Anime & Manga > Nana
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Autore: Ocean_09    08/03/2012    0 recensioni
Nana. Come la immagino io. Un po' intercalata nei miei panni, magari, ma tanto, più simili di così...?
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nana Osaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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< Nana … > rimasi attaccata al muro, con un piede al muro e l’altro per terra. L’anfibio nero e lucido non scivolava sulla ghiaia. Ci sputai sopra.
< Gli altri sono già arrivati? > < Non so … prima sono entrata ma c’era solo quel barista > < Quindi sei rimasta fuori ad aspettarmi … hai così paura di stare da sola … ma mi sembra che tu sappia come difenderti … >.
Quello che diceva Yasu era vero. Sicuramente aveva ragione, ma gli mancava la logica femminile: naturalmente, anche se avessi potuto uscirne fuori, non era certo piacevole, la situazione, direi. Ma non erano discorsi da fare in quel momento. Yasu era il leader della band: era uno skinhead di 21 anni che sognava di diventare avvocato e diciamo pure che lo consideravo quasi un padre, il padre che non avevo mai avuto. Fare l’avvocato era una vocazione, per lui. Appena vedeva qualcuno bisognoso o in cerca di aiuto, certamente non si tirava indietro. E io, così bisognosa si cure e affetto, ero adatta per lui. E lui, così premuroso, ero adatto per me. Non che stessimo insieme, chiaramente, ma stavamo sempre insieme. Nessuno dei due era fidanzato e stavamo bene così, senza troppe preoccupazioni e inibizioni. Era il batterista della band, nonché fondatore di tale setta e organizzazioni criminale. L’ultima parte era quello che pensava la gente che i vedeva passare per la strada. Associavano la nostra figura, la nostra immagine, a un giro di cose che non andavano mica bene … quali spaccio, prostituzione e delinquenza varia. Solo noi potevamo sapere quanto eravamo lontani da quelle idee e mentalità. A parte che la filosofia da skinhead del capo non ci avrebbe permesso tali svaghi, d’altronde. E meno male.
Gli feci spazio sul muretto e lui tirò fuori dal taschino un pacchetto di sigarette. Un tipo dolce e amaro insieme, non riuscivo a sopportarle, erano assolutamente schifose. Sapevano di ciliegia … assolutamente ripugnanti.
Dopo la breve pausa-fumo (espressione coniata sul momento) lo seguii dentro il locale. Con lui vicino avrei potuto andare da qualunque parte, senza paura. Forse era quello il mio guaio. Come quando un bambino crede talmente tanto nel proprio padre da considerarlo quasi un superuomo, io riponevo talmente tanta fiducia in Yasu che tutte le mie ambizioni di indipendenza erano svanite alla luce di quella lampadina che portava al posto della testa. Talmente rasato che riluceva sotto la luce del lampione.
Il barista lo squadrò da testa a piedi, leggermente preoccupato. In effetti, anche io mi chiedevo sempre come faceva a entrare in tribunale con quel fisico da armadio. Eppure sembrava che se la cavasse, dato che non l’avevano ancora cacciato via. In quel momento spuntò da dietro la porta il nostro bassista:
< Shin! Ma prima sono entrata e non ti sei neanche fatto vedere! Lo fai apposta? > < No, no, è solo che stavo accordando il basso e non ho fatto in tempo ad uscire dal camerino che te ne sei andata, quindi ho pensato che, dato che saresti rientrata, no? > < Eh, sì … A inventarsi scuse sono bravi tutti, a inventarsi basi o testi nessuno … > lo punzecchiavo nuovamente sul fatto che non riusciva più a comporre una melodia orecchiabile. Mi guardò impassibile. Era bravissimo, in quello.
  
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