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Autore: Padmini    06/03/2012    1 recensioni
In quella stanza coesistevano emozioni contrastanti.
C’erano John e Lestrade, visibilmente tesi. La tensione che deriva da un’aspettativa, un’aspettativa di speranza. Lestrade riusciva abbastanza bene a mascherare la sua soddisfazione ma John sorrideva compiaciuto e ogni tanto lanciava qualche occhiata significativa verso i due seduti al suo fianco.
Anderson e Donovan erano lì contro la loro volontà. I loro sguardi accigliati e i continui gesti di impazienza si potevano tradurre in un solo modo: “Ma questo non era considerato un caso chiuso?”
Moriarty fa parte di una grandissima organizzazione a livello mondiale. Il suo obiettivo è uccidere una persona che vive a Londra. Sa come rintracciarla e alla fine delle sue ricerche c'è Sherlock. Ma si tratta di un errore. La persona che doveva uccidere era strettamente legata a lui... e adesso vuole vendicarlo.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dalla Parte degli Angeli Oscuri'
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Per Maky:
 Grazie come sempre per le tue recensioni. Per sapere cosa sono gli X5, Manticore e tutto quello che riguarda Dark Angel visita la pagina di wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Dark_Angel_(serie_televisiva). Baci e buona lettura a tutti.
 
 
 
Sherlock osservava Mole. Tutto era nuovo per lui e tutto lo incuriosiva.
“Immagino che tu debba essere figlio di un o una X5” disse lui osservandolo “I tuoi genitori non ti hanno mai parlato di Manticore… di Terminal City…”
“No” rispose secco Sherlock “Mai”
“Sarà bene che tu sia informato, allora. Purtroppo” aggiunse cominciando a camminare e guardandosi in giro mentre Sherlock lo seguiva “io non potrò aiutarti. Sono troppo impegnato in alcune ricerche che stiamo effettuando sui Familiari… scusa” aggiunse “Presto saprai chi sono i Familiari. Comunque non posso parlarti delle ricerche che stiamo facendo…” disse vedendo che il ragazzo probabilmente si era interessato e stava per porgli domande in proposito “Roba segreta, capisci? Ce ne stiamo occupando noi del quartier generale. Gli altri transgenici vivono qui, a Terminal City o in giro per il mondo, ma siamo solo noi a gestire certe faccende. Non posso dirti nulla. Hey! Hope!” urlò rivolto ad una ragazza.*
Hope si girò. Era una bella ragazza. Mora, snella e con un bel viso su cui spiccavano un paio di occhi verde scuro. Stava riparando una moto “Dimmi, Mole”
“C’è qui il ragazzo che abbiamo salvato dai Familiari, Hamish. Lui è figlio di un X5 ma probabilmente non sa nulla. Forse i genitori o il genitore ha preferito tenerlo all’oscuro. Puoi fargli fare un giro turistico con annessa spiegazione?”
“Con piacere” rispose lei appoggiando gli attrezzi da lavoro “Piacere, sono Hope” disse rivolta a lui
“Hamish” rispose Sherlock ammirato. Non aveva mai visto una donna più bella. Un momento, da quando si interessava alle donne? Non era mai stato attratto dalle donne tanto che, quando i suoi coetanei avevano cominciato a provare desiderio per il sesso opposto, avevano cominciato a soprannominarlo “Frocetto”. Lui non se la prendeva mai per questo, anche perché non sentiva giusta quella definizione. Né donne né uomini lo attiravano. Spesso, osservando gli altri, pensava di essere asessuato. Tanto meglio. A parte alcuni periodi, nei quali provava un fortissimo desiderio sessuale verso ogni donna che si trovava a passare davanti a lui e che lo costringeva a chiudersi letteralmente in casa con aggiunta di numerose docce fredde.
Eppure Hope lo colpì. Era così bella… sentì che si sarebbe lasciato volentieri andare tra le sue braccia. Aveva bisogno di sentirsi protetto. Per una volta nella sua vita si sentiva fragile e Hope sembrava la persona giusta per aiutarlo.
Lo guidò lungo le strade di Terminal City, raccontandole di Manticore, di come erano fuggiti, dei Familiari… Ora Sherlock cominciava a capire tante cose strane della sua vita. Non se la sentiva però di raccontarle degli strani tatuaggi che erano comparsi sul suo corpo. Per il momento gli bastava così. Erano troppo le cose che stavano entrando nella sua vita. Voleva prendersela con calma.
La consapevolezza di essere un uomo fuori dal comune ce l’aveva da sempre, ma scoprire di essere addirittura figlio di un o… no. Era sicuro quasi al 100% che fosse sua madre la transgenica. Mentre ascoltava Hope parlare di codici a barre impressi nel DNA, capì improvvisamente dove aveva già visto i suoi tatuaggi.
Sua madre! Quando andavano al mare la vedeva quasi nuda in costume da bagno e le chiedeva sempre cosa fossero quei segni neri che aveva sulle braccia, sul petto e sulla schiena. Lei gli rispondeva che un giorno, quando sarebbe stato più grande, glielo avrebbe spiegato. Lui insisteva sempre però, col tempo e con la comparsa di altri stimoli per la sua mente, l’argomento era caduto nel dimenticatoio insieme al sistema solare.
 
Hope possedeva un grazioso appartamento a Terminal City. Un tempo quella era una zona altamente tossica (tranne che per i transgenici) ma dopo i fatti della Jem Pony** era stata bonificata e destinata specificatamente ad ospitare gli ex “manticoriani” ma anche gli abitanti di Seattle ci andavano. Era diventata una specie di quartiere etnico, con i suoi negozi, i suoi ristoranti, due cinema, locali dove divertirsi e tante case dove vivere, abitante anche da gente normale. Esistevano però a Seattle delle zone tenute sotto controllo dai Familiari. Il governo sapeva della loro esistenza ma preferiva lasciar perdere. I transgenici sapevano bene le zone dove non dovevano andare per non mettersi nei guai e questo bastava alle autorità per sentirsi tranquille.
Sherlock, che nel frattempo si era trasferito a casa di Hope, visse le successive settimane conoscendo i suoi simili, umani e transumani. Alec, un altro X5, gli insegnò a suonare il piano e lui per riconoscenza gli insegnò a suonare il violino. Insieme componevano e suonavano, spesso anche tutta la notte. Joshua, un uomo-cane, gli aveva insegnato a dipingere. Dipingeva spesso, soprattutto quando era triste. Quando Joshua cominciò a insegnargli le basi del ritratto, lui pensava a John. Non lo vedeva da mesi ma il suo viso era sempre presente nella sua mente. Così, giorno dopo giorno, i lineamenti del dottore emergevano pian piano dalla tela. Mentre erano lì con i pennelli in mano Sherlock si apriva con Joshua. Senza entrare troppo nei particolari, gli raccontava della sua vita con John, il suo migliore amico. Il primo vero amico che avesse mai avuto e lui lo capiva, lo aiutava a non sentirsi triste.
Gli piaceva stare lì e, soprattutto, gli piaceva stare con Hope. Era così intelligente, così bella, così gentile… Aveva quasi dieci anni più di lui ma… cosa importava? Si sentiva travolgere dalle emozioni. Come quella volta a Baskerville aveva provato paura e poi dubbio, ora provava… Amore, poi paura di non essere ricambiato. Gli piaceva. Voleva godersi quelle emozioni una ad una, lasciarsi pervadere dalla loro dolcezza come l’acqua di un bagno caldo nel quale si sentiva immerso perennemente.
Sicuramente Hope, intelligente com’era, aveva notato questo in lui. Una sera, infatti, mentre stavano fuori a fumare (si, grazie al cielo almeno lì poteva permettersi di fumare una vera sigaretta, ogni tanto!) lei cominciò a guardarlo in modo strano. Spense la sigaretta sul posacenere e, mentre lui faceva lo stesso, si mise comoda, con le braccia incrociate e la schiena appoggiata al balcone.
“Hamish…” cominciò senza alcuna traccia di imbarazzo nella sua voce “So cosa provi per me, ma non potrà mai funzionare”
“Lo sai eh?” rispose lui guardandola cercando di non tradire le sue emozioni “Come sai che non potrebbe funzionare?”
“Ho quasi dieci anni più di te, Hamish. Cerca di capire”
“Dieci anni… cosa vuoi che siano?” chiese lui sbuffando “Hope, sai come mi chiamavano al liceo? Frocetto”
“Come come?” chiese lei sgranando gli occhi
“Si, Frocetto. Sai perché? Perché non mi interessavano le ragazze. Alcune si erano dichiarate ma io le avevo sempre respinte. Non capivo il perché di quel soprannome però. Non mi piacevano neanche i ragazzi. Ma in queste ultime settimane penso di averlo capito”
“Sentiamo” disse lei ridendo
“Aspettavo te”
Hope lo guardò. Ripensò alla sua vita. Certo, nessuno l’aveva mai chiamata lesbica, ma in effetti poteva dire che il racconto di Hamish poteva adattarsi perfettamente anche alla sua esperienza. Lo guardò meglio. Capelli di un bellissimo rosso, occhi azzurro chiaro, un viso sottile dalle linee gentili… non aveva mai visto nessuno bello come lui. L’aveva notato subito, dal primo momento. Aveva ringraziato e maledetto Mole allo stesso tempo per averla nominata ‘babysitter’ del nuovo arrivato. Anche lei, come lui, aveva capito fin da subito che lo avrebbe amato, ma la consapevolezza di quei dieci anni che li dividevano l’aveva sempre bloccata. Ora sapeva che a lui non importava. Benissimo. Benissimo. Si avvicinò lentamente. Lui le porse la mano e le loro dita si intrecciarono. In un momento i loro corpi e le loro labbra erano vicini.
Non fecero l’amore quella sera. Non volevano bruciare un momento così delicato. Il loro rapporto era simile ad un fiore appena sbocciato. La gemma era stata percepita subito da entrambi appena i loro occhi si erano incrociati e quella sera era spuntato un timido fiore. Non volevano mettersi fretta. Ci sarebbe stato tutto il tempo, più avanti, per godere del frutto.
 
Il giorno seguente Hope accompagnò Sherlock al quartier generale. Ormai anche lui si era guadagnato la fiducia di Mole che gli permetteva di andare lì, anche solo per lasciarlo immergersi in quel mondo, così nuovo per lui.
Improvvisamente arrivò una chiamata, via Skype, che sconvolse tutta la sua giornata. Era sua madre. Aveva fatto centro, allora!! Era sua madre la transgenica! Restando fuori dalla portata della webcam, ascoltò per filo e per segno la chiamata. Sentì perfino la voce di Donovan che urlava “Al mostro”. ‘Quella oca’ pensò.
Però una cosa lo sconvolse. Sua madre stava andando lì. Lo avrebbe rivisto. Lo avrebbe riconosciuto, nonostante la tinta ai capelli. Doveva parlarne a qualcuno. Subito. Sapeva perfettamente con chi. Hope, prima di tutto, in privato. Poi con Mole.
“Hope” cominciò titubante “ho bisogno di parlarti”
“Dimmi Amore” gli rispose lei. Ormai aveva cominciato a chiamarlo così, dalla sera precedente e, già dal primo mattino, tutti gli altri avevano capito cosa era nato tra i due. Non che non se l’aspettassero. Aspettavano solo il momento in cui i due si fossero decisi a dichiararsi.
“In privato” aggiunse, guardandosi in giro
Appena i due furono tornati a casa, Sherlock fece una cosa che mai, mai nella sua vita aveva fatto. Neanche quando Mycroft lo aveva fatto cadere dalla bicicletta e si era trovato le ginocchia coperte di sangue e terra. Sul tetto del Barth’s c’era andato vicino, ma mai come quel momento. Pianse. Pianse portandosi le mani sul viso, come per arginare tutte le lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi. Non serviva spiegare nulla. Anche Hope aveva assistito alla telefonata, quindi sapeva tutto di Sherlock Holmes e di Max. Quando si riprese, la guardò negli occhi. Lei gli porgeva un fazzoletto.
“Dimmi Amore” ripeté per incoraggiarlo
“Hai sentito la telefonata di prima, giusto?”
“Si”
“Bene…. Io… Hope. Ti ho mentito”
“Cosa?” urlò lei arrabbiata. Si calmò subito. Gli occhi arrossati e colmi di lacrime di Hamish la commuovevano
“Il mio vero nome… il mio vero nome non è Hamish Black. In realtà mi chiamo Sherlock Holmes”
“Sherlock… Sherlock Holmes? Il tizio che i Familiari volevano uccidere? Ma come…”
“Hanno tentato di uccidermi, in effetti. Per questo mi sono trasferito qui a Seattle. Per capire. Ero riuscito a rintracciare i contatti di quel Moriarty fino qui a Seattle, ma non sapevo che voi stavate investigando proprio sul mio caso… altrimenti vi avrei detto la verità subito”
“Una cosa non capisco” disse lei seria. Evidentemente aveva assimilato la verità con estrema facilità “Perché i familiari volevano uciderti?”
Lui non rispose. Semplicemente si sbottonò la camicia. Lei non capiva quel gesto ma presto fu chiaro. Le stava mostrando i tatuaggi.
“Questi tatuaggi sono comparsi sul mio corpo circa quattro mesi fa e… Max è mia madre” spiegò lui ricominciando a singhiozzare “E presto verrà qui. A Londra ho dovuto simulare il mio suicidio per poter scappare e proteggere tre persone a cui tenevo”
“Si, l’ho letto nel rapporto di Mole” disse lei seria “Sei stato molto coraggioso”
“Il fatto è che non so se avrò la forza di rivederla. Le ho spezzato il cuore…”
“Capirà. È un X5. È forte. E poi ti ama. Sei suo figlio. Non potrà non essere felice di saperti vivo. In effetti mi era sembrato di vedere un’ombra nei suoi occhi quando Mole ha fatto il tuo nome. Vedrai. Si sistemerà tutto”
Detto questo, lo trascinò sul divano vicino a sé e lo abbraccio, lasciandolo sfogare tra le lacrime.
 
 
 
*Hope è la figlia di Gem, l’X5 che partorisce nell’ultima puntata della seconda serie
**Vedi sempre l’ultima puntata della seconda serie di Dark Angel

   
 
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