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Autore: claws    16/03/2012    0 recensioni
Non era paura, nè dubbio. Era un'angoscia che le raspava la gola, che le mordeva il sorriso, che le corrodeva le labbra. Era una furia che l'allegria aveva sempre scacciato, che il buonumore aveva schiacciato e sbattuto in uno scantinato profondo, dove essa s'era alimentata di buio e di silenzio.
[AU, linguaggio volgare; Danimarca e Macao][≈6700 parole]
[Prima classificata al Contest "[Hetalia] La Fiera del Crack" indetto da _Ayame_ e reilin]
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Danimarca
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Le citazioni che ho utilizzato per dividere i flashback dal resto del racconto in questo capitolo sono:

«Vi kommer sammen» --- «Arriviamo insieme»,
«Vi går sammen mod nyt land» --- «Partiamo insieme per una nuova terra».
Di seguito:
[2] Li Xiao chiama Ester «Agente Jin» perché Jin può significare anche «traghetto», il mezzo utilizzato da Ester per raggiungere Macao.
[3] Dato che Li Xiao la chiama Jin, Ester lo canzona definendolo signor Etciù, a causa del suo cognome.
Buona lettura! ^__^





Capitolo II


«Allora?» Esclamò Li Xiao, indifferente.
Occidentali. Tutti uguali! Sempre a dire di dover portare avanti diecimila impegni, e poi non essere capaci di prendere una decisione.
Ester, da qualche minuto, taceva. Lo stanzone dove l'aveva portata quel cinese l'aveva messa in allarme, ma non poteva rischiare di perdere un'occasione simile. Uno delle triadi - sì, quelle dannate triadi che infestavano la sua amata Copenaghen! - l'aveva contattata. Ne era certa, l'avevano scelta appositamente perché lei aveva intenzione di stanare e colpire l'agente macaense Aviz.
«Cosa vi ha fatto l'agente Aviz?»
«Ha ucciso uno dei nostri, agente Jin [2]. Non le serve sapere di più. Vuole accettare questo incarico oppure no?»
«Sentiamo.»
«Noi le forniremo tutte le informazioni di cui siamo in possesso riguardo Aviz. Lei dovrà eliminarla.»
Oh, Ester sapeva perché glielo stavano chiedendo. Era stata l'agente Aviz in persona a fornire ai due danesi le informazioni sulle triadi. E non le sembrò strano che avessero contattato proprio lei: non avrebbe mai potuto far trapelare informazioni sui gruppi della criminalità organizzata cinese, ora che aveva un obiettivo più importante da fare fuori. Un bersaglio in comune con quei criminali, vero. Ma aveva lasciato tutto alle spalle, non poteva far emergere i sensi di colpa in quel momento.
«Accetto, signor Etciù. [3]»




[Vi kommer sammen]

Ester aveva riempito il quadernetto di appunti e informazioni. Parole che solo lei e Jørgen avrebbero potuto decifrare, sia per com'erano scritte - dovevano ammetterlo, scrivere seguendo le righe non era mai stato il loro forte, specie se erano costretti a farlo senza guardare per non farsi notare -, sia per il linguaggio in codice, che avevano creato per gioco nell'infanzia, poi sviluppato nel corso delle loro carriere nei servizi segreti.
L'agente Aviz parlava sottovoce, e le sue parole si dissolvevano nell'aroma del rum con la grazia di un'essenza preparatoria per profumi. Parlava in un misto di cinese e danese, tutt'altro che stentato, e con quegli occhi mandorlati sembrava rendere la conversazione un discorso tra amici - che non era proprio la loro discussione, visto che stavano parlando di triadi nel Nord Europa.
Puntellandosi sui gomiti, Amàlia adagiò il mento sul dorso della mano, sorridendo serafica. «E questo era tutto ciò che mi è stato ordinato di dirvi.»
In poche parole, ora toccava ai due danesi seguire le istruzioni del loro capo.
«Ja.» Disse Ester, facendo scivolare sulle gambe il blocco degli appunti fin dentro gli stivali. «Jør- cioè, agente Andersen.» Si corresse, dandosi mentalmente dell'idiota.
Il fratello la guardò un attimo, divertito e preoccupato al contempo.
«Seafield Road East, A199, sulla costa. Superato un magazzino» e dalla manica sfilò un biglietto, che sistemò sotto il bicchiere di rum mezzo vuoto dell'agente Aviz, dove le veniva comunicato il nome del negozio, «troverà una Opel Frontera del '98 parcheggiata sulla spiaggia. Alla guida c'è un nostro agente. Faccia i fari per due volte, tre colpi brevi, uno lungo.»
«E chieda di Hans Christian.» Aggiunse Ester.
La macaense sembrò registrare nella propria testa tutte le informazioni, veloce come una dattilografa. Infine, lasciando qualche sterlina sul banco, si alzò, infilò il cappotto e con lo stesso sorriso indecifrabile uscì dal locale. Li aveva ringraziati e aveva dato loro le spalle, come se si fidasse ciecamente dei due danesi - quando in realtà la sua fiducia era solo ed esclusivamente per se stessa e le sue capacità.
Ester si rilassò sulla sedia. «È fatta, fratello.»
«Non ancora, agente Ørsted. Dobbiamo andarcene.»
«Quello è il meno. Walter ci aspetta.»
«Aspetta noi e Lars. Sbrighiamoci.»


Tre fari brevi, uno lungo. Ancora tre brevi, uno lungo, che illuminarono la notte scozzese e l'acqua del Mare del Nord come comete.
Dalla Frontera parcheggiata una ventina di metri più in là comparve una figura sottile, che sembrava quasi invitarla ad avvicinarsi. Amàlia controllò le pistole che aveva ai fianchi, quindi uscì dall'auto, e raggiunse l'altro agente.
La sicurezza dei due personaggi al pub l'aveva insospettita. Poco male, avrebbe controllato la merce con estrema calma, in cambio.
«Ha bisogno?» Domandò quello, indifferente.
«Stavo cercando Hans Christian.» Rispose la macaense, con l'ennesimo sorriso incomprensibile.
L'altro agente, Lars, non ci mise molto. Riprese in mano le chiavi dell'auto, le infilò nella serratura del bagagliaio, e lo aprì. Davanti agli occhi dell'agente Aviz si stendevano una dozzina di valigie nere, simili a cuccioli di pantera addormentati.
«C'è tutto.»
«Sarà mia premura verificarlo.» Aggiunse Amàlia, cominciando a controllare la prima ventiquattrore che prese in mano.
Lars sbuffò impercettibilmente.
Orientali. Tutti uguali! Sempre a fare ogni cosa con un sorriso snervante. E se a ciò doveva sommare il rivedere quei due danesi fin troppo amichevoli, insomma, capì che non sarebbe stata la sua nottata più rilassante e tranquilla, nemmeno se il cielo era cucito da tante stelle minute e le onde ricamate da sassi scuri e qualche animaletto che prendeva la luce della luna.


Amàlia sorrise, sì; ma chiunque non lo avrebbe definito un sorriso amichevole.
Forse credevano di averla raggirata - e questo già la rendeva furiosa.
Forse credevano che la sua missione fosse finita col ritirare delle semplici valigie ripiene di armi e soldi - non avevano fatto i conti con il segnalatore GPS che aveva inserito in un coprimozzo della Frontera, evidentemente.
Brandì il telefono, aprì l'applicazione per le segnalazioni, inumidendo un labbro ferito con la lingua. Quella banda di poliziotti, che aveva fatto irruzione nel minuscolo albergo dove aveva prenotato una stanza, le aveva procurato qualche taglio e una dolorosa bruciatura all'orgoglio.
Quei tre bastardi, sottovalutarla fino a quel punto! Aver nascosto un timer in una delle pareti di una valigetta, perché all'orario stabilito inviasse una segnalazione alla stazione di polizia più vicina, era un trucco meschino. Lei aveva degli ordini da eseguire, e tra questi c'era anche il compito "eliminare fisicamente gli agenti nordeuropei che le avrebbero fornito l'equipaggiamento". Non avrebbe mai barato: barare era scegliere di propria ed esclusiva iniziativa cosa fare per vincere, e lei, almeno come singolo individuo, non aveva mai commesso un reato simile verso se stessa.
Invece, invece loro...!
Qualche minuto, e finalmente vide sullo schermo del cellulare la posizione dell'auto: si stava dirigendo verso l'interno, probabilmente all'aeroporto di Edimburgo.
Oh, avrebbe fatto vedere loro con chi avevano a che fare. Li avrebbe spezzati.

[Vi går sammen mod nyt land]




Ester si sistemò la cravatta, maledicendo quell'aggeggio infernale.
Non aveva mai immaginato che sarebbe finita a Macao, a cercare una dannata che aveva colpito a morte il suo amato fratellone, e che per fare ciò si sarebbe dovuta vestire da uomo e tagliare i capelli.
«Tanto sei piatta.» Gli aveva detto l'insensibile Li Xiao Chun, e solo con una buona dose di forza di volontà Ester non gli aveva rotto quel nasino perfetto. Comunque se l'era legata al dito, e al termine della missione come minimo gli avrebbe dato un pugno e spaccato il mento, se se ne fosse presentata la possibilità.
Erano trascorsi ormai cinque giorni da quella notte. Ester non riusciva ancora a capire se quel sentimento furioso che prima avrebbe definito rancore si fosse trasformato in qualcos'altro, impetuoso ma fragile. Si sentiva come se quello che avesse intenzione di portare avanti fosse una pura follia.
I capelli - ora corti - del color del miele dondolarono come scossi dai pensieri che le vorticavano nella testa. Rise, rise per non piangere. Jørgen, oh, Jørgen, chissà se s'era svegliato! Chissà se Lars gli aveva già spiegato cos'era accaduto, e dov'era finita lei!
Infine, i suoi pensieri si focalizzarono sulla figura dell'agente Aviz, alta, splendida e lontana dal mondo, così come crudele, cinica, e terrificante con quel sorriso improbabile a imperlarle il viso bianco.
Lanciò un'occhiata al biglietto dove aveva segnato l'indirizzo del casinò, segnalatole da Li Xiao. Egli le aveva spiegato che l'agente Aviz trascorreva buona parte delle sue serate libere a giocare d'azzardo, e che in quel palazzo aveva trascorso le ultime notti. Non aveva chiesto perché non si fossero mossi loro, ma non era difficile immaginarlo: con un'estranea alla faida tra la macaense e quelle triadi, la criminalità organizzata poteva ottenere ciò che voleva senza uscire allo scoperto, mentre lei avrebbe potuto raggiungere il suo scopo.
Strinse il nodo della cravatta, si spettinò i capelli - doveva ammettere che quello smoking, tutto sommato, le donava - e si disse pronta. Quella sera ci sarebbe stata la resa dei conti.
Voleva guardarla dall'alto in basso, con il disprezzo di chi sta lottando tra l'odio e la più rabbiosa compassione; avvicinarsi fino a trafiggere il suo sguardo con i propri occhi di neve; e sì, anche darle un sonoro calcio tra le costole, all'altezza dei polmoni.


Amàlia lasciò il proprio appartamento, da un'uscita diversa a un orario diverso. Con lo sguardo attento di un fotografo, si diresse verso il suo abituale passatempo; le pareva una serata simile alle precedenti. L'unico fattore che si modificava ogni volta, e solo in minima parte, era la moltitudine di avventori - i turisti se ne andavano, i perdenti cambiavano casinò, e i miliardari decidevano di costruirne uno di loro proprietà.
Salì i soliti gradini, salutò con un cenno i soliti riccastri con cui aveva rapporti di lavoro, e si sedette al solito tavolo di blackjack. Non poteva non dirsi una persona tradizionalista, in effetti.
«Signorina Liu, anche oggi qui?»
«Buonasera, signorina Lan.» Inchino e sorriso serafico, al solito. «Quando un banco mi sceglie come favorita, sono solita non allontanarmene.»
«Ne sono lieta. Ma ve lo ricordo, signorina Liu, non seguite troppo le vostre abitudini, o qualcuno ne approfitterà.»
«Non vi preoccupate. È tutto calcolato.»
«Allora, signorina Liu, vi saluto.»
«Arrivederci, signorina Lan.»
La vietnamita sorrise, amabile, e scomparve dietro un croupier.
Oh, era vero. Amàlia era sicura che quel trio di agenti l'avrebbe cercata e, un giorno, raggiunta: con l'indizio che aveva lasciato, di certo ci avrebbero messo poco, quantomeno a raggiungere Macao.
Che si fosse trattato di uno dei due del pub o del pezzo di marmo, tutti e tre avrebbero preso la stessa decisione, perché erano esseri umani, e lei aveva imparato a conoscerli, come uno psicologo esplora la mente del proprio paziente.
La vendetta, il desiderio di fare fuori l'assassino di una persona cara è un sentimento incontrollabile. Lo puoi reprimere una, due, tre volte, ma esso tornerà sempre a torturare il malcapitato. Sempre.
«Chiedo carta.» Disse al banchiere, dopo aver osservato la propria carta scoperta. Il ragazzo al banco ne poggiò una coperta sul tavolo, davanti alla macaense, che la guardò per un solo secondo. «Blackjack.» Aggiunse quella, scoprendole entrambe.
Un asso di picche e una regina di quadri.
La carta scoperta del banchiere era un otto di fiori. Egli ne prese un'altra dal mazzo, visto che dovevano stabilire se sarebbe stata una giocata finita alla pari o se la giocatrice davanti a lui avrebbe vinto.
Tre di quadri.
Un'altra ancora.
Due di cuori.
Le mani del ragazzo al banco tremarono appena nel prendere l'ultima carta dal mazzo. Dieci di picche.
«Il banco perde.» Esclamò una voce alle spalle della macaense, proveniente dalle scale. L'agente Aviz fece appena in tempo a voltarsi che si trovò una pistola puntata alla tempia.
«Dunque... Agente Andersen?»
«Spiacente di averla ingannata con il mio cambio d'abito,» rispose la figura appena comparsa con un ghigno eccitato, «ma non sono l'agente Andersen.»
«Oh, allora... L'agente Ørsted, giusto?»
La danese sorrise tranquillamente al banchiere, che nel frattempo s'era congelato sul posto. «Ah, ragazzo, le conviene andarsene, e spargere la voce. Penso che nel giro di mezzo minuto cominceremo a fare casino.»
Quello non se lo fece ripetere. Sgattaiolò via dal tavolo, sgusciando tra le sedie ormai vuote di quelli che erano scappati prima di lui.
«Agente Ørsted, questo gioco di parole con "casino" e "casinò" era davvero penoso.»
Solo allora Ester si accorse della canna di una pistola che le accarezzava lo stomaco. Imprecò tra sé e sé.
«Vedrà, agente Aviz, come si sentirà in pena tra qualche ora!» Rispose, con un sorriso allegro.
Non aveva certo dimenticato il motivo della sua comparsa in quel casinò; però, non poteva negarlo, il sangue pulsava con fervore fino alle cellule più distanti dal cuore. Erano quegli istanti che si cercano in una vita, quelli in cui ci si sente più vivo che mai, perché si potrebbe perdere la vita per qualsiasi inezia.






Note Autrice:
Eccomi qui ancora una volta.
Non ho granchè da dire, se non grazie a reilin e _Ayame_, e a coloro i quali hanno aperto la pagina di questo secondo capitolo.
Spero che vi sia piaciuto. C:
Al prossimo venerdì!
claws_Jo
  
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