NdA:
Sono già
qui! Yeeeah :D
Non pensavate eh? Stavolta sono stata veloce! Volevo postare prima
della mia partenza per la Germania jkfwef **
Vi avevo avvertite, è moooolto lungo! Potrebbero esserci
vari errori sparsi perché non ho trovato tempo per
correggerlo,
ho pensato di betare tutta la storia una volta conclusa
ù__ù
Mh, è molto fluff come capitolo, per questo a me piace LOL
Spero piaccia anche a voi!
Lasciate qualche recensione però, battete un colpo se ci
siete!
Anna
Ps: mi farebbe piacere se leggeste anche queste: Pieces e Not enough. :)
Capitolo XVII
Era
passata già una settimana dall’uscita con Bill e
dall’incontro con mia madre, da allora non ero più
riuscita a vederlo spesso in
quanto lui era impegnato con la riabilitazione delle voce e quando era
libero
toccava a me avere le terapie oppure avere lezioni; questa
“lontananza” indotta
era servita solamente a farmi capire quanto presa fossi dal cantante,
infatti
ogni cellula del mio corpo percepiva l’incessante bisogno di
lui, di una sua
carezza, della sua risata. Come spiegare ciò? Ah, amore.
Sbuffai scuotendo la testa, Bill Kaulitz monopolizzava i miei pensieri
leggermente troppo, e quella sera non era diverso visto che dovevo
recarmi da
lui per passare del tempo insieme, poiché il giorno
successivo non saremo
riusciti a incontrarci e lui si era ricordato del mio compleanno e
voleva
festeggiare; non aveva più fatto parola riguardante a una
festa o possibili
regali e ciò non poteva che farmi piacere.
Sistemai la maglietta che avevo scelto di indossare e mi recai per
un’ultima
controllata in bagno, quando sentì bussare; invitai ad
entrare mollando un urlo
e scoprì che l’ospite era la mia amica Julia.
-Buonasera quasi maggiorenne!- salutò piazzandosi sul mio
letto.
-Buonasera anche a te rompipalle- ricambiai uscendo pronta e
lanciandole
un’occhiata di sbieco.
-Come siamo accoglienti- sbuffò mentre io scossi le spalle;
-Senti, io i
prossimi due giorni non ci sono perché ho
un’uscita a Colonia con il gruppo- si
interruppe per fare una faccia disgustata, -E quindi non possiamo
festeggiare
il tuo compleanno domani, perciò ho pensato di autoinvitarmi
stasera; so che
hai un incontro con Bill però.. potete vedervi comunque
domani sera, magari per
meno tempo.. mentre con me no- si incupì.
-Julia.. non posso dar buca al mio ragazzo.. insomma..- cominciai
tentennante,
mentre il suo viso assumeva sempre un cipiglio più triste e
gli angoli della
bocca si piegavano inevitabilmente all’ingiù. Ogni
parola il suo sguardo
diventava più vacuo e offuscato, lo faceva apposta quella
ragazza!
-Oh ma cosa te ne esci con facce del genere? Mi vuoi far sentire in
colpa?-
esclamai.
-N-No..- rispose piano.
Maledissi l’avere una coscienza e poca resistenza alle moine,
infatti mi
arresi.
-Ah bene! Avverti Bill io corro a prendere il tuo regalo!- aveva
ripreso subito
vita però, la presi a parolacce mentalmente e presi il
telefono per chiamare il
nero.
-Pronto?-
-Ehi piccola, cos’è quel tono abbattuto?- colse
subito la sfumatura depressa
della mia voce.
-Julia si è praticamente stanziata in camera mia quindi
stasera non riesco a
venire da te- sospirai.
-Oh.. possiamo rimandare a domani- disse lui, lasciandomi un
po’ perplessa,
sembrava poco dispiaciuto. Sentì dei rumori di sottofondo
che lui coprì
mettendo una mano sulla cornetta, riuscì però a
percepire parlasse con
qualcuno.
-Bill, ci sei? Bill?- domandai sentendomi stupida.
-Si scusa, era arrivata l’infermiera a portare gli
asciugamani puliti- scusa
poco plausibile.
-Mh..-
-Ora devo andare, sono parecchio stanco. Ti chiamo domani mattina- fece
sbrigativo, -divertiti- e mise giù.
Rimasi a fissare il telefono sbigottita finché Julia non
irruppe in camera con
il fiatone, circa cinque minuti dopo.
-Scusa, ho fatto una corsa- non si vedeva, aveva solamente le guance
paonazze e
il respiro corto.
-Non serviva corressi così eh, come mai ci hai messo tanto?-
-Non ricordavo dove avevo messo il pacchetto- non mi guardò
negli occhi.
–Comunque eccolo qui!- mise davanti ai miei occhi una
bellissima confezione
regalo.
-E io non ricordavo d’averti chiesto di farmi un regalo-
sbuffai.
-Mi pare il minimo, no?- mi guardò di sottecchi, -Insomma,
sei la mia unica
amica e mi dispiaceva non farti qualcosa-
s’imbarazzò facendomi sorridere.
-Oh vieni qui!- allargai le braccia e mi raggiunse sul letto,
abbracciandomi.
-Vedo che con il passare degli anni diventi più affettuosa-
mi prese in giro.
-Ah, sto morendo dal ridere, vedi?- affermai con faccia seria e
sopracciglio
alzato.
-Che palla sei! Comunque, che si fa?- domandò.
-Sei tu quella che si è invitata qui, dovresti averle tu le
idee, io potrei
andarmene a dormire-
-Aspetta- frugò nella sua borsa. –Ho portato un
film, guardiamo questo? Così si
fa mezzanotte- scossi le spalle e accettai solamente dopo aver
costatato non
era romantico ma una commedia, almeno mi risollevavo l’umore!
Inserì il dvd e fece partire il film, io intanto vagavo con
i miei pensieri.
Bill mi era sembrato strano, distante.. e la cosa m’aveva
spaventato non poco,
cosa nascondeva?
Perché aveva chiuso la chiamata così velocemente?
Perché aveva mentito quando avevo sentito i rumori nella
stanza?
Le immagini scorrevano mentre la mia testa si riempiva di paranoie
assurde.
-Mel, sento le tue rotelle girare da qua, tutto okay?- mi
scoprì Julia,
fissandomi negli occhi curiosa.
-Non so neanche io- scossi le spalle, -Bill staserà mi
è sembrato strano, come
se volesse evitarmi- la sua faccia cambiò espressione,
sbigottita.
-Sarà stata una tua impressione, forse era solo stanco- mi
rassicurò con voce
dolce, -Non devi farti castelli solo perché si è
rivelato sbrigativo, okay?-
Annuì.
-Ecco, e ora aspetta..- guardò l’orologio, -undici
e cinquantasei, direi che
puoi aprire il regalo!- mi porse la confezione entusiasta.
La presi e scartai lentamente la carta regalo e riversai il contenuto
sul
letto, arrossendo.
Dovevo immaginare un regalo di questo tipo da lei, un completo intimo
nero con
del pizzo ai bordi, sentì le mie guance imporporarsi.
-Ma ti imbarazzi per così poco?- scoppiò a ridere.
-Piantala- farfugliai. Lo rigirai, era molto carino anche se non del
mio
genere.
-Dai provalo, poi ti do l’altro- mi incitò.
-Un altro? E io che non volevo spendessi soldi per me- sbuffai,
arrendendomi e
entrando in bagno.
Indossai mutande e reggiseno guardandomi allo specchio; facevo la mia
figura in
effetti, il nero contrastava con la mia pelle dal colorito cadaverico e
il
completo metteva in evidenza le mie forme non molto pronunciate, anche
a causa
della mia magrezza.
-Fatti vedere su!- mi esortò Julia, eseguì
imbarazzatissima.
Uscì e mi squadro dalla testa ai piedi, contribuendo solo a
peggiorare la
situazione.
-Ma dove tenevi nascoste quelle tette?- ridacchiò, -Ti sta
benissimo! Ora tieni
quello, voglio che scarti subito l’altro regalo!-
Farfugliai qualcosa di indistinto, mi rivestì il fretta e
presi l’altro
pacchetto, uscito dalla borsa. Lo aprì lentamente e mi venne
spontaneo
sorridere guardando il contenuto: una t-shirt lunga e azzurra, con una
scritta
stampata in nero, la quale diceva:
“Muse of the dark Superstar”
Mi
sorprese l’uso dell’articolo determinativo,
però infondo
era corretto, ero la “musa” del cantante dark, Bill
Kaulitz.
-Julia ma è stupenda! Grazie mille! Solo tu puoi farmi un
regalo del genere!-
scoppiammo a ridere.
-Sono contenta ti piaccia, volevo farti qualcosa di personale- fece
l’occhiolino, gettando un’altra occhiata
all’orologio.
Mezzanotte.
Mi travolse in un abbraccio inaspettato, tanto da farci cadere sul
materasso e
scatenare un’altra ondata di riso.
-Tanti auguri Mel! Sei maggiorenne! Piccole donne crescono- fece con
aria
tragicamente nostalgica.
-Grazie mille! Eh sì, come passa il tempo!- tirai fuori la
lingua e sbadigliai.
-Si vede l’età eh, già sonno? Beh
meglio dormire, domani ti… cioè mi aspetta
una lunga giornata- si corresse e la guardai stranita, senza darci
però più di
tanto peso.
-Meglio, sono esausta!-
Dopo esserci messe in pigiama e coricate sotto le lenzuola mi portai le
cuffie
dell’ipod alle orecchie, cercando una canzone che mi facesse
da ninna nanna.
“Unsere
Träume waren gelogen
Und keine Träne
echt.
Sag das das nicht wahr ist,
Sag’s mir jetzt.
Vielleicht hörst
du irgendwo,
Mein SOS im Radio!
Hörst du mich? Hörst
du mich nicht?”
Cullata
dalle dolci note e melodiosa voce di Bill in “Rette
mich”
chiusi gli occhi e feci trasportare nel mondo dei sogni di Morfeo.
Sentì
il mio corpo riprendere leggermente contatto con la
realtà, seppur fossi ancora in dormiveglia. Nella stanza
percepivo del
movimento e capì che Julia s’era già
alzata e stava parlando piano con qualcuno
di cui non capì l’identità, in quanto
ancora intorpidita dal sonno.
-Adesso la sveglio- la sentì dire e poi mi sentì
scuotere e chiamare.
-Mh, Julia non rompere le palle e lasciami dormire- sbuffai.
-Cosa? Dormire
ancora? È quasi
mezzogiorno e fra due minuti devo partire, ero passata a salutarti.. ma
se non
vuoi-
Con tutte le forze che avevo in corpo lottai e riuscì a
tirarmi su, cercando di
focalizzare l’ambiente, la mattina ci mettevo un
po’ a connettere.
Passato un minuto a fissare il vuoto lanciai uno sguardo alla sveglia e
istintivamente guardai male la mia amica.
-Quasi mezzogiorno? Non sono neanche le otto!- esclamai inorridita.
-Ops, scherzetto! È per una buona causa, capirai!- fece
l’occhiolino, sparendo
fuori dalla porta e lasciandomi imbambolata.
-Buongiorno Prinzessin- drizzai in piedi sentendo la voce provenire dal
corridoio e vedendo Bill entrare e avvicinarsi al mio letto.
Bum, bum. Il mio cuore perse
un battito per poi sobbalzare sempre più veloce.
-Buongiorno..- mormorai, imbarazzata, chissà
com’ero messa.. –Cosa ci fai qui?-
chiesi stupita.
-E’ il mio regalo di compleanno. Vestiti e poi ti dico tutto-
generalmente le
sorprese non mi piacevano, ma fatte da lui.. la storia era diversa.
Andai
subito in bagno e indossai le prime cose che trovai, jeans e maglia
tanto per
cambiare, neanche cinque minuti dopo ero di nuovo in sua compagnia.
-Curiosa eh?- ridacchiò.
-Sì- mugugnai.
-Prendi una borsa e metti dentro cellulare, caricabatterie, ipod,
macchina
fotografica, la tua agenda.. cose così, su dobbiamo
sbrigarci!-
Feci ciò che m’aveva chiesto, ancora piuttosto
confusa e in attesa di
spiegazioni.
-Ecco, adesso usciamo che gli altri tre dei Tokio Hotel vogliono farti
gli
auguri-
Prese la mia mano e
subito sentì il
sangue salire sulle guance e un calore innaturale avvolgermi, come
sempre la
sua presenza non mi faceva restare indifferente; mi condusse
nell’atrio, dove i
tre mi aspettavano decisamente assonnati.
-Ragazzi, buongiorno!- salutai, -Mi dispiace che qualcuno- sottolineai
l’ultima
parola, -che qualcuno vi abbia costretto ad alzarvi presto solo per
farmi gli
auguri!-
-Figurati Mel, una volta ogni tanto possiamo fare uno strappo alla
regola!-
rispose Georg sporgendosi verso di me per augurarmi buon compleanno,
seguito da
Gustav.
-Diciotto anni eh? Vedi di andare dall’estetista il prima
possibile, noto già
qualche ruga attorno agli occhi- osservò ovviamente Tom.
-Ah, come siamo gentili- sbuffai.
-Dai, vieni qui piccola rompiscatole conquistatrice di fratelli
altrettanto
rompipalle!- mi sorprese abbracciandomi e notai che, una volta
staccatosi,
lasciò qualcosa dentro la mia borsa, facendo
l’occhiolino.
-Questi sono i nostri regali comunque- intervenne il batterista,
-Abbiamo
saputo tardi del tuo compleanno, ti avremmo fatto qualcosa di meglio
sennò!-
aggiunse imbarazzato.
-Non dovevate fare proprio nulla invece- sbuffai, guadagnandomi una
brutta
occhiata da tutti.
-Okay, okay sto zitta!- risi, mentre mi porgevano due pacchetti.
Scartai il primo e ridacchiai guardando il contenuto: una maglia di un
gruppo
tedesco a caso, Tokio Hotel.
Il secondo conteneva una borsa a tracolla, sempre dello stesso gruppo.
-Oh che bei regali! Come facevate a sapere che mi piace questo gruppo?-
domandai sorridente.
-Piacciono a tutti, soprattutto perché il chitarrista
è un gran bel ragazzo!-
Esclamò Tom.
-Invece mi dicono sia perché in cantante è
bellissimo..- ribatté Bill.
-Io trovo siano tutti carini invece!-
Lo pensavo davvero, la band oltre ad essere formata da quattro talenti,
era
formata da quattro ragazzi, uno più bello
dell’altro. Erano particolari,
diversi tra loro ma formavano un miscuglio omogeneo quando suonavano,
il mio
ragazzo m’aveva più volte spiegato a quante
critiche erano sottoposti ogni
giorno per la parte estetica, anche quanto ciò gli desse
fastidio poiché non
era quello che andava valutato, bensì la musica. Soggetti a
giudizi parecchio
superficiali, talvolta addirittura cattivi e distruttivi.
E ciò era servito solamente a renderli più forti,
delle persone migliori.
-Grazie Mel, se non ci fossi tu come faremmo io e il povero Georg?-
intervenne
Gustav sorridendo allegro, era di una pacatezza incredibile, posato e
timido.
Tuttavia era il batterista, lui dava il ritmo a tutto, era energia pura
nonostante l’apparenza ingannasse.
-Figurati, è quello che penso- feci l’occhiolino.
-Si, bando alle ciance adesso! È ora di andare, vieni
principessa- ci
interruppe Bill porgendomi la mano e trascinandomi via da lì.
-Cos’è tutta quest’irruenza?- domandai
interrogativa, stupita dalla sua
frettolosità.
-Mh, abbiamo un aereo da prendere- rispose semplicemente lui, mentre io
spalancavo la bocca incredula, facendolo ridere.
-Un cosa?-
-Aereo, presente quel coso grande, con un motore che lo fa volare? Due
ali,
ruote, eccetera?- mi prese in giro.
-Ah, come sei simpatico! Hai mangiato pane e sarcasmo stamattina per
colazione?- lo ammonì.
-In realtà devo ancora fare colazione, la faremo una volta
arrivati lì-
-E, tanto per sapere sai, visto che non ho valigie ne altro,
lì dove sarebbe?-
troppo misterioso per i miei gusti.
-Non te lo dico, è una sorpresa!- mi fece una linguaccia,
-non preoccuparti per
le valigie, per organizzare tutto ho chiesto il permesso a tua madre e
le ha
preparate lei con l’aiuto di Julia- confessò.
In quel momento desiderai essere senza bagagli, un brivido mi percorse
la
schiena, l’idea di mia madre e della mia amica che
complottavano per scegliermi
i vestiti mi spaventava e non poco, quelle due insieme erano qualcosa
di
pericoloso, basta pensare a i completi intimi che m’avevano
regalato! Me
l’avrebbero pagata, certo.
-Posso denunciarti per rapimento se non me lo dici- esclamai
soddisfatta.
-Invece no, non è un rapimento in piena regola. I tuoi
genitori sanno dove sei,
hai il cellulare, soldi per scappare e io non ti farei mai
del male. Ho parlato anche con i medici, e hanno detto che
puoi
venire. Non ti piace proprio l’idea di passare del tempo con
me?- mormorò
mentre il suo sorriso spariva trasformandosi in un delizioso broncio.
Odiavo quando faceva così, perché con
quell’espressione era impossibile non
cedere, era impossibile non correre da lui e consolarlo.
Chissà quanto si era allenato per riuscirci, alla fine aveva
un’arma micidiale
dalla sua parte.
Perché esistevano persone così perfette? Da
quando lo conoscevo me l’ero
domandato tante, parecchie, troppe volte.
-Non mi piace l’idea, io amo l’idea,
adoro passare tempo con te. Solamente.. sono stupita e curiosa- risposi
mordendomi il braccio, mentre salivamo nella macchina guidata dal
fedele Saki.
-Solitamente, come avrai capito, sono una persona parecchio logorroica
che
fatica a tenersi le cose per sé, ma stavolta non riuscirai
ad ottenere nemmeno
un indizio. Capirai dopo siamo diretti una volta arrivati, anche
perché non
saliremo sull’aereo di linea, ma su quello privato della
band, e ho detto al
guidatore di non accennare alla destinazione. Non ti preoccupare
comunque,
restiamo in Germania-
-Sei uno stronzo- sbuffai, mentre mi guardava offeso, -un adorabile
stronzo-
aggiunsi ridacchiando.
-Vieni qui piccola- prese il mio braccio e mi trascinò
addosso a lui; -so che
hai dormito poco stanotte, anche colpa mia. Come avrai capito ho
organizzato io
l’irruzione di Julia nella tua camera, per questo ti evitavo,
mi spiace abbia
pensato male. Perciò riposa pure-
Mi parlò con tono dolce, accompagnandosi con gesti teneri
prese le mie gambe e
le allungò sul sedile, mentre accarezzò la mia
testa posata sulle sue cosce.
L’abitacolo si riempì delle melodiose note di
“In die Nacht” e, accompagnata
dal movimento ritmico della sua mano sul mio viso, mi lasciai cadere
addormentata.
Sentivo
dei rumori vicino a me e dei movimenti, ma ero
troppo intontita per identificare ciò che stava succedendo.
-Ehi piccola, siamo arrivati- il respiro di Bill mi arrivò
caldo sull’orecchio,
riempendomi di calore e costringendomi ad aprire gli occhi.
-Dobbiamo prendere l’aereo?- mugugnai strofinandomi gli occhi
con le mani, mi
sentivo parecchio intontita. Bill scoppiò a ridere e lo
guardai confusa.
-Che c’è?- domandai stranita.
-Guardati meglio attorno- suggerì.
Di malavoglia mi tirai su dal sedile e sussultai notando non eravamo
più in
macchina, bensì in un piccolo elicottero che stava per
atterrare.
-Come..?- mormorai confusa.
-Dormivi proprio profondamente e non me la sono sentito di svegliarti,
così
Saki mi ha aiutato e ti abbiamo portato dalla macchina direttamente qua
e tu
non ti sei mossa, sonno da recuperare eh? Adesso siamo quasi a terra-
sorrise
con affetto.
Venni colpita dalla consapevolezza di essere a parecchi metri da terra
e cominciai
a tremare, viaggiare ad alta quota mi spaventava sempre, avevo paura
dell’altezza, nonostante mi vergognassi ad ammetterlo.
-Ehi, calmati, non c’è nulla da temere- mi
rassicurò Bill intuendo il motivo
del mio cambiamento d’umore e stringendomi repentinamente a
sé, mi concentrai
sui battiti irregolari del suo cuore e alla fine mi tranquillizzai.
L’aereo planò e finalmente i miei piedi toccarono
terra. Ad aspettarci c’era
l’altra guardia del corpo, Tobi.
-Le valigie sono già in auto- mi informò,
-portaci all’hotel grazie- sorrise al
bodyguard.
Guardai distrattamente attorno, alla ricerca di qualche indizio che
mostrasse
dove eravamo atterrati, peccato che la pista fosse deserta e desolata,
senza
alcuna indicazione.
-Smettila di squadrare il paesaggio, fra poco capirai tutto-
anticipò ogni mia
domanda, io sbuffai.
Salimmo nuovamente il macchina ma stavolta il viaggio fu più
breve, Bill mi
tenne praticamente in braccio, sempre con lo sguardo fisso sul mio.
Avevo
capito era una tattica per non farmi capire dove ci trovavamo, ma come
diversivo mi piaceva parecchio.
-Eccoci- annunciò l’uomo.
Ci trattenemmo nella vettura ancora un po’, il tempo per far
uscire le valigie
e consegnarle a qualcuno a me sconosciuto, poi finalmente il cantante
si decise
ad aprire la porta.
Spalancai gli occhi davanti all’albergo scelto per il
soggiorno. Niente di meno
che il Ritz di Berlino, trasudava lusso e ricchezza da ogni parte.
Era una struttura imponente, esclusiva, per uomini d’affari e
personaggi
famosi. Gente esclusiva quindi.
-Tu sei pazzo. Non puoi aver prenotato una camera al Ritz- mormorai
ancora
stupita. Notai come mi era uscita spontaneo dire ‘una
camera’ e non due..
-Non l’ho fatto- lo guardai stranita, -Ho prenotato la suite
imperiale- mi
sorrise angelico.
-Ma cosa? Bill ma quanto ti costa, non te lo permetto!- affermai.
-Senti, sono una persona che ama fare shopping e neanche ti immagini
quanti
soldi riesca a fare fuori in una giornata. Ora pensa da quanto sono in
clinica,
ecco.. in questo tempo non ho fatto un minimo di shopping, quindi ho
risparmiato e questo mi sembra un ottimo modo per spendere i miei
soldi. Per
stare con te, quindi rassegnati, ormai è tutto fatto-
parlò sempre con quel
sorriso insopportabilmente bellissimo stampato in faccia.
-Perché sei così cocciuto Kaulitz?- sospirai
sconfitta.
-Oggi compi diciotto anni, è il minimo che posso fare per la
ragazza di cui
sono innamorato- spiegò con una semplicità
disarmante e non me la sentì di
ribattere, lo guardai commossa baciandolo leggermente. Mi meritavo un
ragazzo
così?
-Vuoi rimanere a consumare l’hotel con lo sguardo o
entriamo?-
Senza aspettare che rispondessi mi prese per mano e mi
trascinò all’interno,
non potei che ammirare la bellezza dell’interno, chiedendomi
cosa mi dovessi
aspettare dalla camera.
-Saliamo in camera, è tutto lì- salimmo in
ascensore silenziosamente.
-Oh..- incalzò poi lui, -ho preso una camera soltanto, non
voglio tu possa
pensare male!- arrossì gesticolando velocemente, facendomi
ridere, -le suite
hanno sempre due letti matrimoniali e due bagni, perciò non
farti idee
sbagliate- farfugliò imbarazzato.
L’idea di stare nella stessa stanza con Bill per
più di una notte mi piaceva
parecchio e non avrei mai pensato male, perché lui non era..
Tom.
Mi fidavo di lui, tanto.
Mi fidavo di lui però, anche per fare il passo successivo?
Per concedere ciò
che mai avevo concesso a nessuno?
Non mi ero posta il problema (?), non erano mai capitate situazioni
ambigue. La
risposta a quella domanda però arrivò in fretta,
contemporaneamente dal cuore e
dal cervello: sì.
Perché non avrei dovuto in fondo? Lo amavo! E poi
era una di quelle cose
che comparivano nella lista “cose da fare prima di
morire”.
-Non ti preoccupare Bill- lo tranquillizzai vedendolo terribilmente
imbarazzato, faceva una tenerezza infinita.
Ricambiò sorridendo e aprì la porta della camera.
“Dio mio!” fu
quello che pensai come
primo impatto. Era tutto.. enorme. Di fronte a noi c’era un
piccolo salotto con
un divano in pelle e una televisione a schermo piatto,
dall’altro lato una
piccola cucino con piano bar, un corridoio conduceva alle due camera,
una di
fronte all’altra, con accanto i bagni. La ispezionai
attentamente, lasciando
qualche esclamazione sorpresa di fronte al letto a baldacchino,
l’armadio
immenso, l’altro televisore in camera da letto, la mega vasca
da bagno nella
toilette, c’era perfino un pianoforte in soggiorno! Era tutto
perfetto.
-Ti piace?- domandò il mio ragazzo facendomi sobbalzare, mi
ero fermata in
contemplazione dell’ambiente.
-Se mi piace? È.. oddio non ho parole!- il suo viso si
contrasse in
un’espressione soddisfatta.
-Non so che altro dire se non.. grazie Bill- lo guardai con tutto
l’amore
possibile e non resistetti oltre, lo baciai con foga.
Ci staccammo per la mancanza d’ossigeno, io imbarazzata lui
sorpreso e
divertito.
-Dovrò organizzare sorprese così se le reazioni
tue saranno.. queste- strizzò
l’occhio.
Le mie guance si tinsero di rosso e lui me le accarezzò con
dolcezza, facendomi
andare in estasi.
-E’ troppo tardi per la colazione ormai. Ordino direttamente
il pranzo in
camera-
Annuì incapace d’aggiungere altro.
-Ma, quando partiamo per tornare a casa allora?- domandai dopo un poco.
-Dopodomani, la mattina- mi informò. Quindi due notti da
passare assieme..
-Se vuoi puoi disfare la valigia o comunque farti un bagno, tutte le
cose sono
di fianco all’armadio. Io ho bisogno di una rinfrescata, mi
stanco sempre a
viaggiare- seguì il suo consiglio e mi recai a vedere cosa
avevano messo in
valigia. La prima cosa che mi saltò all’occhio
furono i completi intimi
regalati da mia madre, il regalo di Julia l’avevo ancora
addosso. C’erano varie
magliette, tutte abbastanza carine, jeans stretti e un paio di leggins,
avevo
pensato peggio, non c’erano tacchi neanche vestiti. Sospirai
di sollievo.
Prelevai un paio di jeans, la maglietta – sempre regalo della
mia amica – e
presi l’occorrente per fare un bel bagno. Riempì
tutta la vasca e mi ci infilai
lentamente all’interno, sentendo ogni fibra del mio corpo
rilassarsi a contatto
col tepore dell’acqua e il profumo del bagnoschiuma alla
fragola. Ero in
estasi. Mi strofinai lentamente, pensando a ciò che aveva
fatto Bill per me,
mai nessuno aveva fatto un gesto così.
Mi venne l’istinto di scrivere qualcosa, purtroppo
però non avevo carta e penna
dietro, perciò mi rilassai e la mia testa fu invasa da una
melodia dolce al
piano. Mi tornava in mente ogni tanto, l’avevo iniziata a
scrivere prima di
entrare in clinica, qualcosa di semplice ma bello, poi non ero
più andata
avanti, per lo meno non l’avevo più provata,
perché capitava le note mi
risuonassero in testa e ne aggiungevo altre, col tempo.
L’arrivo del cantante nella mia vita m’aveva ridato
l’ispirazione.
Cominciavo a sentire freddo, segno fossi stata troppo immersa
nell’acqua – e
nei miei pensieri – perciò uscì e mi
rivestì velocemente, uscendo dal bagno con
un sorriso radioso.
Il moro era seduto sul letto che si spazzolava i capelli neri, ancora
umidi.
Indossava una maglia rossa e dei jeans neri. Probabilmente era anche
lui
soprappensiero perché non si accorse del mio arrivo e
sobbalzò non appena gli
presi la spazzola di mano e iniziai a passargliela io.
Lo vidi chiudere gli occhi, mentre il viso assumeva una piega angelica.
-Profumi di fragola- mugugnò sorridendo.
-E tu di menta e vaniglia- ridacchiai, posando le mie labbra sul collo
e
posandovi un leggero bacio.
Rimanemmo nuovamente in silenzio, non so quanto andai avanti a
spazzolare, mi
piaceva vedere il suo viso completamente rilassato e avvolto da
quell’aurea
dolce. Fummo interrotti dall’arrivo del pranzo.
Il cameriere posò due piatti di spaghetti al pomodoro
accompagnati da purè e
sentì l’acquolina in bocca. Anche Bill pareva
affamato come me, infatti ci
fiondammo entrambi sui piatti e spazzolammo tutto velocemente.
-Che buono, non so da quanto non mangiavo qualcosa di così
buono..- mugugnò
soddisfatto.
-Concordo, sento potrei cominciare a rotolare da un momento
all’altro-
concordai.
Notai che mi squadrò, prima non aveva prestato particolare
attenzione al mio
abbigliamento, poi si soffermò sulla maglietta.
-“Muse of the dark Superstar”-
lesse
trattenendo un sorriso.
-Regalo di Julia- spiegai.
-Trovo sia.. azzeccato sai? La mia musa Melpomene-
Un calore improvviso scaturì dal mio cuore e
sentì il risveglio degli elefanti
nel mio stomaco, altro che farfalle!
-E tu la mia superstar- lo abbracciai.
-Sei perfetta, lo sai?- sussurrò contro la mia fronte.
-Tu, forse. Insieme siamo la coppia più imperfetta che
esista- soffiai sul suo
collo, vedendo piccoli brividi percorrere la sua pelle.
-Non credo. Dobbiamo.. solo sistemare i nostri pezzi insieme, puoi dire
tutto
quello che vuoi.. ma io la vedo così, noi siamo una cosa
sola, come lo yin e lo
yang- mi strinse ancora più forte a sé, sentivo i
nostri cuori martellare allo
stesso ritmo.
Se fosse stato per me, mai mi sarei staccata da quel contatto, anzi!
Purtroppo
però il telefono si mise a squillare proprio in quel momento
e fummo costretti
ad allontanarsi, di malavoglia.
-Io devo fare alcune commissioni, ci metterò un
po’- mi informò congedandosi con
un bacio.
Io andai a recuperare il cellulare, la chiamata era di mia madre.
-Pronto Mel? Tanti auguri, di nuovo! Buon compleanno piccolina, oh non
sei più
piccola ora! Sei maggiorenne-
-Giorno mamma! Non ti commuovere- salutai di buon umore.
-Oh, sei allegra! Deduco la sorpresa ti sia piaciuta- la
sentì ridacchiare
attraverso la cornetta.
-Tanto- sussurrai fra le nuvole.
-Sei proprio innamorata! E anche Bill lo è, si capisce.
È un bravo ragazzo, già
lo sapevo ma adesso che ho confabulato con lui per organizzare la tua
sorpresa
posso solo riconfermare i miei pensieri-
-E’.. Bill è semplicemente perfetto- sorrisi,
anche se non poteva vedermi.
-Allora dimmi, tutto bene fino ad ora?-
-Di più, tutto benissimo! Penso il mio cuore
scoppierà d’amore prima o poi, lui
è così dolce.. mi chiedo come può
esistere una persona del genere!-
-Esiste e tu ne hai la prova, e sei fortunata perché
l’hai incontrato, tienilo
stretto, nonostante tutto!- mi ammonì.
-Si, si..- lasciai cadere il discorso.
-Ora ti lascio, poi voglio sapere tutto del viaggio eh!- disse allusiva.
-E quel tono cos’è?- imbarazzo, tanto imbarazzo.
-Nulla!- ridacchiò buttando giù il telefono.
Era impazzita, si comportava come una ragazzina! Però ero
contenta di aver
recuperato una parte del rapporto che avevo con lei.
Altra cosa per cui ringraziare Bill.
Ecco, ora che era uscito senza dirmi dove si recava mi trovavo libera e
senza
sapere cosa fare. Gironzolai un po’ e mi soffermai sul
pianoforte; era una
tentazione vederlo lì, da quanto non accarezzavo quei tasti
d’avorio? Da quanto
non mi lasciavo cullare dalla musica che usciva dalle mie stesse dita
leggere?
Come in trance mi sedetti sullo sgabello e, chiudendo gli occhi,
iniziai a
suonare melodie casuali.
Non so per quanto andai avanti, mi fermai quando le mie mani
cominciarono a
suonare le note che avevo in testa da un po’ autonomamente,
mi concentrai e
cercai di mettere insieme una composizione decente.
Non fu difficile, tutto usciva da sé, senza pensare, dal
cuore.
Tre minuti e cinquanta secondi dopo quelle note che da un po’
aleggiavano nella
mia mente erano state trascritte nel libretto con i pentagrammi che
portavo
sempre dietro, nonostante lo aggiornassi.. molto raramente.
Soddisfatta lasciai il pianoforte a causa del mio stomaco che reclamava
cibo,
frugai un po’ qua e la e recuperai un pacchetto di patatine
che finì in poco
tempo.
Due
ore dopo e Bill non era ancora tornato, mi stavo
decisamente annoiando. Avevo esaurito le cose da fare,
perciò optai per
ascoltare un po’ di musica: presi l’ipod e, nel
momento in cui l’estrassi dalla
borsa, mi ricordai che Tom v’aveva infilato qualcosa la
mattina. Frugai alla
ricerca del pacchettino e lo estrassi con cautela, era una confezione
piccola e
rettangolare, scartai delicatamente dall’involucro e ne
estrassi una bellissima
moleskine con un elegante stilografica. La accarezzai in venerazione,
era
semplicemente meraviglioso! Aprì la prima pagina e notai la
dedica del gemello.
“Mh, appena l’ho vista ho pensato a te!
Questo è anche per chiedere nuovamente scusa (non far
leggere a nessuno questo,
grazie!)
per come mi sono comportato all’inizio.. mi sono ricreduto su
di te,
anche perché da quando sei entrata nella vita di Bill lui
non smette un attimo
di sorridere,
era da tanto che non lo vedevo così felice (:
Quindi boh! Tutto qua, sai.. sì.
Mi raccomando, che questo rimanga fra noi, altrimenti posso dire addio
alla mia
reputazione da duro!!
Tanti auguri Mel,
TomsostitutodelsolenonchéSexGottKaulitz”
Un
sorriso ampio si fece spazio sul mio volto, quel ragazzo
era una sorpresa continua! Lo stavo scoprendo giorno dopo giorno ed ero
felice
avesse ritirato la maschera da duro con me, avevo capito che oltre allo
stronzo
c’era una persona dolce, anche se faticava a venir fuori.
Pensai a qualcosa da scrivere per inaugurare la prima pagina bianca
– seconda
considerando la dedica del chitarrista.
“L’anno scorso festeggiavo i miei
diciassette
anni.. sola.
Quest’anno è cambiato tutto.
Ho diciotto
anni e non li sento.
E so di chi è la colpa, sempre sua, sempre e comunque di
Bill Kaulitz.
Riesce a farmi sentire una ragazzina, un suo sorriso manda il tilt il
mio
già precario sistema nervoso, fatico a elaborare frasi
sensate in sua presenza.
Ma.. mi va anche bene. Sono spensierata quando sono con lui,
mi dimentico della malattia, tanto mi fa sentire bene.
Perché ha quegli occhi che mi fanno traballare
l’anima,
scavano dentro, leggono. Sciolgono, parlano. Amano.
Oh ragazzo, che mi hai fatto? Mi hai ammaliata.
Grazie Bill, ti amo, sai? Sei la mia superstar. Sei..
No, non vale la pena cercare altri aggettivi per descrivere,
sarebbe inutile. Ancora da inventare qualcosa per etichettare
l’effetto che hai
su di me.
Afrodisiaco. Curativo. Fuoco che arde e fa sciogliere ogni atomo nel
mio corpo.
Per sempre sacro.
Rimisi
l’agendina in borsa e con aria trasognata andai verso
il terrazzo, per ammirare il panorama, non l’avevo ancora
fatto prima.
I pensieri si fossilizzarono per un istante. Davanti a me si presentava
un
bellissimo paesaggio, Berlino e
la vita
frenetica, palazzi che si elevavano al cielo, macchine rinchiuse nel
traffico.
Ero affascinata da ciò, tanto che non mi accorsi della
presenza del mio ragazzo
finché non mi raggiunse da dietro e mi strinse la vita in un
dolce abbraccio.
Sospirai, mentre sentì le sue labbra poggiarsi vicino alle
mie orecchie.
Sentivo il suo cuore battere sulla mia schiena, prese un respiro e
cominciò a
cantare una melodia a me ancora sconosciuta.
“Ich halt
mich wach - für dich
Wir schaffens nicht beide - Du weisst es nicht
Ich geb mich jetzt für Dich auf
Mein letzter Wille hilft Dir raus
bevor das Meer unter mir - zerbricht
Ich glaub an Dich
Du wirst für mich immer
heilig sein“
Appena
riconobbi la canzone il
mio cuore prese a galoppare freneticamente, impazzito.
Una cosa era udire la sua voce attraverso delle cuffie, una cosa era
percepire
quella canzone cantata con tanto amore direttamente di fronte a me,
ogni parola
colpiva e graffiava l’anima, ogni parola lasciava una traccia
indelebile su di
me. Ogni singola sillaba era cantata con amore.
Mi sembrava d’essere in apnea, talmente immersa nelle
emozioni che lui mi
causava faticavo a ricordarmi come si respirava.
„Ich sterb
- für unsere Unsterblichkeit
Meine Hand - von Anfang an
über Dir - Ich glaub an Dich
Du wirst für mich - immer heilig sein“
Cominciai
a tremare mentre le
parole si imprimevano come marcate a fuoco nel mio cervello e nel mio
cuore.
Chissà se capiva che effetto destabilizzante avesse quella
canzone su di me, la
sua voce su di me.
„Meine
Hand - von Anfang an
über Dir - Ich glaub an Dich
Du wirst für mich - immer heilig sein“
Soffiò
le ultime parole
dolcemente mentre ero sopraffatta da tutte le emozioni che era riuscito
a darmi
in soli tre minuti di canzone.
Neanche mi ero accorta di piangere finché non
sentì il sapore amaro delle
lacrime sulle mie labbra e fui scossa da singhiozzi. Bill mi
girò prontamente e
rifugiai la testa sul suo petto, sentì chiaramente il suo
cuore battere
velocemente come il mio.
-Ehi, che c’è?- sussurrò dolcemente,
cullandomi.
-E’.. tu.. oh! Dio, non riesco neanche a esprimere quanto..-
sbuffai
esasperata, esprimendomi come riuscivo.
Presi il suo viso confuso fra le mani, lo fissai negli occhi cercando
di far
capire cosa provavo e lo baciai dolcemente.
-Sei meraviglioso, Bill- gli accarezzai le labbra con la lingua,
assaporandone
il sapore.
-Devo ancora darti il regalo, sai?- mi guardò colmo
d’affetto e.. felicità.
-Sei pazzo, regalo? E questo cosa sarebbe scusa?- domandai
esterrefatta,
indicando la camera d’hotel.
-Ti pare che per i diciotto anni non ti faccia un altro.. pensierino?-
inarcò
un sopracciglio.
Il tono con cui disse “pensierino”
mi
fece sussultare, chissà cosa intendeva lui con il
diminutivo.
Cercò qualcosa dalla tasca e tirò fuori una
piccola confezione accuratamente incartata,
lunga, sottile e rettangolare.
-Spero ti piaccia- disse con tono timido, porgendomela insicuro. Amavo
anche
quel lato del suo carattere, il fatto che, nonostante tutto, non si
fosse
montato la testa e fosse rimasto quel ragazzo che si imbarazzava e non
affrontava il mondo con strafottenza solo perché aveva i
soldi.
Con le mani ancora tremanti presi in mano l’oggetto e lo
scartai attentamente.
Spalancai gli occhi, incredula: sulla confezione era stampato con
calligrafia
elegante il nome “Tiffany & Co”. La
aprì e fui subito attratta da una
catenina fine e raffinata d’oro bianco, poi la mia attenzione
si spostò sul
ciondolo, che era in realtà un anello – stile
fedina. Lo presi tra le mani
rigirandolo, notai poi una parola iscritta all’interno
“Heilige Muse” – musa
sacra. Nuovamente i miei occhi si riempirono di lacrime. Lo porsi a
Bill
affinché me lo legasse al collo e lo sistemo sul mio collo
pallido, chiudendo
il laccetto.
-Nessuno ha mai fatto questo per me, nessuno- mormorai piano, cercando
di ricacciare
dietro le lacrime. –Grazie- aggiunsi.
-Sono contento ti piaccia- mi sorrise accarezzandomi il volto e
spazzando via
le lacrime.
Si piegò su di me e mi baciò a lungo, mentre mi
beavo della sua vicinanza.
-Ora basta piagnistei, non vorrai mica avere gli occhi gonfi stasera?-
domandò
ammiccando.
-Perché? Che facciamo stasera?-
-Sorpresa! Vediamo, hai un’ora per sistemarti, poi andiamo
fuori a cena e
vedrai! I vestiti te li ho messi prima in camera, a dopo!- ultimo bacio
e sparì
nella sua stanza, lasciandomi lì sola.
Sbuffai recandomi verso il mio letto, notandovi sopra due borse.
Segnale
d’allarme! Sbirciai nella prima e tirai fuori un vestito,
osservandolo critica.
Era blu scuro, di seta, arrivava poco sopra al ginocchio, stretto in
vita e
largo sul fondo, senza spalline con una fascia nera brillante stretta
sul seno.
Per quanto non amassi i vestiti, dovetti ammettere a me stessa che
quell’abito
era semplicemente stupendo, senza troppi sfarzi sembrava fatto su
misura per me. Lo
accarezzai sentendone la morbidezza.
Passai poi al pacchetto a fianco. Sicuramente scarpe, scossi la testa
non
appena lessi la marca: jimmy choo. Aprì la confezione e
estrassi un paio di
decolleté nere, con un tacco di almeno dieci centimetri.
Come avrei fatto a
camminarci? Sentivo già salire il panico perciò
optai per un’altra immersione
nella vasca, così da rilassarmi. Riempì di
bagnoschiuma alla fragola, tanto
amato dal cantante e mi ci immersi completamente, mentre ogni fibra del
mio
corpo si distendeva. Ne uscì una mezz’ora dopo,
rinfrescata e tranquilla: stavo
combattendo la leucemia, dovevo avere paura dei tacchi?
Passai alla preparazione per la serata, immaginai il luogo in cui
dovevamo
recarci fosse lussuoso, visto l’abbigliamento scelto. Guardai
cosa mi avevano
messo mamma e Julia nella valigia e estrassi il beauty, tirai fuori uno
smalto
blu scuro e lo passai accuratamente sulle unghie. Aspettai che si
asciugasse e
mi dedicai al make-up, non ero molto pratica ma la mia amica
m’aveva insegnato
qualcosa. Estrassi una trousse non mia e guardai le graduazioni di
colori,
cercando qualcosa di appropriato. Scelsi e cominciai ad applicare
l’ombretto
bianco perlato su tutta la palpebra, poi lo sfumai sul grigio e sul
marrone.
Aggiunsi cautamente una linea di eye-liner nero sopra
l’occhio e applicai della
matita bianca sotto, infine misi del mascara sempre scuro. Completata
l’opera
quasi non credevo ai miei occhi: ero davvero riuscita a truccarmi da
sola, così
bene? Avevo scelto il make-up giusto, l’azzurro degli occhi
era particolarmente
evidente e risaltava benissimo. Sorrisi soddisfatta di me. Tornai in
camera e
indossai il completo intimo sempre regalo di Julia e il vestito. Cadeva
perfettamente lungo il mio corpo, evidenziando le curve non molto
pronunciate e
valorizzando la mia magrezza – anche eccessiva –e
le gambe lunghe, slanciate
ancor di più da quei tacchi. Come ultimo tocco misi un
berretto nero in testa e
mi fissai allo specchio, rimanendo sbigottita dall’immagine
che rifletteva: una
Mel più bella, radiosa come non mai. Ero davvero io? Sorrisi
e recuperai un
cappotto lungo dalla valigia – chissà da dove
spuntava visto che non
apparteneva al mio armadio – e uscì pronta. Bill
era già in salone che mi
attendeva, mi concessi di osservarlo bene prima di farmi vedere.
Stranamente indossava un maglioncino nero con scollo profondo a v,
smalto alle
unghie e parecchi braccialetti a contornare le braccia magre. Portava
un paio
di pantaloni stretti e strappati, un paio di scarpe da ginnastica in
tinta.
Aveva i capelli lisci sulle spalle, sopra gli occhi uno strato leggero
di
matita nera.
Bill Kaulitz quella sera – come sempre anzi – era
l’emblema della bellezza.
Non lo si poteva etichettare come “figo”,
perché non lo era. Meraviglioso,
quello sì. Sentì uno strano calore propagarsi per
tutto il mio corpo, desiderio?
Fingendo sicurezza mi avvicinai a lui e, non appena mi vide, si
illuminò.
-Sei bellissima- commentò prendendomi fra le braccia.
-Non ho aggettivo per descrivere te, invece- sorrisi.
-Sei pronta?- domandò. Lo fissai negli occhi, di fronte a
uno sguardo del
genere mi trovavo inerme. Annuì, chissà cosa
aveva in serbo per me.
Tobi
ci aveva lasciati davanti
a un ristorante nella periferia berlinese, con l’ordine di
passare due ore
dopo, avevamo cenato in tranquillità ed ora mi trovavo
all’esterno per
rispondere alla telefonata di Julia.
-Allora Mel, voglio sapere tutto quello che c’è da
sapere!- esordì non appena
ebbi accettato la chiamata.
-Tipo?- di sicuro non era successo niente di quello che si aspettava, purtroppo – aggiunse una vocina
dentro
di me.
-Com’è il Ritz? Probabilmente non ci
entrerò mai io- sbuffò, -Se non per farci
le pulizie-
-Ma dai piantala! Cosa vuoi che ti dica? È
l’albergo più lussuoso che abbia mai
visto! La camera è stupenda, praticamente è un
appartamento!-
-Ma.. come vi siete sistemati per.. la notte?- domandò
maliziosamente.
-Ci sono due letti matrimoniali- la informai, rendendomi conto del tono
usato: amareggiato.
-Oh e allora? Nessuno dice che dobbiate usarli entrambi!-
esclamò ovvia.
-Senti, io non sono esperta di queste cose! Come dovrebbe succedere
scusa? Mi
infilo nel suo letto mentre dorme?- replicai con sarcasmo.
-Semplicemente gli dici vorresti dormire accanto a lui, dormire!
Poi se deve succedere succederà, non sono cose che si
programmano!-
-Non sono sicura, è.. la prima volta per me, non so come ci
si comporta..-
ammisi imbarazzata.
-Siete innamorati, non ho mai visto nessuno come voi due, e Bill
sarà
rispettoso nei tuoi confronti, sai che non ti costringerà
mai a fare niente- mi
rassicurò.
-Ma.. io.. voglio lui. Sono solamente spaventata- confessai mentre le
guance
andavano a fuoco.
-Ah! Allora è diverso, quindi sei pronta- costatò
con tono affettuoso, -Niente
paura, ti assicurò che sarà tutto perfetto-
-…Possiamo cambiare argomento per favore?- implorai.
-Va bene capitano! Piaciuto il vestito?-
-Sì, stasera mi sento bellissima, non mi succedeva da tanto.
E poi anche Bill
ha apprezzato- sorrisi ripensando a come mi aveva guardato ammaliato
non appena
avevo tolto il cappotto al ristorante.
-Immaginavo!- ridacchiò, -La cena com’è
andata? Piccioncini- mi prese in giro.
-Bene! Sembravamo una coppia normale, passare del tempo con lui mi
piace
sempre, mi diverto e mi fa sentire bene, inoltre non ci sono momenti di
imbarazzo o di silenzio, l’amore- sospirai felice.
-Sono contenta per te!-
-Ora vado, Bill mi sta aspettando in macchina, chissà dove
si va ora! A presto,
ti voglio bene!-
-Anche io Mel, buon divertimento!-
Chiusi la chiamata e raggiunsi il mio ragazzo, dispiaciuta
d’averlo lasciato
solo per così tanto; aprì la portiera e lo trovai
intento a scrivere.
-Che scrivi?- domandai e lui sussultò colto alla sprovvista.
-La canzone, quella che non usciva.. ora sta uscendo- sorrise.
-Posso vedere?- annuì poco convinto passandomi il blocco.
“Bist du
irgenwo da draussen
Alleine mit dir
Hast dich irgendwo verlaufen
Und weisst nicht wofür
Ein Herzschlag
Den keiner Fühlt
Bist du irgendwo da draussen
Zu schwach um zu weinen
Vor allen Menschen
Wegglelaufen
Um einer zu sein
Ich seh dich
Schau durch die nacht
Zoom Dich zu mir
Ich Zoom mich zu dir
Wir werden scheinen
Weit weg von hier
Durch raum und zeit
Zoom dich zu mir „
-Che
testo stupendo- affermai
sinceramente, -posso sentire come sarebbe?- chiesi dolcemente.
-Ehm, non è ancora pronta, cioè.. ormai scritta
è scritta, ma non sono
convinto- mormorò afflitto, lo guardai incoraggiante e
intonò le parole
impresse su carta, che pian piano invasero l’aria.
Era una melodia calma, dolce. Mi tornò alla mente quella che
avevo composto il
pomeriggio, sembravano fatte per diventare un’unica cosa.
-E per la musica, cos’hai pensato?-
-Ecco il problema, le parole sono troppo delicate per accompagnarle
anche solo
con la chitarra classica- sbuffò.
-Io.. se vuoi posso aiutarti- pigolai timidamente, -Oggi mentre mancavi
ho
suonato un po’ col piano e ne è uscita una cosa
beh.. secondo me potrebbe star
bene con il testo, quando torniamo te la faccio sentire se vuoi-
sorrisi e lui
ricambiò entusiasta.
-Grazie mille, sei la mia salvezza, sai? Poi non vedo l’ora
di sentirti
suonare- mi accarezzò un braccio, prendendomi per mano.
-Eccoci qua, scendiamo- mi accompagnò fuori, non
riuscì a trattenere
un’esclamazione di felicità davanti
all’edificio: teatro.
-Ho chiesto consiglio a tua madre per questo, avevo un’idea
ma non ero sicuro
di cosa ti piacesse. Mathilda mi ha suggerito
l’”Aida”, quindi eccoci qui-
Non riuscivo a dire una parola, era una delle mie opere preferite.
L’avevo
vista a dieci anni insieme ai miei genitori e ne ero rimasta totalmente
affascinata,
una storia d’amore bella quanto tragica, dolce quanto amara.
-E’ la mia preferita, come faccio a ringraziare per tutto
questo?- mi strinsi a
lui.
-I tuoi occhi e il tuo sorriso ricambiano abbastanza, mi basta vederti
così
felice- mi baciò la testa, -ora andiamo!-
Bill
aveva pensato a tutto,
avevamo due bellissimi posti su un palchetto di fronte al palco, da cui
si
vedeva tutto benissimo e anche l’acustica era perfetta. Per
quanto amassi
quello spettacolo però, non riuscì a godermelo al
massimo. Qualcosa, anzi,
qualcuno mi distraeva.
Il cantante era seduto al mio fianco, la mano stretta nella mia e vi
tracciava
figure immaginarie, lo sguardo puntato al palchetto, occhi che
brillavano di
curiosità, bocca socchiusa.
Quella sera l’opera d’arte era lui, non
ciò che accadeva sopra a quel
palcoscenico. Era lui il mio spettacolo.
Una volta finito tutto ciò che m’era rimasto in
mente erano distratti e
frammentati pezzi dell’“Aida“, mentre
avevo fissato tutte le espressioni del moro.
-Piaciuto?- mi interrogò una volta fuori all’aria
aperta.
-Tanto, davvero.. interessante..- sorrisi, -a te?-
-Per quello che ho visto sì, non ero mai stato a teatro per
vedere cose così,
però mi sono distratto sempre.. a causa tua-
confessò e io arrossì subito,
facendolo ridacchiare.
-Viva la sincerità- commentai, scosse le spalle in risposta.
-Ora torniamo in albergo, non vedo l’ora di sentirti suonare!
Sei stanca?-
-No- risposi subito; nonostante la giornata non fosse stata delle
più leggere,
mi sentivo piena di energia come mai prima.
-Bene- mi strinse al suo fianco e mi tenne così per tutto il
viaggio, neanche
qualcuno mi portasse via! Tuttavia non protestai, mai l’avrei
fatto. Amavo
stare fra le sua braccia.
Silenziosamente raggiungemmo la camera, l’albergo era
silenzioso, quasi
inquietante. Tolsi il cappotto e mi posizionai di fronte al pianoforte,
con
Bill seduto accanto a me, con occhi brillanti.
-Spero.. vada bene- mormorai imbarazzata.
-Sono sicuro sarà così- mi rassicurò.
Ciò bastò a imprimermi sicurezza, lo
spartito era lì davanti ma le note le conoscevo
già. Chiusi gli occhi e feci
scivolare le dita sui tasti, mentre il cantante accanto a me ascoltava
attento.
Finì e non disse nulla.
-Non ti..- incalzai, ma mi bloccò.
-Suona ancora- chiese. Lo guardai stranita ma obbedì.
Ripresi a suonare quando sentì che, alle note, si aggiunse
la sua voce lieve.
Era fatta, andavano a pennello insieme. Come
noi..
Aprì gli occhi e mi voltai verso di lui, anche lui
mi fissava mentre
cantava.
Ero intrappolata dal suo sguardo, così caldo e pieno
d’amore.
„Ich seh dich
siehst du mich?“
Oh,
eccome se lo vedevo. Occhi
concentrati, bocca tremante, guance arrossate, la sua mano appoggiata
sul mio
affianco, il fiato che soffiava sul mio viso.. lo guardavo imprimendo nella
memoria ogni fotogramma del momento.
“Durch den
sturm
Durch die kälte der nacht
Und die ängste in dir
Weit weg von hier
Durch raum und zeit “
Attraverso
tutto, con lui.
Bella prospettiva, irrealizzabile ma bella. Sognare non costava nulla,
in
fondo. Cantava e i suoi occhi non lasciavano i miei. Si era impadronito
della
mia anima, del mio cuore.
„Zomm
dich zu mir“
Esalò
le ultime sillabe
avvicinandosi a me e bloccandomi in un bacio mozzafiato.
Le mie mani lasciarono subito il freddo dei tasti per circondargli le
spalle,
attaccati l’uno all’altro i cuori battevano in
sincrono.
-Questa canzone è un capolavoro, è diversa,
completa. È..- iniziò dolcemente
fra un bacio e l’altro.
-Questa canzone siamo io e te. È nostra. Siamo noi-
completai io mentre piano
mi alzava dallo sgabello per farmi aderire al suo corpo.
Un altro bacio, un altro ancora. Una carezza, e un’altra di
nuovo. Passava le
sua mani dal mio viso alla mia schiena, ritmicamente.
Io facevo lo stesso. Ci stavamo esplorando a vicenda. Ci stavamo
conoscendo.
Sentì il suo naso contro la mia guancia, lo avvicinai ancora
di più a me. Lo
volevo vicino. Lo volevo mio.
Sentivo caldo, i nostri respiri si fondevano, entrambi affannati.
-Prinzessin, cosa.. cosa stiamo facendo?- mormorò a fatica
contro la mia
fronte.
Presi la sua mano e la portai sul mio cuore, per fargli sentire come
batteva
forte grazie a lui.
-Non voglio farti male.. non voglio costringerti a fare niente- mi
fissò serio.
-E io voglio te- sussurrai mentre le mie guance prendevano calore. Ero
sicura,
lo desideravano come mai prima.
-Sei mia Melpomene- esalò a un millimetro dalla mie labbra
secche
dall’emozione.
-E tu sei mio, Bill Kaulitz-
Nessuno aggiunse altro, la lingua era impegnata in un’altra
attività, di tipo
ben differente.
Raggiungemmo il letto senza staccarsi se non per prendere aria.
Delicatamente
caddi sul materasso, seguita dal cantante. Si mise sopra di me e
piantò i suoi
occhi nocciola sui miei azzurri. Senza perdere il contatto mi alzai
verso di
lui e mi rituffai sulle sue labbra, sentendone già la
mancanza. Presi coraggio
e abbandonai la timidezza, misi le mani sotto la sua camicia
accarezzando
l’addome magro e sentendolo rabbrividire al mio tocco.
Lentamente il suo
maglioncino finì a terra. Cercai di non far vagare lo
sguardo sul suo petto
troppo a lungo, non volevo perdermi nel suo fisico quando il viso era
ancora
più bello. Fu il suo turno, passò le mani lungo
le mie spalle, accarezzandomi
poi le braccia e passando alle cosce lasciate scoperte dal vestito,
lentamente
abbassò la cerniera e andò a finire
anch’esso sul pavimento. Mi sentivo
accaldata, emozionata e allo stesso tempo spaventata. Mi trovavo in
intimo
davanti a un ragazzo e stavo per andare a fuoco, lui se ne accorse e
tornò a
succhiarmi le labbra con bramosia, mentre io impacciata toglievo di
mezzo i
pantaloni.
Pelle contro pelle, ogni centimetro di me che veniva a contatto con lui
ardeva,
piccole goccioline di sudore cadevano dalle nostre fronti.
Tornò a guardarmi
attento, attendendo il permesso per continuare. Come potevo fermarlo
quando lo
desideravo così fortemente? La mia risposta non si fece
attendere e tornai a
lambire le sue labbra. Ci spogliammo completamente, ero nuda davanti a
lui e
non solo fisicamente.
Gli stavo donando tutta me stessa. Anima, cuore e cervello erano
già suoi,
mancava il corpo.
Il giorno del mio diciottesimo compleanno si appropriò anche
di quello, fra
lenzuola di seta e sospiri affannosi, baci ardenti e carezze rubate.
Dolore? Un
attimo durò, fu sostituito dalla sensazione più
bella e travolgente che mai
avessi provato. Avevo fatto l’amore con il ragazzo che amavo,
l’avevo stretto,
assaporato. Respirato ciò che aleggiava nella camera in quel
momento, amore.