Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: RobTwili    12/03/2012    20 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
YSM
 
 
«Cosa… cosa ti è successo?» domandai spaventata, avvicinandomi a lui per controllare le ferite.
Non riuscivo a capire dove si fosse tagliato per essersi sporcato così tanto la maglia; vedevo diversi tagli sulle braccia, ma sembravano superficiali, niente a che vedere con quello sulla fronte, almeno.
«No, io… io sto bene, è… non sono io». Era agitato e scosso, non l’avevo mai visto in quello stato. Si muoveva da un piede all’altro, guardandosi continuamente alle spalle, come se temesse di essere seguito.
«Ryan, calmati, non riesco a capire quello che vuoi dirmi. Chi si è fatto male?» domandai, appoggiandogli una mano sul braccio e spaventandolo a morte; si ritrasse subito dal mio tocco come se avesse sentito dolore.
«Io… ti prego, devi aiutarci. Non posso portarlo in ospedale e non voglio lasciarlo morire, non posso. Tu sei un medico, no?» la sua voce si incrinò leggermente, come se gli costasse fatica parlare. Lo guardai deglutire e respirare a stento, un groppo a chiudergli la gola.
«Dov’è?» domandai spaventata, correndo in camera a prendere l’occorrente per medicare. Mentre prendevo la valigetta dall’armadio guardai le mie mani: stavano tremando troppo. Cercai di respirare a fondo per calmarmi, ricordando che avevo medicato Ryan e Dollar senza problemi, qualche giorno prima.
Sarebbe stata la stessa cosa, nessun brutto ricordo o altro, solo una piccola ferita da curare o  cucire.
«In cucina» bofonchiò Ryan, aprendo la porta del suo appartamento.
«Fa male, cazzo» strillò una voce. Riuscii a riconoscerla subito: era quella di Sick.
«Adesso arriva la Doc». Dollar stava cercando di rassicurarlo, assieme a tutti gli altri ragazzi in piedi attorno al tavolo.
«Lasciatela passare» ordinò Ryan, spostando due ragazzi malamente.
Vedere Sick disteso sul tavolo, con i vestiti zuppi di sangue e un taglio che si estendeva lungo tutta la coscia mi fece gelare il sangue nelle vene: c’era una scena troppo vivida tra i miei ricordi, gli stessi che cercavo di scacciare e da cui ero scappata.
«Non… non posso. Mi dispiace». La valigetta mi sfuggì dalle mani e cominciai a indietreggiare, incapace di distogliere lo sguardo dalla gamba insanguinata e ferita.
«Sei un medico» sibilò Ryan, indicando Sick, che cominciava a perdere le forze, parlando sempre più lentamente.
«No, io… non ho la laurea, non… portatelo in ospedale» bofonchiai, sentendo gli occhi di tutti puntati addosso a me. Cercai di cacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscire dai miei occhi; non volevo farmi vedere piangere da loro.
«Non ha l’assicurazione, non posso portarlo in ospedale. Fai qualcosa cazzo» urlò Ryan, portandosi una mano tra i capelli e sporcandoli di sangue.
«Non ce la faccio» piagnucolai, sentendo le prime lacrime scendere e chiudendo gli occhi per non guardare di nuovo Sick.
Ero combattuta, una parte di me voleva reagire e aiutarlo perché sapevo che avrei potuto salvarlo, l’altra, spaventata dai fantasmi del passato, mi suggeriva di fuggire e dimenticare.
«Dove cazzo vai? E quel cazzo di giuramento che fate voi fottuti medici?». Ryan mi raggiunse in pochi passi, strattonandomi un braccio e rischiando di farmi perdere l’equilibrio, tanto che sbattei contro il suo petto, lasciando cadere altre lacrime.
«Ryan non ce la faccio…» mormorai, scuotendo lentamente il capo e tenendo lo sguardo basso per non incrociare il suo o quello degli altri ragazzi che cominciarono a borbottare sommessamente qualcosa.
«Lo lasci morire?» strillò ancora più forte, stringendo la presa sul mio braccio così tanto che cominciò a farmi davvero male.
«Lasciami» ribattei, cercando di liberarmi dalla sua mano: il suo sguardo mi faceva paura, per la prima volta Ryan sembrava veramente fuori di sé e temevo che potesse ferirmi.
«Ryan, calmati». Brandon si avvicinò a lui, appoggiandogli una mano sulla spalla. Lo sguardo che si scambiarono costrinse Ryan a lasciarmi lentamente; mi ritrovai a muovere il braccio per cercare di far passare il dolore.
«Deve  curarlo, cazzo. Ha la gamba tagliata a metà». Ryan era fuori di lui, continuava a gridare, incurante degli sguardi che lo fissavano, impauriti e agitati.
«Non posso» insistei, socchiudendo di nuovo gli occhi per non guardare Sick, disteso sul tavolo e ricoperto di sangue.
«Alexis, per favore, morirà». Brandon cercava di convincermi ad aiutarlo ma non ci riuscivo, era più forte di me. Le mie mani stavano tremando troppo e avevo paura di non saper e che fare una volta davanti alla gamba ferita di Sick.
«Non può morire anche lui, cazzo». Ryan tirò un pugno contro il muro, a qualche manciata di centimetri dal mio viso, tanto che non riuscii a trattenere un urlo spaventato.
«Alexis, fa qualcosa» mi supplicò Brandon. Mi sembrò quasi di vedere i suoi occhi lucidi, sotto lo sguardo da duro e gli zigomi insanguinati; per questo non riuscivo a decidermi: una parte di me voleva davvero aiutare Sick, lo volevo davvero.
Presi un respiro profondo, scacciando tutti i fantasmi del passato e avvicinandomi al tavolo. Al mio movimento, tutti i ragazzi che erano rimasti accanto a Sick indietreggiarono di qualche passo, lasciandomi libera di muovermi davanti a lui, che imprecò, appoggiando la nuca sulla tavola.
«Cazzo Alexis, ti prego fa qualcosa perché fa male» farfugliò, digrignando i denti per il dolore. Guardai subito la sua gamba, senza toccarlo: i pantaloni erano lacerati lungo tutta la coscia ed erano tutti insanguinati. Aveva perso tanto sangue, ci poteva essere il pericolo che con la coltellata si fosse addirittura recisa l’arteria femorale.
Corsi velocemente alla valigetta, aprendola e prendendo un paio di guanti blu che faticai a indossare: le mani mi tremavano e sentivo le lacrime scorrere lungo le mie guance, ma dovevo concentrarmi su di lui e sulla sua gamba. Era Sick, eravamo a New York. Los Angeles e tutto quello che era successo lì non dovevano interferire con quello che stavo per fare.
«La vita privata fuori dalla sala operatoria» diceva sempre il professor Burton durante il tirocinio. Dovevo lasciare i ricordi lontano da me.
«Non ho niente per anestetizzarlo. Mi… mi serve qualcosa di forte, avete della vodka?» domandai, rivolta a Dollar che continuava a stare di fianco a me, seguendo i miei movimenti. Annuì, raggiungendo un mobiletto poco distante dal tavolo e prendendo un paio di bottiglie di vodka che mi passò. «Bevine un po’» mormorai, allungando una delle due bottiglie verso Sick che cercò di sollevarsi.
Il suo volto era diventato pallido e faticava a tenere gli occhi aperti, sembrava sul punto di svenire: dovevo sbrigarmi se volevo salvarlo.
Presi una forbice e tagliai definitivamente i jeans, lasciandogli la gamba scoperta per guardare la ferita. C’era tanto sangue, ma il taglio, anche se esteso, non sembrava profondo tanto da aver intaccato l’arteria.
«Da quanto è successo?» domandai, imbevendo un batuffolo di cotone con il disinfettante per cercare di pulire un po’ la ferita. L’odore pungente mi raggiunse, calmando un po’ i miei nervi troppo tesi.
«Mezz’ora fa, forse meno, non lo so». La voce di Ryan non era molto distante da me, ma sentivo i suoi passi, come se stesse camminando nervosamente su e giù per la stanza.
«Mezz’ora?» domandai, stupita, alzando lo sguardo dalla gamba di Sick per guardare Ryan.
«Sì, noi eravamo all’angolo e… poi siamo tornati indietro. Mezz’ora» spiegò, massaggiandosi il mento e sporcandosi ancora di più di sangue. Mi accorsi che la ferita sulla sua fronte continuava a sanguinare, ma Sick, con la sua gamba, era più importante di Ryan, visto che sicuramente quello era solo un taglio superficiale.
Tamponai la ferita facendo attenzione a non premere troppo il cotone per non fargli male, Sick però continuava a bere vodka, imprecando sempre più lentamente.
«Sick, stai fermo» borbottai, finendo di pulire la ferita e sospirando sollevata: l’arteria femorale non era stata recisa; era solo un taglio profondo che sarebbe guarito nel giro di qualche settimana, nonostante ci volessero molti punti per ricucirlo alla perfezione. «L’arteria femorale non è recisa» spiegai, prendendo del cotone pulito per sistemare la ferita.
«Cosa cazzo vuol dire?» sbottò Ryan, avvicinandosi a me di scatto. Fui costretta a scostarmi, spaventata dalla sua reazione.
«Non è in pericolo di vita. Ha perso tanto sangue ma non c’è pericolo che possa morire dissanguato, devo solo mettergli dei punti» spiegai, prendendo la bottiglia di vodka tra le mani e preparandomi al peggio. «Sick, devo disinfettarti perché non so con cosa sei stato ferito e potresti fare infezione. Ti brucerà, bevi ancora» consigliai, svitando il tappo con mano tremante e attendendo qualche secondo. Quando appoggiò la bottiglia, dopo averne bevuto qualche sorso, cominciai a bagnare la sua ferita con la vodka.
«Cazzo! Brucia» urlò, conficcando le dita sul bordo del tavolo per non muoversi.
Vederlo preda del dolore mi fece salire di nuovo le lacrime agli occhi; lacrime che cominciarono a scendere lungo le mie guance. Cercai di asciugarle contro la maglia che portavo, continuando a bagnare con l’alcool la sua gamba.
«Perché si sta addormentando?» domandò Ryan, indicando Sick che faticava a tenere gli occhi aperti e aveva abbandonato la testa all’indietro.
«Sick! No, Sick! Devi rimanere sveglio. Sick, Sick mi senti? Sono Alexis, devi rimanere sveglio» strillai, cominciando a schiaffeggiare il suo viso perché non si addormentasse. Aprì gli occhi, accennando a un debole sorriso, prima di far cadere la testa di lato. «Sick! Svegliati cazzo» urlai, non pensando alle lacrime che continuavano a scendere dal mio viso, cadendo sulle sue guance.
«Apri quei fottuti occhi o giuro che ti tolgo quel fottuto flag e ti spedisco a calci in culo dai Misfitous» ringhiò Ryan, tirando un pugno sulla spalla di Sick, che si lamentò con un grugnito.
«Mi hai fatto male, stronzo»  bofonchiò, muovendo appena le labbra.
«Hai sentito che cazzo ha detto? Apri i tuoi fottuti occhi. Non avrò una figa, ma accontentati e guardami». La frase di Ryan fece ridere tutti i ragazzi dietro di lui e non riuscii a non ridere tra le lacrime, pensando a quella strana situazione.
«Ho voglia di una scopata» sbottò Sick, facendomi ridere di nuovo, mentre cominciavo a ricucire la grossa ferita sulla sua gamba. Nonostante tutto, sentire quella frase così volgare uscire dalle sue labbra mi fece sperare che ce l’avrebbe fatta e che si sarebbe ripreso.
«Non sei nelle condizioni, ora» scherzò Ryan, prendendo una sedia lì vicino e sedendosi poi di fianco a lui, per fargli compagnia. Quel gesto mi intenerì: sembrava che Ryan fosse lì per dare forza a Sick, per dirgli di continuare a parlare e non mollare, perché ce l’avrebbero fatta, assieme.
«Me lo devi. Ti ho salvato il culo». Sentivo la voce di Sick diventare sempre più debole, ma non doveva mollare, non in quel momento.
Sick non doveva morire, no.
«Lo so, e per questo ti lascerò casa libera con due fighe, che ne dici? Solo tu e loro due, dove vuoi» propose Ryan, lanciandomi uno sguardo preoccupato perché Sick sembrava reagire sempre meno. Cercai di non fargli capire quanto fossi sconvolta, concentrandomi di nuovo sulla ferita.
«Si-Sick? Perché non mi racconti di quel film porno? Quello con Stoya?».
Un pretesto stupido per farlo parlare, ma mi sembrava che potesse funzionare. Solo poche ore prima l’avevo visto così felice di raccontare i dettagli della sua attrice preferita; chissà, forse si sarebbe concentrato di nuovo.
Aprì leggermente gli occhi, sorridendo con una smorfia di sofferenza e toccando, lentamente, la spalla di Ryan: «L’ho detto che è una porca» tossì, muovendosi appena. «Sei sicura? Non vorrei scandalizzarti» aggiunse, cercando di deglutire con fatica.
«No, ci ho ripensato, me lo racconta Ryan, così tu ti concentri e mi dici se fa degli errori, ma devi stare attento Sick, d’accordo?». Sapevo che parlare era difficile per lui e non volevo che si sforzasse troppo. Mi bastavano cinque minuti di tempo, volevo solo finire di cucirgli il grosso taglio e poi l’avrei lasciato riposare. «Bevi un altro po’ di vodka, qui farà male» mormorai, fermandomi con ago e filo a mezz’aria, aspettando che bevesse di nuovo prima di cucirgli la pelle martoriata vicino al fianco.
«Tu vuoi ubriacarlo per poi trombarlo, non è vero?» scherzò Brandon, cercando di alleggerire l’atmosfera.
«Mi avete scoperta» ridacchiai, reggendo il gioco per riuscire a tenere Sick sveglio. La situazione era talmente paradossale che non mi rendevo nemmeno conto di quello che stavo dicendo. Volevo solo salvare Sick e curarlo.
«Non serve ubriacarmi, lo faccio volentieri da sobrio e duro di più» biascicò, appoggiando la bottiglia mezza vuota di fianco a lui. Cucii gli ultimi punti, tagliando il filo e disinfettando la gamba prima di cominciare a fasciarla. Il peggio era passato, Sick poteva riposare tranquillo, ora.
«Sick, perché non ti riposi un po’?» lo tentai, alzandogli lentamente la gamba e facendoci girare la garza bianca attorno. «Se ti fanno tanto male i punti me lo dici che cerco qualcosa per farti passare il dolore, ok?» continuai, legando la garza e fermandola con un cerotto. Sick annuì solamente, muovendosi con lentezza sopra il tavolo come se stesse cercando di trovare una posizione comoda. «Se volete sistemarlo su un letto o sul divano per farlo stare più comodo…» suggerii, togliendomi i guanti e gettandoli in una busta di plastica che avevo dentro alla borsa.
«Paul, John, Brandon, aiutatemi» ordinò Ryan, sollevando le spalle di Sick dal tavolo mentre gli altri ragazzi si avvicinavano per aiutarlo.
«Attenti alla gamba, potrebbero saltare i punti» li avvertii, sporgendomi in avanti istintivamente, mentre, tutti e quattro sollevavano Sick dal tavolo, lentamente. Se avessero mosso Sick nel modo sbagliato di sicuro il taglio si sarebbe aperto di nuovo, causandogli molto più dolore di quanto in realtà ne sentisse. Si mossero con calma, avvicinandosi al divano e stendendolo sopra dolcemente. Sentii Sick mugugnare qualcosa, ma ero quasi sicura che la vodka e il dolore avessero fatto effetto. Si sarebbe svegliato entro un paio d’ore in preda alla sofferenza a causa dei punti che tiravano e della ferita, ma ci avrei pensato dopo a lui, prima c’erano gli altri.
«Grazie per l’aiuto» proruppe Ryan, avvicinandosi a me, per poi andare verso il frigo, per prendersi una birra. Si sedette su una sedia, ignorando il tavolo sporco di sangue o i ragazzi attorno a lui, che lo guardavano in attesa di sentirlo parlare.
«Fammi vedere la tua fronte» sbuffai, prendendo un altro paio di guanti dalla valigetta e avvicinandomi a lui. Ero scossa per quello che era appena successo, ma non mi ero dimenticata di quel taglio sanguinante; avrei dovuto almeno tamponare e mettere un cerotto.
«Non è niente» si lamentò, scostandomi con un gesto infastidito e portando i piedi ad appoggiarsi sopra alla tavola.
«Hai un taglio sulla fronte e hai perso sangue, visto che ho appena cucito la gamba a Sick, credo di non scandalizzarmi per un piccolo taglio» gli ricordai, infastidita, incrociando le braccia al petto e picchiando il piede per terra in attesa di poterlo curare. Possibile che dovesse sempre comportarsi da stronzo? Non riuscivo a capire se lo fosse davvero o facesse solo finta.
«Brandon, Dollar e Lebo sono messi peggio». Liquidò il mio tentativo di curarlo, indicando i ragazzi dietro di me. Istintivamente mi voltai, guardandoli uno a uno. Brandon sembrava quello messo peggio: aveva gli zigomi insanguinati, ma mi sembrava di vedere solo un piccolo taglio sotto l’occhio sinistro, Lebo aveva un labbro rotto e la maglia sporca dal sangue che era colato dalla ferita, Dollar, invece, aveva solamente un occhio pesto.
«Fatemi vedere» mormorai, avvicinandomi a Dollar per controllare. Tastai l’occhio attorno al livido, per sentire se ci fosse qualche ematoma, ma non riuscivo a sentire nessuna sacca di sangue. «Devi… ti serve questa. La spalmi anche domani mattina e domani sera, ti verrà l’occhio ancora più nero, ma non dovresti avere problemi» lo informai con professionalità e attenzione, prendendo una pomata dalla valigetta e spalmandogliela attorno all’occhio.
Dollar continuava a guardarmi in silenzio, senza dire nulla; seguiva i miei movimenti con attenzione, socchiudendo appena gli occhi quando per sbaglio tastavo un punto dolente con le dita. «Grazie Doc» ammiccò, quando finii di spalmargli la crema e gli allungai il tubetto.
Risposi con un timido sorriso, avvicinandomi a Lebo. Ero quasi sicura di non aver mai parlato con lui, forse non l’avevo nemmeno mai visto; cercai di ricordare se, quando mi ero svegliata sul loro divano dopo l’aggressione da parte dei Misfitous, ci fosse stato anche lui, ma non riuscivo a ricordarlo.
«Non ti servono punti» mormorai, prendendo un po’ di cotone per pulire la ferita. Era solamente un piccolo taglio, che sanguinava a causa di un pugno, almeno credevo. «Tieni il taglio pulito e cerca di non prendere pugni per una settimana, dovrebbe guarire». Riuscii a scorgere un sorriso tra quelle labbra gonfie e, sospirando, mi avvicinai a Brandon: di sicuro il suo zigomo sinistro era stato colpito più volte, visto che, oltre al taglio sotto all’occhio c’erano anche diversi lividi viola che segnavano la formazione di un ematoma. «Devi metterti la stessa crema di Dollar sullo zigomo, ma per questo taglio non posso fare molto» spiegai, prendendo un piccolo cerotto che potesse ricoprire il taglio, dopo averlo pulito.
«Grazie Alexis, non solo per questo» mormorò Brandon, mentre mi scostavo da lui. Risposi solo con un accenno di sorriso, troppo stanca per formulare davvero una risposta. Sentivo l’adrenalina che se ne stava andando e cominciavano a farmi male le spalle. Succedeva sempre così dopo un intervento. L’averlo provato dopo settimane, però, mi stupì: in qualche modo, la sensazione di aver salvato una persona era sempre bella e mi faceva sentire importante.
«Ryan, vuoi che rimaniamo qui con Sick?» chiese Brandon, dopo aver raggiunto Lebo e Dollar che si stavano incamminando verso il corridoio. Solo in quel momento mi resi conto che gli altri se ne erano andati, lasciandoci da soli.
«No, rimango io. Andate a dormire ragazzi». Un ordine, ancora una volta. Brandon annuì, facendo un gesto del capo prima di sparire con Lebo e Dollar dietro la porta di legno e richiudendosela alle spalle.
«Fammi vedere». Gettai di nuovo i guanti, sporchi dal sangue di Brandon, e, dopo averne indossato un paio puliti, mi avvicinai a Ryan che sbuffò, alzando gli occhi al soffitto.
«Ti ho detto che non è niente» sbottò, incrociando le braccia al petto, mentre gli scostavo i capelli insanguinati dalla fronte per controllare il taglio: non sembrava profondo, ma dovevo pulirlo e disinfettarlo.
«Sta fermo» brontolai, tenendogli con una mano il capo e strofinando il cotone con l’altra. Cercavo di fare attenzione per non fargli male, ma era difficile, visto che continuava a lamentarsi, dicendo che non si era fatto male e che potevo tornarmene a casa. «Riesci a stare zitto per cinque minuti?» mi lamentai, prendendo il disinfettante e spruzzandolo sulla sua fronte. Quell’odore, così familiare, mi stordì ancora una volta per qualche secondo, trasportandomi dall’altra parte dell’America.
«Che c’è?» domandò Ryan, riportandomi a Whittier Street e spaventandomi. Sussultai, strofinando con troppa forza il cotone contro la sua ferita senza che però Ryan si lamentasse.
«Cosa vi è successo?» chiesi, prima ancora di rendermene conto, mentre applicavo il cerotto sopra alla colla perché il taglio potesse cicatrizzarsi presto.
«Stavamo giocando a morra cinese e tutti hanno scelto forbice» ironizzò, probabilmente perché non voleva dire che cosa era realmente accaduto.
Finii di sistemare il cerotto, mettendone uno più grande sopra perché la ferita potesse rimanere pulita e poi, dopo aver preso un respiro profondo per calmarmi, decisi di rispondergli: «Sai, Ryan, ho salvato la vita a Sick e ho cucito l’altra metà di voi, credo che potresti almeno dire perché siete arrivati a casa a pezzi». Ero arrabbiata e stanca. Stanca del suo comportamento e di tutto quello che era successo in quelle ore. Quanto tempo era passato da quando ero entrata nel loro appartamento?
«Lentiggini, questo posto non è per te, se sapessi tutto quello che succede probabilmente ritorneresti nella tua amata spiaggia di corsa». Sempre quel tono che sembrava schernirmi; ero sicura che fosse apparso il solito ghigno sul suo viso, anche se non potevo saperlo, visto che stavo riordinando la mia valigetta, mezza vuota.
Dovevo assolutamente comprare cerotti, bende e disinfettanti. Avevo la netta sensazione, che quella situazione non era stata un caso fortuito, ma che per gli Eagles fosse normale routine.
«Perché non mi metti alla prova? » azzardai, sicura che mi avrebbe risposto di no. Con una tranquillità che non possedevo, mi sedetti su una sedia davanti a lui, senza appoggiarmi al tavolo ancora sporco di sangue.
«D’accordo» sospirò, stupendomi. Prese un respiro profondo e cominciò a parlare, lo sguardo a qualche isolato di distanza, «noi volevamo solo… rimarcare il territorio, sai, no? La solita storia. Siamo andati all’incrocio di confine, sicuri di noi e pronti a mostrarci forti contro i Misfitous. Insomma, avevo organizzato tutto: Brandon e Sick a coprirmi le spalle e Lebo e Dollar a spingere il topo verso di noi. Gli altri avrebbero semplicemente coperto la zona, come sempre. Abbiamo aspettato il momento giusto, era da solo e non sembrava nemmeno tanto forte, il topo perfetto, no? Cazzo, deve essere stato un Gonna-Be dei Misfitous, perché quando abbiamo cercato di prendergli il portafogli ha tirato fuori un coltello, minacciandomi. Sono riuscito a tirarmi indietro, ma non mi ero accorto che ne stava arrivando un altro. Sick l’ha visto e mi ha difeso, ma si è preso una coltellata sulla gamba. Gli altri… io li sentivo, ma quel fottuto bastardo non mi lasciava andare, così l’ho riempito di pugni fino a quando non si è più mosso, ma era davvero troppo tardi e non ho potuto fare niente. Abbiamo pareggiato i conti ma… è stata tutta colpa mia, cazzo. Non avevo la lucidità necessaria» concluse, portandosi una mano sulla testa e prendendo una sigaretta.
Solo alla fine della sua storia mi accorsi di quando mi fossi immersa nel suo racconto: pendevo dalle sue labbra e avevo milioni di domande che chiedevano risposte.
Cosa voleva dire che dovevano spingere il topo verso di loro? Perché volevano derubare l’uomo?
«Non provarci nemmeno» sbottò, aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta e producendo subito dopo una nuvola grigia.
Mi allontanai un po’, per non aspirare quell’odore sgradevole in modo così diretto e poi domandai, confusa: «cosa?». Non dovevo provare a fare cosa?
«Non provare nemmeno a cominciare con tutte le domande che ci sono nella tua testolina. Non ti risponderò, ti ho già detto molto di più di quanto dovresti sapere. In fin dei conti sei solo la nostra vicina, anche se hai salvato Sick» concluse, guardando verso il divano, da dove provenivano dei lamenti.
Mi alzai velocemente, raggiungendo Sick che si muoveva irrequieto, imprecando contro qualcosa.
«Sick? Tutto bene?» chiesi, accarezzandogli la fronte per cercare di calmarlo. Era tutto sudato e continuava a stringere le mani a pugno.
«La gamba, fa male» riuscii a capire, tra un gemito di dolore e un altro. Corsi fino alla mia valigetta, frugando dentro in cerca delle pastiglie che ero sicura di aver messo nella tasca laterale. Ne presi un paio, avvicinandomi di nuovo a Sick e portandogli una mano dietro alla nuca, per costringerlo ad alzarsi un po’. «Prendi queste e cerca di riposare, i punti ti faranno male» mormorai, mentre ingeriva le pillole con un gemito di dolore: si era spostato sul divano e la gamba si era mossa. Appoggiò di nuovo il capo sul bracciolo, chiudendo gli occhi e tornando a respirare lentamente. Si era addormentato, il respiro regolare, ma il viso esprimeva sofferenza; lo capivo dal pallore e dalle labbra contratte.
«Se non ti dispiace rimango qui, così se ha bisogno posso aiutarlo» bofonchiai, coprendo Sick con una vecchia coperta logora che c’era sullo schienale del divano.
«Come vuoi». Ryan fece spallucce, cominciando a camminare su e giù per la stanza, senza però prestarmi attenzione. Mi avvicinai all’altro divano, sedendomi di fianco al bracciolo e appoggiando il capo sullo schienale, sospirando.
Avevo solo bisogno di chiudere gli occhi per un paio di secondi, solo per poter organizzare le idee e sistemare i pensieri e i ricordi.
 
«Cazzo» imprecò qualcuno. Mi svegliai di soprassalto sentendo un rumore sordo e vicino.
Mi misi a sedere, trovandomi avvolta in una vecchia coperta e cercando di ricordare perché non fossi a letto. Mi guardai attorno, trovando Ryan intento a fare qualcosa, davanti alla parete con le foto.
«Non volevo svegliarti» bisbigliò, la sigaretta tra le labbra, continuando a tenere lo sguardo basso su qualcosa che aveva tra le mani. Mi alzai dal divano, avvicinandomi a Sick per dargli un’occhiata. Portai una mano sulla sua fronte per sentire se avesse la febbre ma non mi sembrava; così, per sicurezza, appoggiai due dita al suo collo, all’altezza della carotide, per controllare i battiti. Tutto sembrava normale; le pulsazioni erano regolari e quindi non aveva febbre, sintomo mancante per un’infezione: Sick si stava lentamente riprendendo.
«Cosa stai facendo?» borbottai, avvicinandomi a Ryan, ancora davanti al muro con le loro foto. Aveva un nastro nero in mano e stava sistemando una foto di uno dei ragazzi che il giorno prima mi aveva seguita. Perché stava cambiando la cornice?
«Sistemo le cose, voglio che sia tutto apposto» mormorò, stringendo il nastrino nero nell’angolo in basso a destra della foto. La cornice, assieme a qualche altra raffigurante dei ragazzi che non avevo mai visto, era nera.
«Perché Shake e Liam hanno la cornice nera come questi? E perché quel nast…». Non terminai la frase, capendo immediatamente quello che era successo la sera prima. Ryan aveva detto che un ragazzo l’aveva trattenuto ed era arrivato troppo tardi. «Sono… Liam e Shake sono…» mormorai, la voce spezzata dal nodo che si era formato in gola.
«Promettevano bene, mi dispiace». Aspirò una nuova boccata di fumo, sistemando anche la seconda foto sul muro, in basso. Perché la sua foto e quella di Brandon era più in alto rispetto alle altre? Esisteva una sorta di gerarchia? Chi era Ryan, il capo? E Brandon? «Comunque non preoccuparti, abbiamo pareggiato i conti». Aprì un cassetto di un mobile non molto distante dalla parete, lanciando le vecchie cornici dentro; poi, senza guardarmi, andò a distendersi sul divano.
Pareggiato i conti? Cosa significava? Erano forse morte anche delle persone dei Misfitous?
«È morto anche qualcuno di loro?» domandai curiosa, avvicinandomi al divano, perché potesse spiegarmi quello che era successo senza svegliare Sick o i ragazzi che stavano dormendo nelle camere.
«Te l’ho detto, abbiamo pareggiato i conti» ribatté, portandosi la sigaretta alle labbra per fare un ultimo tiro prima di spegnerla contro la gamba del divano e gettare il filtro per terra.
«Chi… chi avete ucciso?» borbottai, spaventata dalla sua ammissione. Non era minimamente turbato, sembrava non interessargli nemmeno l’aver ucciso delle persone.
Alzò il capo, facendo in modo che i nostri sguardi si incontrassero per qualche secondo; poi, dopo essere rimasto in silenzio come se stesse valutando cosa dire e non dire, si decise a parlare: «Clifton e Hunter, non è stata una grossa perdita per loro, suppongo. Avremmo potuto fare di meglio, ma c’era Sick che continuava a urlare per il dolore e Shake e Liam erano a pochi metri da noi, non avevo la lucidità per continuare». Per continuare. Quindi Ryan non si sarebbe fermato a due omicidi, era questo che cercava di dire? «Perché non volevi aiutare Sick?» domandò all’improvviso, scrutando attentamente il mio volto.
Temevo quella domanda, ma ancora di più la mia risposta, perché non sapevo cosa dire. Non mi sentivo pronta per ricordare il passato, ma soprattutto non volevo.
«Non ti interessa» tagliai corto, interrompendo il contatto visivo con Ryan e guardando la sigaretta spenta che aveva lanciato poco distante da me.
«Fammi capire, io devo dirti cosa è successo stasera e tu non vuoi dirmi perché volevi lasciar morire Sick?» domandò, ironico.
Sospirai, evitando di incontrare il suo sguardo e decisi che era giunto il momento di andare. «Credo che andrò a dormire un po’, se Sick si sveglia o se c’è qualche problema chiamami» dissi con una calma che non provavo affatto, alzandomi in piedi e avvicinandomi a Sick, per controllarlo. Mi soffermai a guardare la sua gamba bendata; fortunatamente il sangue non aveva superato anche la benda, quindi ero riuscita a ricucire il taglio abbastanza bene. Dovevo solo sperare che non facesse infezione nelle ore successive, o sarebbe dovuto correre all’ospedale e probabilmente ci sarebbero stati dei problemi anche per me, visto che l’avevo medicato all’infuori dell’ambiente sterile e senza nemmeno una laurea.
«Quando ti svegli passa di qua, andremo a trovarti un lavoro, te lo devo».

 
 
 
 
Sono di frettissima…
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e… niente, non so che dovevo dire ma volevo pubblicare stasera e non domani…
Non chiedetemi più l’amicizia ma iscrivetevi al gruppo che è sempre quello (Nerds’ corner).
Alla prossima settimana e scusate per la brevità delle note.
Un bacione.

   
 
Leggi le 20 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: RobTwili