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Buongiorno,
cosa posso dire oltre che mi dispiace da morire per il
ritardo (se così vogliamo chiamarlo) enorme per
l'aggiornamento. Purtroppo ho passato un periodo pieno di impegni e
completamente senza idee, quando tornavo a casa e mi mettevo al pc
avevo solo voglia di rilassarmi e non pensare a niente. Spero
che potrete perdonarmi, non mi aspetto di ritrovare tutti i
lettori di quando ho iniziato, ma spero comunque che ci sia qualcuno
che ha sperato io aggiornassi. Buona
lettura. PS:
La canzone questa volta è decisamente molto "dura" visto
le situazioni che incontrerete nel capitolo :)
Capitolo
14. (You’ll not break me
dawn)
Quella mattina mi svegliai
molto presto, lasciai un
bacio fra i capelli profumati di Mark – che si era fermato da
me quella notte –
mi preparai di corsa ed uscii per andare alla tavola calda. Volevo
arrivare là
prima di Claire per aver modo di parlare con Sean di quello che era
successo la
sera appena trascorsa.
Quando arrivai mi trovai di
fronte qualcosa che non
avrei mai immaginato di vedere.
Due macchine della polizia
erano parcheggiate
proprio di fronte al localee
c’era un
via e vai di poliziotti.
Scesi dalla macchina e mi
diressi verso l’entrata.
“Mi scusi signorina, lei dove pensa di andare?” Mi
disse uno degli uomini in
divisa appena fuori dalla tavola calda.
“Lavoro qui e vorrei
entrare per parlare col mio
capo e capire cosa è successo.” Guardai quel
poliziotto in malo modo, odiavo
quel comportamento che assumevano sempre in questi casi, come se
chiunque fosse
un possibile assassino o ladro.
Dall’interno si
sentì la voce di Sean che
assicurava quel poliziotto. “La faccia passare, è
una mia dipendente.” Disse
osservandomi come se realmente fossi io la causa di tutto quel
trambusto, ma se
i suoi occhi facevano intendere questo, il suo sorrisino mi faceva
dubitare.
“Sean, si
può sapere cosa è successo qui?” Dissi
guardandomi attorno. Il locale era sottosopra, un paio di poliziotti
erano
dietro al bancone vicino alla cassa e un altro paio li intravedevo
nell’ufficio.
“Forse potresti dirmi
tu cosa è successo. Questa
notte sono entrati nel locale e hanno portato via tutti i soldi, anche
quelli
della cassaforte.” Il suo sguardo era duro e accusatorio.
Rimasi sbalordita di fronte a
quell’accusa. “Scusa
Sean, cosa c’entro io? Io ieri sera sono rimasta qui fino a
che non ho ricevuto
la telefonata in lacrime di Claire.” Dissi dando enfasi ad
ogni singola parola.
“Quando sono uscita ho chiuso tutto e sono corsa a Dublino a
riprenderla, visto
che TU l’hai lasciata sola.” La rabbia stava
salendo, ma cercai di tenerla a
freno soprattutto per capire per quale motivo Sean mi accusasse,
strinsi i
pugni e misi le braccia lungo i fianchi.
“Sei proprio sicura
di aver chiuso tutto quanto? Io
non credo proprio visto che non c’è nessun segno
di effrazione e qui le chiavi
le abbiamo solo io, tu e Claire. Le altre due ragazze non ne sono in
possesso.
Claire sappiamo benissimo tutti e due dov’era e qui
c’eri solo tu. Sei uscita
di corsa, in pena per la tua amica. Sono sicuro che tu ti sia
dimenticata di
chiudere la porta.” L’accusa era forte e il tono di
rimprovero – come fossi una
bambina – era insopportabile.
“Come scusa? Certo
sono uscita di corsa per colpa
di uno stronzo come te, ma non sono così scema da lasciare
aperta una porta che
chiudo automaticamente tutte le sere quando lascio questo posto. Lavoro
qui da
6 anni e non ho mai commesso un errore simile, nemmeno quando dovevo
correre da
mia figlia perché stava male.” Il mio sguardo
sosteneva il suo e l’odio che
provavo per lui aumentava a dismisura, avrei voluto prendere quella sua
testa
di cazzo e sbatterla contro al muro del locale.
“Non ci sono scuse
Eloise. Sei stata tu, non c’è
altra spiegazione. Non mi interessa tutte le congetture che puoi
costruire in
questo momento. Tu eri qui, tu eri responsabile del locale e tu lo hai
lasciato
aperto. Non posso ammettere errori simili, soprattutto
perché hanno rubato
tutto l’incasso di quel giorno e anche tutti i soldi della
cassaforte, si sono
fatti un bel gruzzoletto.” In quel momento si
avvicinò un poliziotto,
probabilmente attirato dai toni accesi della nostra discussione; si
affiancò a
me, come un avvoltoio in attesa del suo pasto.
“Beh,
perché non vieni a perquisire casa mia Sean,
magari sono stata proprio io a rubare tutto. Ma andiamo mi consideri
così tanto
stupida, so fare il mio lavoro. Mi sembra assurdo che tu mi stia
accusando,
quando sono sempre stata la più sveglia qui
dentro.” Sean esagerava con le
accuse e io non riuscivo a tenere a freno la lingua. Anzi era
già molto che
riuscissi a tenere a freno le mie mani, che prudevano e avevano una
voglia
matta di tirare due schiaffi a quell’uomo.
“Signorina,
sicuramente verremo a fare un giro a
casa sua, intanto se posso chiederle di aprirci la macchina, vorremo
dare
un’occhiata. Se quello che il suo capo dice è la
verità, lei è la prima
sospettata.” Si avvicinò un altro poliziotto,
sembravano in procinto di
arrestarmi e io ero sull’orlo di una crisi di nervi.
“Avete un mandato per
frugare nella mia macchina?
Beh procuratevelo, dopo di che potrete fare quello che vorrete. Non ho
paura,
perché sono pulita.” Li guardai sfidandoli, ci
avrebbero messo poco ad avere il
mandato, ma intanto potevo rompere ancora un po’ le palle a
Sean.
I due poliziotti si dileguarono
fuori dal locale,
ma non prima di avermi avvertito. “Signorina Walsh, per
favore non si muova dal
locale, non peggiori ancora di più la sua
situazione.” Rimasi a bocca aperta
per quelle parole.
Ma
cosa cazzo succede? Ho per caso ammazzato qualcuno? Cosa ho fatto di
male?
Spero solo che questo non sia un pretesto di Sean per vendicarsi,
sarebbe
davvero troppo perfido e sbagliato. Ma posso aspettarmi di tutto da uno
come
lui.
Seguii Sean
nell’ufficio, gli altri due poliziotti
erano impegnati a cercare indizi nel locale e non facevano caso a noi,
chiusi
la porta e fissai con le braccia incrociate sul petto Sean.
“Adesso che siamo
soli puoi spiegarmi le tue reali
intenzioni Sean. So che queste sono tutte cazzate che ti stai
inventando, si
percepisce dal tuo sguardo. Stai cercando di prendere per il culo me e
i
poliziotti, solo che io non ti credo. So precisamente quello che ho
fatto.” Il
mio sguardo era fisso su di lui, si sedette sulla sua morbida poltrona
e mi
fissò congiungendo le mani sotto al mento.
“Eloise, puoi pensare
quello che vuoi, qui dentro
non interessa a nessuno. Non mi interessa quello che è
successo ieri sera.
Semplicemente non ti voglio più qui. Puoi
andartene.” Abbassò lo sguardo e si
mise a scrivere su dei fogli, ignorandomi proprio come se non ci fossi.
“Come scusa? Cosa
intendi per ‘non ti voglio più
qui’?” La mia domanda era retorica, avevo capito
subito le sue intenzioni e
sapevo bene cosa voleva da me; volevo solo sentirmelo dire chiaramente.
Alzò gli occhi su di
me, la sua risata era
sardonica. “Vattene di qui Eloise Walsh. Sei licenziata, non
voglio ladri ne
falsi nel mio locale.” Rimasi fissa a guardarlo. Sapevo che
voleva questo, ma
rendermi conto che era davvero così mi fece impallidire.
Questo
lavoro è uno schifo, Sean è un verme e per suo
zio vale lo stesso. Ma io ho
bisogno di lavorare. Devo mantenere mia figlia, devo farla vivere bene.
Chiusi gli occhi, presi un
respiro e allentai la
presa delle mie mani, stavo stringendo così forte i pugni
che mi ero conficcata
un paio di unghie nel palmo. Aprii le mani e le appoggiai alla
scrivania. Gli
occhi chiusi e il respiro sempre più regolare.
“Sean, mi dispiace
solo che tu sia di una pochezza
così ampia. Pensi di farmi del male trattandomi
così? Pensi che mi distruggerai
la vita? Beh fattelo dire caro. Quando uscirò da questo
locale le uniche
persone che ci rimetteranno sarete tu e Jack. Se ti senti
così solo e poco
apprezzato da doverti vendicare su di me, non è certo colpa
mia. Ma sono sicura
che in futuro pagherai per la tua perfidia e la tua
superficialità. Addio
spaccone.” Dissi tutto in un fiato e poi uscii
dall’ufficio. Una lacrima iniziò
a scivolare sul mio viso, ma l’asciugai subito con la mano.
Alzai lo sguardo e
mi ritrovai di fronte Clay con lo sguardo attonito.
Le spiegai cosa era successo
sperando non la
prendesse troppo male e sperando che non le venisse una crisi di panico.
“Io qui senza di te
non ci rimango Elly.” Così
dicendo mi scansò e si diresse verso l’ufficio.
La presi per un polso.
“Clay, non fare la stupida.
Basta una sola di noi senza lavoro. Tu non hai fatto niente. Sean ce
l’ha con
me e non so perché. Tu non c’entri, non fare la
‘paladina della giustizia’ che
non serve a niente.” Lei mi guardò sorridendo e
prese le mie mani nelle sue.
“Tesoro, io qui SENZA
DI TE non rimango. Non c’è
altro da dire e non mi interessa cosa pensi di me o di quello che sto
per fare,
ti passerà e tutto tornerà come prima. Qui con
Sean non sarebbe più lo stesso
per me. Inizieremo insieme di nuovo come abbiamo sempre fatto, da sole
non ce
la facciamo; ma insieme siamo più forti di qualsiasi
cosa.” La guardai, la sua
voce sicura tradiva le lacrime che stavano rigando il suo volto.
“Clay, ok.
Vengo con te.” Le presi la mano e entrammo
nell’ufficio insieme.
Sean non si aspettava di
vederci lì insieme con lo
sguardo di due tigri.
Io avevo già detto
tutto a Sean, ma Clay no. Si
allungò sulla scrivania e picchiò una mano sulla
superficie dura.
“Tu, sei
semplicemente uno schifoso. Non so se
chiamarti uomo o pezzo insignificante di mondo. Non so se guardarti e
piangere
o ridere per la pena che mi fai. Me ne vado anch’io, tanto
non ti serve una…
Mmm, come mi hai chiamato ieri sera? Troietta da quattro soldi che si
fa
fregare da uno sguardo dolce.” Clay lo guardò e si
mise a ridere, poi si voltò
e uscì dall’ufficio con le spalle dritte.
Io rimasi immobile a fissare
Sean che non si
aspettava niente di simile, era sorpreso e sicuramente titubante.
“Come ti
senti adesso caro Sean? In bocca al lupo per la tua bellissima
vita.” Dissi
ironicamente, sputai nel suo ufficio ed uscii per andare da Clay; mi
aspettavo
che lui ci rincorresse e ci fermasse, ma nessuno aprì quella
porta.
Clay era fuori dal locale che
fumava una sigaretta
appoggiata al muretto, guardava il mare e si capiva subito che stava
piangendo.
La raggiunsi proprio nell’attimo in cui ritornarono i due
poliziotti.
“Ragazzi, come siete
efficienti nel vostro lavoro.”
Dissi prendendoli in giro, gli tirai le chiavi della mia macchina, uno
dei due
le prese al volo e mi guardò in modo incerto. Non si
aspettavano questo mio
modo di fare e sinceramente non mi interessava. “La macchina
è vostra, fate
quello che volete. Ma per favore in fretta che devo andarmi a cercare
un altro
lavoro. Grazie.” Ero già girata per andare da
Clay. Le misi le braccia intorno
al collo e lei sbuffò esausta.
“Anche la tua
macchina stanno perquisendo? Cosa
pensano di trovare quegli stupidi?” Disse buttando fuori un
po’ di fumo.
“Pensa che forse
verranno a farmi visita anche a
casa. Non mi interessa davvero, so quello che ho fatto. Adesso il mio
primo
pensiero è trovare un altro lavoro per tutte e
due.” Rimanemmo sedute su quel
muretto a contemplare la forza della natura, il mare era in tempesta e
stava
iniziando a piovere violentemente sulla nostra piccola isola.
Un cenno del poliziotto mi fece
capire che avevano
finito, passai di fianco a loro e presi le chiavi. “Contenti
della ricerca?
Devo aspettarvi anche a casa mia? Volete il tè per le
5?” Dissi facendomi beffe
di loro. Mi guardarono scuotendo il capo. “Ci scusi signora
Walsh, ma deve
capire che dobbiamo tenere in gioco ogni
possibilità.” Li guardai e avrei
voluto sputare anche addosso a loro, ma mi limitai a scoccargli uno
sguardo di
ghiaccio.
Feci cenno a Clay di seguirmi
con la macchina e ci
ritrovammo al bar del centro commerciale, sperando di riuscire a
rilassarci e
farci venire qualche buona idea.
Mandai un sms a Mark dove
spiegai brevemente quello
che era successo. Di lì a poco ci avrebbe raggiunto, era
incazzato nero. Così
mi aveva fatto intendere dalle sue gentili parole per Sean.
“Quello stronzo,
saremo noi a rovinare la vita a lui. La pagherà cara per
averti trattato così.
Mi prudono le mani, ma prima vengo da voi per capire meglio cosa
è successo,
poi deciderò che fare di lui.”
Sorrisi a quel pensiero, era
protettivo nei miei
confronti e non poteva farmi altro che piacere. Era un piccolo conforto
in quel
momento. Presi la mano di Clay e la strinsi, mi fissava con sguardo
dolce ma
era terribilmente abbattuta. Le ci era voluta una grande forza per
entrare in
quell’ufficio e affrontare così l’uomo
che l’aveva appena ‘distrutta’.
L’ammiravo per questo. “Ti voglio bene Clay.
Insieme unite contro tutto e
tutti.” Dissi quelle parole come un mantra, quella era la
frase che ci dicevamo
da quando avevamo 5 anni e le cose erano sempre le stesse, nulla era
cambiato
nella nostra amicizia.