E noi ascoltavamo Burt Bacharach
E noi
ascoltavamo Burt Bacharach
Era
estate, e c’era
l’estate. Perché sì,
può anche essere estate ma l’estate non esserci.
Come quando la pioggia investe tutto ciò che trova
– è estate, ma non lo diresti, vedendo il cielo
così coperto. Non è un paragone difficile: hai
presente, no, quando sei giù di morale? E non dirmi che non
sei mai stato giù di morale, perché non ti crede
nessuno. Insomma, sei giù di morale, però hai
ancora il sorriso. Ti basterebbe contrarre e rilassare gli specifici
muscoli mimici. Eppure, vedendoti allo specchio, col volto bagnato di
lacrime, non lo diresti possibile.
Quella volta era estate, e l’estate c’era.
Ora, immagina.
Un campo di grano; di quelli dorati, in
cui le spighe crescono grandi e rigogliose, alte quanto la
metà d’un uomo – impossibile, eh?
Ma tu immagina. Crea, plasma la
realtà. Ad immaginare non si perde niente.
Immagina un campo in collina.
Un campo in collina, un campo dorato di
spighe di grano.
Immagina un campo dorato al tramonto.
Anzi no, un po’ prima. Immagina un campo dorato col sole che
tende all’orizzonte, linea impalpabile e irraggiungibile.
Immagina... un uomo anziano, diciamo di
sessant’anni, e una bambina di tre o quattro.
Immagina l’uomo anziano
vestito come un contadino, con tanto di cappello di paglia in testa;
immagina la bambina con pantaloni scarlatti, una canotta bianca bordata
d’arancione, con su disegnati degli alberi e una fattoria.
Falle indossare un berrettino blu a pois bianchi.
Figurati l’anziano con la
bambina sulle spalle, che corre su e giù creando svariati
tunnel attraverso il grano; senti la risata della bambina, osserva il
sorriso dell’uomo, la gioia che illumina
all’unisono i loro visi. Non senti anche una voce grave che
intona Burt Bacharach? Those
raindrops are falling on my head, they keep falling.
E ora, la pioggia. Immagina la pioggia
estiva di cui parlavamo poc’anzi; senti il ticchettio delle
gocce cadere sulle loro teste, i sospiri dell’anziano che
corre a gran velocità sulla collina fino a ripararsi in
casa, lui e la nipote bagnati fradici. Non vedi che ora lui
è appoggiato al muro che cerca di riprendere fiato, mentre
la ragazzina è ai suoi piedi che non riesce a smettere di
ridere?
Immagina i due che si guardano negli
occhi, gli stessi occhi, entrambi pieni d’affetto
l’uno verso l’altro, un legame indefinibile.
No, non è una storia vera, se
è questo che ti stai chiedendo.
Ma ehi, io non ho ancora finito.
Mi spiace, ti toccherà
immaginare ancora. E ancora. Ancora un po’.
Se senti
ancora Burt Bacharach, allora è ora di ricominciare ad
immaginare.
Non è più estate.
È inverno, ma l’inverno non
c’è. Sono forse cinque gradi, ma il sole splende
alto e sorridente.
Il vecchio non ha più
sessant’anni. La bambina non ne ha più quattro.
Li vedi, come sono invecchiati? Lui ha
sessantaquattro anni, lei otto. Lui non ha più il suo
cappello di paglia, lei ha perduto il suo berrettino a pois.
Chissà dov’è ora, il povero berretto;
magari sta ancora aspettando la ragazza che torna a recuperarlo. Magari
è bagnato, consunto e sporco, ma spera ancora. Dopotutto,
non serve essere perfetti e virtuosi per sperare, no?
Immagina una cucina piccola, ma piena; lungo tutto il perimetro ci sono
mobili, e un camino sull’angolo sinistro. Tutto
ciò che vi entra è un tavolo di media grandezza e
otto sedie; il resto sono mobili. Le tende alle finestre sono bianche,
come bianca è la tovaglia sul tavolo e la camicia del nonno.
La televisione manda in onda le notizie dal mondo, che la bambina non
ascolta. Cosa se ne fa lei del mondo, quando il suo microcosmo
è la dentro, con suo nonno?
Il vecchio si sistema il cappello nero
in testa, in netto contrasto coi numerosi capelli bianchi, e osserva
distrattamente le notizie che scorrono frenetiche. La bambina, il libro
di matematica accantonato in un angolo, veste e sveste la sua Barbie
bionda, tessendo storie che solo in tenera età possono
saltare in mente.
« Nonno! » Esclama
ad un certo punto. « Me la fai una promessa? »
« Di’, bella,
di’ a nonno tuo! »
« Ci vieni al matrimonio
quando mi sposo? »
Il nonno ride, facendo sorridere anche
la bambina. « Ma che domande fai! Certo che nonno ci viene. E
ti fa pure tanti regali! »
Be’, il nonno avrebbe dovuto
sapere che le promesse fatte vanno mantenute. Che a
quell’età una bambina si ricorda tutto. Ma non so se
il nonno lo sapesse. So solo che avrebbe dovuto.
Ti stai chiedendo se è una
storia vera? Forse.
Io lo so. Almeno questo, lo so.
Mi spiace, ma ti toccherà
immaginare ancora. E ancora. Ancora un po’.
Sta diventando il mio motto: ad
immaginare non si perde niente. A
parte il senso della realtà.
Oh,
ci siamo di nuovo. Vuoi proprio immaginare ancora?
E spegniamo anche Burt Bacharach.
Immagina. Non so se ti farà
piacere, ma immagina.
La bambina non è
più tanto bambina, e del berretto a pois non ricorda nemmeno
l’esistenza. Ora è un’adolescente,
liceale di sedici anni che... ops, ho parlato troppo presto.
Il vecchio ha settantacinque anni. Lo
so, dovrebbe averne di meno: e invece ne ha proprio settantacinque.
Compiuti ad aprile. Tu immagina così.
Non la farò tanto lunga, ora.
Meglio di no. Sappi solo che devi immaginare una camera: il nonno sul
letto con l’ossigeno al naso, la nonna al suo capezzale, la
mamma della bambina che gli misura la pressione e suo figlio che lo
osserva da lontano.
No, questo suono che senti non
è Burt Bacharach. È la sirena
dell’ambulanza. Il rumore delle ruote sulla ghiaia non
assomiglia vagamente a un cuore che va in frantumi?
Cinque, sei, sette secondi. Non ne
passano di più; o almeno, alla ragazza non sembrano di
più. Non vede il nonno salire, dare l’addio alla
casa che ha costruito con fatica, sudore e soldi del figlio che intanto
doveva mantenere moglie disoccupata e figlia in fasce, soldi mai restituiti.
Il nonno soleva non restituire mai
niente. Nemmeno le promesse.
Non
immaginare niente. Guarda semplicemente la scena che ricordo io. Vedi
la nonna, gli occhi che faticano a non inumidirsi? Vedi il nonno,
all’apparenza cosciente, sdraiato sul letto di ospedale? Vedi
il figlio, vedi la nipote? Ricordali.
E ricorda anche questo: la nonna che lo
bacia in fronte, perché un bacio esprime più di
quando bocca e occhi potevano in quel momento. « Ciao,
Ri’. »
E ciao davvero. Addio.
No, non
c’è più da immaginare.
Il nonno se n’è
andato, e proprio tre
giorni prima del compleanno della nipote. Il nonno se
n’è andato, e con lui tutta la
stabilità di una famiglia e una piccola promessa.
Il nonno se n’è
andato, e i figli cominciano a litigare per
l’eredità iniquamente spartita.
Il nonno se n’è
andato da forse un giorno, e il figlio minore (non il padre della
bambina, mai!) già vuol vendere il campo di grano dorato
alto metà di un uomo.
Ciao, no’. Son sei mesi oggi.
Non hai mai indossato un cappello di
paglia. Non mi hai mai presa sulle spalle e portata a correre su un
campo di grano dorato. E forse non
t’ho mai veramente chiesto di venire al mio matrimonio. Forse
l’ho solo sognato. Immaginato.
Ed è proprio questo il problema: i sogni sono sogni, non la
realtà.
Cercavo
qualcosa. L’affetto sincero, gratuito; era
qualcosa che mancava, qualcosa che ti mancava. Probabilmente cercavo il
nonno perfetto. La perfezione.
Ho perso qualcosa. Ho perso un (altro) nonno.
Ora li ho persi entrambi; non ci siete, non ci siete più.
Ho perso e trovato.
Solo il cuore che ha perduto sente cosa
gli manca: non era l’affetto, non era il nonno perfetto, non
era la perfezione, che cercavo.
Perché
la perfezione limita l’immaginazione.
No, era qualcosa di tremendamente
più semplice.
Cercavo un
nonno.
26 / 10 / 11 - 26 / 04 / 12
Ci, mi,
manchi.
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