Capitolo 27
Is this the end?
Michael,
la
vita è tornata a scorrere nel verso giusto ultimamente. Persino io riesco a
vedere il bicchiere mezzo pieno, pensa un po’…
A
volte penso alla nostra vita ora e, anche se mi impongo di non farlo, non
riesco a levarmi dalla testa il pensiero che, se ce l’avessi permesso, se solo
ne avessi parlato, avremmo trovato una soluzione anche per te. La morte non è
mai la soluzione giusta fratello … e non parlo solo di quella fisica.
Io
ho passato mesi a vegetare e, anche se non è così, sembrano passati anni da
quando la mia esistenza era ridotta ad una mera sopravvivenza. Eppure basta
poco per darsi una scossa, basta solo volerlo. Certo ci vogliono anche gli
stimoli giusti, ne convengo. Forse siamo stati solo più fortunati di te. Per
non sentire più il sapore acre della colpa mi ripeto che non hai avuto la mia
stessa fortuna, che non è colpa mia. Ma non ci riesco … ti ho perdonato tempo fa per ciò che ci hai
fatto, ma non so se mi sento pronto a perdonarmi ancora per non aver capito che
avevi bisogno d’aiuto. Forse ora stai bene, ti va bene così, d’ovunque ti
trovi, ma la verità è che vorrei averti qui, vorrei che vedessi come si sta bene
una volta mandato a fanculo nostro padre.
Sono
passati già 3 mesi da quando io ed Allison ci siamo messi insieme, ma sembra
sempre essere successo ieri. Le cose vanno molto meglio ora, lei sembra essersi
abituata all’idea di noi e si lascia andare molto di più alla mia idea di
coppia. Io le dico sempre di non pensare troppo, perché è quando lascia vincere
l’istinto che viene fuori la parte migliore di lei. E povero Aidan: ormai ha
deciso di convivere con noi, perché si è stufato di passare tutte le notti fuori,
e si è armato di tappi per le orecchie. Ma non voglio fingere di sentirmi in
colpa per lui … dovrebbe trovarsi una ragazza anche lui, sarebbe meno isterico.
Anche
il processo di Allison si è risolto per il meglio: la sentenza c’è stata la
settimana scorsa e Les è riuscito a farla uscire pulita da tutti i capi di
imputazione. Dovrà ancora essere a disposizione della polizia e dei giudici per
le indagini sul giro di prostituzione, ma almeno lo spauracchio della prigione
è ben lontano ,per la felicità di tutti.
Ora
ti devo lasciare, Allison mi sta chiamando. Dovresti sentire che buon profumo
viene della cucina … vado a fare colazione.
Ti
voglio bene … e mi manchi, sempre.
Tyler
C’era
una cosa che però avevo omesso dalla mia abituale lettera per l’aldilà: in
realtà una cosa che mi preoccupava c’era. I genitori di Allison tempo un paio
di giorni sarebbero venuti a New York. Lei ovviamente era contraria, ma non
poteva più opporsi alla loro presenza nella sua vita, non quando era stata proprio
lei a fare il primo passo verso di loro.
Il
padre di Allie era stato abile a porre sua figlia in una condizione di
debitrice, accollandosi le spese processuali e pagando l’assistenza di Les.
Naturalmente per Doug rappresentava un obbligo morale piuttosto che una mossa
ben giocata, ma era innegabile che Allison si sentisse leggermente frustrata.
Non lo diceva a parole ma non era nemmeno in grado di nasconderlo, non a me
almeno. Del resto se c’era una cosa che detestasse, ed io con lei, era proprio
sentirsi debitrice nei confronti di qualcuno, con il timore continuo di
sentirsi rinfacciare quanto era stato fatto per lei. Come se non bastasse, a
sentire che la loro figlia non voleva trattenersi oltre da mia madre, Lois e
Doug si erano dati un bel da fare tra siti internet e telefonate varie per
trovare qualche soluzione, da visionare naturalmente tutti insieme. E l’affitto
sarebbe stato a loro spese, ovviamente. Ecco spiegato il motivo del loro
viaggio imminente: questo bastava a mandare Allison in bestia. A starle dietro
c’erano tutti i presupposti per diventare matti, garantito.
I
rapporti con sua madre non erano migliorati per niente da quando era tornata da
Indianapolis: si era limitata a mandarle i saluti un paio di volte quando era
al telefono con suo padre, ma solo se fosse stata sua madre per prima a
salutarla, in lontananza, dall’altro capo del telefono.
Brutta
faccenda la storia di quella famiglia: si vedeva che c’era una voglia matta ed
un bisogno estremo di ritrovarsi, da entrambe i lati, ma ciascuno di loro
continuava a fare un errore dopo l’altro, esigendo che l’altro si avvicinasse
completamente anziché trovarsi a metà strada.
Era
sempre straordinario ed eccitante fare l’amore con Allison, ma a volte era
davvero frustrante doversi tappare la bocca reciprocamente, oppure obbligarsi a
contenere un grido o un sospiro di troppo perché non si è soli in casa, dove le
pareti hanno le orecchie e le porte gli occhi.
“Lo
sai anche tu che non è così” replicò lei, mentre si alzava dalle mie ginocchia
e si metteva a sparecchiare le stoviglie della colazione. Nel piccolo cucinino
di casa mia c’era spazio per due sedie, ma la sua erano ormai le mie gambe, e
se Allison aveva deciso qualcosa, non si poteva farle certo cambiare idea …
“Però
in parte Tyler ha ragione Allison …” intervenne Aidan, entrando in cucina. Era
come se fosse appena uscito dal film L’alba
dei morti viventi, trascinandosi sfatto e pesante nel piccolo stanzino, con
i capelli arruffati e non badando a dove mettesse i piedi. Fu per questo che
con il suo alluce scalzo beccò in pieno il piede del tavolo … una miriade di
santi venne chiamati in causa quella mattina. Così, una volta passato il dolore
si rifugiò con la testa nel frigo, bevendo svogliatamente e direttamente dal
boccione del latte, senza curarsi – ma, visto il suo aspetto di quella mattina,
probabilmente senza accorgersi – che la bevanda, colando dai lati della sua
bocca, era finita su tutta la maglia del pigiama. Allison non avrebbe retto a
tanto.
“Aidan che schifo!” gli urlò contro lei, infatti, fungendo da sveglia meglio di
qualsiasi orologio “io sgobbo qui per tenervi casa pulita e tu ti comporti come
un maiale … non dico di farlo per igiene ma almeno per rispetto nei miei
confronti!”
Su
questo aveva ragione Allison: nel tempo che passava a casa da noi, ne avevamo
guadagnato in igiene e salute, grazie anche alle sue qualità di casalinga e
cuoca provetta. Probabilmente non era uno chef della nouvelle cousine, ma rispetto
agli esperimenti culinari di Aidan che ero costretto ad ingurgitare prima, pena
rischio sopravvivenza, era un notevole passo avanti. In più la lavanderia a
gettoni dietro l’angolo aveva ripreso relazioni stabili e civili con i nostri
abiti e le lenzuola, dopo quasi un anno in cui ci eravamo lasciati in maniera
dolorosa, soprattutto per noi. Noi davamo la colpa ai macchinari ostili, ma in
realtà eravamo semplicemente troppo svogliati per portare la biancheria a
lavare una volta a settimana. Avevamo provato a tirare avanti con gli
smacchiatori a secco per diversi mesi, ma quelli non levano via la puzza di
sudore. Così alla fine riempivamo sacche intere di roba e lasciavamo a mia
madre e alla madre di Aidan, a turno, l’incombenza di lavare e stirare. Ora
invece Allie aveva preso in mano le redini della situazione, che nella fattispecie
significava trascinarmi per un orecchio in quel locale (più che altro una
caverna buia e minacciosa), dopo avermi dato ripetutamente del porco e viziato.
Il che tradotto in termini correnti significava “D’ora in avanti i panni dovrai
farteli da solo sennò rimani a bocca asciutta, cretino” ed io, muto e
rassegnato, obbedii.
“Vedi
Allison” si rivolse a lei Aidan “questo mio comportamento …” E si fermò, pensante,
per trovare l’aggettivo più appropriato. Allison, che di prima mattina era più
scazzata del solito, suggerì che la parola più appropriata fosse animalesco.
“No
… non animalesco. Primordiale piuttosto” la corresse lui “vedi Allison ….
Questo comportamento primordiale lo devi vedere come una forma di richiamo …
una richiesta implicita … un invito a rimanere …”
“Bel modo che hai per chiedermi di restare!” si complimentò con lui. Non aveva
poi tutti i torti.
“Certo!!!
Non possiamo vivere senza di te, Allie, ci hai visti?!” la supplicò, con una
vocina melensa e con fare ai limiti de melodrammatico, esagerando volutamente
ogni sua mossa in modo teatrale “se proprio devi cambiare casa … vieni qui da
noi! C’è tanto spazio nel letto di Tyler …”
“Oh su questo non ho dubbi” commentò lei, ormai non riuscendo più a fare la
sostenuta e la severa. Ma con Aidan era risaputo che non si poteva restare seri
per più di dieci secondi contati. Era forse per questo che due come noi, in
passato fondamentalmente dei depressi cronici, lo avevano scelto come migliore
amico, come unico vero amico. Non era facile conquistarci … e per esserci
riuscito, nella sua stupidità, doveva ben valere qualcosa quel ragazzo.
Ed
era bello vederlo bisticciare con la mia Allie, perché erano come fratello e
sorella, di quelli che si tirano i capelli se stanno vicini troppo a lungo, ma
che se non si vedono per un po’ si cercano.
“Lo
sai che non si può” insistette lei “e poi ho bisogno della mia privacy”. Parlò
con Aidan, ma il suo sguardo era puntato, dritto, verso di me. La pensavamo
alla stessa maniera ed evidentemente aveva capito che, anche quando lo chiedevo
di rimanere da mia madre, in realtà non ci speravo per niente. Anzi, piuttosto
il contrario.
Rimasti
soli nella mia camera da letto, mentre ci preparavamo per uscire, mi disse
qualcosa che, sinceramente, non mi aspettavo.
“Probabilmente
comunque non avrò nemmeno bisogno che i miei paghino l’affitto al posto mio
quando avrò casa … potrei aver trovato un lavoro!”
“Davvero?”
domandai, sorpreso ma assolutamente felice per lei. Credevo che fosse una tappa
fondamentale per voltare pagina e ricominciare daccapo. Aveva fatto il giro di
diverse tavole calde e qualche bar ma, vuoi per l’esperienza inesistente, vuoi
perché, più semplicemente, neanche a NY quello era un buon periodo per trovare
lavoro; era riuscita a farsi prendere in prova in un piccolo caffè a Manhattan,
sull’ 81esima, ma ero stato costretto ad uscire prima dal lavoro per andarla a
prendere, perché qualche cliente, non riuscimmo a capire se riconoscendola o
solo perché fondamentalmente pervertito, aveva allungato le mani e lei s’era
fatta risentire ,alla sua maniera.
Si
gettò al mio collo e pianse a lungo quella sera perché secondo il proprietario del
posto, lei avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco, ma Allison non ci
stava più. Aveva smesso di farsi umiliare, aveva ribadito, non importava che
fosse in un diner anziché in un club per adulti. Ero stato veramente fiero di
poter vedere tanta maturità e tanto orgoglio in lei.
“Si
tratta di consegnare la posta in un ufficio per ora” spiegò “ma con il diploma
potrei anche aspirare a qualcosa di più … è tutta questione di gavetta …”
Certo
non era niente di che, di sicuro nemmeno la paga era un granché, ma eravamo di
poche pretese. “Beh certo” annuii. Sembrava un lavoro onesto e rispettabile, ma
soprattutto il fatto che lei sembrasse contenta e soddisfatta deponeva a favore
di quell’impiego.
“E
dov’è questo ufficio?” chiesi. “Ehm …. Empire … Empire State Building” balbettò
“si tratta dell’ufficio … degli uffici di tuo padre”
“Che
cosa?” esclamai, sconvolto “hai chiesto lavoro anche a lui?! Pensavo ne
avessimo già parlato Allison ….”
Quando aveva iniziato la ricerca di un lavoro, infatti, mia madre ci aveva
proposto di chiamare Charles, mio padre, perché con il suo prestigio e la sua
influenza un lavoro sarebbe saltato fuori in un battibaleno. Ma io mi ero
opposto con tutte le mie forze, perché non volevo che quell’uomo trovasse un
nuovo motivo per farmi sentire in debito nei suoi confronti; o peggio ancora,
far sentire Allison in debito.
Lei
stessa sembrò essere risoluta nell’opporsi sia alla proposta di mia madre, sia
a Les, che invece si era offerto per trovarle un lavoro in uno studio legale
associato al suo come receptionist. Voleva guadagnarselo il lavoro, aveva
detto, ma evidentemente erano state parole dette per non contraddirmi al
momento, per farmi stare buono, oppure alla prima difficoltà si era arresa. In
entrambe i casi, mi aveva deluso.
“Non
è come credi” si affrettò a spiegare “è stato tuo padre a contattarmi. Ti
ricordi quando sono andata ad accompagnare Caroline nel suo ufficio la scorsa
settimana?”. Annuii; lui aveva una riunione delle sue, di quelle che sai quando
iniziano ma non sai quando finiscono ed aveva chiesto a Caroline di
raggiungerlo nei suoi uffici per non lasciarla sola a casa, ma lasciando però
che la sua segretaria tuttofare, le facesse da babysitter. “Beh io sono rimasta
con Caroline per un po’ perché l’avevo vista a disagio con Janine …” raccontò.
Ricordavo anche quello: era rimasta lì praticamente tutto il pomeriggio, fino a
che la riunione non si concluse, alle nove di sera. “Così mi accompagnarono fin
qui con l’auto di tuo padre, visto che avevo declinato l’invito a cenare con
loro. E allora parlando del più e del meno a Caroline è venuto in mente di
dirgli che stavo cercando un lavoro. Credimi se avessi potuto l’avrei
ammazzata! E ieri lui mi ha chiamata … non vorrai incolpare tua sorella ora!”
Naturalmente
no … ma non avrei permesso che lei accettasse nulla da quell’uomo.
“Allison”
le andai vicino e l’afferrai per le braccia, energico e deciso, ma non
aggressivo “mio padre è uno di quelli che non fa mai niente per niente … e
tanto non accetterai la sua proposta … questo è quanto, fine della
discussione.”
“Scusa?!”
esclamò, e sentivo tutto lo sdegno nel suo tono di voce “primo … come ti
permetti di venirmi a dire quello che devo o non devo fare?!” Già … come mi ero
permesso?! Mi stavo comportando esattamente come tutto ciò che disprezzavo,
come un despota coglione e ottuso. “… e poi … anche se volessi accettare … dove
sarebbe il problema? Cosa c’è di male se tuo padre mi aiuta? Non l’ho capito
allora e non lo capisco adesso”
“Cosa
c’è di male?!” ribattei “raccomandazione Allison, si chiama raccomandazione … e
poi tu sei la mia ragazza, di sicuro inizierebbero a correre voci …”
“È
questo che ti da fastidio Tyler? Il giudizio degli altri?” mi aggredì
verbalmente “pensavo che fossi l’ultima persona al mondo che desse peso a
queste cose … ed invece sei proprio come tutti gli altri …”
Le
ultime parole furono pronunciate non solo con sprezzo e avvilimento, ma
soprattutto con delusione, specchio del suo volto. Io mi ero detto deluso dal
suo comportamento, ma si vedeva che lei lo era di più tra di noi. In fondo mi
ero sempre professato paladino della giustizia e della verità, io che non mi
ero lasciato ingannare dall’abito che indossava nel nostro primo incontro e che
avevo saputo andare oltre, arrivando al cuore della sua bellissima persona. Ed
ora ero proprio come tutti gli altri, gente senza volto né nome, che l’aveva
ignorata e sminuita, collocandosi al di sopra della sua volontà grazie al
ricatto e al potere dei soldi e della paura.
Si
mise addosso giacca e borsa a tracolla e fece per uscire dalla stanza. La
seguii; non le avrei permesso di andarsene così, senza chiarirci, senza che mi
disse l’opportunità di scusarmi, da emerito coglione qual ero. Nella
concitazione della discussone non c’eravamo neanche accorti che Aidan se n’era
andato, forse per rispettare la privacy del nostro primo litigio vero e
proprio.
Eccolo
lì … pensavo che non sarebbe mai arrivato ed invece si era presentato facendo
già dei danni importanti; ma non volevo, davvero, avrei voluto chiuderla lì,
darle un bacio e chiederle scusa, ma non riuscivo a tollerare che lavorasse per
mio padre, che ricevesse come stipendio il denaro di quell’affarista criminale
ed egoista.
“Allison”
la fermai, quando la sua mano era già sulla maniglia della porta, un attimo
prima che uscisse. Forse la mia voce rotta, forse il mio sguardo supplichevole,
forse le sue sensazioni sgradevoli simili alle mie, ma qualcosa la fece
desistere dall’aprire la porta ed andò a sedersi sul cornicione di una delle
finestre della zona giorno.
“Io
… io non ci vedo niente di male” disse, in un lamento. Odiavo vederla piangere
e non le avrei permesso di farlo per mio padre, non ne valeva proprio la pena.
Se era stato un piano di quello stronzo, studiato apposta per farci litigare,
c’era riuscito alla grande. Ma eravamo superiori a lui, noi ci volevamo bene
davvero e non solo a parole, avremmo superato anche quella.
“Capirai
che bella raccomandazione …” continuò, ridendo nervosamente “… smistare la
posta e consegnarla agli impiegati”
“Non
è per questo Allison …” le dissi, portandomi di fronte a lei ed
inginocchiandomi. Le presi le mani ed iniziai a giocarci: erano piccolissime
tra le mie, quasi come quelle di una bambina, ma erano lisce e si intrecciavano
bene con le mie. Era bellissimo, in una situazione di tensione come quella,
poter stabilire un contatto intimo e personale come quello. “Tu non lo conosci
Allison … non bene quanto me, almeno” insistetti “ non sai quanto possa essere
pressante”. Bastava ricordare quanto accaduto a mio fratello, che era finito
due metri sotto terra solo perché non ce la faceva più ad obbedire ai suoi
ordini e a seguire le sue disposizioni.
“Vuoi
passare il resto della tua vita ad essere riconoscente a mio padre?” incalzai
“perché lui non te lo farà dimenticare mai, sappilo. Non lo ha fatto con me e
con Caroline … non si farà tanti scrupoli a farlo con te!”
Ma
lei continuava a scuotere la testa, nonostante mi avesse dato la possibilità di
dire ciò che pensavo; cosa che, a differenza sua, io non ero stato in grado di
fare. “Perché non gli dai la possibilità di riscattarsi Tyler? Da quella notte
di Natale è cambiato … e tanto. Dovresti dargliene atto e dovreste parlavi, vi
farebbe bene!”
Ma
quello era il mio turno di scuotere la testa, vigorosamente, imbronciandomi
pure. Era un falso, che poteva darla a bere agli altri con i suoi modi educati
ed eleganti, ma io conoscevo sin troppo bene il soggetto per farmi ingannare:
il lupo perde il pelo ma non il vizio, era risaputo.
Lei
si alzò, di colpo, quasi facendomi cadere per terra. Mi alzai anche io a quel
punto e la vidi che se ne stava in piedi, camminando per la stanza con una mano
ai capelli e l’altra su fianco, inspirando ed espirando forzatamente, cercando
di imporsi un ritmo e darsi una calmata. Ecco, ci siamo, pensai … stava per
scoppiare.
“Quanto
… quanto cazzo mi fai incazzare Tyler” iniziò, al limite delle lacrime “com’è
che mi dicevi? Dalle una possibilità Allison! Tua madre ha sofferto molto in
questi anni … non è più quella che raccontavi”. Ora mi faceva pure la
caricatura, fantastico! Ed io me ne stavo lì, come un cane bastonato, a subire
una passivamente una ramanzina che non ero del tutto sicuro di meritare. “perché
dovrei farlo se non lo fai nemmeno tu?!” domandò “non permetterti più di farmi
una cazzo di predica, Tyler, perché sei il primo qui dentro a fare lo stronzo”
“Non
è la stessa cosa …” provai a giustificarmi, anche se alla mia scusa non ci
credevo più nemmeno io.
“Ed
invece sì Tyler!” insistette “forse mi sto comportando da egoista con mia madre,
perché non sono stata l’unica a perdere Emily quella notte. Lo stesso vale per
voi … non sei il solo ad aver perso Michael, ti sei mai chiesto come possa
essersi sentito lui?”
Aveva
ragione, ero solo uno stronzo … e non ci pensai nemmeno a smentirla. In effetti
il suo discorso non faceva una piega ed anzi mi aveva aperto un mondo di
domande e riflessioni che prima o poi avrei dovuto affrontare, anche se da
coniglio qual ero cercavo solo un modo per ritardare quel confronto il più
possibile. Io stavo ogni giorno ad intercedere per una donna che praticamente
conoscevo solo di vista, con cui non avevo mai avuto una conversazione decente
e lei, invece, occupandosi di Caroline aveva passato molto più tempo di me con
mio padre nell’ultimo periodo. Avrei dovuto concedere il beneficio del dubbio a
Charles, in fondo la mia strigliata di Natale poteva davvero essere stata la
scossa necessaria per cambiarlo però, come Allison con sua madre, non mi
sentivo ancora pronto ad affrontarlo. Ecco dunque che le parole di Allison
dovevano suonarmi profetiche: testa bassa e silenzio, perché lei aveva avuto
ragione, ancora una volta.
Mi
stravaccai sulla poltrona, abbracciando la chitarra di mio fratello che tenevo
lì di fianco. Provai a strimpellare qualche accordo, ma era scordata … non
avevo dedicato molto tempo alla musica ultimamente. Allison invece se ne stava
ancora lì davanti a me, ancora con quello sguardo severo negli occhi e quel
broncio aggressivo che detestavo e la imbruttiva. Ma almeno aveva buttato sul
divano sia la giacca che la borsa. Andò nel cucinino e, sbattendo violentemente
lo stipo per prendere un bicchiere, prese a bere l’acqua del rubinetto. Tramite
il finestrone che si apriva sull’angolo cottura potevo controllarla e vidi che
si appoggiò sul lavello, come in preda ad un attacco di nausea. Al pensiero che
fossi io la causa del suo malessere mi veniva proprio voglia di picchiarmi con
le mie stesse mani per quanto ero stato stronzo.
“Scusa”
sussurrai, onestamente pentito, ma ero certo che mi avesse sentito “hai ragione
su tutta la linea …. È della tua vita che stiamo parlando ed io non mi intrometterò
più, sei libera di fare come vuoi. Puoi anche uscire da questa casa se lo ritieni
giusto …”
Vidi con la coda dell’occhio, cercando però di puntare il vuoto, che si voltò
verso di me, forse non sicura di aver capito quello che le avevo appena detto.
“Sì
hai capito bene” proseguii “non ne faccio una giusta, hai ragione. Per cui se
pensi che per te sono troppo cazzone va bene, lo accetto. Anche se farà male da
morire senza di te …”
Il
mio cervello non fece in tempo a registrare quanto tempo passò dacché finii di
parlare a quando Allison si buttò letteralmente tra le mie braccia, togliendomi
la chitarra dalle mani, per baciarmi ed abbracciarmi. Era finito tutto. L’aria
non mi mancava più ed il sangue era tornato a scorrere correttamente nelle vene,
senza che il cuore facesse male.
“Sì”
disse, affannandosi tra un bacio e l’altro, prendendomi il volto tra le mani
“sei un cazzone, coglione e ti comporti da stronzo a volte. Ma sei il Mio
cazzone, il MIO coglione, il MIO stronzo … e non vado da nessuna parte ….
Almeno non senza di te”
“Ti
amo” le dissi, prima di congiungere per l’ennesima volta le mie labbra con le
sue. Ed in quei momenti non c’era nulla che andava, non c’erano madri e padri
petulanti e dittatori, non c’erano affitti da pagare né conti in sospeso con la
legge. C’eravamo solo noi e si stava da dio-
“Farò
come vuoi tu” aggiunse lei, ricomponendosi per uscire di nuovo di casa,
stavolta insieme “capisco il tuo punto di vista in un certo senso, perché provo
lo stesso per … per Lois, perciò se davvero per te è così difficile accettare
che io possa lavorare per tuo padre non fa nulla, mi inventerò altro, cercherò
altrove”
“No
Allison” mi opposi, mentre chiudevo a chiave casa lei mi aspettava sul pianerottolo. Le diedi
la mano e ci incamminammo giù per le scale “ non devi rinunciare a quel posto. È
un’offerta che non ti ricapiterà e non importa quello che penso io di mio
padre. Tu ti fidi di lui e questo è ciò che conta …”
“Grazie”
esclamò, abbagliandomi con il suo sorriso ritrovato e attirandomi a sé per un
bacio, brandendo il collo della mia giacca con la sua presa forte. Sì, ok, ero
affamato, drogato di quelle labbra, ma meglio qualche momento di imbarazzo
davanti ai vicini che ti colgono i flagrante nell’androne del palazzo,
piuttosto che altro. Abbracciandola più stretta in vita, infatti, non mi
accorsi che la signora del terzo piano, di origine greca, era appena entrata e,
vedendoci, aveva preso a tracciarsi ripetutamente il segno della croce, alla
maniera ortodossa, e a pronunciare frasi incomprensibile, ma che potevano
essere benissimo sia maledizioni che esorcismi. La buttammo su ridere,
lasciandola passare e aiutandola con le buste della spesa stracolme che le
erano cadute per lo scandalo.
“Cosa
farai oggi?” le domandai, mentre ci salutammo all’ingresso della librerai. Sarebbe
stata una giornata lunga per me: avevo il turno centrale, perché il mese
precedente mi ero preso troppi permessi per lo studio, vanificati dal ronzarmi
intorno di una certa ragazza, e ora dovevo recuperare le ore perdute se volevo
avere uno stipendio decente a fine mese. Ergo, sotto con gli straordinari.
Lei
fece spallucce: “Chiamerò tuo padre per dirgli che accetto il lavoro … ma solo
se tu vuoi davvero. In fondo è un lavoro come un altro … non voglio vedere musi
lunghi …”
“Ok
…” risposi, divertito “e voglio davvero che tu sia serena; quindi se tu lo vuoi,
lo voglio anche io. L’hai detto … è un lavoro come un altro”
In
fondo era quello che ci voleva: un lavoro onesto, tranquillo, sicuro. Che mi
piacesse o meno il datore di lavoro poco importava, tanto volente o nolente
quella sarebbe stata la mia stessa sorte tra qualche anno, non potevo scappare.
“E
poi vorrei andare a vedere un paio di appartamenti” continuò lei “senza lo
zampino dei miei …”
“Vienimi
a trovare però” la supplicai. Già la giornata sarebbe stata dura stare lì a non
fare niente tutto il giorno, figurarsi senza di lei. Avevo già in mente di
romperle le scatole ogni secondo con i messaggi, giusto per il gusto di vedermi
mandare a fanculo via sms e subito dopo ricevere un messaggino di scuse con
scritto ti amo. Forse ero regredito all’adolescenza insieme a lei, ma non
importava davvero.
“Non
se ne parla … l’ultima volta c’è mancato poco che Ray ti sbattesse fuori a
calci in culo” “Quanto sei raffinata amore mio …” la presi in giro; sapevo
quanto odiava che la chiamassi in quel modo. “grazie tesoro mio” rispose lei, stando
al gioco e gettando gli occhi al cielo “comunque non se ne parla … l’ultima
cosa di cui hai bisogno è che giocarti il posto per colpa mia. E poi hai sempre
Aidan … non ti sentirai solo!” Le risposi con un bel dito medio, facendola
ridere.
La
lasciai andare solo dopo che ebbi avuto una razione sufficiente di baci per una
giornata intera, dopo aver respirato il suo profumo sul collo quanto basta per
non andare in crisi d’astinenza e solo dopo che il mio capo, con un’occhiata
fulminante mi passo d’avanti per aprire le serrande del negozio e mi impose, eloquente
benché muto, di troncarla lì.
Tempo
di tornare a casa e mi avrebbe sentito quella cretina … lasciarmi senza
messaggi o chiamate per un’ora e mezza. Qualunque cosa stesse facendo non era
una scusa sufficiente a giustificare un silenzio di ben 90 minuti, troncando la
comunicazione con un <<sto
tornando a casa. Devo prendere la metro, il tel lì non prende. Non ti far
prendere dal panico>>
Non
si trattava di farsi prendere dal panico … è che la metro dal Queens all’East
Village ci metteva un’ora, ma qui eravamo andati ben oltre e lei non s’era
fatta sentire. Capivo che non volesse prendere il taxi, costavano veramente
troppo, ma andare a finire nel Queens per prendere casa e dover tornare a
Manhattan tutti i giorni per lavoro era una fatica che spero si sarebbe
risparmiata.
“Dove
sei? Non hai letto i miei messaggi!!!” esclamai, seccato ma sollevato. “Tyler Hawkins?”
una voce femminile dall’altro capo dell’apparecchio, educata e formale, mi fece
capire che non stavo parlando con Allie. Il campanello di allarme iniziò a
risuonarmi in testa e il mio cuore prese a battere all’impazzata. Mi fermai per
le scale, a metà strada, sedendomi sui gradini. “Sì … sono io” risposi, la voce
tremante “chi … chi parla?”
“Salve
Tyler, sono nurse Kristie, chiamo per conto del Pronto Soccorso del Bronx-Lebanon
Hospital Center … il suo numero era quello più ricorrente nel telefono della
signorina Allison Riley e abbiamo pensato di chiamarla … lei la conosce vero?”
“Certo,
certo che la conosco … è la mia ragazza!”
Non
ero sicuro di aver capito bene … Allison era in ospedale?! Nel Bronx? Cosa ci
faceva Allison nel Bronx se era andata nel Queens?!
“Scusi”
incalzai, prima che l’infermiera potesse parlare di nuovo “ma cosa … cosa è
successo alla mia ragazza?”
“Ci
hanno chiamati e l’abbiamo soccorsa per strada, era priva di sensi e piena di
ferite e ecchimosi … abbiamo già chiamato la polizia”
Senza
pensarci due volte mi buttai a capofitto giù per le scale e mi ritrovai in
strada, senza accorgermene, con la mano alzata per fermare un taxi; era l’unico
modo che avevo per arrivare il più presto possibile da Allison. Nel frattempo l’infermiera
continuava a parlare di assicurazione sanitaria o cose simili, ma io mi ero già
perso quando aveva detto che era priva di sensi.
“Io
sto ... sto arrivando, faccio prima che posso … ma lei mi deve dire come sta”
“Non
glielo so dire, mi dispiace … tutto quello che so gliel’ho appena detto”
“E
ti pareva” sputai, chiudendole il telefono in faccia. Saltai al volo sul primo
taxi vuoto che beccai e provai a mandare un messaggio veloce a Les, ma le mani
mi tremavano talmente tanto che non ero sicuro di aver scritto nulla che avesse senso compiuto.
Ma
cosa ci faceva Allison nel Bronx? E che cosa le avevano fatto?
La cosa più
spaventosa era la sgradevole sensazione di conoscere già la risposta a
quelle domande, ed il sangue mi si raggelava nelle vene all'idea che
quell'incubo non fosse affatto finito.
NOTE FINALI
Rispondendo
alla domanda del titolo: no...non è la fine. Ma ci siamo molto vicini.
E non vi preoccupate in qualche modo...prima o poi...le cose si
sistemeranno.
Ok lo so, sono malefica. Muahahahahh!!! Vorrei dirvi altro, ma come faccio??? XDXDXD
Ah...dimenticavo...mi do il bentornata da sola dopo un mese di assenza.
Ma vi avverto da subito che il prossimo capitolo lo avrete dopo Pasqua,
non mi aspettate prima perché non ho proprio il tempo di scrivere. In
compenso vi lascio il link del trailer della storia ,che potrete già
aver visto sulla pagina di FB
spero che vi piaccia...è un primissimo esperimento...spero possa essere seguito da altri...
Ora bisogno del vostro aiuto...se conoscete qualcuno che possa tradurre la mia storia in inglese vi sarei grata se poteste mettermi in contatto tramite la pagina FB, perché diverse persone su twitter mi hanno chiesto se era possibile averne una versione inglese ... ed io, benché sia abbastanza fluente con la lingua, non sono in grado di fare delle traduzioni come si deve.
ora vi devo lasciare, ho una cena e mi devo preparare.
à bientot
Federica