IV
capitolo
The world's spinning in his own way
L'appartamento
era di piccole dimensioni. Contava in tutto tre stanze: il bagno, la
cucina e il soggiorno, che fungeva anche da studio e da stanza da letto.
Lestrade si trovava in
mezzo a quest'ultimo.
Tra il via vai
continuo dei tecnici della scientifica poteva scorgere una scrivania,
sommersa da un'ingente quantità di fogli, penne e giornali
sparsi in modo disordinato, un po' sulla superficie laccata di un tenue
grigio perla, un po' sul pavimento piastrellato di bianco.
Era un chiaro segno di
colluttazione, ma in mezzo al disordine dell'appartamento (vestiti
sparsi sul letto disfatto, briciole sul pavimento, scatole di take away
e piatti sporchi nel lavabo della cucina), non appariva tanto strano
quanto avrebbe dovuto.
Al centro della
stanza, a terra, un cerchio di gesso e strani simboli. Nel suo
perimetro, la sagoma del corpo e il sangue che si era lasciato dietro.
Le pareti, colorate di
un pallido giallo estivo, erano illuminate dalla calda luce del
mattino, che penetrava dall'unica finestra della stanza.
Spalancata.
Una scelta della
scientifica a quanto pare, che dopo aver fatto tutti i prelievi
più importanti aveva deciso di cambiare aria, per liberarsi
dell'odore acre di morte e sangue comune a tutte quelle situazioni.
Un venticello fresco
accarezzò il viso dell'ispettore, quasi beffandosi della
tragedia avvenuta.
Sherlock non ne
sarebbe stato contento, Lestrade poteva quasi sentirlo urlare su quanto
fossero idioti, di come, aprendo quella finestra, avessero
probabilmente distrutto qualche prova importante - il tutto seguito da
un'altra serie di insulti poco gentili.
Lestrade
sospirò, le mani nascoste in tasca e lo sguardo indagatore
che vagava per lo spazio circoscritto. Solo lui poteva collaborare con
qualcuno che pretendeva di risolvere un crimine tenendo il naso per
aria.
E se questo non fosse
stato vero, almeno, si sarebbe sentito meno idiota.
L'ispettore
aprì con senso pratico il proprio taccuino.
A salutarlo, i suoi
appunti, scritti con una calligrafia ancora un po' elementare.
La vittima era Carolyn
Eden. Aveva ventidue anni e studiava medicina presso
l'università di Oxford. Si era trasferita in
quell'appartamento da pochi mesi. La madre abitava a due isolati di
distanza, insieme al fratello minore. Il padre, invece, se ne era
andato di casa due anni prima. Carolyn ne aveva denunciato la
scomparsa, ma la madre aveva rassicurato la polizia che il marito era
andato via di sua spontanea volontà. La faccenda non era
andata oltre.
Perché
allora la ragazza credeva il contrario?
- Vedo che ha iniziato
a farsi le domande giuste.
La voce alle sue
spalle lo fece sussultare.
Sherlock gli si era
avvicinato con passo felpato, molto simile al predatore che si appresta
all’assalto della propria preda.
- Smettila di apparire
come un fottuto fantasma.
Borbottò
l'ispettore, contrariato – senza prendersela davvero
più di tanto.
Non si
domandò nemmeno come l'altro fosse a conoscenza dei suoi
pensieri.
Sherlock era fatto
così.
- Finestra spalancata?
Ottimo lavoro, razza di idioti!
Ecco,
lo sapeva.
- Smettila. E come sei
entrato, comunque?
Sherlock
alzò le spalle, disinteressato.
- Ho preso in prestito
un distintivo.
Lestrade
portò d'istinto una mano alla tasca della giacca. Il suo era
ancora lì e ciò voleva dire che lo aveva preso
altrove, forse da qualche povero agente nei dintorni.
A volte si domandava
seriamente se Sherlock non fosse un qualche tipo di criminale in
incognito.
- Non puoi farlo! E'
un reato!
- L'ho fatto e lei non
mi sta ancora arrestando, come vede.
Prima di avere la
possibilità di replicare, Sherlock lo zittì con
una mano.
L'ispettore smise
all'istante di parlare e, reprimendo l'insana voglia di prendere
l'altro a schiaffi, concesse spazio e silenzio alla mente del
giovane. Sperava solo che il ragazzo non lo costringesse a mandare via
tutti, come era già successo un paio di volte in precedenza.
Lestrade poteva capire che Sherlock aveva bisogno di silenzio per
pensare, ma nessuno li conosceva, lì – se non di
vista e per sentito dire – ed era già abbastanza
frustante dover lavorare con sconosciuti, senza dover aggiungerci anche
la loro antipatia.
Per fortuna, Sherlock
sembrò badarci poco, questa volta.
Iniziò a
camminare per il soggiorno, con passi piccoli e misurati. Si
piegò sulle ginocchia – senza che queste
toccassero il pavimento – e passò un dito sulle
piastrelle, vicino ai bordi del cerchio.
Indossava un paio di
guanti in lattice, ovviamente.
Esaminò
qualche foglio, limitandosi a leggere i primi righi di alcuni di essi,
mentre ad altri prestò maggiore attenzione. Avvicinatosi
alla scrivania, prese tra le mani una cornice rovesciata, per poi
lasciarla sul posto così come l'aveva trovata. Si
soffermò nei pressi della libreria, sfiorò con
l'indice vari titoli e si guardò attorno, notando altri
libri sparsi per la stanza.
Con un sorriso
soddisfatto, concluse la sua osservazione.
- Cosa mi sai dire?
- Non molto.
L'ispettore sapeva che
mentiva. Il sorriso compiaciuto e un po' arrogante sulle labbra di
Sherlock gli diceva tutto il contrario.
- Quindi?
Odiava quando si
metteva in mostra, tenendolo sulle spine.
- Due persone.
- Ne sei sicuro?
Si fidava del ragazzo,
aveva dovuto ammetterlo a se stesso solo qualche tempo addietro, ma il
suo lavoro era quello di avere prove concrete, fare domande e capire
– quindi, in un modo o nell'altro, cercare di penetrare nella
mente di Sherlock.
Il giovane
sospirò con fare drammatico.
- E’
sufficiente osservare questa stanza per capirlo. L'assassino era
arrabbiato, data la violenza del colpo inferto alla vittima, che ha
scaraventato prima contro la scrivania – lo si può
dedurre facilmente dai documenti sparsi in modo così
disordinato - e poi sul pavimento. Il cerchio e i simboli –
devono far parte di qualche antica religione - sono stati realizzati
dopo l'omicidio stesso e da una lettura veloce di questi documenti,
desumo che ne manchino diversi. Dopo un omicidio del genere,
l'assassino non avrebbe avuto lucidità sufficiente per
curare tutti questi dettagli. Ergo, deve essere intervenuta una seconda
persona, legata all'assassino in qualche modo. Infatti, tutto
è stato fatto con lo scopo di proteggere l'omicida. Come ha
provato a coprire le tracce? Semplice. Il sangue della vittima si trova
soltanto attorno al corpo e solo all'interno del cerchio. Il pavimento
qui intorno è più lucido rispetto ad altre zone
dell'appartamento. Il complice ha lavato via parte del sangue per
disegnare il cerchio, ha pulito la scrivania e si è
sbarazzato di molti documenti. Probabile che l'assassino, in preda alla
rabbia, abbia toccato molti oggetti lasciando le proprie impronte. Il
complice ha fatto davvero un ottimo lavoro, splendido!
Lestrade
evitò di far notare a Sherlock quanto fuori luogo fosse
stato il suo ultimo commento, preferendo concentrarsi sulle
informazioni ricevute.
- Se quello che hai
detto è vero e non ti stai inventando tutto di sana pianta...
Sherlock lo trafisse
con lo sguardo, quasi a volerlo fulminare.
- ... la vittima
conosceva il suo assassino.
Le labbra del giovane
si piegarono un po' all'insù, in una smorfia molto simile ad
un sorriso compiaciuto. Lestrade notò distrattamente che
aveva delle profonde occhiaie e un evidente bisogno di riposo.
- Il complice deve
aver preso anche il computer della vittima.
- Come fai a dirlo?
- Questi documenti
sono stati scritti al computer, ma di quest'ultimo non c'è
traccia. A giudicare dai segni ancora visibili sul polso della ragazza,
lo stava usando poco prima di essere assassinata. Quindi, l'assassino o
il suo complice devono averlo preso con loro.
- La ragazza aveva
scoperto qualcosa? Qualcosa contro di loro?
- Ovvio, ma cosa?
Sherlock
unì i palmi delle mani, le punta delle dita che gli
sfioravano appena le labbra.
Quando assumeva quella
posizione, era pericoloso interrompere il corso dei suoi pensieri.
Così, Lestrade decise di fare qualcosa per conto suo.
Aveva bisogno di
sapere di più sulla vittima e sulle sue relazioni. Se aveva
un ragazzo, un lavoro, chi erano i suoi compagni di corso.
Delegò il compito a un paio di agenti.
- Una giornalista.
- Cosa?
Lestrade non si era
neanche accorto che Sherlock gli si era avvicinato.
- La vittima era una
giornalista. Non di professione, ma si dilettava a scrivere alcuni
articoli. Deve aver intrapreso la facoltà di medicina per
volere della madre, ma voleva diventare una giornalista.
- Come fai a saperlo?
- I libri sulla
scrivania. Sono i suoi libri di corso, ma c'è un sottile
strato di polvere su di loro, ne deduco che venivano usati molto poco.
Non le interessava la medicina, aveva intenzione di abbandonare la
facoltà. Per la stanza, invece, sono sparsi molti testi di
scrittura e articoli sul giornalismo. Sono piuttosto logori, segno
evidente di un utilizzo continuo. Usava il computer per le sue ricerche
e per scrivere i suoi articoli. Deve aver scoperto qualcosa, qualcosa
di importante...
- Qualcosa che l'ha
fatta ammazzare.
Concluse Lestrade, che
adesso vedeva la situazione molto più chiaramente.
Sentì il
proprio corpo pervaso da una familiare sensazione. Empatia, forte e
dolorosa. Per quanto ci provasse, abituarsi a certe cose gli era
impossibile. Non era un santo. Aveva anche lui i suoi vizi, fumava,
perdeva la pazienza e a volte beveva un po' più del
necessario, ma proprio non riusciva ad accettare che al mondo esistesse
tanta crudeltà. Spesso si domandava se quella perseguita da
loro fosse davvero la giustizia, perché a quanto sembrava
più si cercava di essere onesti, più si rischiava
di finire con i piedi nella fossa.
Molti bastardi
avrebbero continuato a vivere, mentre a quella povera ragazza il futuro
era stato precluso per sempre. Era ingiusto, eppure il mondo girava in
un modo tutto suo e nessuno avrebbe potuto davvero cambiare le cose.
Anche Lestrade ne era consapevole. L'unica speranza restava nelle
piccole azioni, in quel po' di pace che potevano donare agli altri
trovando risposte alle loro domande.
- Chi ha trovato il
corpo?
Sherlock si
infilò tra i suoi pensieri con la solita voce baritonale,
riportandolo con i piedi per terra. Lestrade sfogliò di
nuovo i suoi appunti.
- Una sua compagna di
corso. A quanto pare dovevano incontrarsi per studiare, stamattina,
intorno alle sette. Aveva le chiavi dell'appartamento, così
quando è entrata ha trovato il corpo.
L'ora della morte
è stimata intorno al pomeriggio di ieri, ma dobbiamo
aspettare i risultati dell'autopsia per avere un dato più
preciso.
Lestrade
corrugò la fronte.
- Pensi possa essere
stata la ragazza?
- Improbabile. Il modo
in cui tutto è stato ripulito è molto accurato.
E' stato fatto con mano ferma ed esperta, non credo che una semplice
universitaria possa averlo fatto, ma per essere certo avrei bisogno di
vederla.
Vederla,
non interrogarla.
Lestrade
annuì distrattamente, mentre decideva sul da farsi.
- Devo parlare prima
con la famiglia. Vuoi venire?
Sherlock non gli
rispose, ma lo precedette verso l'uscita, dando così il suo
consenso.
Lestrade lo
seguì subito dopo.
Sarebbe stata una
lunga giornata.
Angolino
di Baci
Mi dispiace tantissimo per il ritardo, ma avrò iniziato e
riscritto questo capitolo almeno un centinaio di volte. Un vero parto!
Purtroppo è più corto rispetto agli altri, ma mi
sono appena accorta che il giallo non è proprio il genere
più facile da scrivere, almeno per me, quindi sto cercando
di andare con calma per non ingarbugliarmi tra le mie stesse idee.
Vedetelo come un capitolo di presentazione del delitto XD Ok, la
finisco di dire cretinate e prego che il capitolo via sia piaciuto
almeno un pochino. Spero di rivedervi al prossimo aggiornamento XD Baci
e buona notte! <3
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