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Autore: nals    12/03/2012    11 recensioni
Il vento sibila da qualche parte e qualcosa nella tua – sua – testa potrebbe pensare ad un lupo affamato, ingordo, geloso. Morde e si affanna. Vuole la sua luna, forse anche qualche stella. Sbraita impazzito, intenzionato a ferire a morte il giorno...
James/Lily
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Passi, qualche altro in più.

 

A Sara.

 
 
 
 
Il vento sibila da qualche parte e qualcosa nella tua – sua – testa potrebbe pensare ad un lupo affamato, ingordo, geloso. Morde e si affanna. Vuole la sua luna, forse anche qualche stella. Sbraita impazzito, intenzionato a ferire a morte il giorno.
Il cielo è un manto raggrinzito, bagnato di pioggia ingabbiata, ad un passo dal cadere giù. Le squame rossastre sulla linea d’orizzonte paiono spezzare il mondo a metà. Sopra il grigio, sotto il buio. Il buio nero, freddo, inesauribile come la morte, come la guerra, come le notti trascorse ad ascoltare il ritmo del tuo respiro e a lottare contro le palpebre costantemente dischiuse; come i singhiozzi a rincorrere i secondi, pregando che sarà una sera come tutte le altre. Una di quelle in cui James rincaserà sano e salvo.
Non c’è luce, adesso. Il mondo ha deciso di accoccolarsi sotto la coltre invisibile di stelle spente e trattenere il respiro, come se questo basti. Non basterà. Non basterà a rimettere apposto nulla, non basterà a riportare indietro quei vent’anni appena compiuti, ma rinchiusi e sigillati tra le nervature di un cuore appartenente ad una vita già avvizzita, lontana.
Non c’è tempo. Non c’è tempo per avere vent’anni, ridere del vostro disordine e dei piatti impilati nel lavandino; non c’è tempo per uscire, sentire l’erba scorrere sotto i palmi ed il sole nel cuore, guardarsi, toccarsi, ubriacarsi di baci e di vento; non c’è tempo per le discussioni, né per gli insulti, è quasi possibile che abbiate scordato la leggerezza delle dita che si cercano, che si trovano. Non c’è più tempo. Non ce n’è più.
Per abbracciarsi, sentirsi e scoprirsi in un occhiata. Fare l’amore per ore, giornate intere. Non c’è più tempo. Non ce n’è più.
Remus dice che sia tutta una questione di passi, che il tempo basti trovarlo tra le pagine di un giornale accartocciato ed i cocci di una tazza rotta. Andare avanti è necessario, dice, non demordere un dovere.
Basta stringere i denti e non urlare. Dribblare il dolore e combattere, senza voltarsi indietro; aggrapparsi alla vita e alle speranze. A quelle che ti sono sbocciate in pancia e scivolate via dalla gola arsa. Le hai odiate all’inizio. Hai odiato te e James, in realtà. Poi hai semplicemente pianto in silenzio, pregando che almeno per quella speranza il mondo fosse più luminoso e caldo.
Caldo, esatto, come le labbra del suo papà su di te, su di lui. Lui, che scalcia in continuazione da quando ha imparato a farlo. Più di dieci volte al giorno. E tu trattieni le lacrime, per tutte e dieci le volte, sorridendo al mondo e sussurrando, con poca voce e dolci carezze, la ninna nanna che James vi ha cantato qualche sera fa, poco prima di crollare esausto e sorridente.
Il respiro soffiato nel tuo ombelico, le tue dita tra i suoi capelli.
E vorresti che quei maledetti passi bastino e che di tempo ce ne sia di più. Ne hai bisogno, ne avete bisogno.
Che te ne concedano altri ancora, nel caso in cui siano davvero utili. Uno, due, quindici passi in omaggio. Per favore.
Per respirare meglio, per crederci e andare avanti. Vivere. Vivere, vivere, vivere.
I respiri di James addosso, pavimenti da spazzare, panni da lavare, baci, baci e altri baci. James ai fornelli, il pranzo bruciato assieme a qualche ciuffo dei suoi capelli. Qualche calcio, i suoi saluti. I croccantini da dare al gatto, il pranzo per Sirius, gli abbracci di Remus. Potter. James alle prese con il feletono, la sua risata. Harry.
Sì, si chiamerà Harry il vostro lui. James è convinto che sia maschio, tu lo hai sempre saputo. Lo senti, ecco.
Ma continui a contraddirlo tuo marito, è più divertente così.
Sirius dice che Harry è corto abbastanza. Poco fiato per poche sillabe. Semplice, immediato, veloce.
Da imparare in fretta e non scordare mai. Alice avrebbe preferito Julian. Julian sarà il nome del bambino che avranno dopo Neville, se arriverà e se sarà un maschietto.
Tu preferisci Harry, invece. James preferisce Harry. Non appena Remus ve lo ha suggerito, il tuo idiota ha abbozzato  il suo sorriso più bello e spaventoso.
Harry.
Per favore.
Gli occhi ti si fanno lucidi, sbatti le palpebre ed ingoi un sorso d’acqua cercando di trattenerle lì dietro. Non devi piangere. Non devi.
Ingoi e ingoi, con fatica ed esitazione.
Hai passato settimane d’inferno, china sul water a rigettare qualsiasi cosa avesse - o meno - raggiunto il tuo stomaco. Ha fatto male.
Ha fatto male non avere le sue dita a tirarti su i capelli e le sue prese in giro sussurrate sul collo. Ha fatto male sentire il freddo delle mattonelle bianche sotto la pelle e l’amaro saporaccio in bocca, sapendo che non ci sarebbe stato nessuno a riscaldarti con le sue idiozie.
Ha fatto male, temere che quella mancanza temporanea avrebbe potuto diventare eterna.
Piccoli passi, dice Remus. Qualche respiro, dice James. Basteranno, sì.
Sai di essere egoista, sai che non dovresti volerlo. Non dovresti pretendere che lui stia a casa, con te. Non adesso. Non con la guerra ad alitarvi sul collo. Ma la paura c’è, ed averla lì, rannicchiata sullo sterno e sentirla poi scivolare giù, fin dentro allo stomaco, è un gran problema. Grosso e appuntito quanto il bussare improvviso alla porta. Quel suono legnoso che sa di battito mancato ogni volta, un tocco succinto, principio di potenti scariche di adrenalina e terrore.
E’ come percepire la vita un po’ più distante, sentirla correre senza aspettarti, quasi volesse abbandonarti per sempre. Una lenza spezzata, un filo rosso reciso nel verde.
La presa sulla bacchetta è sempre salda però; solida quanto la volontà di proteggerlo. Perché non t’importa quasi di poter finire sottoterra, non se questo significherà conservare la felicità del tuo bambino e la vita del tuo amore. Faresti di tutto per loro, moriresti per loro. Come James. Ma James non ha il diritto di andarsene, non ha il diritto di chiuderti in casa ed agitare la bacchetta senza che tu sia lì con lui a proteggergli le spalle.
“C’è Sirius.” Dice. Ma Sirius non sei tu, Sirius non è Lily.
Non può. Non può. Non può rischiare la vita ogni istante pretendendo che tu te ne stia tranquilla e serena. Tranquilla, esatto. Perché al bambino farebbe male. Ma tu lo sai che a lui addolorano molto di più le mancate carezze quotidiane, a lui farà molto più male non poterlo conoscere un giorno, il suo papà. Glielo hai detto, tante, troppe volte. Hai ignorato le rassicurazioni di Remus e gli sfottò di Sirius. Hai dato di matto più volte e quasi ordinato a Silente di costringere James con te, in casa. Hai scritto lettere su lettere, perché quei pezzi di carta rappresentano il solo approccio al mondo di fuori che ti sia concesso, esclusi i Malandrini. Hai urlato, implorato, testarda e decisa come solo tu saresti potuta essere, finché non è successo. James ti ha sbraitato contro per un quarto d’ora.  Ti ha ordinato di smetterla, di smetterla con le esagerazioni, di smetterla con i piagnistei, con l’egoismo, con quelle pretese assurde ed infantili. Ti ha dato dell’infantile. Lui.
“Non capisci, Lily. NON CAPISCI, dannazione!”
E tu, tu hai smesso di respirare. La mani tremanti – dita che tremano.
“Come potrei rimanere chiuso qui? Come puoi pretendere una cosa del genere? Non posso voltare le spalle a tutti loro. Non posso e lo sai. Come riuscirò a guardare in faccia nostro figlio, come? Lo faccio per te, lo faccio per lui. Perché il suo futuro sia luminoso e sereno come è stato il nostro fino ad ora. Voglio che sia orgoglioso di me, dei suoi genitori. Voglio che un giorno mi sorrida e che ti abbracci, felice. E lo vuoi anche tu.”
Sei rimasta bloccata.  Il cuore in gola, il respiro mozzo. James ti ha dato le spalle e si è smaterializzato chissà dove.
Hai fissato la porta per ore forse, il peso sul cuore. Poi ti sei trovata a versare tutte le lacrime sulla federa del tuo cuscino. Rannicchiata su te stessa. Persa.
Lui ha ascoltato in silenzio. Non ha scalciato più. Ha assorbito le tue lacrime e ingoiato i tuoi singhiozzi finché due braccia gentili e calde, ti si sono strette addosso con forza.
Un calcio, il suo saluto. E il tuo cuore a seguire il ritmo di quei piedini.
“Scusa, scusa, scusa. Sono un idiota.”
Un bacio sul collo, uno sulla spalla e poi ancora. Daccapo.
I singhiozzi spenti e le lacrime catturate dalle sue labbra, dal suo respiro, dalle sue mani su di te.
“Voglio solo che voi stiate bene. Voglio proteggervi.”
“Io voglio te. Noi vogliamo te.”
“Ci sono. Ci sarò sempre.”
Il pancione non è mai stato un ostacolo per voi. Tu il suo calore continui a sentirlo. Brucia dappertutto. Ti s’incolla addosso, e penetra l’anima. James è sempre stato caldo. Come la sua bocca, come le sua mani, le gambe intrecciate alle tue, le dita sulla tua pelle.
“Scusami.”
“Non lasciarmi, James. Ti scongiuro.”
“Non ci riuscirei.”
Non ci riuscirei.
E in quella promessa ci infili ogni tuo respiro, ogni tuo battito, giorno dopo giorno, notte dopo notte. James non ti lascerà. James tornerà, come
sempre.
Tornerà e ti bacerà, tornerà e vi terrà stretti. La guerra si ridurrà ad un tondino nero, piccolo e sbiadito infilato nelle pause tra le stelle.
James tornerà.
Un calcio.
“Arriva presto, Amore. Il tuo papà sarà qui a momenti.”
Piccoli passi, dice Remus. Qualche respiro, sussurra James. Sì, basteranno.
Uno, due, tre, quindici passi in più. Ne hai bisogno, ne avete bisogno. Perché vuoi ridere, Lily, e vuoi sentirlo ridere. Vuoi che James ti stringa, vi stringa. Vuoi guardare il tuo bambino e pensare a quanto gli somigli. Vuoi vederlo crescere sereno, felice.
Vuoi abbracciarlo per ore, fino a sentire il suo odore mescolato alla tua pelle, alla pelle di James. Vuoi guardarlo dormire, vuoi sentirlo piangere e asciugare tutte le sue lacrime con le labbra, vuoi sentirtelo accoccolato addosso, come lo senti addosso ora. Dentro.
Vuoi il tuo bambino, lo vuoi in un mondo nuovo. Assieme a James.
“Arriva presto, tesoro. Arriva.”
Piccoli passi, Lily. Piccoli passi. Metri di vita, respiri prolungati.
Basteranno. Il tempo scivola veloce, ma nulla t’impedisce di corrergli dietro, afferrarlo, morderlo e costringerlo a rallentare.
Piccoli passi, Lily. Il tempo lo si trova. Tra giornali sgualciti, cocci di tazze rotte. Dita e respiri sulla pelle.
Le lenzuola bianche sono un po’ fredde, ma te le tiri addosso. Affondi il viso nel cuscino.
“Arriva presto, Amore. Vedrai.”
E James arriva. Te lo ha promesso. Ve lo ha promesso.
Il cigolio della porta, fruscii di vestiti sul pavimento, un tonfo.
Il suo respiro sul collo. Due braccia calde attorno a voi. Il suo saluto contro la pelle del tuo ventre.
“Ti aspettavamo.”
“Lo so.”
Una risata. Due risate e un altro calcio.
“Vieni qui, cocciuta.”
Un bacio. Due baci e dita che si cercano, che si trovano.
Piccoli passi, Lily. Uno, due, quindici passi. Il tempo lo si trova.
“Ti amo.”
“Sei tornato.”
Un bacio, e un altro. Le sue mani su di te.
“Sì. Sono qui.”
Piccoli passi, Lily. Uno, due, tre, quindici passi. Qualche attimo in più.
Piccoli passi Lily. Di tempo ne avete ancora. Di respiri anche.
Basta trovarli.
“E’ arrivato, Amore. E’ qui. Il tuo papà.”
 
E la notte si colora, in un sussurro.
   
 
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