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Autore: Padmini    09/03/2012    1 recensioni
In quella stanza coesistevano emozioni contrastanti.
C’erano John e Lestrade, visibilmente tesi. La tensione che deriva da un’aspettativa, un’aspettativa di speranza. Lestrade riusciva abbastanza bene a mascherare la sua soddisfazione ma John sorrideva compiaciuto e ogni tanto lanciava qualche occhiata significativa verso i due seduti al suo fianco.
Anderson e Donovan erano lì contro la loro volontà. I loro sguardi accigliati e i continui gesti di impazienza si potevano tradurre in un solo modo: “Ma questo non era considerato un caso chiuso?”
Moriarty fa parte di una grandissima organizzazione a livello mondiale. Il suo obiettivo è uccidere una persona che vive a Londra. Sa come rintracciarla e alla fine delle sue ricerche c'è Sherlock. Ma si tratta di un errore. La persona che doveva uccidere era strettamente legata a lui... e adesso vuole vendicarlo.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dalla Parte degli Angeli Oscuri'
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Quella mattina a Scotland Yard era insolitamente tranquilla. Donovan sedeva nel suo ufficio cercando di sistemare alcuni fascicoli che aveva in sospeso. Anderson era alla sua scrivania e ascoltava una donna che gli raccontava di come, durante la notte, avesse visto un ladro nella casa di fronte alla sua. Fuori, nella sala d’aspetto, c’erano due o tre persone, ansiose di raccontare le loro storie.
Greg, in piedi vicino alla finestra del suo ufficio privato, osservava la strada sottostante con una tazza di tè in mano. Si era preso una piccola pausa dopo aver passato la notte a leggere e rileggere alcuni fascicoli su un omicidio avvenuto la settimana prima. Non voleva essere assolutamente disturbato perché, da quando non c’era più Sherlock, si era impegnato al cento per cento nella risoluzione dei casi utilizzando, non sempre in modo eccellente, il metodo di indagine del suo amico. Ogni tanto lo chiamava via Skype e gli chiedeva qualche suggerimento e molto spesso anche John si univa a lui nelle indagini. Ma quella mattina qualcuno sarebbe andato a disturbarlo e la cosa non lo avrebbe reso più felice.
 
La porta di Donovan si aprì lentamente. Lei sobbalzò. Non c’era nessuno sulla soglia eppure … come aveva fatto ad aprirsi da sola? La risposta le venne da una vocina, al di là della scrivania.
“Ciao signora” disse la vocina.
Donovan si sporse oltre il bordo e vide un bambino. Era incredibilmente bello. Capelli castano scuro, leggermente mossi e due occhi azzurro chiaro, limpidi e cristallini.
“Ciao bel bambino” rispose lei dolcemente “Come ti chiami?”
“Hamish” rispose lui con la voce flautata “Ho tre anni”
“Tre anni? Caspita! Io mi chiamo Sally. Dimmi, cosa ci fai qui tutto solo? Vuoi che ti accompagni dal tuo papà e dalla tua mamma?” chiese premurosamente la donna, pensando che fosse figlio di qualche cittadino venuto lì per una denuncia.
Prima che il bimbo potesse rispondere Anderson entrò ridendo.
“Sally, sai chi è tornato?” chiese tra le risa
“Dimmelo tu” rispose lei sospirando
“Lo Strambo!” disse l’uomo con un ghigno irrispettoso. Nonostante tutto quello che era successo, non aveva ancora perso il disprezzo e l’invidia che provava nei suoi confronti.
“Non chiamarlo così” disse accigliata rivolta al collega. Fortunatamente Sally era un po’ cambiata e aveva cominciato a stimarlo profondamente.
“Lo chiamo come mi pare e piace” rispose lui canzonandola “Comunque è qui fuori” continuò indicando la porta.
I due si affacciarono e anche il bambino guardò, curioso di vedere chi fosse lo strambo.
“Guardalo là” riprese Anderson indicando l’uomo che parlava con Lestrade con lo stesso ghigno di poco prima “Avevo sperato di essermi liberato di quello psicopatico invece è ancorahia!!” urlò quando sentì una fitta dolorosissima allo stinco sinistro. Era il piccolo Hamish che gli aveva sfoderato un potente calcio.
“Quello è il mio papà, scemo!” gli aveva urlato, rosso in viso dalla collera. Dopodiché, aveva trotterellato verso l’uomo e, attirando la sua attenzione con un leggero strattone ai pantaloni, si fece prendere in braccio. Da come parlava, Anderson intuì che stava riferendo al papà l’offesa subita.
Sherlock alzò lo sguardo per cercare il colpevole e, tornando a guardare il figlio, sembrò rassicurarlo. Non valeva la pena di perdere tempo con elementi del genere.
“Però” commentò Sally con un fischio “Non sapevo che avesse avuto un figlio. È proprio un bel bambino … e ha anche un bel carattere, per la sua età! Devo dire che te lo sei proprio meritato, quel calcio nello stinco Hai sentito come parla bene? Ha solo tre anni eppure riesce a parlare benissimo! Certo, con un padre così …
Anderson grugnì mentre si avvicinavano a Greg e a Sherlock, che teneva ancora Hamish tra le braccia.
“Hai conosciuto questi due signori, Hamish?” chiese Sherlock guardando i due.
“Si papà!” rispose il bimbo ridendo “Sally è simpatica, ma quello lì” disse indicando con rabbia Anderson “è brutto e cattivo” e, detto questo, gli mostrò la lingua
“Non si fa, Hamish” lo riprese il padre “Non è educato fare le linguacce. Scusalo, per favore”
“Si, certo” rispose l’interessato con leggero imbarazzo. Non vedeva Sherlock più di cinque anni e fu sorpreso di notare quanto il suo atteggiamento nei suoi confronti fosse cambiato. Traspariva lo stesso il fatto che lo considerasse un idiota, ma ora era più pacato e meno incline all’esibizionismo.
“Sherlock ha deciso di trasferirsi nuovamente a Londra” disse Greg ai due
“Si” confermò il detective “Abbiamo già trovato un appartamento spazioso vicino a Baker Street. Purtroppo il 221b è troppo piccolo per tre persone”
“Non sapevo che fossi sposato, Sherlock” disse Sally sorpresa
Lui la guardò con altrettanto stupore. Per la prima volta lo chiamava per nome, invece di usare quei nomignoli offensivi.
“Si chiama Hope” spiegò “L’ho conosciuta a Seattle e ci siamo innamorati praticamente subito. Scusate se non vi ho invitato” disse a Sally e ad Anderson “Non sono mai stato molto in confidenza con voi. È stata una cerimonia molto intima. I miei genitori e mio fratello, i genitori di lei e qualche amico, tra cui anche Greg. John e Molly mi hanno fatto da testimoni.
“Senti Hamish” chiese Greg “Anche tu vuoi fare il detective come il tuo papà da grande?”
“No” disse il piccolo scuotendo la testa deciso “Voglio fare il pittore come lo zio Joshua!”
“Lo zio Joshua?” chiese Sally
“Joshua Sandman” precisò Sherlock “È abbastanza quotato. Espone in molte gallerie d’arte in tutto il mondo”
“Non ci posso credere!” disse la donna ammirata “Adoro quel pittore! È veramente tuo cognato?”
“A dir la verità è fratello di mia madre. Quindi sarebbe suo prozio”
“Capisco … me lo presenterai, un giorno?”
“Si” rispose il piccolo Hamish “Quando verrà a Londra per fare una mostra con i suoi nuovi quadri”
“Ora però dobbiamo andare a casa. La mamma sarà preoccupata. Siamo fuori da più di due ore”
“Si papà. Andiamo” rispose lui abbracciandolo
“Abbiamo fatto un giretto per Londra per visitare gli amici” spiegò Sherlock “Hope non aveva voglia di venire qui, così l’ho lasciata a casa di John. Ve la presenterò, un giorno”
Detto questo uscì dalla stanza.
 
Gli piaceva passeggiare per Londra con suo figlio. Fino a pochi anni prima non passeggiava nemmeno. Al massimo correva di qua e di là in cerca di indizi per le sue indagini e, anche quando camminava, il suo cervello era immerso nei dettagli dei casi di cui si occupava. In quel momento, invece, si stava semplicemente godendo l’abbraccio del piccolo Hamish. Lo stringeva a sé amorevolmente. Sentiva di volerlo proteggere e amare come gli era capitato poche persone nella vita. John e Hope erano due di queste. Anche Mycroft, adesso. Pian piano avevano ricucito i rapporti. Il fratello maggiore aveva tolto quella cappa protettiva che da sempre lo soffocava e gli faceva voglia di scappare. Si sentiva libero, degno della fiducia del suo fratellone e per questo aveva ricominciato a provare affetto nei suoi confronti. Forse non sarebbe tornato ad essere il Dio in terra che Sherlock adorava quando era piccolo… ma ci andava vicino.
 
“Siamo tornati” annunciò il detective.
Quando i due arrivarono a casa di John, trovarono anche la sua famigliola riunita. Mary, di cui Sherlock parlava come sua cognata (visto che John era per lui come un fratello), teneva in braccio la piccola Amélie, di appena un anno, che dormiva placidamente. La bambina assomigliava tantissimo al papà, bionda con gli occhi azzurri. Si vedeva che Hamish le voleva già tanto bene. Ogni volta che un amico dello zio andava a trovarli e lui si trovava lì si metteva in piedi vicino alla cuginetta, vigile, come per proteggerla.
Sherlock lo fece scendere e si avvicinò a Hope, sfiorandole dolcemente le labbra con un tenero bacio. Il bambino, dopo aver salutato tutti, si avvicinò a Mary e, sollevandosi sulle punte dei piedi, diede un bacio sulla guancia alla piccola. Lei aprì lentamente gli occhi e, dopo averlo riconosciuto, gli sorrise
 
 
 



  
20 anni dopo
“Sei teso, Hamish?” gli chiese Amélie appoggiandogli una mano sulla spalla
“Teso?” chiese lui sarcastico “Secondo te come potrei sentirmi?
“In effetti…” rispose lei sorridendo “Non ti devi preoccupare, secondo me. Vedrai che andrà tutto bene”
“Non lo so” disse lui pensieroso “Lo sai chi verrà qui, oggi?”
“No, non me lo hai detto”
“Verranno alcuni dei più famosi e influenti critici d’arte di New York. È stato mio zio Joshua a contattarli e a segnalarli la mia mostra”
“Sul serio?” chiese lei stupita
“Si. Una loro critica può essere decisiva per la carriera di un pittore alle prime armi. Può lanciarti o stroncarti per sempre!”
 
Nonostante le preoccupazioni di Hamish, la mostra andò benissimo. Tutti gli si avvicinarono per fargli i complimenti. I suoi genitori se ne stavano in disparte ma continuavano a guardarlo, come per fargli sentire la loro presenza senza essere troppo invasivi. Le critiche sui giornali, sia di Londra che di New York, furono stupefacenti. “Questo ragazzo ha un futuro davanti a sé” dicevano.
Stava leggendo il giornale con Amélie nel suo studio. I due erano amici fin dalla più tenera infanzia. Lei passava tutte le mattine da lui per bere il caffè prima di andare al lavoro. Tutti, a parte i loro genitori, pensavano che prima o poi si sarebbero fidanzati. In realtà loro non ci pensavano neanche lontanamente. Si consideravano cugini, amici, confidenti. Provavano un profondo affetto l’uno per l’altra, ma non di più. Lo avrebbero saputo se fosse stato vero amore dopo tutti quegli anni passati insieme.
Restarono in silenzio per qualche minuto poi, all’improvviso, la loro quiete fu interrotta da un urlo. Si precipitarono fuori dalla stanza e corsero per i corridoi dell’edificio per raggiungere la voce.
La donna delle pulizie era davanti alla porta di un ufficio con la scopa in mano e osservava impietrita una figura davanti a lei, riversa a terra e coperta di sangue.
Dopo pochi minuti arrivò la polizia. L’ispettore, block notes alla mano, avanzava per la stanza guardandosi attorno. Hamis, che nel frattempo era rimasto dov’era ad osservare, sentì crescere in lui un istinto sopito. L’adrenalina cominciò a salire e sentì l’impellente desiderio di fare qualcosa.
“È sicuramente un suicidio” concluse l’ispettore chiudendo bruscamente il libricino che aveva in mano
“Suicidio?” disse Hamish a voce alta, senza riuscire a trattenersi “Come fa a dire una cosa del genere? È evidente che si tratta di omicidio! Guardi il tipo di ferite!”
Oooopss! Cosa stava combinando?
“Vuole spiegarsi meglio, giovanotto?” gli chiese l’uomo
Ecco. Troppo tardi. Ormai era iniziata anche per lui.
Un mese più tardi, ritirò in tipografia due tipi di bigliettini da visita. Uno per la sua carriera di pittore. L’altro recitava

 

Hamish Lawliet* Holmes
Consulente detective
 

 
 
 
 
*Chi conosce Death Note capirà! Hihihihihihi
 
Bene! Questa storia delirante è finita. Mi è piaciuto molto scriverla e penso che ne farò altre collegate. Ne ho già alcune in mente. Presto prenderanno forma…
Intanto voglio condividere le sigle dei telefilm che hanno ispirato questa storia:

Voglio anche inserire due musiche di Death Note.
 
 
A presto!
Campanellino

   
 
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