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Autore: BloodyRose00    14/03/2012    1 recensioni
Sette adolescenti in una clinica psichiatrica. Hanno un'estate per cercare di ricominciare a vivere.
"Non voglio che la gente sappia che sono pazzo. Nessuno di noi lo vuole."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter Nine


“Aspetti un secondo, signor Green!” disse Chris, seguendolo mentre questi usciva dalla stanza. “Vorrei scambiare qualche parola con lei”.
“Certamente. Chiamami pure Charles. Avete il permesso di uscire da questo posto?”

Mezz'ora dopo, Chris e l'affascinate signor Green sedevano l'uno di fronte all'altro ad un tavolino di Starbucks, sorseggiando i loro caffè.
“È incredibile cosa può fare un bel sorriso sul personale della clinica, non trovi?”.
Chris non fece altro che fissarlo. Per quanto ne fosse affascinato, non era lì per un appuntamento galante.
“Penso di aver ucciso il mio ragazzo” si fece uscire dalle labbra, senza mezzi termini.
Charles prese fiato. “Comincia dall'inizio”.
Il ragazzo gli raccontò tutto. Da quando si era risvegliato senza ricordi dopo un trauma cranico, passando per la depressione della madre e i ricordi dispersi, arrivando all'overdose che l'aveva portato lì.
“Il fatto è che – proseguì – sto cominciando a ricordare delle cose” e gli disse di Jake, di come non sapesse nulla di lui e di come fosse stato il responsabile della sua morte. Alla fine del racconto, aveva il fiato corto e tremava.
L'idea di raccontare tutto a quell'uomo non gli sembrava più tanto buona come quando gli era balzata in testa meno di un'ora prima.
“Ugh, calma. Dobbiamo fare le cose con calma”. Charles mise una mano su quella del ragazzo. “Respira”.
Quando Chris smise di tremare ed iperventilare, anche se aveva ancora gli occhi sbarrati davanti a sé, gli chiese: ”Non sai nient'altro su questo Jake?” Scosse la testa.
“Ma sei sicuro che sia morto, giusto?” Questa volta nnuì.
“Aspetta, – si ricordò Chris – guarda qui”. Fece scivolare di lato la maglietta, scoprendo un tatuaggio nero sulla spalla.
“27/10/11” lesse Charles. “È la data dell'incidente?” Annuì di nuovo. Charles saltò in piedi, euforico. “Ti rendi conto dell'importanza di quest'informazione?” Ora Chris era estremamente interessato. “Dimmi tutto.”

Dopo essere passato alla clinica per riportare Chris, nonostante le numerose proteste di quest'ultimo, si concesse qualche secondo per se stesso.
Non era facile la scelta di vita che aveva fatto. Eppure era l'unico modo per convivere con il senso di colpa che lo attanagliava da troppi anni.
Si tolse il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e l'aprì. Claire era lì, sorridente e immobile.
“Scusa” sussurrò lui. “Mi dispiace tanto”. Da quella fatidica telefonata nove anni prima non era passato un solo giorno senza che Charles si fosse fermato a chiedere scusa a Claire.
Così non funziona si disse. Non stava andando da nessuna parte, con quel suo attaccarsi al passato. Ma come poteva lasciarsi alle spalle l'unica ragazza che avesse mai amato veramente? Come dimenticare il senso di colpa per non essere rimasto quando avrebbe dovuto? Per questo si stava prendendo tanto a cuore Chris, sapendo come ci si sentiva a convivere con un tale fardello. E perlomeno a Charles restavano i ricordi, con cui consolarsi.
Così, pochi minuti dopo, si ritrovò a bussare alla porta d'ingresso di quella che, fino a una manciata di giorni prima, era stata la casa di Chris. Voleva parlare con sua madre, fare due chiacchiere e, soprattutto, scoprire cosa sapeva, raccogliere informazioni su questo fantomatico Jake.
Si aspettava di vedersi comparire davanti una donna di cinquant'anni, grassa e con dieci centimetri di ricrescita grigia sui capelli, ma la persona che effettivamente scoprì dietro la porta lo fece rimanere senza parole e dimenticare tutto il discorso che si era preparato strada facendo.
“Si?” La signora Adams sembrava tutto fuorchè una madre single depressa. Era sulla trentina, con lunghi capelli color mogano e un abbigliamento impeccabile. Pareva anche un po' troppo magra e un po' troppo truccata. Il suo sguardo era perso nel vuoto.
“Sì, uh... Signora Adams? Vengo per conto di suo figlio. Chris”, aggiunse. Quando sentì il nome del ragazzo, una luce le brillò negli occhi. “Entri” gli disse senza troppi convenevoli.

La casa era terribilmente piccola. Il salotto angusto era arredato con un divano, un tavolino e pochi altri mobili. Come Charles non potè fare a meno di notare, mancava la televisione. La cucina era a vista e sul corridoio d'ingresso si affacciavano tre porte chiuse. Ovunque aleggiava un pesante odore di fumo di sigaretta.
“Mi chiamo Charles Green” incominciò, dopo che ella lo ebbe invitato a sedersi sul divano.
“Non è un poliziotto, vero?” lo interruppe subito la donna. “No, signora. Collaboro con la clinica in cui si trova suo figlio”.
“Non mi chiami signora, avremo la stessa età! Sono Isabelle” rispose lei frettolosamente. Poi si rese conto di quello che Charles aveva detto.
“Si è messo in qualche guaio?” “No, Isabelle, tranquilla. Voglio solo parlare”. Isabelle parve rilassarsi.
“Raccontami di Chris” chiese lui gentilmente, ma con decisione. “Chris... da dove posso cominciare?” “Prova dall'inizio” fu il suggerimento di Charles.
“Non sarebbe dovuto nascere. Avevo sedici anni e una carriera promettente davanti. Ero un'attrice, sai?” Piegò le labbra in quello che doveva essere un sorriso. “Ho mollato tutto e mi sono sposata”.
Questo Charles non se lo aspettava. Chris non gli aveva parlato di un padre. “Che gli è successo?”
“Non reggeva. Non se la sentiva di essere padre. Dopo un anno e mezzo se n'è andato. Si è arruolato nell'esercito e da allora non ho avuto sue notizie. Potrei essere vedova e non saperlo” rise. Aveva quel tipo di risata di chi non ride mai, ma dopotutto ridere è come andare in bicicletta e, anche dopo anni di serietà, viene estremamente facile.
“Mi sai dire cos'è successo il ventisette ottobre dell'anno scorso?”
“Non saprei. Sarò andata a lavorare. Che giorno della settimana era?”
“Sabato. Era sabato” replicò Charles con calma.
“Allora non lo so. Non esco, di sabato”. Lui stava cominciando a perdere la speranza di ricavare informazioni dalla donna.
“È il giorno dell'incidente di tuo figlio. Prova a pensarci”.
“Ricordo una telefonata dall'ospedale”.
“Perchè non sei mai andata a trovarlo, Isabelle? Aveva bisogno di te”.
Lei non rispose. Fissava la parete ingrigita davanti a lei, su cui ancora spiccava una macchia più chiara dove un tempo era stata appesa una cornice.
Charles si chiese quante ore, quanti giorni ella avesse passato nella medesima posizione.
“C'era qualcuno con lui, quel giorno. Qualcuno che non è uscito vivo dalla macchina. Ti ricordi di lui?” tentò, senza troppe aspettative. La risposta, però, lo sorprese.
“Jake Harrison. Bravo ragazzo, figlio di una buona famiglia”. Charles la incitò a continuare, con uno sguardo e un cenno del capo.
“Non lo vedevo quasi mai. Chris non era mai a casa, figuriamoci portare qui il suo ragazzo”.
Meglio di quanto avesse sperato. Aveva un cognome adesso, da aggiungere alle informazioni che pian piano stavano tornando in mente a Chris. Presto sarebbe cominciata la fase due del suo piano.
“Ho ancora una domanda. Sai dov'è sepolto?” “Non dista molto. Se vuoi ti ci accompagno”.
Mentre Charles si alzava, dirigendosi verso la porta, notò su un tavolino un gran mucchio di pillole di vario genere. Quando Isabelle lo raggiunse, lui le prese la mano. Col cavolo che avrebbe commesso lo stesso errore due volte.



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Che dire, questo capitolo è stato un vero e proprio parto. Non l'ho riletto, perciò se notate errori vari fatemelo pure notare :D Non mi soddisfa troppo, ma aspetto il vostro giudizio.
floravik e Saeko_chan, sono contenta che la storia di Charles vi sia piaciuta! Grazie per le recensioni, come sempre.

A presto
   
 
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