistenza in quelle condizioni.
Non sapeva dopo quanto Albert riaprì gli occhi, ancora velati e stanchi. Si guardò attorno per un attimo spaesato prima di focalizzarsi su William. Lo fissò alcuni istanti con espressione vacua prima di provare di nuovo ad alzarsi. Con un sospiro William lo spinse indietro, seduto nuovamente.
“Ti alzi quando lo dico io e sarà solo perché ti porto a casa.” Disse senza giri di parole guardandolo negli occhi. Albert fece quasi per ribattere ma il dottore gli prese il viso con le mani.
“Anzi... Ti porto a casa ora.” Lui aprì ancora bocca. “Sono troppo preoccupato per te, insomma!” Sbottò guardandolo negli occhi. Un attimo dopo fu Wesker che distolse lo sguardo.
“Sei ridotto ad uno straccio, forza. Devi riposare.” Si allontanò e andò a prendere la giacca nera per poi aiutarlo ad indossarla. Poi sostenendolo con dolcezza lo alzò e fece cadere gli occhiali da sole nella tasca del camice.
“Le chiavi della macchina, Al.” Disse prima di aprire la porta. Il collega gliele passò, ormai arreso e consapevole della sua debolezza. Camminava lentamente nel corridoio fortunatamente e stranamente vuoto, aggrappandosi di tanto in tanto al camice di William, cercando forse di ritrovare stabilità. Erano quasi fuori che incrociarono una sola persona.
“Ehi, Will... Che succede?” La voce di Annette, futura moglie di Birkin, sembrò colpire Wesker come un fulmine nonostante l’indifferenza che ostentava in quel momento.
“Lo porto a casa, non sta bene per niente e ha bisogno di riposo. Ah, nel suo ufficio c’è la mia cartella con tutti gli ultimi appunti, ci puoi pensare tu?” Le disse lui con voce preoccupata che per un attimo scaldò il cuore di Albert. Eppure quel calore sapeva che sarebbe svanito presto, con il loro matrimonio. Afferrò di colpo il bracco di William ritrovandosi sbilanciato in avanti, quasi a terra. Annette si limitò a guardarlo, non vi era mai stata una grande simpatia tra loro, tendevano più che altro ad ignorarsi a vicenda, l’unico punto in comune era William.
“Come vuoi, approfittane per riposare un po’ anche tu amore.” Lo salutò con un leggero bacio che Wesker finse di non vedere.
L’ultima persone sulla faccia della terra che voleva incontrare era li, sembrava quasi che li stesse aspettando. William sembrò non notare quel disagio e si limitò a sostenerlo ulteriormente fino ad arrivare alla macchina. Lo fece sedere dal lato del passeggero e salì.
“William...” Aveva appena inserito le chiavi e stava mettendo in moto che si voltò verso di lui.
“Qualcosa non va?” Domandò con dolcezza guardandolo. Era preoccupato davvero per lui.. O era tutta una....finta?
“Smettila di fingere. Puoi benissimo tornare al lavoro dopo che mi hai accompagnato.” Disse con tono serio nonostante la stanchezza che calava inevitabile ancora una volta.
“Non mi fido a lasciarti da solo.”
“Non sei veramente preoccupato...”
William non riusciva a capire cosa gli stesse prendendo, magari si trattava solo di deliri.
“Non dire sciocchezze, sei il mio migliore amico, ovvio che sono preoccupato.” Disse mettendo in moto. Albert sospirò, si sentiva esausto, privo di qualsiasi forza. Non seppe nemmeno lui come riuscì a dirlo prima di crollare addormentato nuovamente sul sedile.
“Però... Hai preferito lei... A me... Will.”
Il giovane scienziato quasi inchiodò in mezzo alla strada a quelle parole.
“Che diavolo stai-” Voltandosi verso di lui si accorse della testa che ciondolava leggermente sul petto, si zittì per evitare di svegliarlo e continuò a guidare in silenzio.
Hai preferito lei a me. Quelle parole continuavano a risuonargli in testa senza sosta mentre un dubbio, un atroce dubbio, lo colpiva. Sperava di aver torto oppure stavolta si sarebbe arrabbiato seriamente con lui. Parcheggiò davanti ad una casa piccola e dal muro chiaro all’esterno, un lieve giallo ambra.
“Su, svegliati. Non riesco a portarti in braccio, lo sai.” Disse scuotendolo gentilmente dalle spalle ottenendo solo un mugolio leggero e una strizzata degli occhi.
“Albert forza...” Gli sollevò la testa e lo guardò per poi arrendersi. “Fa niente. Aspetterò.” Concluse slacciandogli la cintura e fissando fuori dal finestrino.
Non era una casa grande, ma era più accogliente di qualunque altro posto al mondo. E ormai erano anni che vivevano li. Assieme.
Le parole di Albert ricominciarono a rimbalzare come palline impazzite nella sua testa. Geloso? Era troppo strano, lui aveva il controllo su ogni cosa e le emozioni ne facevano parte.
Con un sospirò si voltò di nuovo verso di lui poi scese andando ad aprire la portiera.
“Svegliati... Non puoi continuare a dormire in macchina Albert.” L’interessato sollevò le palpebre e lo fissò per poi quasi crollare nuovamente nel sonno.
“Non ci provare!” Esclamò William afferrandolo e costringendolo ad alzarsi in qualche modo.
“Ti ho già detto che non riesco a sollevarti, quindi ora cerca di restare sveglio per qualche minuto.” Vederlo così gli metteva tristezza, quasi gli faceva pena, soprattutto sapere che ben poco poteva fare per aiutarlo effettivamente. Salì le scale lentamente e lo distese su un letto semplice, spostando di poco le coperte.
“Ora puoi dormire io sarò al...”
“L...Lavoro. Ok...” Concluse Albert dandogli le spalle senza più una parola. Probabilmente addormentato di nuovo.
“... al piano di sotto.” Sospirò uscendo e lasciando aperta la porta prima di scendere le scale.
Non sapeva più a cosa pensare in quel momento, era davvero convinto che sarebbe tornato al laboratorio? O magari lo sperava. La tentazione di tornare da lui a chiedergli spiegazioni era forte ma l’aveva portato a casa per farlo riposare. Si lasciò cadere sul divano dopo essersi sfilato il camice e aver riposto con cura gli occhiali su un tavolino basso li accanto. Entrambi avevano giudicato un incidente il fatto di quella mattina, un incidente senza conseguenza se si escludeva quella crisi. Ma era davvero stato un incidente? William iniziava ad avere dei dubbi a riguardo. Gettò indietro la testa chiudendo gli occhi, sconsolato, l’ultima cosa che voleva pensare in quel momento era che Albert avesse cercato di ferirsi, o peggio ancora di uccidersi. E ci era andato anche maledettamente vicino!
La vibrazione del cellulare sul tavolo lo distolse dai suoi pensieri, lo prese e rispose meccanicamente.
“Ciao. Si tutto bene. No, non credo che per oggi potrò tornare. Mi dispiace. Annette... Ho davvero paura. Non so che abbia, non l’ho mai visto così. Senti puoi dare un occhiata al becher nel laboratorio? Oh, capisco. No, no... Fa niente. Ciao.” Lanciò il telefono in un angolo del divano e vi sprofondò ancora di più.
Un tonfo sordo fece sobbalzare William di colpo, intento a sonnecchiare. Si alzò di scatto e corse al piano superiore.
“Albert! Cosa ci fai qui?” Esclamò trovandolo inginocchiato sul pavimento del bagno con una mano ancora aggrappata al lavabo nel tentativo di alzarsi nuovamente.
“Tu cosa fai in bagno?” Si lamentò cercando di alzarsi.
“Non riesci nemmeno a reggerti in piedi. Devi restare a letto.” Lo prese alzandolo come riusciva e riportandolo in camera. Accese la luce di un’ abat-jour e lo guardò.
“Albert...” Lui lo guardò, si limitò a guardarlo con gli occhi lucidi.
“Dimmi solo che non hai cercato di morire, ok? Mi basta sapere questo.” Sussurrò accarezzandogli il volto caldo.
“Ti sembro uno che... Vuole morire?” Fu la risposta prima di scostargli la mano e girarsi nuovamente.
“Non lo so.”
Albert si mise a sedere su l letto e lo fissò severamente.
“Mi sarò intossicato un po’, cosa devo dirti... Mi sono dimenticato la maschera protettiva e...”
“Dormi ora... Non ha importanza.” Mormorò dolcemente facendolo coricare e alzandosi con un leggero sorriso.
Era dalla porta che sentì di nuovo la sua voce. Così bassa, così sofferente, così terribilmente triste.
“Certo... Io non sono più importante.”
William finse di non averlo sentito e si allontanò. Le sue parole continuavano a ferirlo nel profondo.
Sapeva benissimo che non doveva fraintendere le parole di Albert. Le parole contengono miliardi di significati e sentimenti. Non poteva ricondurle tutte all’amore. Albert e amore poi non erano due cose che potevano essere facilmente affiancate, sempre che questo fosse possibile. Arrivato in cucina si fermò e si guardò attorno.
“Cosa dovevo fare?!” Si chiese. Era così preso dai suoi pensieri che aveva dimenticato il resto. Aprì il frigorifero e lo richiuse dopo nemmeno un secondo.
Poi decise. Decise che avrebbe parlato a Wesker, parlato apertamente dei suoi sentimenti verso di lui. E sarebbe stato pronto ad andarsene.
In quel momento si accorse che il soggetto dei suoi pensieri si stava malamente reggendo alla porta. I capelli biondi, sempre perfettamente tirati indietro, erano spettinati, come quando si erano conosciuti la prima volta da ragazzi, o come ogni singolo mattino. Il volto era sudato. Febbre, ecco, ora aveva la conferma di quel calore di poco prima. Reprimendo l’impulso di urlargli contro qualcosa si avvicinò a lui.
“Cosa ci fai qui ora? E non rispondermi come prima.” Disse, quasi con tono scocciato. Wesker lo guardò, appoggiato allo stipite  della porta. Non sembrava nemmeno lui.
“Cercavo te.”
Per un attimo il cuore di William fece una capriola, si era alzato in quelle condizioni, aveva rischiato di rotolare dalle scale, e solo allora ci aveva pensato, solo per cercarlo?!
“Albert, per favore...”
“È ... È la verità.” Si staccò dalla porta e fece qualche passo malfermo verso di lui cadendogli tra le braccia.
“Stai delirando, non sai quello che dici o che fai... E forse nemmeno dove sei.” Mormorò accarezzandogli la schiena.
“Sono... Siamo a casa, sono appena uscito dalla camera, ho sceso le scale e sono venuto in cucina... E dico che voglio stare qui con te. Ti... Ti sembra un delirio?” Domandò con una semplicità disarmante.
“Will...” L’amico si limitò a continuare ad accarezzargli la schiena dolcemente. Ormai si aspettava qualunque domanda. Ma non fu una domanda ad uscire dalle sue labbra. Fu la risposta a tutte le sue paure e la sua attuale paura più grande.
“Non voglio che te ne vada. Non voglio che ti sposi.” William gli afferrò il volto senza pensare, puntò gli occhi dritti nei suoi, in quelle biglie lucide la cui vista gli faceva stringere il cuore in una violenta morsa.
“Non ti abbandonerò... Lo sai. È una promessa Al.” Riuscì a dire prima di baciarlo. Un bacio leggero, corto, atteso da sempre. Da quando aveva preso consapevolezza dei suoi reali sentimenti.
Wesker sorrise senza la forza di ricambiare il bacio, si appoggiò alla sua spalla e rimase li fermo.
“È una bella bugia, ma fa piacere sentirla.”
“Stai delirando Albert. Se fossi in forma ora sapresti che non ti ho mai mentito.”



Angolo Autrice:  Ecco qui!!! :) Ora William può smettere di minacciarmi e correre a prendersi cura del suo caro amico intossicato. bene, che dire? Il primo finale, per quanto potesse seriamente andare bene mi ha lasciato col senso di colpa, ecco perchè ho scritto questo. Avevano bisogno di più dolcezza e amore loro... E poi non poteva morire senza sapere la verità.
A proposito di verità, l'incidente era tutt'altro che un incidente! Insomma, Albert era perfettamente a conoscenza di quello che sarebbe successo, e non gli è importato niente, anzi, aspirava proprio al primo finale. è troppo orgoglioso e pieno di se per ammettere chiaramente di essere geloso. Così lo ammette... delirando quasi, ma lo ammette.
Aaah... così indifeso... William deve goderselo così intanto che può... non lo vedrà mai più così... xD
Grazie a Evelyn13 , Son Manu e martamatta per le loro recensioni!! :3

Bye Bye~
Aki
   
 
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