Eccoci all’ultimo capitolo, l’ultima
tappa di questo piccolo viaggio.
Vi voglio ringraziare tutte, dalla prima all’ultima.
Perché scrivere è sempre bello, ma permettere agli
altri di leggerti e ricevere sostegno ed entusiasmo è indescrivibile. Sono
partita piena di dubbi, e adesso sono qui con un sorriso stampato sulla faccia.
Ed è merito vostro. Mi avete resa felice con ogni
commento e ogni visita che ho ricevuto. È la prima fan
fiction che scrivo su Supernatural, la prima volta
che mi “affaccio” su questo fandom con la scrittura,
ed è stato bellissimo grazie a voi.
(Quando dico che vi ringrazio dalla prima
all’ultima, con prima intendo Marghe… gliel’ho già detto, ve l’ho già detto, ma lo ridico…
perché sì.)
(Un’altra parentesi: se vi interessa
tenervi aggiornate su eventuali nuove storie seguitemi su Twitter!)
Spero che vi godiate questo capitolo, che vi piaccia quanto vi è piaciuto il resto.
Buona lettura e ancora grazie.
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La fine.
Ancora prima di aprire gli occhi,
sentì i capelli di Sam che gli pizzicavano il collo. D’istinto alzò una mano e
gli accarezzò la testa, muovendo i polpastrelli lentamente e sentendo i capelli
scivolargli tra le dita. Non voleva svegliarsi, non voleva aprire gli occhi, ma
quando lo fece scoprì che niente era cambiato. Erano
ancora lì, nudi sotto le coperte. Insieme, abbracciati. Il sole era sorto, lui
era sveglio, eppure stava ancora vivendo nel sogno.
“Buongiorno.” mormorò Sam, con
quella poca forza che il sonno gli concedeva.
“Buongiorno.” rispose, sentendo
spuntare un sorriso sulle labbra. Era tutto vero, era tutto vivo. “Vado a farmi
una doccia. Dormi ancora un po’, ok?”
Sam annuì senza aprire bocca, e quando
suo fratello scivolò fuori dal letto afferrò il suo
cuscino e lo strinse tra le braccia.
Raggiunse il bagno quasi correndo,
spinto da una forza finora sconosciuta. Era in pace, stava bene, poteva
assaporare tra le dita e sulle labbra tutto quello che fino a quel momento aveva soltanto sognato. Solo quando fu sotto il getto caldo
della doccia, nudo e solo in una stanza praticamente buia, iniziò a tremare. Cominciò a sentire la
notte trascorsa sempre più lontana, sempre meno sua. La cosa più bella, appena
scoperta, a cui doveva rinunciare.
Il giorno più bello della mia vita è anche l’ultimo.
Annaspò in cerca d’aria, si
guardò intorno e, senza fiato, provò invano a chiedere aiuto. Intrappolato tra
le pareti della doccia, si lasciò cadere sul pavimento. Con la testa tra le
mani, con l’acqua che gli batteva sulla schiena e gli scivolava sul corpo, per
la prima volta da quando aveva venduto l’anima, pianse.
Si asciugò lentamente, indugiando
con l’asciugamano in ogni parte del suo corpo, come se volesse cancellare tutto
ciò che la pelle poteva sentire. Si vestì e afferrò dal borsone verde militare
tutto quello che gli serviva. Uscì dalla camera da letto
senza guardare Sam che dormiva ancora e scese nello scantinato.
Ruby era ancora seduta al centro
del cerchio, legata mani e piedi alla sedia di
metallo, quando sentì passi pesanti che scendevano le scale. Sperò di trovarsi
davanti Sam, ma appena intravide gli scarponi lo riconobbe e si lasciò sfuggire
un lamento.
Dean camminava lentamente, con la
testa bassa, senza dire una parola. Afferrò un tavolo traballante nascosto
nell’angolo più buio e lo trascinò per la stanza, fino a trovarsi esattamente
davanti al demone. Quando la debole luce che scendeva dalle scale colpì il
tavolo, Ruby vide ciò il cacciatore ci aveva rovesciato sopra.
Sale, una boccia d’acqua, una
siringa, un coltello.
D’istinto, senza bisogno di
ricevere nessun comando dal cervello, le mani e i piedi della ragazza iniziarono
a dimenarsi. Ringhiando, cercava di liberare polsi e caviglie.
Dean si piazzò accanto al tavolo
e, arrotolandosi lentamente le maniche della camicia fino a scoprire i gomiti,
parlò.
“Ricordi quando ti dicevo che mio
fratello è molto più paziente di me?”
Il suono pacato
di quella voce – la voce di uomo che sta per sfogare le ingiustizie di
una vita intera sulla pelle e sulle ossa che ha davanti – scosse Ruby. Si impose di stringere i denti, ignorare la paura che
lentamente le stava rovesciando lo stomaco, e tentò l’unica cosa che la sera
prima aveva funzionato: pungerlo sul vivo.
“Lo sai che i demoni hanno un
buon udito, vero cacciatore?” Inclinò leggermente la testa, gli rivolse un
sorriso storto. “Te la sei goduta la tua ultima notte, eh? Com’è
stata?”
Il volto di Dean rimase immobile,
il respiro si mantenne regolare. La guardò fissa negli occhi ancora per qualche
secondo, godendosi la paura cieca che le leggeva in faccia e che tentava
disperatamente di nascondere, poi abbassò lo sguardo sul tavolo. Stappò la
bottiglia piena di acqua benedetta, afferrò il pugnale e, lentamente, bagnò la
lama.
“La migliore.” disse.
Quando rialzò lo sguardo, la
ferocia che gli illuminava gli occhi si rifletté sul coltello, e Ruby capì,
soltanto guardandolo in faccia, che nessuno, nemmeno lei, avrebbe potuto
combattere e sopravvivere alla furia di un Winchester
che stava per perdere suo fratello.
Rientrò in camera con quella
carica che solo una vittoria sa darti. E, spinto proprio da quella forza, era
pronto a partire, prepararsi, combattere. Ma si fermò,
immobilizzato al centro della stanza, quando vide Sam. In boxer e maglietta, camminava
avanti e indietro ai piedi del letto, aveva le mani nei capelli, la faccia così
stravolta che faticò a riconoscerlo. Quando sentì Dean aprire la porta, alzò lo
sguardo e una valanga di emozioni lo travolsero:
sollievo, confusione, timore, terrore.
“Dov’eri?” chiese, con la voce in
frantumi.
Dean lo raggiunse con pochi passi,
gli afferrò le spalle, lo costrinse a fermarsi. “Sammy…”
“Dov’eri?” ripeté.
Le mani di Dean, che ancora gli stringevano
le spalle, scivolarono sulla maglietta fino a circondargli il collo. Lo
abbracciò, lo strinse più forte che poteva.
“Qui.” sussurrò.
“Cristo, Dean.” Inspirò, parlò
con le labbra premute sulla sua camicia. “Pensavo fossi andato via, che mi
avessi lasciato qui. Pensavo avessimo rovinato tutto.” Si allontanò di qualche
centimetro, afferrò la testa di suo fratello. Con i pollici gli accarezzò le
guance e, per qualche secondo, si perse nel verde dei suoi occhi. “Dimmi che
non ti sei pentito. Dimmi che non ti senti in colpa.”
Al suono di quelle parole, Dean
socchiuse gli occhi: era proprio quella la cosa che lo
aveva terrorizzato di più. Si era svegliato con Sam addosso, aveva sentito ogni
momento di quella notte ancora fresco sulla pelle, ogni immagine vivida davanti
agli occhi, e aveva aspettato l’ondata di schifo, vergogna, rimorso. Un’ondata
che non era arrivata. Era arrivata soltanto la voglia di rifarlo. Ancora e
ancora.
“Come faccio a sentirmi in colpa
se lo rifarei subito, in questo preciso istante?”
Sam sorrise – un sorriso
pieno di sollievo, eccitazione, autocontrollo – e Dean si allontanò. Si
schiarì la voce, cercò la concentrazione che gli serviva, e parlò di nuovo.
“Ero da Ruby.”
“Ha parlato?” La voce gli uscì
dalle labbra più veloce del pensiero.
“Ho un nome: Lilith.
E un indirizzo.”
Sam liberò un respiro che gli
scosse il petto, un sorriso incerto gli spuntò sulle labbra. “Perfetto,” esclamò, e si voltò subito, in cerca di qualcosa da
mettersi addosso. “Andiamo.”
“No, Sam.” Il tono di voce
cambiò, con quelle due parole tornò il fratello autoritario che troppe volte l’aveva fatto incazzare. “Vado da solo.”
Sam lo guardò, cercando di capire
se stava scherzando. Lo stava prendendo in giro, non era possibile che parlasse
sul serio. Scosse la testa, rise. “Cosa?”
“È un suicidio, Sammy. Andrò da solo.”
“Non se ne parla,
Dean. Non prenderlo nemmeno in considerazione, capito?”
“Non abbiamo niente… niente! Solo
un fottutissimo nome accompagnato da un indirizzo, e molto probabilmente l’ha inventati quella stronza che non sapeva più cosa inventarsi
per farmi smettere!”
Per un attimo, gli passò davanti
agli occhi l’immagine di suo fratello con gli strumenti in mano, l’espressione
dura, la voce che sembrava provenire dall’inferno. Rabbrividì, scosso da non seppe quale emozione. “Vengo con te, Dean.”
“Non sappiamo nemmeno come
ucciderla! Abbiamo soltanto la Colt, con un
fottutissimo proiettile dentro. Un solo colpo quasi sicuramente inutile, non
abbiamo nient’altro! Saremo morti prima di riuscire a guardarla negli occhi.”
“Vengo con te!” ripeté, quasi
urlandoglielo in faccia.
Dean scosse la testa, si passò
una mano sulla faccia, strinse i denti. Poi, improvvisamente stanco, si lasciò
cadere sul letto.
“Forse è così che deve finire.”
disse, lo sguardo fisso sul pavimento.
“E ora questo che vorrebbe dire?”
Dean alzò la testa, gli puntò gli
occhi addosso. Notò che si era già vestito.
“Uno dei due che se ne va, le
nostre strade che vengono divise a forza. E’ l’unico
modo per tenerci separati. L’unico modo per dimostrarci quanto sia sbagliato
tutto quello che stiamo facendo.”
“Dean…”
“Andiamo, Sammy…
io e te, per sempre felici e contenti nella nostra
casa delle meraviglie? Davvero ti sembra possibile?”
“Mio fratello sprofondato
all’inferno, io che vago in un mondo che non è più mio. Questo invece ti sembra
possibile?” ruggì. Poi, calmandosi, finì di abbottonarsi la camicia, recuperò
le sue cose dal comodino, e gli dette le spalle. “Ti aspetto giù.”
L’impala ruggiva sull’asfalto, il
rumore delle ruote accompagnava i loro respiri. Non si guardavano, non si
parlavano. Sapevano entrambi che le voci avrebbero tremato.
Sam liberò un respiro più
profondo degli altri, socchiuse gli occhi, guardò
fuori dal finestrino. Una cosa da dire ce l’aveva, gli
ronzava in testa da ore ormai.
“Cosa sogni?”
chiese. Sentiva una stretta alla bocca dello stomaco, temeva che non
rispondesse, che lo tagliasse fuori ancora una volta. Infatti
Dean non rispose, continuava a tenere lo sguardo fermo davanti a sé, sulla
strada. “Perché non me ne hai parlato? Perché non mi hai detto degli incub-“
“Non sono incubi.” lo interrupe bruscamente. “Niente cerberi, niente torture,
niente di niente.”
“Allora cosa sogni,
Dean?”
“Noi due.” La voce bassa risuonò
nell’auto, s’infiltrò in ogni centimetro che li divideva, riempì l’aria quasi
fosse un profumo. “Io e te, insieme.”
Indugiò su quell’ultima parola e Sam
lo guardò, aggrottando le sopracciglia. Gli scappò una mezza risata amara.
“Ti fa più paura dell’inferno?”
chiese, rivolgendosi di nuovo al vetro. “Io… noi due, insieme. E’ la cosa che
più ti terrorizza in assoluto?”
“Sam…” sussurrò.
“Siamo peggio
della morte?”
“Sam.” ripeté,
la voce più ferma. Spostò una mano dal volante alla faccia e se la passò sugli
occhi. “Dio… sono così abituato a… sono così rassegnato. Come faccio a non
avere paura dell’unica cosa bella che abbia mai avuto? Come faccio a non essere
terrorizzato dalla felicità? Perché è questo, Sammy,
c’è soltanto questo in quella casa: felicità.”
Sam sentì gli occhi bruciare, le
mani iniziarono a tremare. Aveva voglia di piangere, aveva voglia
di urlare fino a finire la voce. E, se ne accorse provando pena e vergogna per
se stesso, era geloso. Geloso dei sogni che la morte mostrava a suo fratello.
Lo voleva anche lui, qualsiasi cosa avesse visto, qualsiasi cosa
potesse avvicinarsi anche solo lontanamente a tutto ciò che aveva sognato da
sempre. Tutta quella felicità, non riusciva neanche ad
immaginarsela. “Com’è?” chiese sottovoce, controllando la voce affinché non
tremasse.
Dean si voltò lentamente, lo
guardò come si guarda il proprio riflesso nello
specchio: sapendo cosa avrebbe trovato, sicuro dell’espressione che avrebbe
avuto sul volto. Gli occhi piccoli ma profondi, la bocca
tesa, i capelli spettinati intorno al viso. Lo sapeva a memoria. E
sapeva come far sparire, almeno per un po’, l’angoscia che gli leggeva addosso.
“Bello.” E dirlo ad alta voce fu
come spogliarsi. La libertà in una parola. Era un sollievo così grande, aprire
la bocca e parlare, che continuò a farlo. “È una casa semplice: sala da pranzo,
cucina, camera da letto, un bagno con un tappeto
rosso. Il divano… il divano è il mio posto preferito.
Il nostro, credo.” Parlò al presente: pensare che non avrebbe potuto dormire o
sognare mai più riusciva a portargli via il respiro. “Non ci sono demoni, né
fantasmi... niente di tutto questo.” Fece un gesto con la mano, indicò l’aria
che lo circondava, la vita che li tormentava da sempre. “Io lavoro in
un’officina, tu sei un avvocato, e quando la sera torniamo a casa
facciamo quasi sempre la doccia insieme. Di solito tu cucini, e io lavo i piatti. La tua parte di letto è la sinistra, e
ti addormenti all’istante se ti accarezzo i capelli… ma questo già lo sai.” Sorrise, si voltò verso Sam per vedere se stava facendo lo
stesso: si specchiò in un sorriso più grande del suo. “Siamo
noi due… soltanto noi due, come sempre. Ma
siamo incredibilmente felici. E tutto è così naturale… sembra proprio la vita
fatta per noi.”
“Grazie, Dean.” disse suo
fratello, il groppo in gola che lasciava andare a fatica la voce.
Non sapeva per cosa, ma non
importava, non lo chiese.
Continuò a guidare, tenendo un
occhio sempre fisso su Sam: si stava tormentando le mani, appoggiate sulle cosce.
Si schioccava le dita, si torturava i palmi. Pensò a
tutto quello che gli stava cascando addosso, tutto quello che lui stesso stava
rovesciando sulle spalle di suo fratello. Pensò al suo sguardo la prima volta
che l’aveva baciato, alle sue mani che cercavano i bottoni della sua camicia.
Quella sicurezza nascosta in ogni movimento.
Non ho mai voluto nient’altro.
A Sam non era mai servito
sognare, essere sul punto di morire per capire. Tutto quello che Dean aveva
vissuto negli ultimi mesi, lui l’aveva vissuto in anni interi. Da solo.
Completamente solo.
“Quando l’hai capito?” chiese.
Sam sembrò svegliarsi da un sogno.
“Cosa?”
“Che eri… insomma… che c’era
qualcosa di più.”
A Sam si strinse il cuore di
fronte all’imbarazzo di suo fratello. Avrebbe voluto che fosse più tranquillo,
avrebbe voluto tempo per renderlo più tranquillo.
Fargli capire che poteva dirgli tutto, chiedergli tutto, che per lui non
c’erano problemi nel sentirsi dire Da
quanto sei innamorato di me?.
“L’ho sempre saputo,
credo.” Si schiarì la voce. Lo guardò prima di continuare a parlare e ne fu
ancora più sicuro: l’aveva sempre saputo. “Ho sempre sentito che c’era qualcosa
di strano, di diverso. Le ragazze mi sono sempre
piaciute, il… il sesso, anche. Ma
mi sentivo, non so come spiegarlo… non ero sincero. Tutto qui: sapevo che non
stavo vivendo nella verità. La mia verità.” Continuava a guardarlo, a studiare
il suo volto, cercando di capire quanto poteva dire. “Lentamente ho preso coscienza
di quello che provavo, di come ti guardavo, di quello che volevo. All’inizio
pensavo fosse un modo tutto mio per realizzare che le
ragazze, in fondo, non mi piacevano così tanto. Mi sono chiesto come sarebbe
stato con altri ragazzi, con altri uomini… se fosse quello ad attrarmi… ma non
è così che funziona, non per me. Non volevo nessuno. Solo te.”
Dean socchiuse gli occhi, le dita
strinsero ancora più forte il volante. Sam se ne accorse perché non distoglieva
lo sguardo nemmeno per un secondo. Il silenzio iniziò a farsi pesante, Sam si
chiese se avesse esagerato. Era già pronto a maledirsi quando sentì la voce,
debole ma allo stesso tempo mai stata più forte, di suo fratello.
“Continua.” disse.
Sam non era mai stato più felice di ubbidire ad un suo ordine.
“All’inizio è stato difficile
accettarlo, conviverci, fingere… ma è solo questione di abitudine. Mi sono
promesso che non ti avrei mai detto niente, che non ti avrei fatto capire la
verità, che non ti avrei messo in difficoltà. E con il tempo sono diventato bravo,
anche il disgusto che inizialmente provavo per me stesso è diventato meno opprimente.” Rievocava ricordi, silenzi e vergogna, momenti in cui
aveva creduto di impazzire, ma allo stesso tempo parlava a suo fratello:
sapeva, con assoluta certezza, che lui stava provando le stesse cose. “Ma quando sono tornato, quando mi hai riportato indietro… è
successo qualcosa. Era come se mi fossi stancato di fingere, non ne
avevo più la forza. Era come se avessi visto di peggio e mi aspettassero cose
ancora peggiori… di gran lunga peggiori rispetto a
tutto l’amore che provo per mio fratello.”
Rise, scuotendo la testa. “E non mi piace quella parola perché, anche quella,
non mi sembra sincera. Non possiamo essere ridotti a questo. Siamo molto di
più, Dean. Siamo quel pensiero, quella costante, che mi fa andare avanti
sempre. Sempre, Dean.” Fece una piccola pausa. “Due persone normali avrebbero
mollato anni fa, ma noi siamo ancora qui. Ancora insieme. Non sei solo mio
fratello, sei la mia famiglia. È tutto
quello che so… tutto quello che ho.”
Dean era rimasto immobile. Le
mani sul voltante, gli occhi sulla strada. Ma dentro
era un terremoto. Avrebbe voluto accostare, abbracciarlo, baciarlo, scappare,
cercare per tutto il Paese quella che sapeva essere la loro casa e non
lasciarla mai più.
Quel terremoto che nessuno poteva
vedere si lasciò tradire solo da un respiro: debole, tremante, più veloce degli
altri.
Non accostò, non scappò. Non
poteva.
Si limitò a sorridere, perché
sapeva che suo fratello lo stava guardando, poi allungò una mano e fece quello
che non aveva fatto per mesi: accese la radio.
***
“Sei pronto?” Sam ansimò, il
petto che si alzava e si abbassava sotto il cappotto e la camicia. Si stiracchiò la spalle, schioccò il collo muovendo la testa a
destra e a sinistra.
Dean, di risposta, si guardò
indietro.
Cinque demoni. Ecco quanti ne
avevano trovati di guardia alla casa. Li avevano neutralizzati con l’acqua
santa e poi esorcizzati, uno ad uno. Ora il giardino era
vuoto, silenzioso, tutto sembrava in attesa. Guardò la porta e la
consapevolezza di quello che stavano per fare lo
travolse come un treno.
“È un suicidio, cazzo.” ripeté
per l’ennesima volta.
Sam si limitò ad alzare le
sopracciglia. Non voleva parlare, non voleva
riflettere su quanto erano fottuti, voleva soltanto entrare, trovarla, sparare.
E gli venne quasi da sorridere perché di solito era lui quello che aveva
bisogno di fermarsi, pensare, analizzare.
“Sam…” mormorò, e si fermò perché
non sapeva come continuare. Sapeva che non avrebbe funzionato, se lo sentiva
nelle ossa, e avrebbe voluto chiedergli di uscire da quella
casa vivo e libero. Tutto intero, corpo e anima. Avrebbe voluto
stringerlo, scuoterlo e implorarlo di lasciarlo andare, supplicarlo di non provare
a riportarlo indietro, di pensare soltanto ad andare avanti. Avrebbe voluto
farsi promettere che si sarebbe scordato di tutto quello schifo e che avrebbe
vissuto quella vita che entrambi avevano sempre voluto vivere. Ma non lo disse,
non chiese promesse impossibili: sapeva che la vita
che Sam voleva era quella che lui vedeva ogni volta che chiudeva gli occhi. “Abbiamo
fatto una stronzata, Sammy? Starai
bene?”
Con quelle parole nelle orecchie,
Sam ripensò a quella mattina, alla voce di Dean che gli dava il buongiorno, al
suo profumo che ancora aveva addosso, che non aveva avuto il coraggio di lavare
via. Poi quell’immagine venne spazzata via da ciò che
più temeva: si vide solo e perso, su un letto vuoto e freddo, senza la voglia
di alzarsi, aprire gli occhi, parlare. No, non sarebbe stato bene. Lo sapevano
entrambi.
Ma ora
non dovevano pensare al peggio, era il momento di lottare.
Fece un passo avanti, si specchiò
in quegli occhi verdi pieni di tormento. Allungò una mano e gli accarezzò la
guancia, sfiorando le lentiggini con i polpastrelli.
“Dio, quanto sei bello.”
sussurrò.
Le labbra di Dean iniziarono a
tremare, Sam lo tirò verso di sé e ci posò le sue.
Si allontanarono lentamente,
costringendo gli occhi a riaprirsi. Si guardarono un’ultima volta poi bastò un
gesto, un movimento della testa, e tornarono cacciatori. Dean annuì, pronto a
sfondare la porta, mentre Sam impugnò la Colt e tese
le braccia di fronte a sé.
La casa era buia e silenziosa.
Schiena contro schiena, proteggendosi a vicenda,
passarono al setaccio l’ingresso, la cucina e la sala da pranzo. Stavano quasi
per avvicinarsi alle scale e raggiungere il piano di sopra, quando un rumore
proveniente dallo sgabuzzino li immobilizzò. Sam non smise di impugnare la Colt mentre Dean si avvicinava lentamente alla porta
chiusa. Quando la spalancò trovò un uomo rannicchiato
sul pavimento, con gli occhi sbarrati dal terrore. Dean si accovacciò e gli
mise subito una mano sulla bocca, impedendogli di urlare.
“Shhhh,” Parlò a voce bassa. “Siamo qui per aiutarla.”
“Mia figlia…” disse appena Dean
spostò la mano. La voce era quasi impercettibile, deformata dalla paura e
dall’angoscia. “La mia bambina…”
“Cosa, signore? È in pericolo?”
chiese. “Non si preoccupi, la aiuteremo.”
“No,” L’uomo
scosse la testa, le lacrime iniziarono a rigargli le guance. “non è più lei.”
Con un cenno della testa indicò
davanti a sé. Dean spostò lo sguardo sul pavimento e, nel buio che iniziava a
schiarirsi, riconobbe la figura di un uomo anziano, con la testa piegata in una
posizione innaturale.
“E’ di sopra con mia moglie…”
singhiozzò il padre. “Fermatela.”
Dean si alzò con le gambe che
tremavano, si passò le mani sulla faccia e poi si
voltò verso Sam. “Cosa?” chiese il fratello minore. La sua espressione non era
cambiata, gli occhi erano sempre freddi e duri, le mani ancora strette
sull’impugnatura della Colt.
“È una bambina.” bisbigliò,
cercando di non farsi sentire dall’uomo distrutto ai suoi piedi. “Quella
puttana ha posseduto una bambina.”
“Muoviamoci,”
indicò con la pistola la rampa di scale. “Dobbiamo controllare tutto il piano. Io a destra e tu a sinistra, ok?”
“Sam!”
“Non è più lei!” Dovette mettere
insieme tutta la sua forza di volontà per non gridare e mantenere la voce ad un sussurro. “Va fermata, hai sentito no?” Si avvicinò,
gli parlò a pochi centimetri dalla faccia. “Non è più la figlia innocente di
quell’uomo. È Lilith.”
Mentre lo guardava voltarsi e
salire le scale, aprendogli la strada per dare la caccia a colei che teneva in
pugno la sua anima, Dean si chiese se sarebbe stato così d’ora in poi, se
quello era ciò che suo fratello sarebbe diventato: uno dei tanti cacciatori
senza scrupoli e rimorsi.
Si divisero dopo l’ultimo
gradino. Sam disse a suo fratello di chiamarlo appena avesse visto o sentito
qualcosa, e poi s’incamminò lungo la parte destra del corridoio. Aprì lentamente una porta e si ritrovò in un bagno, completamente
vuoto. Raggiunse la seconda porta e notò che era socchiusa. Avvicinò
l’orecchio e sentì un leggero mormorio. In un attimo, l’adrenalina gli riempì
le vene. Cercò Dean con lo sguardo, ma non lo chiamò: era più al sicuro lontano
da lei.
Entrò spingendo lentamente la
porta con la spalla e, nonostante la sua stazza, camminò sul parquet senza fare
il minimo rumore. Le vide, sul letto di fronte a lui, proprio davanti alla
canna della pistola. La donna era seduta con la schiena appoggiata alla
testiera del letto, sulle cosce aveva un libro di favole e, appoggiata al suo
fianco, ad occhi chiusi e con un’espressione beata,
c’era una bambina bionda che sembrava un angelo. Ad un
tratto capì l’espressione sconvolta di suo fratello al piano di sotto. Le mani
iniziarono a tremare, gli sembrava di trattenere il fiato da una vita. La madre
si accorse del suo cambiamento e, piangendo senza far rumore, lo implorò con lo
sguardo. Annuì e Sam le lesse il labiale: “Fallo.”
Strinse la Colt,
avvicinò il dito al grilletto, si impose di non
pensare.
Quella era Lilith,
un demone, il più pericoloso di tutti. E possedeva l’anima di suo fratello. Era
ciò che lo divideva da tutto quello che voleva, era colei che gli stava
portando via la vita.
Prese un respiro profondo,
distolse gli occhi dalla madre e li puntò sulla bambina.
Poi, come uno squarcio nella
notte, un rintocco scosse la casa, e successero due cose nello stesso momento:
la bambina si svegliò e Sam sentì un ululato.
Non si lasciò deconcentrare,
rimase fisso su quei capelli biondi, ma appena fu pronto a premere il grilletto la bambina lo vide e gridò. La guardò negli occhi,
terrorizzati e confusi, e capì che l’aveva persa. La bambina si lasciò cadere
singhiozzando tra le braccia di sua madre, e quelle di Sam caddero senza forza
lungo i fianchi. L’impotenza e la sconfitta lo schiacciarono, sentì ogni parte
del suo corpo improvvisamente pesante. Poi il secondo ululato fece tremare il pavimento e un brivido di freddo gli
percorse la schiena.
“Dean…” sussurrò tra le labbra.
Corse. Più forte che poteva,
senza sapere di preciso dove andare. Sbatteva contro le pareti e i mobili,
chiamava il suo nome, gli urlava che stava arrivando, che sarebbe andato tutto
bene. Non sentiva Dean. Non lo sentiva parlare, gridare, imprecare. Ma sentiva un ringhio, feroce e continuo, e seguì quello. Si
ritrovò in un’altra camera da letto, più piccola e più
buia. Per qualche secondo rimase congelato sulla porta spalancata, incapace di
muoversi o pensare.
Suo fratello era lì, scaraventato
sul letto. I suoi vestiti e le coperte erano completamente zuppi di sangue.
Sangue che continuava a sgorgare dalle ferite sulla pancia, sulle braccia, sulle
gambe. Lottava, ormai senza forze, contro quella che
per Sam era nient’altro che aria. A denti stretti, senza lasciarsi sfuggire
nemmeno un gemito.
“Dean…” ripeté, e la voce si
ruppe.
Quando Dean vide avvicinarsi suo
fratello, la figura di Sam prese il posto dei cerberi
che gli stavano squarciando la pelle. Scomparvero continuando a ringhiare,
soddisfatti di aver svolto il loro lavoro. Respirando a fatica alzò gli occhi
su suo fratello, che lo aveva raggiunto e, inginocchiato accanto a lui, cercava
di farlo alzare.
Avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto dirgli non
guardare, chiudi gli occhi, vattene
da qui ma la bocca non si apriva e non lasciava andare le parole. Con le
braccia di Sam strette intorno alle sue, mentre lo sorreggeva, piangeva e lo
chiamava, ripensò a suo padre. A quella notte. A quando gli mise il suo
fratellino di pochi mesi tra le braccia esili e gli ordinò di uscire di corsa dalla
loro casa in fiamme. Le ultime parole che sentì prima
di voltarsi e scappare furono “Tienilo, tienilo stretto”.
E in quel momento, con la vista
che iniziava ad appannarsi e il freddo che gli scuoteva le ossa, con le ultime
briciole di forza, gli venne naturale fare la stessa cosa: allungò le braccia,
cercò suo fratello e lo strinse a sé. Lo tenne forte. Per non farlo cadere, per
tenerlo in vita. Come aveva sempre fatto.
“Sam.” sussurrò. Lo chiamò e
basta. Solo il suo nome, come se tutto quello che fosse rimasto da dire fossero
quelle tre lettere. E con l’ultimo lampo di lucidità capì che quella sarebbe stata
la sua ultima parola. L’ultimo suono che la sua voce avrebbe pronunciato.
Poi tutto il resto ebbe la meglio, chiuse gli occhi e le braccia caddero sul
letto. Senza forze, senza vita.
Sam sentì le orecchie fischiare, il corpo tremare. Tra i
singhiozzi e le lacrime, continuò a chiamarlo. Lo guardò negli occhi e dentro
non ci vide la vita. Lo trafisse, come una spada che lo passava da parte a
parte, la convinzione che era finita. Quel che restava era il niente. Un niente infinito, buio e senza senso.
Si accasciò accanto a lui. Lo abbracciò, gli accarezzò i
capelli. Desiderava con tutto se stesso che aprisse gli occhi, lo guardasse, ripetesse
il suo nome un’altra volta. E lo voleva così tanto che
gli sembrò quasi di sentirla, la voce disperata di suo fratello che lo chiamava.
Sam.