L’Ombra
di Noi
Le
tue labbra morbide si arricciano in una smorfia
divertita, gli angoli della tua bocca si alzano verso l’alto
in quello che dovrebbe
essere un sorriso pigro. Ma quello che io vedo, piuttosto, è
un ghigno
sprezzante, uno di quelli solo tuoi, che ti rendono ciò che
sei: spavaldo e
cinico. Sorridi raramente Sirius, e solo se a parlarti è
James. La tua risata è
qualcosa di così raro e prezioso che, ogni volta che le miei
orecchie se ne
riempiono, sento di aver ricevuto un dono più unico che
raro. Ma ora che ti
trovi qui, dinanzi a me, non sorridi e i tuoi occhi non hanno quella
luce
meravigliosa che li rende ancor più belli; mi fissi con quel
sogghigno che
detesto, con quell’aria spavalda e lievemente divertita. Ami
prenderti gioco di
me, adori fare un passo in avanti e cento indietro; ti diverte avere in
mano la
situazione e gestirla a tuo piacimento.
Cosa
sono io per te, Sirius? Un burattino le cui fila sono ben salde nelle
tue mani?
Scosto
la sedia che emette un suono stridulo e fastidioso; mi alzo, afferrando
quel
libro che cercavo di leggere senza riuscirci; le mie dita sono
già ferme sulla
maniglia, pronte ad abbassarla, quando ti sento dietro di me. Alzo lo
sguardo,
osservando la tua mano che tiene ferma la porta, accertandoti che io
non la apra.
Avverto il tuo respiro caldo sul collo e stringo con più
forza il testo che ho
tra le braccia, eppure resto immobile, attendendo una tua mossa, un tuo
cenno:
una stupida marionetta, ecco cosa sono.
<<
Non ho ancora finito >>
Vorrei
dirti che per me la faccenda è conclusa, che non ho
più intenzione di ascoltare
le tue parole strascicate, né di fissare i tuoi occhi che
cercano di penetrarmi
l’anima. Vorrei dirti di lasciarmi andare, di non fermarmi;
non lo faccio. Le
parole restano incastrate in gola e deglutisco rumorosamente, nel
tentativo di
far qualcosa e non restarmene lì impalato ad aspettare che
tu mi dia il colpo
di grazia.
<<
Non è finita >>
La
tua mano lascia la superficie lignea della porta per posarsi sul mio
braccio;
risale piano fino a sfiorarmi il collo ed è naturale, per
me, rabbrividire a
quel contatto. Inclino la testa di lato, permettendo alle tue labbra di posarsi sulla mia pelle, di assaporarla
prima lentamente e poi morderla. Quelle labbra
che sanno di peccato, che sono inferno e paradiso insieme. Avverto i
tuoi denti affondare nella carne e il libro che con forza stringevo,
ricade a
terra con un tonfo sordo; sono inerme tra le tue braccia. Resti in
piedi dietro
di me e le tue mani si posano sul mio stomaco, mi cingono e mi
stringono al tuo
corpo; un mugolio roco fuoriesce dalle mia labbra e ti sento sorridere
contro
di me: ti fa sentire appagato il darmi piacere, il vedermi
completamente
succube delle tue attenzioni.
<<
Perché mi hai trascinato qui? >>
Riesco a dire con la bocca impastata dal piacere.
<<
Non l’ho fatto, tu mi hai seguito >>
Riapro
gli occhi che avevo socchiuso l’attimo prima, fissando la
parete di fronte a
me; avverto le ginocchia molli ed il cuore battere in maniera
forsennata e
incontrollabile.
Sono
stato io a volere questo? A volermi accontentare di baci che sanno di
errore e
parole taglienti? Di incontri clandestini e sguardi fugaci?
Probabilmente la
mia condizione mi ha spinto ad avere una vena melodrammatica e
decisamente
autolesionista; nessuna persona relativamente stabile avrebbe mai
accettato
una simile relazione.
Mi
libero dalla tua presa con una furia eccessiva e mi volto, deciso a
fronteggiarti. Sei impassibile dinanzi a me, affondi una mano nella
tasca e con
l’altra sposti un ricciolo cadutoti sulla fronte; le tue labbra, quelle labbra
che decine e decine di volte hanno sfiorato le mie, si incurvano in un
accenno di sorriso sprezzante.
<<
Sei arrabbiato Moony? >>
Persino
la tua voce sa di derisione.
<<
No >> Sussurro
con voce roca <<
Sto soffrendo, tu dovevi essere
migliore di così >>
<<
Ma non lo sono >> Le
tue labbra si distendono in un sorriso vero,
stavolta <<
Non puoi governare me
o quello che abbiamo: ho un brutto carattere e potrei ferirti, potrei
scappare
e tu mi odieresti >> Ascolto rapito ogni sillaba, e le
braccia mi
ricadono lungo i fianchi, inermi
<< So che questo ti fa paura
perché sono l’unica cosa reale nella
tua vita, l’unica certezza a cui vuoi aggrapparti
>> Mi si avvicina,
sfiorandomi il collo << Devi saper rischiare Remus
>>
Riapro gli occhi
nell’ennesima, solitaria alba della
mia vita; fisso le ante malridotte di una finestra, da cui zampillano i
fiochi
raggi di un sole appena sorto. Sbatto ripetutamente le palpebre ed il
ricordo di
un sogno appena dissolto, resta incastonato nelle mie ciglia:
l’immagine di
Sirius è nitida nella mia mente e il cuore perde
l’ennesimo battito, mentre
prego con tutte le forze di non udirne più nessuno, di
sentirlo fermarsi,
inesorabilmente.
Ogni notte, il
fantasma di ciò che siamo stati mi
tormenta; ogni notte, rivivo quell’ultimo giorno in cui un
bivio si aprì
dinanzi a me: avrei potuto rischiare,
avrei potuto starti accanto e privarmi di me stesso, per donare a te
ogni lembo
del mio essere; avrei potuto, ma da buon vecchio vigliacco ho scelto la
strada
più semplice. Credevo di avere tutto il tempo di questo
mondo, nonostante una
guerra, credevo che mai ci saremmo persi, che avrei potuto riaverti al
mio
fianco.
Uno stolto, ecco
cosa sono stato; ed ora raccolgo i
pezzi di una vita finita, di un cuore spezzato e un’anima
dilaniata dal
rimpianto.
Mi libero della
coperta consunta, mi alzo e ho
bisogno di poggiarmi al comodino di legno accanto al letto, per evitare
di
cadere. Le membra stanche e pesanti mi impediscono di far un passo
senza sentir
dolore, senza avvertire che qualcosa si rompe dentro di me, in ogni
gesto che
compio. E’ come se ogni cosa avesse perso il proprio senso,
come se mi costasse
fatica vivere.
Ci sono cose che
non ho scelto e quelle cose mi
hanno cambiato.
Non ho scelto di
perderlo, ritrovarlo e perderlo
ancora; non ho scelto di vederlo scomparire dietro quel dannato velo,
di
osservare le sue labbra
dischiudersi
e sussurrare qualcosa che mai più sentirò; non ho
scelto di amarlo e al
contempo odiarlo solo perché si è impossessato
della mia vita, dei miei sogni e
del mio cuore.
Non ho scelto
una vita pregna della nostalgia di
cose mai accadute, ma ora decido di chiudere gli occhi e rivederlo,
cercando di
rammentare il suo profumo e la sensazione di calore al petto che
l’essergli vicino
mi provocava. E resto immobile, senza permettere a nessun muscolo del
mio corpo
di muoversi, ordinando persino al mio cuore di decelerare i battiti; e
spero, e
attendo qualcosa che non accadrà. Non rivivrò
nessuna di quelle sensazioni, non
lo sentirò più dentro le ossa e sotto la pelle,
non lo riavrò.
Mi accascio
nuovamente sul letto, stendendomi e
coprendo le palpebre con una mano; l’unica cosa che posso
fare è ricordarlo e
maledire me stesso per non aver scelto lui, in quel giorno lontano.
E’ in quel momento
che il sonno ritorna ad impossessarsi del mio corpo, ad intrappolarmi
nelle sue
maglie ingannatrici.
<<
Tu consumi tutto l’ossigeno che mi sta intorno, sei
asfissiante, pressante e io
ho bisogno di uscire da qui >> Indietreggio e lo guardo
un’ultima volta,
mentre arriccia le labbra in una smorfia insofferente, mentre i suoi occhi
brillano di una luce
quasi maniacale.
<<
Stai commettendo un errore Remus, se vai via, non torni più
>>
Chiaro
è il rumore della maniglia che si abbassa, della porta che
si apre,
richiudendosi poi alle mie spalle; chiaro è il rumore dei
miei passi che per
sempre mi allontanano da Sirius.
Ho aspettato troppo,
ed ora è tardi per l’amore, è
tardi per noi.