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Autore: laramao    27/02/2012    1 recensioni
Una nuova alleanza si sta formando all'interno di Alagaësia. Le forze di Galbaorix crescono a dismisura e Eragon e Saphira, insieme ai Varden, dovranno trovarsi di fronte ad un nuovo drago, con o contro di loro. Alagaësia vedrà affrontarsi amori, tradimenti, scelte difficili che non solo il nostro Argetlam dovrà affrontare, ma che ognuno dovrà, nel suo piccolo, prendere. E fra le perdite, la vittoria sarà del più puro dei cuori.
" - E questo è il mio, Eragon - la sua mano si allungò verso il Cavaliere, mentre questo la prendeva delicatamente fra le sue. Piangeva, perchè l'aveva appena ritrovata, per poi perderla nuovamente."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eldunarì.



Murtagh misurava a passi felpati la sua tenda, le mani strette dietro la schiena quando il suo sguardo cadde sull’Eldunarì del drago di suo padre.
Si acquattò vicino rigirandoselo fra le mani e sedendosi sulla branda che dondolava nel mezzo della tenda, attaccata ai due pali che la sorreggevano.
La sua era la tenda più grande, nera e d’oro, al centro dell’accampamento a poche miglia di distanza da quello dei Varden. Seppure fosse la più grande non raggiungeva le dimensioni del padiglione di Nasuada e all’interno c’erano solo bisacce, una branda stile amaca, spada, arco e faretra. Oltre all’Eldunarì, il resto era spazio vuoto.
Lo aveva turbato la morte di Nasuada, era stata come un’altra smossa a quel piedistallo che reggeva il suo mondo, ciò che conosceva e le persone con cui aveva vissuto, se per breve tempo. E ora anche lei se n’era andata.
Fissò il cuore dei cuori di suo padre lasciandosi fuggire un sorriso. Non avrebbe mai saputo il suo nome.
Lo rimise nella bisaccia che nascose sotto la branda, per poi lasciarsi andare su di essa. Da quanto il suo stregone gli aveva riferito era Eragon a tirare le fila adesso, ma Murtagh sapeva che il fratello non era un capo e che mai aveva desiderato quel ruolo; ma la cosa che più lo faceva sorridere era che non sarebbe mai stato all’altezza di Nasuada. Ammirava quella donna e per ciò che sapeva di lei, Eragon era nulla.
Si ritirò su dandosi una pulita agli stivali per poi uscire.
Erano passate poche ore dall’alba ma Murtagh sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto riaffrontare suo fratello, per non parlare di suo cugino, Roran. Era incredibile come avesse vissuto con l’idea che l’unico membro della sua famiglia fosse suo padre e come invece adesso di ritrovava a combatterla tutta.
Eragon e Roran sono gli unici parenti che mi sono rimasti, eppure, devo uccidere uno e portare da condannare ad una vita di prigionia l’altro.
Il pensiero di potersi ribellare a Galbatorix l’aveva accompagnato per i giorni successivi la sua liberazione, ma la presenza che entrava di tanto in tanto nella sua testa gli faceva ricordare che gli aveva giurato fedeltà. La sua era una vera prigionia. E ad Eragon sarebbe toccata la stessa sorte.
Era arrabbiato con lui. Perché per quindici anni aveva vissuto felicemente, perché sua madre lo aveva preferito lui, e perché quando era riuscito a scappare finalmente dal re, Eragon lo aveva portato dai Varden, rovinandogli quella libertà che tanto aveva bramato.
Si era offerto lui di accompagnare Eragon ai Monti Beor, vero, ma non dai Varden. Avrebbero dovuto dividersi ma il fato aveva voluto che gli Urgali gli impedissero di fuggire. Ma era comunque colpa di Eragon. Se non si fosse trovato vicino a Gil’ead…lui e Brom! Non era neanche figlio di Morzan, Eragon!
Si lasciò sfuggire un ringhio e diede un calcio ad una pietra che fece spaventare dei soldati che erano lì vicino.
- Che avete da guardare?! Tornare a lavoro – gli urlò prima di andarsene e passo veloce verso la radura dove se ne stava acciambellato Castigo. Era divenuto più grosso di Saphira, ma ancora non raggiungeva le dimensioni di Shruikan.
Qualcosa non va?
Chiese il drago rosso mentre Murtagh si sedeva accanto a lui, appoggiando la schiena sul suo ventre squamoso.
- Tutto. Tutto non va.
Allora non mi pare che ci sia niente di diverso dal solito.
Murtagh sospirò, passandosi una mano sul viso. La voce del drago era calma e atona, come se non stesse pensando a niente. Ma Murtagh poteva sentire l’ansia che attanagliava il drago, come se qualcosa l affliggesse.
Secondo te perché Shiel ci ha portato proprio l’Eldunarì di Morzan? Insomma, ne siamo già colmi. In più, non avevo idea che il drago di mio padre si fosse separato dal suo cuore dei cuori.
Lo domanderemo a Galbatorix quando torneremo ad Uru’bean.
Questo è ovvio.

Murtagh odiava il re, perché gli era entrato nella mente e lo aveva costretto a giurare fedeltà nell’antica lingua servendosi di Castigo, ma poteva fidarsi di lui. Era sempre stato onesto e non vedeva alcun motivo per il quale avrebbe dovuto nascondergli il motivo dell’Eldunarì di suo padre.
Sarei curioso di scoprire il nome del drago di mio padre.
Sul serio?
Si, o almeno credo. Per una strana ragione ci è impossibile ricordare i nomi dei draghi dei Tredici Rinnegati, ma se lo hanno fatto non deve essere per forza perché si vergognano a ricordarli, no?
Chissà. Può anche darsi semplicemente che i draghi non accettino che la gente li veneri pronunciando i loro nomi.
Murtagh parve rimuginare qualche istante, per poi lasciare andare un sospiro e stendersi maggiormente, le braccia dietro la testa.
- Pensi che sia stata in parte colpa di Elvin se siamo riusciti a fuggire? – non era la prima volta che ripensava alla ragazza dopo la sua fuga dai Varden. Quando le truppe del re avevano attaccato i Varden e lui era riuscito a liberarsi, lei non c’era, così come mancavano Roran e Eragon. Si era domandato dove potesse essere, ma da una parte era felice non fosse lì. Non sapeva spiegarsi bene perché, ma ne era felice.
Però era stata lei ad insistere perché non gli dessero più droga e che smettessero di torturarlo, quindi in parte, era responsabile.
Si domandò se non l’avessero punita per questo.
È carina.
Murtagh fu preso alla sprovvista e si voltò verso il drago che lo guardava con l’occhio color cremisi, rotto solamente dalla sottile pupilla che lo divideva a metà.
Il Cavaliere sbuffò rimettendosi diritto e incrociando le braccia.
Si.
E ti piace.
Murtagh si voltò di nuovo ma stavolta alzandosi, mettendo le mani suoi fianchi.
No!
E invece si, ti si legge in faccia. Comunque c’ho parlato. È animata da buoni propositi.

- È semplicemente troppo ingenua. Fosse un tantino più intelligente se la darebbe immediatamente a gambe.
Mi ricorda qualcuno. Murtagh scoccò un’occhiataccia a Castigo, e poi con un gesto di non curanza si allontanò, nuovamente diretto verso l’accampamento. Doveva parlare col Generale riguardo il prossimo attacco ai Varden.
Era stanco di ripetere la stessa storia tutti i giorni e non poteva permettersi altre perdite benché i suoi soldati non provassero dolore. Alla fine, morivano comunque. E poi lui si annoiava.
Si diresse verso la tenda principale rallentando il passo più che si avvicinava ad essa. La voglia di parlare con quel grassone non lo allettava affatto. Ma quando entrò si ritrovò il cadavere dell’uomo cadere ai propri piedi, e una Shiel sorridente di fronte a sé, con un coltello insanguinato in mano.
- Scusa, mi dava sui nervi.
La ragazza mise via il pugnale dopo averlo ripulito col mantello di una delle guardie che era lì vicino, la quale non mosse un dito o pronunciò alcuna sillaba, per paura di finire come il suo ufficiale.
Murtagh rimase qualche istante sull’entrata poi si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Fece cenno alle guardie di portarlo via. – Castigo sarà ben lieto di cibarsene –
Non gli piaceva quando il drago mangiava esseri umani, gli faceva senso pensare che un suo simile fosse nella pancia del drago, ma Castigo diceva che gli uomini erano saporiti e poi non considerava quel generale al suo livello.
Si lasciò le guardie alle spalle e si avvicinò al tavolo che stava al centro della tenda, laddove Shiel fissava una cartina del Surda.
- Pensavo fossi ad Uru’bean
- Il re mi ha spedita qua - rispose lei secca. Sembrava irritata per qualcosa e ciò incuriosì maggiormente il Cavaliere.
- E come mai? Non gradisce più la tua presenza? – chiese lanciandole un sorriso di sfida.
Shiel si voltò verso di lui spazientita e si trovò costretta a raccontargli l’accaduto. Murtagh era e rimaneva comunque un suo superiore.
- E che ci faceva Eragon a Uru’bean?
- Non lo sappiamo e questo impensierisce il re
La differenza fra lui e Shiel era che la ragazza aveva deciso di seguire il re di sua spontanea volontà. Quando era stato portato da Galbatorix dai gemelli lei ne era già al servizio, ma non gli aveva mai voluto dire il perché si fosse schierata dalla sua. Oh Dio, uccideva per divertimento e beveva sangue umano quando era una bestia, ma da lì a gettarsi fra le braccia del re.
Murtagh si chiese se non ci consumasse anche.
- Comunque non deve preoccuparti. Per ora pensa a sconfiggere i Varden qua e a portare Eragon al re.
- Hanno gli elfi.
Shiel si spazientì di nuovo e lo guardo con aria annoiata. – Secondo te perché ti ho dato l’Eldunarì di tuo padre?
Murtagh si accigliò un attimo – Era ciò che mi chiedevo.
- E allora falle le domande.
La ragazza aggirò il tavolo e tirò fuori un pesante libro da una delle sue bisacce da viaggio, poi ordinò alle guardie di uscire e disse a Murtagh di evocare un incantesimo perché nessuno sentisse. Una volta fatto, lo posò delicatamente sul tavolo di legno, che traballò sotto il suo peso. La bestia sorrise beffarda prima di aprirlo e passare le dita sulla carta vecchia.
- Cos’è? – chiese Murtagh avvicinandosi piano.
- Un vecchio libro riguardo l’Antica Lingua e tutte le magie al mondo sconosciute. – Shiel parve soddisfatta dello sguardo spaesato del Cavaliere, e quando questi allungò una mano per toccarlo lei gliela scacciò indietro con una spintarella, scuotendo il capo.
Murtagh si ritrasse, ma non poteva fare a meno di provare stizza nei suoi confronti. Se quella era magia sconosciuta allora doveva essere potente, e non poteva reprimere un moto di interesse. Si domandò se anche il re ne fosse a conoscenza.
Shiel parve aver trovato ciò che cercava. Iniziò a leggere con voce atona: - Eldunarì, plurale Eldunarya. Il Cuore dei Cuori. Esso è parte stessa dei draghi e al quale il drago può dividersi, riversandovi la sua coscienza; in questo modo il drago può continuare a vivere anche dopo la morte della carne. Il processo è irreversibile: un drago che si è distaccato dal suo Cuore dei Cuori non potrà mai più riassorbirlo, e se nel corso del tempo le sue conoscenze accresceranno, non potrà più unirle al suo Eldunarì. Più un Eldunarì è grande più il drago che lo possedeva era anziano. Gli Eldunarya assumono la forma di una gemma dello stesso colore delle scaglie del drago, e possono aiutare chiunque essi vogliano attraverso l’energia trasmessa.
Murtagh spostò il peso da un piede all’altro. Queste cose le sapeva già e non capiva perché Shiel dovesse leggergliele invece che spiegargliele con mezzi termini. Aveva sempre odiato quando la gente girava attorno al succo della cosa.
Ma Shiel non parve avere intenzione di smettere.
- A lungo i draghi si sono rifiutati di rilasciare la loro essenza nei Cuori dei Cuori, pur al momento della loro morte. Ma da quando sono nati i Cavalieri dei Draghi, sono diventati più accondiscendi. Murtagh stava quasi per fermarla quando Shiel arrivò al cuore della questione. Le sue parole riverberarono come un tamburo all’interno del petto del Cavaliere e col pensiero andò istintivamente all’Eldunarì che teneva sotto la branda, nella sua tenda, e per un istante ebbe la voglia di distruggerlo.
- Ma una cosa non tutti sanno. Se fra gli Eldunarya scorre un legame di sangue, la forza scaturita sarà maggiore e ben superiore a tutti gli altri Cuori dei Cuori. Semplicemente: se un padre dona al figlio il Cuore dei Cuori del suo drago, allora il figlio avrà una forza maggiore che di venti Eldunarya messi insieme. – Shiel richiuse il libro mentre alzava lo sguardo su Murtagh, sempre più confuso e sbigottito al tempo stesso. – Ecco perché Galbatorix aveva tanta fretta di consegnartelo.
Murtagh scosse la testa allontanandosi dal tavolo e poggiando le mani sui fianchi. Poi voltandosi verso la donna, domandò: - Ma non poteva darmelo prima? Ne ha a milioni possibile non sapesse di quello di mio padre?
Shiel rimise il libro dentro la bisaccia avvicinandosi a Murtagh, arrivando ad un palmo dal suo viso.
- Pensi che Galbatorix ti avrebbe dato tanto potere se non fosse stato sicuro di potersi fidare di te?
- Avevo giurato nell’Antica Lingua
- Non era il momento adatto
Murtagh parve esitare, ma poi si decise a parlare. Dopotutto era lei che doveva temere lui, non il contrario: - E cosa aspettava? La mia testa sulla forca?
Prima che se ne potesse accorgere Murtagh si ritrovò il pugnale di Shiel poggiato alla gola, con questa che gli sorrideva; i canini che spuntavano bianchi dalle labbra. – Ti conviene stare attento a come parli. Sono la sua serva più fedele.
La bestia ritrasse la sua arma e la rimise alla cintola allontanandosi dal Cavaliere che non aveva mosso un muscolo. Era vero, lei era la sua serva più fidata.
Murtagh abbassò lo sguardo e si fissò il Gedwëy Ignasia che luccicava sul palmo della sua mano.
- Quindi ho il potere di venti Eldunarya?
- Il numero è un’idea. Ne hai di molti di più
- Non credevo che mio padre fosse disposto a far staccare il suo drago dal suo Cuore dei Cuori – pronunciò, più a se stesso che a lei. Conosceva Morzan per il periodo che era rimasto vivo, fino a poco dopo la sua ferita alla schiena, ma sapeva che era un uomo talmente avaro e sfiduciato che non avrebbe permesso a nessuno di tenere l’Eldunarì del suo drago. Inoltre era possessivo, e l’aveva dimostrato anche con Selena. No, non avrebbe permesso neanche al suo drago di dividersene, anche a costo di andare contro la sua volontà.
- E’ stato costretto da Galbatorix – la risposta arrivò come un pugno nello stomaco a Murtagh che si voltò verso Shiel. La ragazza sorrideva – Morzan era potente vero, ma sottostava comunque a Galbatorix. Sapeva che se non avesse ubbidito ai suoi ordini il re lo avrebbe ucciso.
Murtagh abbassò lo sguardo. Quindi in parte anche suo padre era una vittima del re. Pur sapendolo, non riusciva a provare pietà per lui. Gli aveva rovinato la vita, fin da quando aveva dato il primo respiro.
Shiel continuò – Il potere che puoi esercitare con quell’Eldunarì è smisurato, ma se non lo sai usare, allora ti prosciugherà tutte le energie, lasciando di te solamente un guscio vuoto – parve fermarsi il tempo necessario perché Murtagh sentì la risposta giungergli alle orecchie – e così del tuo drago.
Gli parve che Castigo lanciasse un grido, ma probabilmente era solo un’impressione. L’aria tetra che tirava, scomparve improvvisamente.
Shiel tornò luminosa e tranquilla come sempre. Una copertura, Murtagh lo sapeva, ma una copertura che la rendeva più carina di sicuro.
La scostò il velo della tenda, voltandosi verso di lui – Oggi è tardi, ma domani all’alba inizieremo il tuo addestramento all'arte dell’Eldunarì. Ti farò sapere dove. Buona notte. – detto questo uscì.
Murtagh rimase fermo per qualche istante prima di lasciarsi cadere pesantemente su uno scranno lì vicino, la mano che grattava il mento. Doveva radersi.
Mandò la testa indietro e fissò il soffitto della tenda, tenuto su da quattro corde fisse.
L’Eldunarì del drago di mio padre. Non fosse per l’incantesimo che impedisce di conoscerne il nome, potrei anche parlare con lui.
Si alzò dopo poco uscendo e chiudendo gli occhi alla luce del sole. Non era notte ma intuiva che se Shiel gli aveva parlato così, voleva dire che non si sarebbe visti fino al giorno dopo.
S’incamminò verso la radura dove stava Castigo ma non ce lo trovo, così provò a contattarlo con la mente.
Dove sei?
A caccia.
Avresti dovuto avvertirmi.
Paura che mi capiti qualcosa?
No, ma i Varden potrebbero credere un attacco.
Castigo ridacchiò.
Cosa c’è? Domandò Murtagh, visibilmente infastidito dalla risposta del drago.
Vedo Elvin.
Elvin? Dove?
Al lago. Uh, è nuda.
CASTIGO!
Il drago ridacchiò ancora alla reazione del Cavaliere, al quale le punte delle orecchie erano divenute rosse. Non mi pare un commento da fare.
Oh, nono.
Murtagh sciolse il contatto col drago sbuffando e andando nella sua tenda. Non riusciva a capire perché Castigo si comportasse così, e la cosa che gli dava fastidio, era l’immagine della ragazza che aveva fissa davanti agli occhi.



Il mancato ossigeno la costrinse ad emergere dall’acqua fredda del fiume, lasciandole goccioline lungo il viso e le spalle. Elvin si tirò i capelli all’indietro e sorrise al cielo azzurro, libero da ogni più piccolo strato di nuvola. Volse lo sguardo verso un pettirosso che si posava su un ramo e dava da mangiare un verme ai propri piccoli. Sorrise radiosa e s’immerse nuovamente, osservando le piante che si muovevano sinuose seguendo l’andatura del fluido.
Uscì quando si sentì rugosa e floscia e afferrò il mantello che aveva appoggiato sul masso lì vicino e attorcigliandoselo attorno al corpo, evitando di mostrare a chiunque passasse di lì le sue nudità.
Raccolse anche i sandali ma non li indossò, beandosi della tenera erba che le pizzicava le piane dei piedi. Sorrise nuovamente osservando i fiori che crescevano lungo il sentiero che portava all’accampamento Varden, oramai formato dai profondi solchi dei carri, sui quali stavano gli otri d’acqua da riempire.
Erano quelle piccole cose che ancora le facevano amare la vita, e alla quale ancora la tenevano aggrappata, perché se avesse pensato che in Alagaesia ci fossero solo guerre e morte, anche lei pian piano sarebbe scomparsa e appassita, come i petali dell’Helgrind.
Fece qualche passo per poi lasciarsi scivolare seduta sul masso, guardando l’orizzonte, il cielo, le montagne in lontananza, e il giallo offuscato del deserto di Hadarc. Non c’era mai stata, ma non aveva tutta questa voglia di rimediare.
Stava per alzarsi e andarsene quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Tenendosi sempre stretto il mantello all’altezza del seno si alzò mentre i tendini del corpo si irrigidivano e i sensi si acuivano. Si maledì per non aver portato il suo pugnale con sé.
Si guardò attorno in cerca di qualcosa con cui potersi difendere e afferrò un bastone lì vicino. Lo tenne stretto lungo il fianco, lo sguardo che saltava da un punto all’altro della piccola foresta che la circondava. Non vedeva niente, eppure era sicura di aver sentito un rumore di passi.
Poi qualcosa comparve alla sua vita. Si trovava sulla riva opposta del fiume, dietro un albero, e sembrava guardarla, il cappuccio calato sul volto; l’unica cosa che riluceva erano i capelli d’oro che ricadevano morbidi sul corpo dell’individuo. Elvin si irrigidì maggiormente e nascose dietro di sé il bastone, il cuore che batteva a mille. Era sola e con un’arma innocua, e per di più chiunque quello fosse, poteva benissimo saper usare la magia, mentre lei…
La figura parve muoversi e Elvin indietreggiò istintivamente. Non sarebbe scappata, avrebbe fatto peggio che meglio, ma si teneva pronta ad urlare semmai ce ne fosse stato bisogno: Eragon sarebbe accorso subito, e con lui Saphira. Non le passò nemmeno nella mente che potesse essere una trappola per loro; dopotutto la tregua con Murtagh era finita, e potevano aspettarsi di tutto, ma in quel momento Elvin pensava solo a salvare la pelle. Era uno dei suoi difetti maggiori non riuscire a pensare in quelle situazioni e solo col tempo avrebbe imparato a vincerle.
Quando però l’individuo uscì completamente dalla foresta Elvin rimase stupita. Non era un servo di Galbatorix, o almeno così non le sembrò, chiunque poteva esserlo, con qualsiasi fattezza e forma, ma una donna, una donna dai capelli d’oro ricurva su se stessa che camminava zoppicando. Al lato della cinta portava una grossa spada che doveva pesarle molto a vedere come pendeva il corpo, e il mantello verde le copriva volto e abito, tranne l’ultimo pezzo, da dove spuntava un vestito bianco completamente sporco di fango e di qualcos’altro che Elvin non riuscì a riconoscere. Ai piedi portava dei semplici stivali corrosi dal tempo.
La ragazza allentò la presa sul bastone ma la riprese subito, pentendosi di quell’attimo di esitazione. Poteva risultarle fatale.
La donna si avvicinò pian piano e iniziò a immergersi nell’acqua, Elvin scattò in avanti – No aspettate! In mezzo è profonda! – ma si ritirò subito: la donna pareva non affondare. Strinsi più convulsamente la mano sul legno, sentendo le notte sbiancare. E’ una strega. Come temevo. Si tenne pronta ad urlare e a raggiungere Eragon col pensiero.
La donna ricominciò a camminare e raggiunse la sponda opposta mentre Elvin era indietreggiata di almeno dieci passi. Rimase a distanza alzando il bastone davanti a sé.
La donna alzò appena il volto e i boccoli d’oro ondeggiarono. Un sorriso parve comparirgli sul volto. – Non devi avere paura. Non ti farò del male.
Elvin si lasciò sfuggire un sussurro al suono della voce della donna. Non era rauco o basso come la ragazza se l’era aspettato, bensì acuto ma profondo allo stesso tempo, con una nota di acqua cristallina che si infrange leggera sul ghiaccio di sottofondo. Elvin rimase qualche istante come incantata, poi si riprese – E come faccio a fidarmi?
La donna parve ridere, ma di una risata dolce e comprensiva, come quella di una madre per il figlio che pone una domanda ingenua – Hai ragione – e quando parlò Elvin rimase nuovamente rapita dalla sua voce – Ma di me puoi fidarti. Non ho ragione per farti del male, né devi temere che io sia una spia di Galbatorix. Non ho motivo per stare al suo fianco.
La donna sembrava sincera, ma Elvin aveva comunque paura ad abbassare la guardia. Così piantò bene i piedi a terra e alzando il viso, parlò: - Le tue parole possono essere bugie. Di questi tempi chiunque potrebbe mentire per un secondo scopo.
La donna sospirò e alzò le braccia: - Come vuoi che ti convinca?
Eh, bella domanda, Elvin non aveva idea di come potersi fidare. Avrebbe potuto farsi dare la spada, ma se come aveva visto era davvero una strega, sarebbe stato inutile. Cercò qualcosa in fretta, ma quando non trovò niente, la donna la superò: - Vedi? A volte non è male fidarsi delle parole di qualcuno, anche se fai bene a dubitare di me. – detto questo tirò indietro il cappuccio e mostrò il suo volto. Era il volto di una giovane dagli occhi castani tendenti al verde, grandi, con una frangia che le copriva le sopracciglia diritte, ma con rughe profonde che ne segnavano l’età. Elvin si raddrizzò e lasciò cadere il braccio che reggeva il bastone, osservando la donna in viso. Sorrideva, ma negli occhi nascondeva anni di tristezza.
- Chi sei? – domandò infine, dopo averne studiati gli abiti logori e la pelle flaccida lungo il collo. Per quanti anni potesse avere, era magra e si portava bene; Elvin ne fu stupita e si convinse ancora di più che fosse una strega. Quale non sortilegio avrebbe potuto tenerla così bella pur avendo rughe così profonde?
La donna si lasciò sfuggire un altro sorriso, per poi rispondere con voce calma – E’ legittimo volerlo sapere. Ebbene, io sono Selena.
Elvin corrugò la fronte. Quel nome non le diceva niente, eppure sentiva come se fosse importante.
- Un nome non dice molto – si affrettò ad aggiungere.
- Hai ragione, ma mi dispiace non poterti dire di più adesso. Stavo comunque andando all’accampamento Varden, e ci arriverò anche senza che tu mi accompagni. – la sua voce non era insolente né sgarbata, solo decisa e sicura. Elvin ebbe come l’impressione che lo avrebbe fatto davvero.
Gettò via il bastone, raddrizzando le spalle – E va bene, ma un passo falso e ti uccido.
Selena annuì con un cenno del capo lasciando ondeggiare i boccoli biondi, per poi superarla e iniziare a camminare verso l’accampamento. Elvin iniziò a seguirla a distanza, osservando i suoi movimenti. Sebbene fosse vecchia, possedeva ancora una certa eleganza. Elvin si chiese chi fosse veramente e perché non poteva svelarle ora la sua vera identità. Doveva essere importante, e si ritrovò a sperare in un aiuto per i Varden.
Camminarono in silenzio finché non furono in vista dell’accampamento, allora Elvin si fece più attenta, quando Selena si fermò, lasciandola passare avanti. Elvin notò Eragon e Saphira all’interno padiglione rosso che prima era appartenuta a Nasuada, lasciata aperta con una corda. La ragazza soppesò l’idea di portare Selena subito da Eragon, ma in quelle condizioni non era presentabile. Si voltò per dirle di aspettarla ma si fermò quando vide l’espressione dipinta sul volto della donna: stupore, meraviglia, uno sguardo di puro affetto. Ne seguì lo sguardo e notò che si soffermava all’interno della tenda. Approfittandosene si mosse svelta e andò a cambiarsi, tornando poco dopo con una semplice tonaca viola scuro; ancora risiedeva il lutto per Nasuada nell’accampamento. Si avvicinò a Selena e le fece cenno di seguirla. La donna non se lo fece ripetere.
Arrivarono di fronte al padiglione e Elvin tossì due volte, quando finalmente tutti si voltarono. All’interno c’erano Eragon, Saphira, che faceva capolino da sotto la tenda, il Du Vrangr Gata, Jormondur, Arya e Orik, che teneva saldo il martello nelle due mani. Solo dopo Elvin notò Roran nell’angolo, in silenzio.
La ragazza si spostò facendo passare Selena, che si fermò a contemplare Eragon con occhi rapiti, cosa che lo mise alquanto in soggezione.
Elvin la indicò con una mano – Lei dice di chiamarsi…
- Selena! – si voltarono tutti verso Arya, la quale aveva fatto un passo avanti sbalordita.
Eragon si voltò in fretta verso la madre, a bocca aperta. La donna gli ricambiò un sorriso, annuendo alle parole di Arya.
Non è possibile. Eragon sembrava aver perso le parole, le quali gli si impastavano ogni volta che cercava di aprire bocca ed emettere un suono.
Lo è, io la vedo. Saphira sembrava l’unica a dare poca importanza alla cosa, per lei quella donna non significava niente.
Selena represse le lacrime per poi avvicinarsi a Eragon e stringerlo in un forte abbraccio, ma fu fermata da Arya, che si intromise fra i due. Sia Eragon che la madre ne parvero sorpresi.
- Tu eri morta. Come facciamo a sapere se non sei un inganno di Galbatorix?
Eragon si sentì stupido a non averci pensato prima, mentre Elvin annuiva dietro Selena. Ci aveva pensato, ma aveva deciso di affidarsi al giudizio di Arya: lei non sbagliava mai. Almeno così la mortale la vedeva.
Selena fece un passo indietro, visibilmente dispiaciuta di non aver potuto abbracciare il figlio, poi annuì e recitò nell’antica lingua: - Eka weohnata nèiat haina ono, Arya Drőttningu –
A Eragon scappò un sorriso. Non si poteva mentire nell’Antica Lingua.
Anche Arya parve soddisfatta, ma non osò muoversi prima di dire: – E’ un onore rivederti. La tua presenza qui denota molti interrogativi, ma spero di poter essere al tuo fianco questa volta, e non come nemici. – detto questo si spostò con un lieve inchino. Gli altri stavano a debita distanza. Solo Roran si era avvicinato, stupito quanto Eragon. Quest’ultimo, che aveva capito a cosa si era riferita Arya (la Mano Nera di Morzan), guardò suo madre, senza riuscire a nascondere un sorriso di felicità. Quante volte aveva sognato di poterla incontrare, a Teirm quando aveva parlato con Angela e aveva saputo che anche lei si era fatta predire il futuro, un futuro talmente oscuro da lasciarla scossa nel profondo dell’animo. Quante volte l’aveva sognata, cercando di ricavarne un ritratto fedele seguendone le descrizioni arrivategli. Ma ora che l’aveva davanti, si accorgeva che era tutto meno che quello che si era immaginato, fatta eccezione per lo sguardo premuroso che aveva sempre desiderato di ricevere.
- Sei proprio tu? – domandò quasi con le lacrime agli occhi.
La donna annuì e l’abbracciò stretto, lasciandosi andare ai singhiozzi – Ho pregato tanto per te.
Eragon non sapeva cosa dire, e per i restanti minuti nei quali tutti si allontanarono lasciandoli soli, non riuscì a pensare ad altro che: Selena.





* Eka weohnata nèiat haina ono, Drőttningu = Non ti farò del male, Principessa Arya.


Ok, anche questo capitolo è andato ^^ Lo pensavo da tanto e finalmente sono riuscita a finirlo. Ho sempre paura a descrivere Murtagh e spero sempre di non renderlo troppo…semplice visto che è il mio personaggio preferito ^^’ Ma penso sia così per tutti.
Grazie a chi segue!! Spero vi sia piaciuta la comparsa di Selena, così come me la sono immaginata io per questa storia.
Alla prossima!
  
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