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Autore: Sai Sama    17/03/2012    5 recensioni
La storia di una bambina bianca come la neve, che, nella ricerca dell’amore, finisce con il diventare una Regina Nera. Scoprite l’eleganza della sofferenza.
Storia arrivata seconda al concorso: "Se una notte d'inverno un viaggiatore" indetto da Marge.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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L'eleganza della sofferenza Autore: Lindael sul forum, Sai Sama su EFP
Titolo: L’eleganza della sofferenza
Prompt: Guarda in basso, dove l’ombra s’addensa
Rating: Arangione (per via degli accenni allo stupro e all’incesto)
Avvertimenti: One-shot, Non per stomaci delicati
Genere : Drammatico, introspettivo, Angst
Introduzione/riassunto: La storia di una bambina bianca come la neve, che, nella ricerca dell’amore, finisce con il diventare una Regina Nera. Scoprite l’eleganza della sofferenza.
N.d.A (facoltative): Questa storia, benché l’abbia scritta in due ore è una storia a cui tengo molto, e a cui sono molto vicina, probabilmente perché è, in breve, la storia di un personaggio di un mio gdr portato avanti con delle amiche su msn. Il titolo l’ho messo all’inizio, come citazione, e nella storia ci sono accenni a stupri e a incesti, ma molto molto lievi, niente che vada contro il regolamento di efp. Spero ti piaccia^^


L’eleganza della sofferenza

Guarda in basso, dove l’ombra s’addensa – Italo Calvino

Bianca come la neve

C’era tanto, tanto tempo fa una bambina dalla pelle candida come la neve e dagli occhi e i capelli di tenebra.
La bambina era felice, aveva un fratellone splendente come il sole e una mamma e un papà che le volevano tanto bene.
Le sue risate risuonavano in tutto il castello mentre giocava a rincorrersi con suo fratello Francois e il tempo trascorreva dolce e leggero.
La bambina era una principessa di un regno prospero e pacifico, in cui le tavole erano sempre piene e nessuno soffriva il freddo e la fame.
Giselle, così si chiamava la piccola principessa, era bella, molto bella, e sin da quando era davvero piccola si poteva indovinare la magnifica donna che sarebbe diventata un giorno.
Adorava sdraiarsi sull’erba, la piccola Giselle, e sognare il giorno in cui avrebbe trovato qualcuno che l’avesse amata come il papà amava la mamma.
Era innamorata dell’amore fin da allora, Giselle, e inseguiva le nuvole gridando il desiderio del suo cuore.
Ai suoi occhi il mondo era perfetto, tra un gioco e un balocco, tra un letto caldo e un abbraccio affettuoso, mai avrebbe immaginato che ombre si celassero dietro la luce dolce di una candela.
Non vedeva il trucco in eccesso che sua madre metteva sul volto per nascondere le azioni di un uomo violento, né i lividi e le bruciature sul corpo di suo fratello, o il luccichio malato negli occhi di suo padre mentre la guardava senza essere visto.
Bianca come la neve era la sua anima, pura e leggera come una piuma, pronta a volare come una rondine fino al sole e a ritornare.
Non si rendeva conto che altri assorbivano le ombre per lei, per farla restare felice.
La paura negli occhi altrui mentre guardavano suo padre non la sfiorava, perché era troppo impegnata a scoprire il mondo, a imparare cose nuove, ad assorbire tutto quello che poteva.
Durante le udienze sedeva dietro il trono del padre, con le ginocchia strette al petto e un sorrisetto felice sul viso, convinta che nessuno l’avrebbe mai scoperta mentre ascoltava le decisioni del Re.
Un giorno si sarebbe ritrovata di nuovo dietro quel trono e allora si sarebbe chiesta come un uomo tanto giusto e onorevole con persone che non contavano niente per lui potesse essere tanto crudele con le persone che avrebbe dovuto amare di più.
Ma l’infanzia per lei fu bella e spensierata, un ricordo da tenere dentro di se come un gioiello prezioso, che nessuno avrebbe mai potuto sporcare, l’unica cosa che, oltre all’odio, l’avrebbe mantenuta sana di mente negli anni a venire.
C’era un altro bambino nel castello, un bambino con cui le era permesso giocare, Henry, il figlio del capitano delle guardie di suo padre: occhi castani, pelle olivastra, un sorriso caldo e contagioso.
Quando Francois non poteva giocare con lei era da Henry che andava, lo trovava sempre con una spada di legno in mano, impegnato in chissà quali avventure fantastiche e allora lei faceva la parte della principessa in pericolo e lui del valoroso cavaliere che la salvava dal drago cattivo.
Nessuno dei due si accorgeva ancora degli sguardi timidi e pieni di desiderio di un’altra bambina, una bambina invisibile, perché figlia di una serva, che li spiava da dietro finestre chiuse.
Non sapevano che anche lei avrebbe voluto giocare, né avrebbero mai potuto immaginare che quella bella bambina avrebbe voluto fare la parte del cavaliere e non quella della principessa.
Il fato gioca partite crudeli e aveva deciso un destino ancora più crudele per quei tre bambini innocenti, un destino che nessuno avrebbe mai voluto.


Rossa come il sangue

Il tempo passa, e la nostra principessa diventa finalmente una donna, una giovane ragazza piena di speranza e amore.
Ma non è solo in mezzo alle gambe che il sangue arriva.
Una notte senza luna il Re entra nella sua stanza e la tira giù dal letto prendendola per i capelli, Giselle non capisce, è confusa, non riesce ad aprire bocca, il pugno arriva prima che possa fare qualsiasi cosa.
E poi, anche volendo, cosa avrebbe potuto fare?
Quello era il Re.
Dolore e sangue e paura, tutto questo mentre il suo delicato corpo assorbe la rabbia ubriaca di un uomo infelice e rabbioso.
Quando se ne va non riesce neanche ad alzarsi dal pavimento dove si è accasciata, resta lì, tremante e incredula, gli occhi sbarrati che non vedono niente, le labbra rotte e un occhio nero.
Resta lì fino alla mattina, senza muovere un muscolo, è la sua cameriera personale a trovarla, grida, ma viene zittita dalla sua vecchia balia, anziana saggia, ha già visto quei segni, sa cosa fare.
Con delicatezza abbraccia il corpo delicato e infreddolito e convince Giselle a rimettersi a letto, poi si sdraia accanto a lei, sempre tenendola stretta, cantandole piano stupide nenie che si cantano ai neonati, mentre lentamente la ragazza torna dall’incubo in cui era caduta.
Passano giorni in cui non esce da quella camera, in cui mangia a stento e non si muove neanche dal letto, giorni di aggrapparsi a vane speranze e ricordi felici.
Ci sarà stato un motivo se ha fatto tutto quello, devo aver fatto qualcosa, ci deve essere stato uno sbaglio, si ripeteva, in silenzio, senza muovere le labbra.
Il papà mi vuole bene, non mi farebbe mai del male, per niente al mondo.
Quando i segni scompaiono dal volto di porcellana lui torna, di nuovo di notte, di nuovo quando lei è vulnerabile, ma questa volta lei è sveglia, sente la porta aprirsi e i passi pesanti nella camera, questa volta chiude gli occhi e stringe i denti quando il dolore arriva.
Guarda il sangue sul pavimento, nero per via della scarsa luce, ci intinge la punta delle dita e se le porta al petto, poi si alza lentamente, faticosamente e va a prendere un panno che intinge in un catino pieno d’acqua.
La sua calma è innaturale mentre si lava le ferite, fissandosi nello specchio scuro.
Quando la mattina dopo la vecchia balia torna da lei, preoccupata e triste, perché ha visto il Re ubriaco dirigersi nella stanza di Giselle, la trova già in piedi e perfettamente truccata, solo un rossetto troppo scuro e la cipria poco sfumata indicano cosa si nasconde al di sotto.
Ora Giselle vede tutto, gli aloni scuri sul volto della madre, le smorfie di dolore di Francois, la sua difficoltà nei movimenti.
Vede e comprende e si fa delle domande, domande che non trovano risposta.
Non gioca più Giselle, troppo preoccupata che si possa notare qualcosa.
Quando Henry la cerca lei è sempre occupata, lezioni, ricamo, partite a carte con la madre, qualsiasi cosa pur di non farsi vedere da lui.
Guardarsi allo specchio è una cosa che non può evitare ma le dà il voltastomaco ogni volta, si sente sporca e sbagliata, sa dentro di se che deve aver fatto qualcosa di male per meritare tutto quello, quindi non vuole sporcare il suo caro amico.
Non vuole che lui veda quanto è sporca.
Sa che lui non può abbattere quel drago cattivo, sa che nessuno può farlo.
Ci sono balli e cene e sorrisi forzati, momenti interminabili in cui il cuore le batte a mille per la paura e il sudore freddo rende scivolosi gli stretti corpetti che indossa, tutti la guardano e non si rende conto che è per via della sua bellezza, della sua grazia, pensa sempre che vedano quello che tenta di nascondere.
Le percosse non smettono, a intervalli regolari il Re torna e la picchia, lei sta in silenzio o al massimo si limita a gemiti strozzati, ma una volta non riesce a trattenersi, urla, quando il padre colpisce con violenza il suo ventre.
Francois sta rientrando nelle sue stanze quando sente l’urlo della sorella e corre nella camera.
Quando vede cosa sta succedendo si mette in mezzo, prende il Re per le spalle e lo spinge lontano dalla sua piccola, adorata, sorellina.
Carica un pugno, un altro e un altro ancora, ma il Re è pur sempre un soldato temprato da molte battaglie, furioso comincia a pestarlo, senza fermarsi, senza mai fermarsi.
Giselle non riesce a fare niente, l’unica cosa che fa è pensare che dovrà buttare quel tappeto, perché sarà impossibile lavare via tutto quel sangue.
Il Re si ferma solo quando Francois non si muove più, neanche il suo petto si alza e si abbassa, è fermo, orribilmente fermo.
Gattona verso di lui Giselle, mentre, finalmente, il Re realizza ciò che ha fatto.
Cerca di svegliarlo, lo chiama, lo accarezza, piange per lui, le ultime lacrime che verserà nella sua vita, mentre stringe a se il corpo ormai senza vita.
Non si è neanche accorta che il Re è fuggito, lasciandola sola con il cadavere di suo figlio.
Urla come mai ha fatto prima quando la staccano da lui, tira calci e graffia, cercando di tornare lì.
Poi ci sono solo gli occhi neri del padre, così simili ai suoi, e la sua voce che gli dice che è colpa sua se Francoise è morto, che lei è rossa del suo sangue, rossa COME il sangue.
Allora Giselle si acquieta, mentre un altro pezzo di lei si rompe con un rumore secco, dentro di lei, e sono occhi vuoti quelli che rispondono allo sguardo del Re, occhi ancora una volta ciechi.
Non partecipa ai funerali la principessa, troppo chiusa nel suo dolore dicono, ma Henry la trova lo stesso, nel prato dove giocavano da bambini, che fissa la fontana come se invece stesse guardando ben altro.
In quell’occasione e mai più Henry lascia da parte le buone maniere e l’abbraccia forte, come facevano da piccoli, come non era più da quando lei l’aveva allontanato.
Giselle ha la tentazione di dirgli tutto, dalle percosse alla morte di Francoise alla crudeltà del re.
Vorrebbe tanto farlo, vorrebbe essere abbracciata e consolata mentre piange la morte di suo fratello ma, mentre lo guarda negli occhi e vede quel tipo di innocenza che lei non avrà mai più, si rende conto che non può farlo, non può sporcarlo.
Per la prima volta, allora, diventa la Regina Cattiva.
Sorride con scherno e lo riprende, lo rimette al suo posto, in ginocchio davanti a lei e, ferendo se stessa, oltre che lui, recide quel legame che ancora li univa, che faceva di loro degli amici.
Non può permettere che lui diventi un secondo Francoise, non può, e allora deve ferirlo, distruggerlo, farsi odiare.
Le lacrime bruciano negli occhi, ma non escono, il dolore diventa sordo mentre l’odio prende il comando insieme alla rabbia.
Se ne va la Regina Cattiva, lasciando il povero Henry in ginocchio lì per terra, davanti alla fontana.
Muore ad ogni passo, consapevole di aver distrutto una cosa bella e pura, di essersi attirata il suo odio.
Henry non capisce, davvero, ci prova ma non ci arriva, non potrebbe mai farlo.
È davanti a quella fontana che il destino li mette davanti ad un’altra svolta importante.
La bambina che un tempo li spiava dalle finestre chiuse si avvicina a lui, anche se si taglia i capelli corti e veste da maschio un occhio attento può facilmente riconoscere in lei una ragazza.
Appoggia una mano sulla testa di Henry in una carezza gentile, raccogliendo le lacrime nascoste e consolandolo, quando lui la stringe a se il loro destino è segnato.
Giselle non vede tutto questo, troppo impegnata a stare dietro ai suoi nuovi doveri di erede al trono, non vede che l’amicizia che è nata tra Henry e Claudine, questo è il nome della giovane, come le stagioni che passano si trasforma pian piano in qualcosa di diverso, in qualcosa che lei sognava fin da bambina.
Non può vedere, povera principessa, i suoi occhi vedono solo ombre ora, seguono solo la figura del Re, la cercano sempre, per capire dove sia, cosa stia facendo.
Eppure, nonostante tutte le sue attenzioni lui arriva sempre, e quando la Regina muore in seguito a una brutta febbre non sono solo pugni e schiaffi ciò che il Re le dà.
Il fato fa solo una piccola grazia alla principessa, lascia che si ricopra di odio, che si rifugi lontano dalle mani affamate e brutali, che frugano sotto la camicia di notte in cerca di qualcosa che lei non dovrebbe mai dargli.
Dolce oblio della rabbia e della disperazione, che la protegge in un qualche modo sbagliato da quell’orrore.
L’ultimo pezzo di lei, quello più profondo, non si spezza, si piega è vero, in modo irreversibile, ma non si rompe.
Violenza su violenza, ormai ci è abituata Giselle, non conosce più il sapore sincero di una carezza, non conoscerà mai la dolcezza di un bacio d’amore vero.
Tutto ciò che può fare è continuare a vivere, Regina Cattiva ormai, anche se senza trono e con ancora un aguzzino a torturarla, a istruirla ad un mondo di odio.
Fato, dolce fato, orribile fato, perché? Perché tanta sofferenza?
Gioco crudele il tuo.

Nera come l’odio

Un incidente di caccia, dicono, sia la causa della morte del grande Re, Giselle sa che non è così, sa che è stata lei, di notte come una ladra, coperta da un mantello nero come la sua anima, a sgattaiolare nelle stalle e a tagliare con un coltello una delle cinghie della sella del Re.
Tutti pensano che, coperta da un velo nero, in prima fila nella cattedrale, stia cercando di soffocare disperati singhiozzi per la morte di suo padre, ma sono risate quelle che le escono dalla gola, risate di gioia e liberazione.
Din don, la strega è morta.
Si deve fare violenza per non mettersi a ballare lì, mentre il vescovo ipocrita recita un monologo imparato a memoria, lui non sa, nessuno sa, non dovranno mai sapere.
Il braccio a cui si appoggia per uscire dalla chiesa è quello di Henry, ma è come se fosse quello di uno sconosciuto, sa che un tempo teneva molto a lui, sa che erano amici, ma ora è diverso, la sua mente gli impedisce di provare qualunque sentimento positivo.
La Regina Cattiva ora ha un trono.
Nessuno ha da lamentarsi della nuova regnante, giusta quanto il padre, onesta e onorevole, compassionevole anche, senza la passione sfrenata per la battaglia del vecchio sovrano, nessuno vede l’oscurità nei suoi occhi.
Gli uomini che frequentano le sue camere sempre più spesso non si azzardano a dire nulla, mentre lei cerca in qualsiasi modo di riempire il vuoto che si è accorta di avere dentro.
Ma niente sembra soddisfarla, ogni cosa le viene a noia in brave tempo, nessun cibo la invoglia, nessuna musica la fa danzare, nessun libro le libera la mente, nessun uomo la soddisfa.
Vorrebbe urlare la Regina Cattiva, vorrebbe sfogare la sua rabbia, il suo odio, ma non può e li reprime, li nasconde dietro maschere bellissime ed eleganti, maschere che stregano chiunque.
Sa di dover essere un esempio, sa di essere migliore di suo padre, sa di doverlo dimostrare, e allora ride e scherza, tratta tutti con gentilezza, dal primo dei dignitari all’ultimo dei servi, tratta bene anche Claudine, Claude per il mondo, senza sapere che lei ha quello che lei desidera tanto.
Solo il suo specchio le mostra sempre chi è, le mostra la bambina sanguinante che era, la bambina cattiva, che doveva cambiare, la bambina che ha causato la morte di suo fratello maggiore, la bambina che meritava una punizione.
Allora lei guarda quella bambina allo specchio e la punisce, rivive ogni momento delle torture, rivive la morte di Francoise, dipinge le labbra di rosso scuro e gli occhi di nero e fa entrare un altro uomo nel suo letto, nella vana speranza che possa darle quello che cerca.
Niente amore per la Regina Cattiva, solo odio, solo disperazione, solo malvagità.
Una mattina Giselle si alza presto con in testa di andare a farsi una cavalcata, da sola, senza allertare nessuno, si reca nelle stalle, apprezzando il freddo pungente dei primi giorni d’inverno sulla pelle e il dolce silenzio del mondo.
I gemiti che sente provenire dall’interno della stalla non la fanno adirare, tutt’altro, la divertono all’inizio, così decide di avvicinarsi e di scoprire chi ha deciso di approfittare di quel momento di pace come lei.
Si affaccia lentamente nella stalla, silenziosamente si avvicina e, dopo essersi sporta da un box, il suo cuore si ferma.
Riconoscerebbe quei capelli scarmigliati ovunque e sa che quella cicatrice sulla schiena se l’è fatta in un torneo in suo onore.
Henry è inconfondibile, basta vedere la passione che mette nelle sue spinte, come se stesse combattendo una battaglia.
Ma anche allora Giselle non fa nulla, si limita ad indietreggiare piano, tornando nelle sue stanze, ma da quella mattina si mette ad osservare il suo Capitano con molta, molta attenzione.
I suoi occhi lo seguono e quando non sono i suoi sono quelli di qualcuno pagato a peso d’oro.
Li vede, quando pensano che nessuno sia in giro, li segue nel giardino alla LORO fontana, li osserva baciarsi con dolcezza, baci così diversi dai suoi che qualcosa dentro di lei ricomincia a sanguinare.
Dovrebbe essere lei ad avere quei baci, dovrebbe anche lei avere la possibilità di provare quell’amore così palpabile da essere quasi visibile.
Ma lei non può, sa che non appartiene più a quei sentimenti, sa di essere troppo sporca per avere quel diritto.
Lei è la Regina, lei è legge, lei può tutto.
Se lei non può avere l’amore allora che neanche loro lo abbiano.
Non si rende neanche conto, poverina, che ciò che desidera realmente è entrare a far parte di quel sentimento, provarlo in prima persona, non certo distruggerlo.
Ormai, però, lei non conosce più altro che distruzione, e distruzione è ciò che porterà.
Segue la dolce coppia una notte, aspetta tra la neve, osservando con distacco i morbidi fiocchi bianchi che cadono dal cielo, e quando Henry esce lo blocca, con un sorriso più crudele di quelli di suo padre.
Lo prende per il mento, costringendolo a guardarla, la fa inginocchiare di nuovo, gli rammenta il suo giuramento e poi pronuncia l’ordine che porterà tutti alla fine dei giochi del fato.
Sposami.
Gli dice, accarezzandogli una guancia.
Sposami o farò in modo che di quella servetta, che non è neanche abbastanza donna da portare un vestito, non rimanga neanche un osso da dare ai cani.
Ah, l’amore!
Un sentimento tanto bello e gioioso quanto orribile e triste.
Il povero Capitano non può far altro che chinare la testa al volere di Giselle.
Lui è un uomo leale prima di tutto, e prima di amare Claude ha giurato fedeltà a Giselle, ha giurato di proteggerla e servirla in ogni suo più piccolo capriccio.
Ridi ora, Dea Bendata? Ora che hai distrutto un vero amore e condannato alla sofferenza tre persone?
Perché ciò che nessuno sapeva era che Claude dentro di se aveva una nuova vita, vita che sarebbe dovuta crescere senza l’affetto di un padre, senza la sicurezza di una famiglia, dall’amore rovinato di una donna.
Così Claude preferisce una soluzione più veloce, una soluzione che sa farà soffrire il Capitano, ruba la sua spada mentre lui non se ne accorge e, una volta nelle stanze di Henry si butta sulla lama, uccidendosi sull’altare dell’amore.
Un uomo mangiato dal rimorso e dalla colpa, trattenuto dalla lealtà e dall’odio, una donna triste, che voleva essere solo amata, ma che non sapeva come fare, un regno in rovina.
Ride la Regina Cattiva, ma dentro di se piange lacrime amare, piange la bambina che era e che non sarà mai più, piange la sua colpa che ora, finalmente, riesce a comprendere, piange ciò che aveva, ciò che ha distrutto e ciò che non avrà mai.
Ogni giorno porta gigli sulla tomba di Claude, chiedendo perdono, ogni notte Henry li brucia e dopo va a fare l’amore con lei, la tocca con mani rudi come quelle di suo padre e lei torna la bambina spaventata che era.
Ma non fa niente, non dice nulla, è la sua punizione e l’accetta con eleganza.
Perché nessun sentimento è più elegante della sofferenza e lei ne è la più bella delle schiave.





Giudizio di Marge:



Una favola incantata che diventa, in poche righe e con maestria, dura e tenebrosa come un pugno allo stomaco.


A)    Lingua italiana: 8. Non ci sono errori abissali; ho trovato solo il sé (pronome riflessivo) scritto in ogni occasione senza accento (il “se” da solo è congiunzione ipotetica). Inoltre ci sono qua e là delle ripetizioni e delle virgole che andrebbero forse sistemate, ma non è nulla di grave.

B) Padronanza ed esposizione dei contenuti: 8. Il tema è sicuramente trattato in maniera originale. Ciò che più mi ha colpito è il cambiare così drasticamente ma in maniera coerente della protagonista; il suo percorso individuale è ben delineato e ben descritto, mi è sembrato quasi di vederla evolvere sotto gli occhi. Nessun elemento è lasciato al caso (tranne gli accenni alla mascolinità dell’altra ragazza, che sinceramente non ho capito, ho pensato fino alla fine si trattasse di qualche accenno yuri).
Il prompt trovo sia stato utilizzato in maniera parziale; le ombre ci sono, sicuramente, nella storia, ma forse si poteva fare qualcosa di più specifico per la frase proposta.

C) Stile ed espressione: 8,5. Lo stile è a suo modo molto efficace, anche se particolare; è raro trovare una storia di ben tre capitoli senza neanche un dialogo virgolettato, ma nonostante questo la storia non risulta affatto noiosa, e si snoda con leggerezza. Ho trovato alcune ripetizioni eccessive, mentre altre funzionali come se fossero un’anafora, e qualche frase dallo stile un po’ più immaturo, forse da sistemare. Trovo eccezionale la fine, e tutti i titoli che hai scelto!

D) Originalità: 9. Sebbene il tema non sia originalissimo, è sicuramente affrontato da un punto di vista nuovo; sicuramente originale è l’ambientazione da favola ad un contenuto così scottante, che oltretutto è stato trattato con poeticità, per nulla pesante o volgare.

E) IC e coerenza interna: 10. Punteggio pieno per la caratterizzazione dei tuoi personaggi, in particolare per la protagonista, che è viva ed evolve in ogni frase, cresce coerentemente e si trasforma proprio in ciò che non poteva non diventare. Anche gli altri, sebbene solo di contorno, sono perfetti. Complimenti veramente!


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