Coma
etilico.
Fino
a pochi giorni prima quella parola non significava niente per lui,
neanche si ricordava della sua esistenza, e ora aveva segnato il suo
destino per sempre.
Si sporse in avanti, accarezzando la mano di
Gerard con tocco leggero. I dottori erano positivi, si sarebbe ripreso
presto, ma al ragazzo bruciava che i motivi per cui il suo fidanzato si
trovava in una stanza d'ospedale erano la sua gelosia e la sua
apprensività. Non riusciva a non incolparsi di tutto, a
credere che
fossero solo i cattivi vizi di Gee, la sua ossessione per lo spingersi
sempre oltre e la sua spensieratezza eccessiva ad aver fatto
sì che il
ragazzo sprofondasse in coma. Aveva bisogno di qualcuno da incolpare, e
chi più si adattava a quel ruolo se non lui stesso?
-
Hey, Gee, come va? Ti senti meglio? - sussurrò. Prese la sua
mano tra le sue e la baciò dolcemente, accarezzandola.
-
I dottori dicono che ti stai riprendendo velocemente, che sei forte.
Spero davvero che non mentano, mi manca averti fra i piedi -
scherzò.
- Sai.. - s'interruppe per un attimo, respirando a fondo e radunando le
parole con aria affranta.
-
Ora che non ci sei mi sto rendendo conto di tutti i miei errori, delle
stronzate che ho fatto. Avevi ragione tu, non sono io che devo decidere
per te, ma devi essere in grado di fare le tue scelte senza che ti stia
costantemente col fiato sul collo. Scusa, mi dispiace. Però
devi
ammettere che non avevo tutti i torti, quando ti dicevo che stavi
esagerando con l'alcool - disse, poi abbozzò un sorriso.
L'ansia aveva
ancora il controllo su di lui, ma voleva assolutamente alleviare la
tensione che aleggiava dentro quella stanza. Lo faceva sentire
oppresso, come se ci fosse qualcosa a impedirgli di respirare, e quel
qualcosa probabilmente era la vista di Gerard. Era sdraiato sul letto,
incosciente, ma non era attaccato al respiratore, e questo, avevano
detto i medici, era un buon segno.
- Sai, honey, dicono che il tuo
cervello non sia rimasto danneggiato. E' per questo che puoi ancora
respirare da te, e probabilmente nel giro di poco tempo riuscirai anche
a parlare di nuovo, senza contare che ora le tue canzoni avranno
qualcosa di nuovo da raccontare - sorrise.
- E poi, dai, poteva
andarci peggio. Potevi ingurgitare qualche litro in più e
rimanere così
per sempre. In quel caso, non so davvero cos'avrei fatto - ammise.
-
Ti amo, Gerard. Scusa se non te lo dimostro abbastanza -
mormorò.
Rimase in silenzio, le parole che echeggiavano e lottavano nella sua
mente. Lo amava, già, ma tutto quello che faceva era
opprimerlo e
riempirlo di divieti, solo che non se n'era mai reso conto. Si prese la
parte alta del naso tra le dita e sospirò a fondo,
ricacciando indietro
le lacrime. Sì, era decisamente colpa sua. Aveva ragione
Gerard, era
lui il motivo per cui lui beveva. Era una merda.
Si alzò
silenziosamente in piedi e si appoggiò allo stipite della
porta,
voltandosi per guardare meglio quella squallida stanza
d'ospedale.
-
Sarebbe successo se non ci fossi stato io? - chiese al nulla, in un
sussurro appena udibile. Guardò ancora il ragazzo, riverso
sul letto
senza alcuna espressione sul volto. Sembrava un sonno qualunque,
normale; e invece era una prigione orribile in cui lui stesso lo aveva
rinchiuso, dopo anni di tentativi impercettibili e mai notati. Era
difficile pensare che non fosse colpa sua, qualunque cosa in quella
stanza lo accusava e scherniva la sua preoccupazione.
''E' colpa
tua,'' dicevano gli oggetti. ''Sei stato tu a fargli questo. Se non ci
fossi stato sarebbe stato meglio per tutti, soprattutto per Gerard!''
Frank si circondò lo stomaco con le braccia, trattenendo un
conato di vomito.
Era vero,
era tutto vero.
La causa di tutto era lui e solo lui.
Le sue allucinazioni avevano ragione.
Annaspò
per garantire un po' d'aria ai suoi polmoni doloranti, ma la sua bocca
era impastata dal senso di colpa e dalle troppe lacrime, e non riusciva
a respirare bene. Si lasciò scivolare sul pavimento e si
abbracciò le
gambe, affondando il viso nelle ginocchia tremanti.
Era come se la
notizia l'avesse appena colpito, come se avesse appena realizzato che
il suo fidanzato era in coma e che non stava semplicemente dormendo.
Eppure lo sapeva, l'aveva sempre saputo -- Gerard era in coma dalle
cinque di mattina, e così sarebbe rimasto per tanti, tanti
giorni.
Non
sapeva spiegarsi neanche lui il perché, ma gli era caduto
improvvisamente il mondo addosso, e il colpo l'aveva preso dritto in
mezzo agli occhi.
Si raggomitolò su se stesso, piangente, e rimase immobile, a
mordersi le labbra e tranquillizzare il respiro.
E se Gerard non si fosse più svegliato?
E se ci avesse messo più di due settimane ad aprire gli
occhi?
Cos'avrebbe fatto lui, cos'avrebbe raccontato alla band?
L'avrebbero
accusato tutti di sicuro, gli avrebbero detto che non sapeva prendersi
cura neanche del suo ragazzo e gli avrebbero voltato le spalle con
disprezzo.
Sarebbero stati disgustati da lui, non avrebbero nemmeno
ascoltato le sue ragioni e l'avrebbero rimosso dalle loro vite senza
troppa fatica.
Si strinse le ginocchia, strizzando gli occhi fino a farsi male.
Non
era colpa sua, lui amava Gerard con tutto se stesso. Era la sua ragione
di vita, tutto ciò che faceva lo faceva per lui, solo per
lui.
Si portò le mani alla testa e la scosse, cercando di
cacciare tutta la tristezza che la velava.
Le parole cominciarono a prendere forma dentro la sua mente, a roteare
e urlargli contro frasi di odio e delusione.
-
Non è colpa mia, io.. io non volevo, volevo solo che stesse
bene -
singhiozzò. - Andatevene, andatevene via tutti! Io non
volevo, non
volevo -.
Scattò in piedi, la testa che gli girava e la nausea che
gli bruciava nel petto, e corse in corridoio, piangendo, sotto lo
sguardo incurante degli altri pazienti.
Perché proprio lui? Voleva solo il meglio per il suo
ragazzo, perché doveva sentirsi così?
Continuò a correre, gli occhi appannati e brucianti.
Va
bene, non era il fidanzato perfetto ed era colpa sua se Gerard era
all'ospedale, ma si sentiva già abbastanza in colpa senza il
suo
stupido subconscio.
Strinse i pugni, inforcando il corridoio di destra e strizzando le
palpebre fino a non vedere più niente.
- Ehy, attento, è pericoloso! - sentì qualcuno
urlargli contro.
"....Eh?"
Frank riaprì gli occhi di scatto, giusto in tempo per vedere
le rampe di scale davanti a lui.
Fu questione di secondi.
Cercò
di fermarsi, ma l'unico risultato fu inciampare rovinosamente sui suoi
stessi piedi, cadendo in avanti. Si portò le mani davanti al
volto per
proteggersi e chiuse gli occhi, poi il dolore e poi più
niente.
Gerard
si svegliò di soprassalto con un urlo, la fronte imperlata
di sudore.
Si voltò verso destra, ansimando, e cercò di
intravedere la figura
magra del suo ragazzo nella luce fioca del mattino. Chiuse e
riaprì gli
occhi, spostando la mano per sentire se c'era davvero. Con un sospiro
di sollievo, sentì le dita di Frank chiudersi attorno alle
sue, prima
che il fidanzato gliene baciasse il dorso.
- Hai fatto un brutto sogno, Gee? - gli domandò con voce
impastata dal sonno. Il moro annuì, abbracciandolo.
- Già. Tu eri me e... Domani vado a disintossicarmi - disse.
Frank gli baciò il mento, respirando silenziosamente.
- Sei sicuro? - mormorò, appoggiando la testa contro il
petto dell'altro. - Non voglio farti sentire in obbligo. -
- Sono sicuro. Ti amo - ripeté, accarezzando il viso del
più piccolo.
-
Ti amo anch'io - farfugliò quello, sbadigliando. Gee sorrise
e gli
scompigliò i capelli, poi gli baciò la fronte e
aspettò che si
addormentasse tra le sue braccia. A quel punto si alzò, si
avvicinò
alla finestra e guardò fuori, circondandosi la vita con le
braccia. Se
non fosse stato per quel sogno.. Si voltò verso il letto e
sorrise col
cuore. Caro piccolo Frankie, si era sempre preoccupato per lui, anche
se non se lo meritava.
- Da domani ti renderò fiero di me, Frank - sorrise. -
Stanne certo -.
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