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Autore: GlassOnion    26/02/2012    3 recensioni
"Spencer ha undici anni ma ne dimostra venti". Reid ricorda ancora con orrore quello che gli accadde alle scuole superiori, ma non l'aveva mai raccontato a nessuno. Ecco un excursus in quello che reputo uno degli episodi più toccanti del passato di Reid, accompagnato dall'aiuto di una canzone altrettanto toccante.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Spencer Reid
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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NdA#
Lo so, sono in tremendo ritardo e chiedo umilmente perdono a tutti. Sono stata occupata tutta la settimana appena passata, causa, ahimé, la scuola. Non è colpa mia, purtroppo, se chiamano sempre me alle interrogazioni, per ulteriori dettagli parlate con la professoressa di filosofia e storia e con quello di italiano e latino. Per non parlare poi del tema, a causa del quale la mia scrittura si è concentrata in altre cose. Però per vostra fortuna eccomi tornata con un nuovo capitolo.
Spero vi piaccia e che possiate comprendere da soli che ci sono tre diverse situazioni in questo capitolo (tre storie nella storia che serviranno per i prossimi capitoli, ovviamente, e che sono tutte legate a Reid). 
La seconda è stata veramente molto difficile da scrivere, in quanto tratta di una situazione a me, per fortuna, sconosciuta. Ho cercato di basarmi sulle mie emozioni e sulla canzone "Confusione" delle Yavanna (sono presenti citazioni della canzone stessa, alcune con un paio di modifiche apportate da me per adattarle meglio alla storia). 
Vi lascio al capitolo e, anche se non avete voglia (vi capisco, ci mancherebbe) RECENSITE!
 


«Solo. Spencer si divincola, cerca di slegare la corda che lo lega al palo, senza successo. È solo.
Ogni volta, sembra essere quella giusta. La corda sembra cedere, o almeno allentarsi.
Spencer cerca di tirare fuori un braccio, lentamente, ma questo non riesce mai a uscire. Poi l’ennesimo colpo di vento, freddo, si posa sul corpicino magro e nudo di Spencer, gelandolo.
In quel momento, la speranza, nata poco prima, diventa nuovamente vana, e a Spencer non rimane altra consolazione che le sue lacrime.
Il suo pianto è interiore, lontano, pieno di vergogna.

“La peggiore umiliazione della mia vita”, la giudica Spencer. Ma Spencer è pur sempre un bambino di dieci anni, e un bambino non è in grado di comprendere una cosa simile, nonostante l’alto quoziente intellettivo.
Spencer si divincola, sempre più furiosamente, usufruendo di tutta la sua forza. La corda si allenta, ma il nodo non si scioglie mai.
Spencer piange, grida, singhiozza più forte che può, ma nulla lo slegherà mai.

“Un aiuto, forse, arriverà. Mamma, perdonami, non avrei voluto.
Spero che tu possa capire e che, un giorno, tu possa dimenticare il dolore che stai vivendo adesso per causa mia.”

 
Confusione. Urla. Tende strappate. Stanze rovesciate da cima a fondo.
Vasi rotti. Pezzi di vetro e acqua sul pavimento. Fiori rossi appassiti tra le gocce d’acqua. La cornice di una foto che ritrae un bambino con gli occhiali ridere, abbracciato dalla madre, rotta, a terra. 
Piedi nudi e due gambe cinte da due braccia.

Una testa bionda, nascosta nelle braccia, lentamente si alza e guarda con gli occhi spalancati la stanza.
La donna è in preda alle convulsioni e si dondola ritmicamente avanti e indietro. Una sottile camicia da notte bagnata la veste e le fa intravedere il seno e la pancia.
Gli orologi sembrano muoversi al contrario, la stanza è piena di voci, ma nessuna parla. Urlano senza urlare.

“Mordo, strappo, ingoio, vomito questa vita. Bevo la mia voragine, il buco è rabbia e tristezza.”
Libri e compiti in classe di chissà quanti anni fa, giacciono bagnati sul pavimento, l’inchiostro sciolto e reso opaco dall’acqua.
Il movimento ritmico della donna, che ora preme la testa contro il muro.
I lividi sulle braccia, i segni dei morsi, le ferite che si era procurata da sola. Il suo dolore.

“Sì, ho sbagliato tutto ora. Non capisco niente, non rimane niente ora. Troppe le opinioni qui, non è vero niente, non rimane niente ora.”
Una voce che urla dal profondo, oppressa dalla moltitudine delle altre, smaniose di parlare, di giudicare, quell’unica incapace di parlare.
“E non so pensare, non ho più il pensiero. Cosa sei? Ma ci sei? Tu.”
La donna cerca la forza di alzarsi, si poggia incerta su quelle due gambe che possiede e cerca di muovere un passo, cadendo di nuovo a terra.
“Cado come uno straccio, mi guardo intorno e, tese verso me, presa tra le fauci di più cani, solo delle mani.”
La donna grida, tra le lacrime, tenendosi la testa in fiamme tra le mani.
“Solo la confusione, aiutami, abbracciami, perdonami.”
Non esisteva altro al di fuori di lei, c’era solo la sua confusione.

Una luce si accende poco lontano.
Una donna anziana, in vestaglia, guarda fuori la finestra, in cerca della persona che l’aveva svegliata dal suo sonno.
La scena fuori dalla finestra le fa sgranare gli occhi. Non c’era bisogno di occhiali per capire una cosa simile.
Senza esitare, cerca una torcia, o qualsiasi altra cosa che le potesse fare luce, e, così com’era vestita, uscì da casa sua.»
   
 
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