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Autore: Buildingalife    23/02/2012    4 recensioni
Aspira, espira, fumo che vola via.
Solo quello?
Silenzio.
Piede mosso, vaso rotto.
Mondo crollato addosso.
Ma la ragazza non ricorda.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai con un rumore che stava turbando la mia tranquillità.
Mentre leggete questo capitolo, voglio avvertirvi di una cosa: da quel giorno, la mia innocenza fece una brutta fine.
Stavo dicendo, quel rumore, a quanto pare era qualcuno che bussava con impeto alla mia porta.
L’aprii, e vidi uno sconosciuto.
No, non era uno sconosciuto.
Assomigliava terribilmente a qualcuno che avevo già visto.
Lo guardavo con gli occhi spalancati, non riuscivo a capire.
Ebbi un veloce flashback.
Vi ricordate la notte in cui veloci immagini apparvero nella mia umile “casa”?
Lui era tra quelle.
Lo riconobbi.
Ma assomigliava anche a qualcun altro.

Assomigliava a Davide.
Era bellissimo.
“Chi sei?” chiesi con una voce lievemente preoccupata.
“Come chi sono? Giò, ti sei completamente dimenticata. Non può essere.” mi disse guardandomi con occhi spenti.
“Io, io, io non…” dissi balbettando finché non mi interruppe.
“E’ colpa mia…”
“Come fa ad essere colpa tua?”
“Non ti hanno mai detto niente?”
Scossi la testa per dire un “no”.
“E’ terribile…”
Anche nella disperazione il suo viso era pazzesco.
Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso.
Cos’aveva di tanto interessante da attirare a tal punto la mia attenzione?
Chi era? Cosa stava succedendo?
Guardai fuori dalla finestra, notai che la pioggia scendeva a catinelle.
Notai subito che i suoi capelli e il suo viso sgocciolavano.
“Scusami, non ci ho pensato prima, vuoi un asciugamano?”
“Si, grazie.” disse accennando un sorrisetto.
Andai in bagno per prenderne uno, e mentre tornavo in camera, mi fermai sulla soglia della porta, e lo sentii imprecare.
Entrai, e lo beccai con le mani che gli coprivano il viso, mentre scuoteva la testa.
Rimasi ferma ad aspettare che lui si calmasse.
Ci mise un po’, visto che non si accorse della mia presenza.
Quando se ne accorse, si alzò e mi disse “grazie” per l’asciugamano.
Mi guardò.
“Sai, forse è meglio che vado.”
Le sue parole erano fredde.
Fredde e tristi, oserei dire.
Mi sembrava un addio.
Perché ci stavo rimuginando così tanto?
Perché era così importante?
Fu questo ciò che mi chiesi.
Non riuscivo a dargli una risposta.
Rimase fermo per un po’, poi prese il casco, e si avviò verso l’uscita.
Senza accorgermene, lo bloccai con una mano.
“Tornerai?”
Cosa avevo appena detto?
Come aveva potuto la mia bocca emettere una parola simile?
Come si permetteva?
Mi sorrise.
Uscì.
Si poteva essere così senza cuore?
Una risposta poteva darmela.

Mi parlarono di un posto chiamato “discoteca”.
Si ballava là, e in genere iniziava verso le undici di sera.
Decisi che quella sera ci sarei andata.
Ero stanca di essere chiusa dentro quella casa, e nessuno mi poteva impedire di uscire, l’avrei fatto e basta.
Era la prima volta che aprivo l’armadio per esaminarlo attentamente.
Quella sera avrei provato di tutto.

Arrivò il momento tanto atteso.
A casa mia non c’era nessuno, come sempre.
La discoteca era vicino casa mia, andai tranquillamente a piedi.
Entrai, pagai, e osservai quel posto a me totalmente nuovo.
La musica era a palla. La cosa mi piaceva, ero troppo confusa, e per una volta, volevo che qualcosa zittisse l’Inconscio.
La musica ci riuscì.
Avevo deciso che quella sera non avrei detto di no facilmente, quindi appena un ragazzo si avvicinò per ballare con me, non mi tirai indietro.
Avevamo ballato per un po’, poi mi chiese se volevo bere qualcosa.
Non mi feci problemi.
Mentre andavamo in direzione del bancone, vidi là seduto, qualcuno che mi sembrava familiare.
Era lui.
Non mi poteva confondere nuovamente le idee.
Feci finta di niente, e mi sedetti al bancone, ordinando qualcosa che sentii da qualcun altro che ordinava.
“Non è troppo alcolico?” mi chiese il ragazzo che stava accanto a me.
“No.”
Fece un sorrisetto compiaciuto.
Mentre mi sedetti al bancone, il ragazzo che mi teneva compagnia si scusò per andare un attimo in bagno.
Intanto, qualcuno si girò verso di me e con un fare un po’ brillo mi tese la mano dicendomi : “Piacere io sono  Leo." - si fermò - "Tu?"
Ma nello stesso istante alzò la testa verso il mio viso, e fece una faccia stupita.
Iniziò a balbettare: “S-scusa. Ciao Giò.”
Cosa gli dovevo rispondere? “Ciao" - aspettate come si chiamava?
Leo, ecco, dovevo dirgli “Ciao Leo”?
Rimanemmo fermi per un po’, fissandoci per capire cosa pensava l’altro.
Tentavamo di capire cosa c’era negli occhi dell’altro, le parole invisibili che mandavamo in segno di aiuto.
Tutto quello che lessi nei suoi occhi era frustrazione.
Ma anche disperazione: era evidente che non sapeva proprio come reagire.
E neanche io.
Il suo sguardo si spostò e diventò allarmato.
Non capivo, allora mi girai anche io.
Davide.
Davide mi stava cercando.
Avemmo la “brillante” idea di uscire dal retro.
“Lo conosci?” chiesi innocentemente io.
“E’ mio fratello.”
   
 
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