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Autore: Blue Drake    04/03/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 14

6-7 agosto 1963 - "Accadde una sera"

 

 

Caldo. A malapena riuscivo a respirare. Ammetto, però, che le mie difficoltà non erano legate unicamente alla canicola estiva di quell'anno. La sera precedente, avevo avuto un piccolo problema... OK, non tanto piccolo. In ogni caso, l'infausto risultato furono due costole incrinate ed una dozzina di punti sul fianco sinistro. Dopo aver trascorso gran parte della notte in ospedale, a farmi rattoppare - in modo anche piuttosto approssimativo - ed a desiderare ardentemente una stanza silenziosa, sopraffatto dal frastuono di decine di voci differenti, tutte incuranti del fastidio provocato ai degenti, finalmente all'alba - è proprio il caso di dirlo - delle 4 di mattina, ottenni il permesso - troppa grazia - di tornarmene a casa.

 

Derek, incredibilmente, si offrì perfino di accompagnarmici in auto. Ma, non appena accennò ad avvicinarsi troppo, gli ringhiai contro e me ne andai dalla parte opposta. La strada era lunga, ed io non ero esattamente nelle condizioni di affrettarmi. Per questo, ci misi quasi due ore, solamente per raggiungere il mio sospirato alloggio. Certo, avrei potuto accettare la sua offerta o, in alternativa, pagarmi un taxi che mi portasse a casa. Ma avevo bisogno di tempo - per capire - e di aria - anche se si trattava dello smog di Londra -

 

Alle 7:00 fissavo, nuovamente, il nulla. Ancora incapace di comprendere davvero, di darmi una spiegazione seria, che reggesse. Avrei potuto lasciarci la pelle, la sera scorsa. Perché? Qualcosa era andato tremendamente storto. Ma che cosa? Perché mi ero cacciato in quel guaio? Perché mai ero stato così stupido ed ottuso da non vedere la realtà dei fatti?

Buffo. Solo un anno prima, mi sarei rallegrato del fatto di avere una buona scusa per finire al cimitero. Ma ora era diverso. No, non ci stavo più a farmi ammazzare. Non senza un buon motivo. No, dovevo sapere. VOLEVO sapere. Era un mio diritto, dopotutto! Oh no?

No, non lo era. Evidentemente, non avevo alcun diritto di conoscere i motivi che muovevano l'Agenzia. Ero poco importante, per non dire insignificante. Ovviamente, per quelle persone, rappresentavo unicamente un burattino da manovrare, niente di più di un semplice operaio. In sostanza: sacrificabile.

Nell'istante stesso in cui l'idea si insinuò nella mia mente, ebbi - finalmente? - una visione chiara, ed agghiacciante, di ciò che, con buona probabilità, mi sarebbe accaduto un giorno, forse già domani, forse fra qualche mese o fra qualche anno. Ma, prima o poi, sapevo sarebbe accaduto. Non riuscii ad impedirmi di tremare al pensiero, gemendo allo stesso tempo, per il dolore che inavvertitamente mi ero causato.

 

Che fare, ora? Ora che tutto era divenuto più chiaro? Di certo, non potevo semplicemente scrivere una bella lettera di dimissioni ed andarmene, come se niente fosse. Loro non me lo avrebbero permesso. Avevano investito tempo e denaro su di me, ed avrebbero accettato di perdere sia gli uni che l'altro, solo nel caso in cui fossi deceduto, non certo per mio volere.

«Jules... che guaio»

Gemetti nuovamente. Non avevo idea di cosa fare, di come comportarmi. E, sì: avevo paura. Paura per me, ma anche per le - poche - persone che avevo imparato ad amare in quel poco tempo.

 

Nel mezzo delle mie angosciose riflessioni, qualcuno bussò alla mia porta. Sospirai. Non avevo proprio voglia di vedere gente. Per un attimo, pensai di far finta di nulla. Poi, chiunque ci fosse dall'altra parte, bussò nuovamente, ma questa volta non si limitò a questo, parlò anche.

«Jules... Lo so che sei lì dentro. E so anche che sei sveglio e puoi sentirmi. APRI... per favore»

Chris. Quell'uomo non conosce la parola riservatezza.

«Chris... Sono stanco...»

«Lo so che sei stanco...», mi interruppe, «... Non voglio disturbarti. Voglio solo sapere come stai. Voglio solo... vederti»

Di nuovo sospirai, scuotendo piano la testa, come sempre sconfitto in partenza.

«D'accordo. D-dammi... un minuto»

Lo pregai. Sì, un minuto. Nemmeno in mezz'ora, sarei riuscito a combinare qualcosa di utile. Mi sollevai, a fatica - e con immenso rammarico - dal comodo materasso, arrancando poi fino alla porta e facendo scattare la serratura. Avevo l'affanno, solo per aver percorso quei miseri tre metri e poco più. Lui mi fissò, per un lungo momento. Le sue labbra si mossero. Sapevo che stava per dire qualcosa, ma lo anticipai.

«Non dire nulla, per favore. Sono già abbastanza distrutto di mio»

Lentamente mi spostai, per farlo entrare, e... rimasi attaccato alla porta. Improvvisamente, ebbi la certezza che, se me ne fossi staccato, molto probabilmente mi sarei ritrovato spiaccicato a terra. La cosa non mi andava per niente. D'altra parte, ero perfettamente consapevole di non poter passare tutto il giorno appeso alla maniglia.

Gemetti, sconfortato. Chris mi lanciò un'occhiata, dapprima dubbiosa, ma che ben presto assunse una sfumatura visibilmente preoccupata.

«Jules... tutto bene?»

Non trovai la forza di rispondere. Unicamente un grugnito, mezzo strozzato, fu il misero commento alla sua più che giustificata domanda. Lo fissai. L'urgenza del momento era ampiamente ostacolata dall'incapacità di pronunciare anche una sola sillaba. Strinsi più forte la maniglia, riponendo le mie esili speranze nel notevole intuito del ragazzo che mi stava accanto in quel momento.

Di qualunque divinità si trattasse, la ringraziai con tutto il cuore, quando sentii, oltre all'assordante ronzio nella mia testa, un paio di braccia che avvolsero il mio corpo, impedendogli di cedere alla forza di gravità. Avrei voluto essere di aiuto, ma tempo qualche secondo il collegamento fra il mio cervello ed il mondo esterno si spezzò, precipitandomi nel buio più totale, senza suoni né forme, né odori o luci.

 

Quando i miei occhi si riaprirono, non vidi nulla, ed ebbi paura.

«C-Chris...», mormorai, spaventato.

«Sono qui. Va' tutto bene»

D'istinto, a quella risposta decisamente insensata alle mie orecchie, mi venne da ridere. Subito, però, la mia impulsività venne punita da dolorose fitte che, dal mio corpo, schizzarono direttamente al cervello, facendomene pentire amaramente.

«Cos'è successo?»

Chiesi, troppo spaesato e confuso per ricordare. Mi guadagnai una risata divertita - e, dal mio punto di vista, decisamente fuori luogo.

«Questo, a dirti la verità, avrei voluto chiedertelo io. Ma tu hai pensato bene di svenirmi fra le braccia, e da allora sono qui, a bocca asciutta, a girarmi i pollici ed aspettare che il tuo cervellino torni a funzionare... sempre che lo abbia mai fatto»

Mugolai, indispettito ed un po' offeso per la sua battuta di cattivo gusto, dato il pessimo momento.

Mi riservai ancora qualche minuto, per tentare di riprendermi e radunare le poche idee rimastemi.

«Io non...»

Stavo giusto per provare a spiegare che non ero per niente sicuro di cosa fosse successo. Venni però bloccato sul nascere dai suoi, ormai famosi, controinterrogatori.

«Che cosa è successo, Jules? Ti ritrovo, dopo settimane, più morto che vivo. Ti rifiuti di dirmi cosa ti preoccupa. A volte sembra quasi che tu voglia evitarmi. Jules... sei nei guai? Puoi... p-puoi parlarmene...»

«No»

Non potei vedere la sua espressione. Cercando di proteggere, nello stesso momento, sia me stesso che lui, avevo arbitrariamente deciso di ignorare la sua curiosità, per quanto mi fosse possibile. Ovviamente, feci male i miei calcoli. Infatti, poco dopo, lo sentii mugolare, con voce tremante.

«Non ti fidi di me?»

Così, con l'intento di frenare i suoi viaggi mentali e le sue incalzanti paranoie, mi affrettai a spiegare.

«No, non mi fido di loro»

Evidentemente, non risultai poi così chiaro come invece avevo sperato, tant'è che tornò alla carica con l'ennesima domanda.

«Loro chi?»...

 

   
 
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