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Autore: marig28_libra    21/02/2012    2 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 La luna era una bolla di latte che galleggiava sulle  ossa del Partenone rischiarato dalle fiaccole.
Tutti i templi dell’acropoli, sebbene apparissero come anziani incartapecoriti, scintillavano nel loro antico torpore. Le fiamme dei bracieri erano dorati veli stracciati che danzavano all’alito di un vento invisibile.
Seduti dinanzi alle rovine dell'Eretteo, Mu e gli altri  volgevano  gli occhi alla città di Atene che  respirava e parlava coi nastri delle  strade colmi di persone e le bianche case ingioiellate di lampade.
Ai piedi del monte dell’agorà la vita camminava, correva e il porto del Pireo colava , come vernice, i bagliori dei lampioni  nel mare.
Nei pressi del tempio di Atena la quiete sussurrava paesaggi lontani e i minuti della sera morivano uno dopo l’altro dimenticati.
Il silenzio spalancava moltitudini di portali…

Aldebaran pensò a quanto fosse strano e incredibile essere di nuovo ad Atene dopo quattro anni. Era giunto lì da appena nove giorni e il Rio delle Amazzoni, che l’aveva visto sopportare prove  al limite della sopravvivenza, gli sembrava quasi surreale. La foresta pluviale brasiliana enorme, splendida e mostruosa continuava a  scorrergli sinuosa nelle arterie dello spirito. Quel guazzabuglio equatoriale di alberi giganteschi, di creature variopinte, meravigliose e terrificanti gli si proiettava magicamente dinanzi agli occhi… Simile ad un sogno, la selvaggia  natura sudamericana macchiava di verde smeraldo le rovine dell'Acropoli ateniese…sì…quel paradiso demoniaco l’apprendista del Toro l’aveva provato sulla pelle…quando si vive  al di fuori della civiltà, immergendosi in un’infinita selva di piante e animali, si può camminare contemporaneamente nell’Eden e tra le fiamme dell'Inferno.

Sibir”… Così la chiamavano i russi… “ Terra che dorme”. Così la chiamavano i mongoli.
La Siberia era un’oceanica landa di neve che veniva attraversata dai respiri dell'inverno. Il vento artico correva tra le candide montagne, sui ghiacci dei mari profondi e s’insinuava tra le città opache e granitiche…l’estate soggiornava poco da quelle parti. Donava giusto qualche scaglia di piacevole calore per poi eclissarsi avara e cinica. I capelli  dei prati e dei pini brillavano di rado. Tante volte Camus aveva creduto di morire nel freddo assassino di quella regione ma era riuscito  a sopravvivere. Sopravvivere diventando come il gelo e seppellendo sotto la neve ogni fiamma di dolore e debolezza…L’ aveva fatto però  veramente? Era stato in grado di trasformarsi? Se lo domandava spesso perché i suoi occhi non erano duri al pari dei ghiacciai perenni…  
  

Sulle acque dell'Egeo Mu disegnava l’innevata catena dell'Himalaya…Non sapeva se amare oppure temere e odiare quella  fortezza di roccia, freddo e luce…Sion gli raccontò, quando era piccolo, che quei monti  erano i pilastri del cielo e affondavano i  loro piedi nelle brume e nel fango del mondo…erano come il fiore di loto con le radici  sommerse dalla sporca terra ma con l’ immacolata corolla rivolta verso il cielo, la sapienza, la salvezza…penetrare nella coscienza: tale era la via per giungere al nirvana… L’apprendista dell' Ariete si sentiva ancora distante dalla serenità spirituale  che conobbe  Siddhartha  Gautama… Tendeva i propri petali alla volta celeste ma rimaneva incatenato ai deserti, alle paludi e ai boschi…la luce degli affetti era l’unico scoglio a cui avvinghiarsi.

Tinos dalle case bianche e fiorite  con le finestre color del mare. Tinos dalle stradine ciottolose che percorrevano il centro abitato fresco e terso…Milo avrebbe desiderato possedere solo queste brillanti immagini dell'isola natale…
Muri venati di crepature, polvere, oggetti sepolti e demoliti dalle macerie, vie devastate…ecco cosa rimembrava veramente. Lo sguardo del suo cuore contemplava, nel buio, il ricordo di quel terremoto. Erano bastati pochi minuti di violente scosse per fargli perdere quasi tutto: il piccolo nido in cui abitava e soprattutto la madre. La madre. Come Camus, anch’egli a sette anni aveva subito quel lutto…
Il padre. Per uno strano gioco del destino si era salvato con lui poiché il luogo d’allenamento si trovava fuori dal centro abitato.
Quell’uomo… Era stato suo Maestro. Era stato la sua incomprensione. La sua rabbia.
Dopo il terribile terremoto, Milo aveva proseguito l’addestramento nell’omonima isola di Milos, luogo natale della madre. L’unico gesto di tenerezza del padre forse era stato  condurlo là ma a poco era servito. Quel lembo di terra non aveva mai rappresentato  la solarità, la dolcezza…era stato  l’anima dell’arsura, delle pietre morte e  di un cielo turchese crudele ,vuoto e troppo grande.
Erano trascorsi appena tre anni dalla morte del Maestro… Milo odiava ricordarla. Un torbido rivolo di cera colava lungo la candela del suo animo…era un miscuglio di astio e amore calpestato che si muoveva sulla sabbia come uno scorpione.

Aiolia apparteneva ad Atene. Certo, lui e il fratello erano nati nell’isola di Nasso, ma dopo che il padre morì per un tragico incidente all’interno delle cave di marmo, la madre decise di trasferirsi nell’Attica…ormai il marito l’aveva perduto e inoltre  era da tempo che Aiolos  s’addestrava nei pressi del Grande Tempio. Il cavaliere del leone non aveva mai vissuto il proprio luogo natale: quando si  trasferì  era un bambino di appena un anno… Sapeva qualcosa di quell’isola solo dalle memorie nostalgiche dei suoi cari…le immagini che si era figurato erano linee nebbiose di promontori verdeggianti ma anche brulli…la vecchia casa in cui avevano abitato col padre minatore era un disegno piccolo, grezzo e imperfetto.
Erano quadri nitidi il viso duro e profondo della madre e la protettiva figura di Aiolos. La sua  famiglia  non era  mai stata felice ma l’amore  aveva permesso  di sopravvivere…
Cosa rimaneva ora ad Aiolia? Una dimora vuota e silente dove andare giusto a dormire. Le  persone che più adorava gli erano state strappate via…
Sul nobile guerriero del Sagittario  il turpe e assurdo marchio di traditore...
Sulla madre…no…era meglio non rivangare…
 

   - Ragazzi, la Prova della Triade Templare sarà tra undici mesi, giusto?- chiese Milo, desideroso d’interrompere quel  silenzio che l’opprimeva.


  - Sì…precisamente la data non si sa ancora, ma è certo che  tutto si svolgerà in uno dei giorni della prima metà d’agosto – gli rispose Aiolia.

  - I templi in cui dovremo combattere saranno il Partenone, il santuario di Zeus a Olimpia e quello di Apollo a Delfi se non vado errato…-  disse Aldebaran.

  - Da ciò che mi ha detto il Maestro Sion il nostro percorso si svolgerà in senso… antiorario- precisò Mu -  partiremo dall’acropoli ateniese, per arrivare a Delfi. Dopo che avremmo superato gli ostacoli di lì, giungeremo ad Olimpia. Oltrepassato questo scoglio ci  aspetta la prova finale qui ad Atene, nel Partenone.

  - Un bel ritorno a casuccia…- ironizzò Milo- e dovremmo, inoltre,  lottare entro un limite di tempo.

  - Avremo a disposizione  dodici ore - puntualizzò Camus.

  - Le ore della notte… – fece Mu -  la nostra prova inizierà subito dopo il tramonto del sole e, se tutto va bene, si concluderà all’alba.

  - Ah! Se tutto va bene! Non c’è da star tranquilli!- esclamò il cavaliere del toro- l’ultima barriera da abbattere saranno  …

  - I cavalieri vincitori  della Triade Templare d’Oriente- continuò secco l’apprendista dell'Acquario.

  - Quindi  Shura, DeathMask, Shaka e Aphrodite…- disse Aiolia.

  - Hanno superato tutte le prove  nel santuario di Artemide ad Efeso, in quello di Era a Samo e nel sepolcro di Mausolo ad Alicarnasso.

  - Ma Mu – domandò Aldebaran – quell’edificio non è ormai scomparso da secoli?

  - Sì… però i templi in cui hanno luogo le prove vengono riportati, secondo il rito di un arcano incantesimo,  al loro splendore remoto.

  - A mettere in atto tutto questo è il Gran Sacerdote naturalmente.

  - Proprio così, Aldebaran.

  - I nostri avversari non scherzano per niente…- sospirò l’apprendista del Leone –  Death Mask è già in possesso  dell’armatura d’oro: ha compiuto diciotto anni a giugno.  Aphrodite, invece,  la conquisterà  a marzo del prossimo anno…

  - Tzè Aphrodite…- sbottò Milo -  come cacchio farà quello lì a diventare cavaliere d’oro?! Ma ,dico,  l’avete visto?!

  - Mamma mia, me lo ricordo bene…- borbogliò il guerriero del Toro – è un foto modello troppo spocchioso…con tutte le sue strane movenze e le  sue roselline…

 - Infatti… le rose…cosa crede di combinare quella donnicciola con dei dannati fiori?! È inconcepibile che ci sia un cavaliere simile…

 - Milo, se fossi in te non sottovaluterei così alla leggera Aphrodite – intervenne serio Camus- anche lui è stato addestrato tra i ghiacci e il gelo…il suo apprendistato si sta svolgendo in Groenlandia.

 - È vero – affermò il cavaliere dell'Ariete – non dobbiamo farci abbindolare dalla falsità delle apparenze. Il guerriero dei Pesci è stato temprato duramente. Sapevo che la sua Maestra è una sacerdotessa guerriero molto temuta e rispettata.

 - Sì… – fece Aiolia – si chiama Artemis. Ha solamente ventidue anni ma, fin da piccola, ha sempre manifestato delle capacità  di combattimento stupefacenti. Shaina e Marin la tengono in grande considerazione.

 - E va bene, va bene! Uno a zero per l’effeminato… -  sbuffò il cavaliere dello Scorpione.

 - Beh…io continuo a preoccuparmi di più per i nostri altri tre avversari! – obiettò  Aldebaran- Vi rendete conto che anche Shura ha l’armatura d’oro da gennaio?!

 - È  un guerriero eccezionale- annuì il fratello di Aiolos – si è allenato sui Pirenei in Spagna e nessuno come lui possiede una tecnica  capace di tagliare,  al pari di una spada, la terra, le rocce e persino le vette più alte…

  - Già – disse Milo – ora che ci penso ho sentito che riceverà un preziosissimo dono… il Sommo Sacerdote gli conferirà, in nome della dea Atena, la mitica Excalibur!

  - E a pensare che l’unico cavaliere dotato di armi è il leggendario Doko della Bilancia…- mormorò con ammirazione Mu – ho sempre percepito nel cosmo di Shura un animo impulsivo ma nello stesso tempo cosciente e brillante. Consegnargli Excalibur è un atto di notevole gravità.

In braccio al fratello, Kiki tentava di ascoltare i discorsi dei ragazzi ma ormai il micidiale sonno post cena lo stava ghermendo… Sbadigliando mise le braccine attorno al collo di Mu e appoggiò la testa fulva sulle sue spalle chiudendo  gli occhi.

  - La Maestra Eirene mi ha riferito che però Shura dovrà compiere un'altra prova per ottenere la spada...sarà tra dieci mesi – rivelò Camus pensando con nostalgia alla sua adorata insegnante.

  - Verso luglio dell'anno prossimo – fece Aiolia – Dora, la sua Maestra, ha scelto un percorso parecchio tosto concentrando diversi esercizi in un arco di tempo così breve! Non per nulla,  al Grande Tempio,  è nota per la sua severità  assieme alla sorella…nonché alla tua insegnante Camus.

Sì…il cavaliere dell'Acquario non avrebbe mai potuto  dimenticare gli esercizi a cui l’aveva sottoposto Eirene. Da  bambino, il  timore nei confronti di quella donna, era stato costantemente presente… egli, tuttavia, percepiva in lei un’altra essenza, una fogliolina che tremolava, un filo di seta che nessuno era mai stato in grado di cogliere…
Il giovane aveva visto la propria guida senza maschera, aveva visto due splendidi occhi scuri colmi di una dolcezza  umida e ingabbiata.

 -  Ohi ragazzi! – apostrofò i suoi compagni Aldebaran – ci stiamo scordando per caso di Shaka?

 -  Diamine! Quello pure fa inquietare parecchio! Si dice che sia il cavaliere più vicino agli dei e… addirittura la reincarnazione di Buddha!! – esclamò Milo.

 -  E’ uno strano tipo -  sussurrò Camus – mi pare così distante da questo mondo che a momenti non so se definirlo…umano.

 -  Effettivamente – ammise Aiolia -  ogni volta che veniva qui ad Atene non spiccicava mai una parola  con nessuno! Stava perennemente da solo, immerso nelle sue meditazioni!

 - E’ davvero un enigma Shaka!   Non so cosa pensare…è troppo incomprensibile… -  disse il cavaliere del Toro.

Mu aveva una prospettiva differente dagli altri cavalieri.
Lui era stato l’unica persona con la quale Shaka aveva parlato.
Lui era stato il solo capace di leggere oltre  le  pagine che il guerriero della Vergine mostrava.
Da tempo non lo incontrava e ciò  l’abbatteva perché desiderava vedere se quella misteriosa mestizia ,posata nell’anfora del suo cosmo ,si era dileguata oppure no…
 

Era un pomeriggio tranquillo e soleggiato lì all’acropoli.
Le nuvole del cielo sonnecchiavano come pigri gabbiani cullati dalle onde del mare.
Il vento era assopito.
Solo il cinguettio di qualche uccellino soffiava nel vuoto.
Il piccolo Shaka si stava dirigendo fuori dai Propilei per prepararsi al viaggio di ritorno in India.

 - Stai già partendo? -  gli chiese Mu andandogli incontro.

 - Sì…è meglio che ritorni subito…devo assolutamente proseguire il mio addestramento sulle rive del Gange -  rispose lui sorridendo pacatamente col viso etereo e luminoso ornato di  capelli dorati.

 - Oh…capisco . Io tornerò in Tibet la prossima settimana.

 - Rivedrai finalmente  i tuoi genitori.

 - Già. Sono davvero contento -  fece l’apprendista di Sion con il faccino un po’ tondo che brillava di gioia.

 - Che bello…dev’essere fantastico ritornare a…casa – mormorò Shaka col capo rivolto in basso.
Mu colse la tristezza delle sue parole.

 - Shaka…  ti trovi bene lì al tempio di Mahabodhi?

 - Certo… I monaci mi aiutano molto… mi sento tranquillo… ma felice non lo so.

Tacque per un istante. Rivolse il suo volto bello e delicato al compagno.
Aprì lentamente gli occhi che teneva sempre serrati…
Due laghi d’un azzurro profondo vibravano di pioggia.

 - Sai, Mu…durante la notte sogno spesso di avere un papà e una mamma e di vivere in una bella città…una città dove non ci sono morti sulle strade, dove io non ho nessun potere e non sono cavaliere. Sono sogni bellissimi e lì sono veramente felice.

 - Ma…perché non vieni, qualche volta, da me? Ti farò vedere il mio villaggio, conoscerai i miei genitori, starai a casa mia e potremmo giocare insieme!

Shaka fissò lo sguardo limpido e rassicurante di Mu.
Quanto avrebbe desiderato essere il suo migliore amico…

 - Mi dispiace moltissimo…io non riesco ad andare in Tibet…

L’apprendista dell'Ariete rimase affranto.

 - Shaka…non mi piace vederti così.

 - Vorrei tanto stare più tempo con te ma purtroppo…non posso.

 - Allora…ci si rivedrà più..avanti…

 - Sì…a presto e….scusami.

Shaka chiuse nuovamente gli occhi e cominciò a scendere le scale dell' ingresso dell'acropoli.
L’essere umano più vicino agli dei. L’essere umano  che parlava con Buddha.
Il bambino che desiderava scendere da un cielo intoccabile e divino.

 

 

 - Mu…

La voce di Milo lo ricondusse al presente.

 - …tu sai se Shaka sta intraprendendo un percorso straordinario per  l’armatura d’oro?

 - No. Sta compiendo un addestramento regolare come tutti noi.

 - Mmmmh -  il cavaliere dell'Acquario aggrottò le sopracciglia perplesso – la cosa mi stupisce…lui non ha acquisito , prima del tempo, il settimo senso?

 - Certo, ma i suoi rimanenti tre anni di apprendistato sono troppo ardui e complessi per poter essere ridotti in pochi mesi… La via a cui Shaka è destinato è differente dalla nostra.

 - Hai davvero bravura nel capire quel  fantomatico tizio -  borbottò Aldebaran con una certa ammirazione – ricordo che sei l’unico che sia riuscito a chiacchierare con lui più di una volta!

Il cavaliere dell'Ariete sorrise flemmatico e misterioso.

 - Vi sbagliate a considerare Shaka  come un essere sovrannaturale e celeste…ama la terra e vorrebbe con tutto se stesso abbracciarla di più.

Aiolia, Milo e l’apprendista del Toro rimasero un po’ dubbiosi e scettici.
Camus credé  invece di aver percepito qualcosa…il Cavaliere della Vergine era come un prisma di cristallo troppo abbagliante : per vederne meglio ogni singola faccia bisognava imparare ad infrangere tutte le luci .  

 - Ragazzi, ci sconvolgiamo tanto per Shaka…e che dire invece di Death Mask?

 - Hai ragione, Aiolia…- mormorò l’apprendista dello Scorpione cupo – non mi piace per niente quello lì…dire che è un grandissimo bastardo è poco…mi domando come faccia a  servire Atena!

 - Più che il cosmo di un cavaliere ha l’anima di un demonio! – disse Aldebaran.

 - Non per niente il suo  Sekishiki Meikaiha ti sbatte giù negli inferi. – aggiunse Camus.

Sta volta Mu condivise pienamente la visione dei propri compagni.
Il Guerriero del Cancro aveva le stelle del suo spirito orrendamente macchiate…

 - Ho sempre nutrito degli atroci sospetti su quello che combina in Sicilia -  fece Aiolia con espressione scura-  mi ricordo di come combatteva qui, al Grande Tempio…riduceva gli altri apprendisti in fin di vita e per poco non staccava loro la testa dal collo.

 - Ovvio! È un pazzo! Si è scordato di essere un umano! – reiterò il guerriero del Toro.

 - Più ci penso, più è assurdo: come fa il Gran Sacerdote a riporre fiducia in lui?! C’è qualcosa che non quadra…

 - Me lo sono chiesto anch’io, Milo – annuì Camus guardando verso il Grande Tempio.

Dopo aver taciuto per un po’, l’allievo di Sion intervenne.

 - Vi ricordate come era Death Mask all’inizio, quando aveva nove anni e aveva appena…cominciato il suo allenamento nell’Etna? Non mi pareva assolutamente un demone…piuttosto era un ragazzino smarrito, anzi… più che smarrito…nei suoi occhi la tristezza aveva lasciato posto al vuoto più nero e totale. Chissà…forse aveva perduto qualcosa o qualcuno d’importante…forse però, peggio ancora, non gli era  mai stato  donato nulla da nessuno…

Mu non aveva mai relegato nell’oblio il giorno in cui lo vide per la prima volta.
Non era un guerriero e neppure un diavolo.
Non si chiamava ancora “ Maschera della Morte”.

 - Mu…il suo vero nome non è…Dario? – domandò Camus.

 - Già…era quello con il quale si era presentato a noi…

 - Che strano chiamarlo ora in quel modo…

 - Certo, Aiolia! Ci ammazzerebbe! Non vuole più sentire quel nomuncolo da smidollato !- si rivolse Milo al cavaliere del Leone.

 Dario…Dario era come se non fosse esistito…
 Era un’immagine troppo inverosimile…
 Quel ragazzetto magro, lungo, coperto di lividi  aveva occhi  di gracile cenere blu.
 Death Mask era  imponente, alto, coperto di fiamme e aveva occhi  di sanguinose lame blu.


 

 

 - Tu…hai mai visto…l’inferno?- sussurrò inquieto Dario .

 - No…- rispose il piccolo Mu fissandolo incuriosito.

 - Meglio così…non vederlo mai.

I due ragazzini erano seduti sulle scale che conducevano al dormitorio degli apprendisti cavalieri.
Dinanzi a loro, il cielo del crepuscolo e  Atene che s’assopiva sotto le fronde d’ebano della sera.

 - E’ davvero brutto l’inferno, Dario?

 - È fatto di fuoco…vedi quelle nuvole rosse e arancioni? Sono i respiri che fanno gli inferi dal centro della terra…sono fiamme che uccidono.

 - Per fortuna che sono lì in alto!

 - Sì…però io… le tocco  quasi sempre giù…nell’inferno…

 - Co-come fai a tornare…vivo?

 - Non ne ho idea…è il mio potere...lì, oltre le fiamme, ci stanno pure i morti…ho paura che mi portino con loro. Il mio Maestro mi dice che se non imparo a stare là morirò davvero.

Ci fu per un istante il silenzio.
Mu vide Dario abbracciarsi le esili ginocchia e appoggiare la testa su di esse.
Le sue mani piene di graffi erano percorse da un lieve tremito.
Il visetto abbattuto  e un po’ smunto, contrastava con la folta e arruffata capigliatura blu.

 - L’inferno si trova… soltanto sotto terra coi morti? – domandò con un fil di voce l’apprendista dell'Ariete.

 - No…lo puoi vedere anche qui, sulla superficie. L’Etna è così per esempio.

 - Non ci sono però i morti.

 - Ma ci sono i vivi che ti possono mandare giù con gli altri morti.

 - Allora..gli inferni sono due…

 - Beh…a dire il vero l’inferno è uno soltanto…cambiano gli abitanti a seconda delle zone in cui vai…

Mu corrugò un attimo la fronte dominata dalle due macchie magenta. 

 - Secondo me l’inferno non è dappertutto…

 - Spero proprio di no… perché io voglio fuggire dall’Etna.

Sulle labbra di Dario comparve un piccolo sorriso titubante ma desideroso di sperare.

 - Sì…fuggirò…chiederò ad Atena di levarmi i poteri e poi me ne andrò via per sempre…

 - Dove?

 - Non lo so…va bene qualunque posto…basta che non ci siano diavoli.

Rise debolmente e con fragile dolcezza.
Le nuvole del sole morente si stavano ormai sciogliendo all’alito della notte nascente.

 


 

 

“ Dario…sei morto... Le fiamme ti hanno ucciso. Adesso c’è…Death Mask”. Rifletté con amara tristezza Mu.
Il cosmo del cavaliere del Cancro era ancora più deturpato di quello di Ohen, nel cui cuore , per fortuna, l’amore aveva trovato modo di albergare. 
La maschera della Morte non conosceva alcuna volta celeste…

 - Ragazzi! Sono le dieci passate!- si allarmò Aldebaran – Dobbiamo alzarci alle cinque e mezza domani!

 - Uffa è vero…- sbadigliò Milo alzandosi e stiracchiandosi.

 - Io e il Maestro Sion andremo nel tempio di Atena a Lindo…devo apprendere gli ultimi attacchi mortali che mi mancano.

 - Come mai proprio nell’isola di Rodi? – chiese Aiolia incuriosito.

 - Beh…questo, ahimè, non lo so neppure io…- rispose Mu sorridendo – sono però certo che per il mio Maestro, Rodi ha rappresentato qualcosa di molto importante.

 - Ti aspetta  comunque una giornatina tosta! – rise il guerriero del Toro – bene gente…andiamo a dormire. Buonanotte, Aiolia!

 -   ‘ Notte!

Aiolia prese la strada di casa mentre gli altri cinque si diressero ai dormitori del Grande Tempio.
Camus infilò la mano nella tasca destra del suo pantalone per prendere le chiavi della camera.
Impigliato ad esse  stava un piccolo manufatto d’acciaio a forma di fiocco di neve…
Il giovane lo afferrò guardandolo per alcuni minuti.
Era un portafortuna che gli aveva donato uno dei suoi due piccoli allievi.
Il russo Hyoga.
Sorrise lievemente con amara tenerezza.
“ Hyoga…quante volte mi hai fatto e mi farai perdere la pazienza? Sei come questo fiocco di neve…vieni da un cielo gelido… eppure cadi e ti sciogli subito…devi diventare inverno se vuoi sopravvivere.”
Emise un sospiro.
Accidenti a te…i tuoi occhi sono dannatamente simili ai miei.”

   
 
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