Salvee!
Ed ecco a voi l'ultimo capitolo di questa fanfiction. Ringrazio tutte voi che mi avete seguita, nonostante gli aggiornamenti spesso in ritardo, soprattutto nell'ultimo periodo.
Mi dispiace per il blocco che ho avuto e per la mia incapacità di scrivere. Mi dispiace per la scarsa presenza, eppure sono lieta di aver finalmente concluso una di queste mi storie in corso e non posso far altro che sperare di porre termine anche alle altre ancora aperte.
In quanto a voi, non vi ringrazierò mai abbastanza per la vostra pazienza.
Grazie, grazie davvero.
*Avvertivo il fruscio
della carta, un sospiro
sommesso infrangersi, al di là dell’uscio. Mi sembrava quasi di poter
scorgere
i suoi occhi sgranati, le dita tremanti ed il rossore che, se fosse
stato
umano, avrebbe imporporato le sue guance. Ed io, in attesa, mi
torturavo le
mani, rannicchiate in grembo, con lo sguardo puntato su quella
maledetta porta
e la consapevolezza di aver compiuto una follia che alimentava la mia
ansia, ad
ogni istante, ad ogni attimo. Eppure ero lì, dinanzi a quella squallida
stanza
di motel, nel quale alloggiava, semplicemente in attesa di quel
verdetto. Era
avvenuto tutto improvvisamente. La lettera svanita nel nulla, il
sorriso
sornione sul volto di Alice che la sventola, noncurante del mio folle
imbarazzo
e della mia preoccupazione, dinanzi al gesto che avrebbe potuto
compiere. Per
un momento avevo quasi temuto l’avesse inviata, senza attendere il mio
consenso.
Un consenso che
certamente non avrebbe mai ottenuto,
se non avesse agito come poi aveva fatto, raggirandomi senza alcuna
esitazione
e ponendomi dinanzi ai miei tormentosi dubbi.
Senza
scampo.
In trappola, costretta ad
ascoltare il
ricatto, pronunciato da quelle labbra tumide, pronte a mettere in
pratica le
sue minacce, con la collaborazione di Emmett che, dietro di lei,
attendeva solo
un suo ordine. Inutile sperare non avesse letto quelle parole
personali,
destinate ad Edward.
Inutile sperare che il
sogghigno, sul volto
dei due, non fosse rivolto alla sottoscritta ed alle smielate frasi
incise
sulla carta, di quella lettera, che sarebbe stata difficile da
contestare.
Ciò nonostante… in un
modo o nell’altro,
sarebbe giunta nelle mani del “brontolone dai capelli rossi”, come lo
aveva
definito Alice. Anche se è opportuno sorvolare, invece, sull’epiteto
con il
quale si era riferito a lui Emmett, sempre più volgare e meno incline a
controllare la sua lingua. Quest’ultimo si era offerto di rintracciare
lui
stesso il fratello in fuga, grazie alle doti di veggente della
piccoletta,
pronto a metterlo al corrente di ciò che avrebbe dovuto sapere da
tempo.
Ovviamente nessuna delle
mie implorazioni o
delle lacrime erano state ascoltate. Al contrario il tutto era stato
liquidato
con una semplice affermazione:
Sarà per il
tuo bene.
E come contraddire una
matta che vede il
futuro ed un energumeno ragionevole come un bambino dell’asilo?
Semplicemente non si può.
Ed io mi ero arresa,
esalando quel sospiro
sommesso che aveva rappresentato la mia condanna e scatenato urla di
giubilo
che non avevo affatto condiviso e che erano il motivo per il quale mi
trovavo,
fuori dalla porta, in attesa che Edward leggesse una copia della mia
lettera,
che io stesso gli avevo consegnato. Non desideravo comportarmi da
vigliacca ed
una parte di me aveva quasi pensato di pronunciare quelle parole,
dinanzi a
lui, magari leggendo io stessa ciò che avevo scritto. Ma il timore di
abbandonarmi all’imbarazzo ed alla conseguente ira, che questo destava
in me,
mi aveva fatta desistere dai miei intenti. Preferivo lasciarmi
considerare una
bambina, poco coraggiosa nell’ammettere i suoi stessi sentimenti,
piuttosto che
causare un ulteriore fuga di Edward.
Avevo già fatto
abbastanza. – mi rammentai,
rievocando le immagini che mi avevano tormentato negli ultimi mesi. Il
suo
volto desolato, afflitto da quelle parole da me pronunciate, in un
impeto di
rabbia. Follie e menzogne che erano ben lontane dalla verità; perché
come avrei
mai potuto temerlo? Come avrei mai potuto nutrire paura verso di lui,
che era
stato il mio protettore, in ogni fase della mia vita? Lui che mi aveva
donato
un amore fraterno, un’assoluta devozione che io avevo ripagato con
disprezzo ed
astio, perché incapace di affrontare ciò che invece avrei dovuto:
Quel tumulto di emozioni
che gonfiavano il
mio petto, quando lui mi era accanto.
Quelle che le note della
mia ninna nanna
risvegliavano in me.
Quelle che le sue carezze
ed i suoi sorrisi
gentili ridestavano.
Tutto in lui sembrava
sempre capace di
attrarmi, di rendermi schiava anche di quei semplici gesti che in altri
non
avrei neppure notato. Ma che, compiuti da lui, acquisivano un diverso
significato.
Ed io avevo conservato il
ricordo di ognuno
di quegli istanti, nella mia mente, nel mio cuore, facendone tesoro,
nutrendomene con una disperazione che era data solo da quell’amore, non
ricambiato.
Un amore di cui ero
pronta a renderlo
partecipe, per porre finalmente termine a quel suo vagabondaggio,
permettendogli di comprendere ciò che aveva mosso le mie azioni, negli
ultimi
anni. Ero ormai pronta a ricevere quel rifiuto, dalla quale ero
fuggita, per
lungo tempo.
Ero ormai pronta a fare i
conti con quella
parte della mia vita, che doveva
essere conclusa e con essa quella mia prima “cotta” infantile; come era
solita
definirla mia madre, benché a me apparisse una definizione sin troppo
riduttiva.
Ma in fin dei conti
dovrebbe essere usuale,
fraintendere ciò che si prova, dinanzi alle prime esperienze? Gonfiare
il
proprio cuore di un amore illusorio, vacuo e pronto a svanire in un
soffio. Un
amore al quale io mi ero spasmodicamente aggrappata, troppo spaventata
dall’idea
di rinunciarvi.
- Avrò
quello che merito. Avrò ciò di cui ho bisogno ed incontrerò un uomo
capace di
far battere il mio cuore, solo per lui. Un uomo in grado di lenire le
ferite
del mio giovane cuore. Un uomo che non sia Edward. – mi ripetei, per l’ennesima
volta, con il
respiro spezzato e le lacrime pronte a scivolare sulla mia pelle nivea,
accarezzandone le gote arrossate.
Non sono più
una bambina.
I rumori attutiti,
provenienti dall’interno
della camera, mi costrinsero ad alzare lo sguardo, infrangendo le mie
elucubrazioni, quando la porta si aprì dinanzi al mio volto dai
lineamenti
tesi.
«Bella! » l’espressione
affannosa sul viso di
Edward mi parve gratificante. Certo, pareva sul punto di crollare,
preda di un
colpo apoplettico, ma non sembrava disgustato, dalle parole che aveva
letto su
quella lettera.
Una lettera scritta da
quella che lui aveva
sempre considerato una sorella e che, scioccamente anche se per
costrizione, si
era ritrovata ad aprirgli il suo cuore, attendendo il suo giudizio in
silenzio.
Un atteggiamento
assolutamente insolito per
me che, con lui, non sembravo mai in grado di mitigare le mie reazioni.
Eppure
era forse l’imbarazzo ad impedirmi di replicare con una frase
sprezzante,
indugiando in quel comportamento assurdo che avevo da tempo nei suoi
confronti.
Sin da quando avevo compreso la profondità dei miei sentimenti. Quegli
stessi
sentimenti che mi avevano terrorizzata e che avevano destato in me il
bisogno
di allontanarmi.
Avevo rimproverato
Edward, per molte cose, in
quel periodo.
In parte lo avevo
considerato la causa di
quell’allontanamento tra di noi, malgrado fossi stata io la prima a frapporre quella distanza, semplicemente
perché non lo ritenevo capace di ricambiare quell’amore che avevo
compreso di
provare per lui.
Non gli avevo concesso
alcuna possibilità.
Non gli avevo permesso di
comprendere ciò che
mi aveva cambiata, costringendolo a prendere atto della mia ostilità,
ma non di
porvi rimedio.
Perché come avrebbe
potuto? – mi domandai,
ironicamente, osservando la punta delle mie scarpe, ossessionata da
quelle
elucubrazioni che erano state le mie compagne, durante quel lungo
viaggio in
aereo, che mi aveva condotta lì. Da lui.
Eppure, in quell’istante,
ero lì a concedere
ad entrambi quella possibilità che ci avevo negato, anche se
probabilmente in
ritardo.
«Non sembri molto in
forma.» mormorai, con il
capo chino ed il labbro stretto tra i denti, segno del mio palese
nervosismo.
Scorgevo il bordo di quella lettera color malva, ancora stretta tra le
sue
mani, ed ero comunque incapace di pronunciare qualcosa di sensato.
Qualsiasi cosa.
Talvolta, però, le parole
sono superflue.
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Un sogno. Un sogno ad
occhi aperti. Il frutto
del mio corpo debilitato, della stanchezza e della spossatezza che
avevano
attanagliato la mia mente, a causa di quel torpore nel quale avevo
trovato
rifugio. Perché il trascorrere dei giorni era un tormento, una condanna
che non
potevo combattere. Qualcosa alla quale avrei desiderato porre rimedio,
ma
impossibilitato a farlo, per il bene della mia famiglia, conscio che
Alice
avrebbe assistito ad ogni gesto folle che avrei potuto compiere. Così
mi ero
abbandonato all’immobilità di quella vita priva di significato,
semplicemente in
attesa.
Ma in attesa di cosa?
Probabilmente di quella
lettera che mi era
stata recapitata. Uno scherzo, una punizione per i miei pensieri
impuri, per i
miei desideri, per quel bisogno che neppure la lontananza sembrava in
grado di
sopire. Se non avessi riconosciuto la scrittura confusionaria e
arrotondata di
Bella avrei riso, nervosamente, dinanzi a quel foglio di carta color
malva,
intriso del suo dolce profumo.
Forse avrei stracciato
quel pezzo di carta,
preda dell’ira, se non avessi percepito il battito frenetico di un
cuore, al di
là della porta. Quel ritmo cadenzato e dolce, che mi aveva cullato
durante ogni
notte trascorsa nella mia casa, quello al quale mi ero aggrappato, per
trovar
pace, anche negli istanti più bui della mia esistenza. Perché mi
bastava
saperla lì, separata da me solo da qualche misera parete, avvolta tra
le
braccia di Morfeo, calda e morbida. Viva. Mia.
Mia solo nella mia mente,
solo nei miei
desideri.
Mia sorella.
La mia famiglia.
Una parte di me, forse la
migliore.
La mia metà mancante,
quell’anima a me
affine.
Colei che mi attendeva,
al di là di quella
dannata porta, che non avevo il coraggio di aprire. E così avevo
permesso ai
miei occhi di abbeverarsi di quelle frasi, incise sulla carta,
nutrendosi della
speranza che esse sembravano voler insinuare in me.
Una confessione e neppure
un accenno del
biasimo che ero ben conscio di meritare. Nessun rimprovero, ma solo
un’assoluzione
e… amore?
Come avrei mai potuto
ritenere possibile, una
simile meravigliosa possibilità, rammentando ciò che ci aveva diviso,
negli
ultimi anni?
Come avrei mai potuto
accettare il
significato sotteso a quelle parole, senza posare lo sguardo sul volto
di lei,
per trovarvi conferma?
Ed era stato questo ad
esortarmi ad allungare
le dita verso la maniglia di quella porta, che mi era improvvisamente
parsa più
pesante di quanto avrebbe mai potuto essere, per un vampiro. Forse
perché al di
là di essa si celava quella risposta che avevo agognato per anni o
forse l’infrangersi
di ogni mia illusione.
Forse perché è la verità
ad essere pesante,
anche quanto essa può apparire meravigliosa, perché può permetterci di
comprendere quanto i sentimenti ci soggioghino, troppo spesso,
annullando ogni
raziocinio. Preda di essi ci trasformiamo in creature insicure,
talvolta
stolte, sciocche e, semplicemente, umane.
Perché è umano amare.
E’ umano sperare.
E’ umano vivere.
Ti amo, come
il respiro che l’immortalità mi ha sottratto, ma al quale non sono in
grado di
rinunciare.
Ti amo, come
quel cuore che temevo di aver perduto e che tu nuovamente mi hai donato.
Ti amo,
perché
mi hai permesso di comprendere quanto vuota fosse la mia esistenza,
priva di un
reale sentimento. Di questo calore che ora riscalda il mio corpo freddo
e la mia
mente ed i miei occhi, che si abbeverano della tua figura, della
dolcezza che
il tuo sguardo basso non può celare. Del timore, probabilmente riflesso
anche sul
mio stesso viso. La paura del rifiuto, l’angoscia dell’attesa.
E tante le parole che
indugiavano sulle mie
labbra immobili e che avrei dovuto pronunciare
Tante le emozioni palesi
sul mio volto, che
probabilmente mai avrei potuto adeguatamente esprimere.
Perché le
parole sono solo parole.
Ed allora, per la prima
volta, fu il mio
istinto a guidarmi, esortandomi a posare le labbra sulle sue.
Il nostro
primo vero bacio.
The End
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